Capitolo 8
Jerome aprì gli occhi e si ritrovò quelli di Evius puntati addosso. La luce fioca, che penetrava dalle finestre, illuminava poco la loro stanza da letto. Si sorrisero, scambiandosi qualche carezza sul corpo. Jerome amava toccare e guardare la pelle di Evius che veniva colpita da qualche raggio solare, ma che rimaneva in penombra rendendola ancora più bella.
«Buongiorno, amore. Sei sveglio da tanto?»
«No, però mi piaceva guardarti mentre dormivi.» Evius si avvicinò per dargli un bacio sulle labbra.
Jerome si staccò con dolcezza e mostrò il suo sorriso migliore. Uno dei suoi punti deboli era la corta barba di Evius che gli solleticava le labbra, e questo lui lo sapeva molto bene.
La suoneria del suo cellulare spezzò l'atmosfera che si era venuta a creare. Jerome allungò seccato un braccio verso il comodino e lo afferrò. Sul display spuntò un numero che non aveva segnato in rubrica, non sapeva se lasciarlo squillare oppure rispondere, ma quest'ultima opzione prevalse sull'altra.
«Pronto?»
Subito una voce femminile si fece sentire dall'altro capo del telefono.
«Jerome? Sono Agnese. Io e mio fratello volevamo parlare con te di tutta la questione, però vorremmo risolvere prima di pomeriggio, perché abbiamo deciso che torneremo a casa nostra.»
Jerome si sollevò puntando il gomito sul materasso, facendosi più attento. Forse era riuscito ad avere una possibilità con i due ragazzi, doveva solo dare loro del tempo e non farsi tutte quelle paranoie. Rimase in silenzio per realizzare quello che aveva appena sentito, gli sembrava di star ancora sognando. Nessuno poteva capire la sua felicità in quel momento, stava per raggiungere quello che era il suo obiettivo all'interno dell'Ordine e che, una volta che se ne entra a far parte, diventava l'unico scopo da perseguire nella propria vita magica.
«Mi senti? Io lo sapevo che in questo posto sperduto non prendeva bene la linea» Agnese cercò di trattenere le sue imprecazioni contro qualsiasi essere vivente.
«No, tranquilla, sono qui. Potete venire a pranzo a casa mia se vi va, così possiamo parlarne davanti a un buon piatto di pasta. Ti mando subito il mio indirizzo. È facile da raggiungere: dovete seguire il percorso a piedi che vi indica.»
«Va bene, ci vediamo dopo allora. Dobbiamo rimetterci in viaggio il prima possibile.»
Si salutarono e chiusero la conversazione. Jerome, poi, posò il telefono di nuovo al suo posto e ritornò a scambiarsi altre effusioni con Evius.
«Erano i nipoti di Anita?» chiese Evius senza fare altri giri di parole.
«Sì, forse avevi ragione e sono stato scelto di proposito per fare tutto questo.»
«Non costringermi a rispondere male, o potrei pure mandarti a fanculo.» Si mise a ridere vedendo l'espressione un po' delusa di Jerome, Evius adorava stuzzicarlo e prenderlo in giro.
«È normale avere dei dubbi, ora alziamoci e iniziamo a sistemare prima che arrivino.» Jerome si tirò su, scoprendo entrambi per fargli capire che dovevano lasciare il letto.
«Sei sempre il solito precisino del cazzo. Comunque, non vedo l'ora di conoscerli. Se quello che si dice è vero sarà interessante osservare la loro evoluzione magica.»
«Ti piaceranno, vedrai.»
Si scambiarono un altro bacio e si alzarono dal letto, pronti per iniziare quella nuova giornata. Quella domenica di fine luglio sembrava essere diversa dal solito, nonostante il sole risplendesse in cielo anche quel giorno. Sia Jerome che Evius indossarono una t-shirt, e si recarono in cucina a fare colazione.
Jerome preparò il solito caffè fumante, mentre Evius si dedicava al pane tostato, rigorosamente integrale. Quel periodo sembrava essere per loro il migliore, non litigavano quasi più e in quell'appartamento avevano trovato tutta l'intimità di cui avevano bisogno lontani dalla sede dell'Ordine. Erano certi che non si sarebbero mai separati, e quando avrebbero avuto un po' di tempo libero avrebbero pensato al matrimonio. Niente di pomposo ed esagerato, solo una piccola cerimonia con i parenti e amici più stretti.
Evius, dopo aver finito, lo aiutò a togliere tutto dalla tavola e lavò anche i piatti che erano rimasti nel lavello dalla sera precedente per accontentare il suo ragazzo che non voleva vedere niente fuori posto. Jerome, invece, si occupò di spolverare le superfici e mettere in ordine. Quando entrambi si misero sul divano, azionarono il piccolo robot aspirapolvere e si rilassarono per qualche minuto.
«Siamo riusciti anche stavolta a far brillare casa in poco tempo.» Jerome si riteneva soddisfatto di quel lavoro.
«Tutto merito mio. Senza di me saresti ancora in confusione perché non sapresti decidere l'angolazione dei soprammobili.» Evius gli diede un bacio, lasciando un piccolo morso sulle labbra quando si staccò.
«Non sei ancora sazio?» chiese Jerome con un sorriso complice stampato sul volto.
«Di te mai.»
Si lasciarono andare di nuovo in un lungo bacio, come se la loro passione non si fosse mai spenta. Evius si allontanò, però, e gli consigliò di andarsi a lavare o avrebbero fatto tardi. Guardò Jerome alzarsi di malavoglia ed entrare in bagno, poi prese il suo smartphone e mandò un semplice messaggio. Aveva tutto il tempo per rilassarsi.
Un'ora dopo, il suono del campanello si diffuse per tutta casa.
«Vado io!» esclamò Jerome uscendo dalla camera da letto, mentre si sistemava i capelli con il suo solito elastico.
Aprì la porta e si ritrovò i due gemelli sulla soglia, che si sforzavano di fare un sorriso quanto più sincero possibile.
«Entrate!» Jerome si spostò e li lasciò passare dopo essersi salutati con una stretta di mano.
«Io sono Evius, piacere di conoscervi.» La sua figura spuntò quasi all'improvviso da dietro quella di Jerome. Era alto di qualche centimetro in più rispetto all'altro, aveva i capelli cortissimi, la bocca carnosa e la pelle color dell'ebano.
Agnese li guardò entrambi, e capì. Non era di certo uno dei suoi pensieri principali, ma non avrebbe mai immaginato che Jerome avesse una relazione con un altro uomo.
"Non hai imparato niente, Agnese? I ragazzi interessanti o sono già impegnati o sono gay." Agnese scacciò con una mano una mosca invisibile e ritornò alla realtà ritrovandosi in un ambiente tipicamente di montagna.
L'odore del legno le invase le narici, nonostante quella casa non fosse nuova e fosse abitata già da tempo. Questo era provato dai numerosi oggetti personali sparsi per casa, tante fotografie di entrambi e anche delle suppellettili provenienti da qualsiasi parte del mondo.
La casa era formata da un open space non molto grande. A sinistra si espandeva un piccolo salottino composto da due divani bianchi e un caminetto, l'ambiente era sempre illuminato dalla luce che entrava dalle grandi porte finestre affacciate sul giardino esterno. A destra, invece, c'era una semplice cucina, anch'essa con mobili in legno chiaro, e un tavolo abbastanza spazioso per sei persone. La casa era coperta da un lato dagli alberi che si potevano intravedere dalla finestrella della cucina. Delle scale, poco distanti dal sofà, davano l'accesso al piano superiore.
«Sediamoci sul divano, ancora non è pronto il pranzo. Ci penserà Evius.»
Si sistemarono tutti e tre nella zona living e fu Valerio il primo a prendere la parola.
«Jerome, volevo scusarmi con te per il comportamento che ho avuto ieri. Per me non è stato semplice apprendere tutte quelle cose, soprattutto perché fino a dieci minuti prima la mia vita sembrava normale.»
«Sei perdonato, non preoccuparti. Posso solo immaginarlo come tu ti sia sentito. Mia madre era una strega e mio padre un mago. Sono stato abituato alla magia da sempre.»
Qualche minuto dopo Evius li raggiunse con un vassoio contenente quattro bicchieri con un liquido arancione e due piccole ciotole con le patatine.
«Ho appena messo la pentola sul fuoco, ho imparato da poco a fare la pasta e spero che mi venga buona. Nel frattempo ho preparato un aperitivo per tutti.»
Ad Agnese brillarono gli occhi alla vista del cibo, la sera precedente aveva mangiato poco a causa della tensione e della stanchezza. Prese il bicchiere tra le mani e aspettò che gli altri seguissero il suo gesto per iniziare a bere e sgranocchiare qualche patatina.
«Un brindisi a noi e a questa scoperta... magica.» Jerome cercò di far sparire per un attimo la preoccupazione dai loro volti, inventandosi quella frase un po' banale e accennando un sorriso.
Per la prima volta i due gemelli non assunsero nessuna espressione sorpresa, non si erano ancora abituati del tutto, ma avevano iniziato ad accettare quella realtà in modo graduale. Si sentivano ancora un po' bloccati perché non avevano parlato con Demetria, c'era una specie di muro da abbattere del tutto che avrebbe permesso loro la libertà di seguire il percorso che Jerome offriva.
Passarono quei minuti in modo piacevole, scambiandosi i soliti convenevoli. Non parlarono di magia, ma quando si misero a tavola per consumare il pranzo, Valerio riuscì a fare la domanda che si portava dal giorno prima.
«Jerome, come farai a toglierci questo sigillo?»
Il mago rimase in silenzio per qualche secondo, non si aspettava che fosse proprio lui a rivolgergli quella domanda senza alcun giro di parole. Posò la forchetta e fece un respiro profondo.
«Non è una pratica comune togliere un sigillo, ma ci addestrano sin da subito anche per questo. Lo faremo nel cottage dei vostri nonni, tutto quello che dovrete fare voi sarà dormire.»
Agnese e Valerio si guardarono un po' perplessi, non ne capivano il senso, ma Jerome sembrò leggere i loro pensieri.
«Questi incantesimi non vanno mai fatti su se stessi, ma deve sempre essere un'altra persona a dover togliere il sigillo. Si agisce sempre durante la fase più profonda del sonno, così come quando vi è stato apposto. Quando mi sarò accertato che non sarete più coscienti dovrò recitare un incantesimo un po' complesso, che vi ridarà i poteri magici. Mi dispiace informarvi che il simbolo che ho visto sulla vostra collana sparirà.» Cercava di apparire il più naturale possibile, senza far trasparire alcuna emozione. Era vero che aveva imparato quella pratica da Anita, ma era anche vero che non l'aveva mai eseguita e sapere di doverla compiere sui nipoti della sua Maestra gli metteva una certa dose d'ansia.
«Farà male?» chiese Agnese con un filo di voce, mentre la mano corse al ciondolo, stringendolo. Che anche quel regalo fosse l'ennesima bugia dei nonni?
«No, non sentirete nulla. Forse brucerà un po' il petto, ma non sarà niente di insopportabile.» Il suo tono di voce pacato riusciva a infondere un po' di calma ai due ragazzi.
«Non ci sarà alcun tipo di rischio?»
«Nessun rischio, tutt'al più non funzionerà, ma è molto improbabile. Dovete fidarvi ciecamente di me, come vi ha detto vostro nonno. Sono stato preparato per questo momento, ma credo che ormai voi l'abbiate capito.»
«Nonno ha sempre cercato di proteggerci.» Valerio abbassò lo sguardo e sussurrò quelle parole.
Agnese gli strinse la mano. Percepiva tutto ciò che provava, come se fosse lei stessa a sentire quelle cose. Ogni volta era come una morsa al cuore, quel legame indelebile che avevano sin dalla nascita era l'unica certezza che potessero avere nella vita.
«Forse non dovrei parlare, perché sono di parte, ma Jerome è molto capace e preparato. Io capisco la vostra incertezza, vi sentite traditi dalla vostra stessa famiglia che per voi era di certo il centro di tutto. La magia è un mondo difficile e accettarla non è una passeggiata. Ma voi siete qui, e questo significa che ci avete pensato. So che Jerome vuole aiutarvi con tutto se stesso, ma non sarà facile e non esiste qualcosa senza rischio. Sono contento anche io che siate venuti, vi piacerà.» Evius terminò il suo monologo facendo l'occhiolino a entrambi, Jerome gli sorrise allungando la mano e mettendola su quella del suo compagno.
Valerio aveva ascoltato ogni parola, e constatò che Evius aveva ragione su tutti i fronti e si stupì di come avesse centrato la loro situazione: sembrava che capisse cosa avessero passato.
«Sì, hai detto bene. Siamo qui per un motivo. Basta bugie, vogliamo conoscere ciò che è stato nascosto, ma prima dobbiamo parlare con nostra madre.»
Jerome prese il bicchiere e bevve un sorso d'acqua prima di rispondere.
«Non siate troppo severi con Demetria, non è colpa sua. Se ha fatto quel che ha fatto è perché voleva tenervi al sicuro, evitare ciò che ha passato lei. Ha avuto solo timore e paura, ma vi ama tantissimo e lo sapete meglio di me. Adesso siete grandi e potete scegliere da soli. Prendetevi qualche giorno, ci rivediamo qui la prossima settimana.»
Agnese e Valerio annuirono entrambi con vigore, convinti ormai del percorso da seguire da quel momento in poi. Terminarono il pasto continuando a chiacchierare, quando finirono i gemelli diedero una mano a sistemare poi, quando controllarono l'ora, decisero che era il momento dei saluti.
Jerome si fermò sulla soglia insieme ai ragazzi.
«Ci vediamo presto, guidate con prudenza e non correte.»
Agnese sorrise sincera, si voltò e con uno slancio decise di abbracciarlo. Jerome le aveva fin da subito fatto una buona impressione, e non gli dava la colpa per tutti i segreti, sentì la stretta ricambiata e gli sussurrò un "grazie".
«Alla prossima settimana! Ciao, Jerome!» Agnese si staccò e raggiunse il fratello che era già andato verso l'auto.
Jerome rientrò solo quando li vide partire, il suo percorso da Maestro era appena iniziato e il loro sarebbe cominciato presto. Volse uno sguardo al cielo e pensò ad Anita, le chiese mentalmente di dargli la forza e di proteggerli tutti.
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