Fuoco
2 settembre 1666
Cornelius si mosse con il favore delle tenebre, con la luna alta le strade si svuotavano ed era più semplice muoversi senza dare troppo nell'occhio. Il rumore degli stivali sulla pietra scandiva il ritmo dei suoi passi, alla sua sinistra il Tamigi scorreva placido riflettendo i raggi argentati. Camminava a testa alta, sicuro di essere protetto dal mantello e dal cappuccio che gli copriva metà del volto, a quell'ora molti abitanti uscivano dalle taverne troppo alticci per curarsi di uno sconosciuto.
Cornelius si girò dal lato opposto, guardando verso la strada. Tra le strutture ammassate una addosso all'altra c'erano dei piccoli vicoli, indugiò con lo sguardo oltre essi notando la punta della cattedrale di St. Paul, il luogo che stava cercando era vicino: doveva raggiungere Clerkenwell, si trovava lì ciò che stava cercando – o meglio chi – da troppo tempo ormai.
Erano passati moltissimi anni dall'ultima volta che si erano incrociati, Cornelius aveva dovuto ripartire da zero con le ricerche. Si era anche impegnato per migliorarsi sempre di più, era determinato a compiere la sua missione senza nessun errore o la vergogna per l'ennesima sconfitta lo avrebbe travolto come una valanga.
Immerso nei suoi pensieri quasi non si accorse di essere arrivato, l'uomo si staccò dal lato del fiume e attraversò la strada deserta per infilarsi in uno di quei vicoli. Dopo aver percorso pochi passi si arrestò, davanti a lui c'era un maestoso arco in pietra. Quello era l'antico ingresso che portava al vecchio priorato dei Cavalieri di San Giovanni degli Ospitalieri, i luoghi di culto erano ormai in disuso e parzialmente demoliti. L'arco era la struttura che aveva resistito alla dissoluzione dei monasteri voluta da Enrico VIII, e proprio attaccato a esso c'era una taverna.
Cornelius si concesse di abbassare il cappuccio e respirare l'aria frizzantina della notte, gli occhi neri scrutarono attorno a lui per studiare l'ambiente in cui si trovava. Gli unici rumori provenivano da dentro l'edificio che fungeva da taverna, a quanto pare c'era ancora qualche avventore e il suo piano avrebbe dovuto subire una piccola modifica. Incamerò aria dal naso piccolo e poco ricurvo e si coprì di nuovo il viso. Era pronto per entrare.
Riusciva a sentire l'energia magica del mago che cercava fin da fuori, era consapevole che una volta varcata la soglia doveva muoversi in fretta per evitare che scappasse. Data la presenza degli umani avrebbe dovuto attingere alle arti arcane svelando così la sua presenza, non c'era spazio per nessun errore.
Avanzò verso la porta d'ingresso ed entrò. L'ambiente non era grande, c'erano diversi tavoli sparsi per la sala e il bancone di fronte l'entrata occupato dalla locandiera, che stava passando un panno nei bicchieri. Alzò subito lo sguardo per controllare chi fosse entrato.
«Chiudiamo tra dieci minuti, Mr.» disse la voce squillante della donna.
Cornelius sorrise, celato dalla stoffa. Non disse nulla, ma alzò la mano destra, unì pollice e indice e li mosse in modo preciso e veloce verso il basso. Agì sull'aria, risucchiandola, quanto bastasse per far perdere i sensi a tutti i presenti. I tre avventori presenti si accasciarono sui tavoli, la locandiera si lasciò scappare il bicchiere che si frantumò sul pavimento. Osservò soddisfatto l'incantesimo ben riuscito e si affrettò a raggiungere le scale per accedere al piano superiore.
Percepiva l'energia magica del rivale, non poteva nasconderla ed era consapevole che adesso anche la sua era ben visibile. Arrivò alla seconda porta a destra del corridoio: doveva entrare lì. Non sapeva definire quali sentimenti provava in quel momento, di sicuro c'era molta adrenalina che gli stava dando la giusta energia per affrontare ciò che attendeva da parecchi anni.
Si accostò alla maniglia scoprendo che la porta non era chiusa nemmeno a chiave: ottimo. Tutto sembrava andare nel verso giusto. Senza ulteriore indugio l'abbassò ed entrò. La stanza era immersa nella penombra, c'era la flebile luce di una candela a rischiarare l'ambiente. La finestra, posta sopra al giaciglio, non riusciva a far filtrare i raggi lunari fino a lì.
Un uomo era sdraiato e respirava a fatica, Cornelius afferrò rapido il candeliere e puntò la luce verso la figura osservandolo con un ghigno. Il viso dell'uomo era una fitta trama di rughe, la fronte era imperlata di sudore e la bocca era dischiusa, incorniciata dalla lunga barba bianca che arrivava all'altezza dello stomaco.
«È bello rivederti, Alasdair, o forse dovrei chiamarti zio.» Cornelius parlò a voce bassa, assicurandosi, però, che l'altro lo sentisse.
La reazione di Alasdair non tardò ad arrivare, spalancò gli occhi sorpreso e cercò di tirarsi su. Non riuscì a reggere lo sforzo, restò sdraiato mentre veniva scosso da dei colpi di tosse. Cornelius appurò con piacere la debolezza del sacerdote, aveva tutto a suo vantaggio, non come l'ultima volta: Alasdair era riuscito a spazzarlo via senza che se ne rendesse conto.
«T-tu, tu non dovresti essere qui.» L'anziano raccolse tutte le sue forze per parlare, incredulo per quella presenza nella sua camera. Gli occhi azzurri, chiarissimi, si fissarono su Cornelius che era in piedi e lo sovrastava.
«Lo so. Credevi di esserti liberato di me dopo Ys, vero? Beh, sorpresa!»
Alasdair strinse il pugno, la superficie lucida dell'amuleto era rovente e dovette fare fatica a celare il dolore. Aveva deciso di raggiungere quel luogo isolato per lasciare per sempre il mondo terreno e distruggere quell'artefatto così potente, quanto pericoloso. La visita del figlio di Leenane non era di certo nei suoi piani, ma per fortuna non l'aveva escluso.
Uno dei suoi Guardiani era riuscito a farlo ragionare, a trovare un'alternativa se qualcosa fosse andato storto. Così aveva fatto, sperava che quello bastasse a fermarlo, lui non l'avrebbe mai saputo perché era consapevole che sarebbe morto quella sera.
«Non c'è niente per te qui, vattene via!»
Il sacerdote sentiva sempre meno le forze, gli restava poco tempo e l'unica cosa che poteva fare era tenere Cornelius occupato. Doveva esalare l'ultimo respiro in modo naturale in questo modo l'amuleto si sarebbe dissolto insieme a lui ed era la soluzione che preferiva per chiudere quella storia.
«Sappiamo entrambi il motivo della mia visita. Stai morendo, vecchio, perché ti ostini ancora? Mia madre aveva ragione, sei un codardo che non sa gestire il potere e sfruttarlo appieno.»
Cornelius si divertì a vedere l'espressione di Alasdair farsi sempre più confusa, si stava di certo chiedendo come aveva fatto a parlare con Leenane. Quanta pena gli faceva, doveva mettere la parola fine a quella sceneggiata. Toccava a lui prendere l'amuleto e acquisire il potere.
«Tua madre...» non riuscì a dire altro, il respiro si mozzò e Alasdair si sentì sempre più debole. Le palpebre si stavano facendo pesanti e desiderava chiuderle. Era arrivato il momento di lasciarsi andare.
Cornelius si abbassò a recuperare il pugnale che aveva nascosto nello stivale, non poteva permettere che morisse, doveva essere lui a togliergli la vita e recuperare l'amuleto. Sua madre glielo aveva spiegato bene, la notte in cui l'aveva evocata dagli inferi.
Strinse l'arma nella mano destra e con l'altra afferrò la stoffa della tonaca bianca di Alasdair, vide l'uomo aprire gli occhi di scatto per il gesto repentino. Bene.
«Non puoi fare niente per impedirmi di agire, stavolta. Buon viaggio nell'aldilà, sacerdote Alasdair.»
Con un gesto fulmineo Cornelius alzò il pugnale sopra la testa e lo calò, andando a conficcarlo nel petto di Alasdair, dritto al cuore. Gli occhi blu del sacerdote si sgranarono, l'uomo emise un solo rantolo prima che le iridi diventassero inespressive. Cornelius lasciò l'arma prima che il sangue lo sporcasse, quella parte del piano era conclusa. Notò subito che il vecchio teneva un pugno chiuso, poteva davvero essere lì?
Senza indugiare troppo si calò, ma proprio mentre cercò di aprire le dita per recuperare l'oggetto accadde l'impensabile.
Una sfera bianca e molto luminosa schizzò letteralmente fuori dal corpo morto del sacerdote, l'energia magica di Alasdair era potente e fece vibrare la struttura. Cornelius cercò di non indietreggiare, non poteva andarsene di lì senza aver recuperato l'amuleto. Doveva averlo in mano e toccarlo per scatenare il primo elemento e così agganciare la sua energia all'oggetto.
Dopo aver districato le dita, Cornelius vide l'amuleto sul palmo della mano di Alasdair. La sfera iniziò a brillare sempre di più, divenendo quasi accecante. Con uno sforzo non indifferente afferrò l'oggetto e lo avvolse tra le fiamme.
Il fuoco.
Era quello il primo elemento che doveva sbloccare, avrebbe marchiato la sua energia magica con quella dell'artefatto e sarebbe stato legato a lui. Quando anche gli altri tre elementi sarebbero stati liberati, il potere di Madre Natura sarebbe appartenuto a lui. Avrebbe avuto il mondo ai suoi piedi.
Si coprì gli occhi con il braccio e alzò l'amuleto colpendo con decisione la sfera dell'energia magica di Alasdair, in una frazione di secondo un boato assordante gli tappò le orecchie che presero a fischiare. Cornelius si decise a guardarsi intorno, ma l'unica cosa che vide furono le fiamme. Lambirono in fretta ogni angolo della stanza, bruciando il legno con facilità e iniziando a espandersi senza controllo.
Cornelius sorrise soddisfatto e girò i tacchi, era avvolto dal fuoco, ma non gli faceva alcun male. Scatenando il primo elemento ne aveva acquisito il potere e il controllo, poteva toccarlo senza bruciarsi, camminarci in mezzo e scatenarlo anche a distanza. Quando uscì dalla taverna le fiamme stavano avvolgendo già altri edifici, colonne di fumo iniziarono a salire verso il cielo stellato.
Quella fu la notte che venne ricordata dagli annali come il grande incendio di Londra.
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