Capitolo 7

Valerio cercò di non reagire male a quell'ennesima affermazione. Si era aspettato di tutto da quel viaggio, ma non avrebbe mai immaginato ciò che stava capitando. Lui si era sempre sentito al sicuro tra le mura di casa, protetto dalla sua famiglia, dalle delusioni che il mondo esterno era sempre pronto a dare. Era sereno perché non c'erano segreti e, nonostante la perdita dei nonni, si sentiva bene perché quel dolore eterno sarebbe stato mitigato dalla presenza del suo solido nucleo famigliare.

In poco più di mezz'ora tutto era stato distrutto, spazzato via e in quel momento si sentiva esposto e vulnerabile, senza più le difese che considerava intoccabili. Incurante dello sconosciuto che lo osservava, poggiò entrambe le mani sul tavolo e abbassò la testa cercando di respirare in modo regolare. Le parole di Jerome gli vorticavano in testa, sentì la carta della lettera del nonno vicina alla sua mano: anche lui gli aveva mentito, lo aveva tradito.

«Nostro padre cosa sa di tutto questo?» chiese, tenendo lo sguardo basso.

Agnese guardava suo fratello preoccupata; lui aveva ragione, si stava comportando da stupida sempliciotta che abboccava a tutto. Doveva restare dalla sua parte.

Jerome percepì la tensione che si era accumulata, aveva sbagliato a pensare che i ragazzi avrebbero accolto con gioia la notizia della magia, si grattò sotto al mento e rispose.

«Non ho mai conosciuto vostro padre, immagino non sappia nulla.»

Valerio si concesse di rilassare i muscoli per qualche secondo, almeno su di lui poteva ancora contare. Il silenzio venne interrotto dalla suoneria del suo cellulare. Sul display compariva il nome di sua madre, e la rabbia tornò prepotente a farsi viva.

Dopo un paio di secondi decise di rispondere, o avrebbe dovuto fare i conti pure con la sua preoccupazione.

«Che vuoi?» Valerio rispose sin da subito con un tono sgarbato. Non aveva voglia in quel momento di sentire sua madre, non aveva voglia di sentire delle inutili scuse.

Agnese gli fece un gesto per invitarlo a moderare i toni, ma fu ignorata.

«T-tesoro, ciao. Volevo sapere se andasse tutto bene.» Dall'altro capo del telefono Demetria aveva una voce tremante, causata anche dalla brusca risposta del figlio.

«Come puoi credere che vada tutto bene? Io e Agnese siamo qui da soli, in un posto sperduto, con uno sconosciuto che dice di conoscerti. Ci hai nascosto una cosa che è più grande di tutta la nostra intera famiglia! C'è un qualche segreto che a quanto pare dobbiamo scoprire da soli, ma che tu sapevi. Quindi, hai ancora il coraggio di chiedere se vada tutto bene?»

Nel cottage calò un silenzio glaciale, quella reazione non se la sarebbe immaginata nessuno, nemmeno sua madre.

«Cosa avete scoperto?» chiese un po' incerta Demetria.

«Tutto, cazzo. Tutto! Perché ci hai tenuto nascosto quello che era il tuo mondo, anzi nostro?»

«Vale, non era mia intenzione. Dai, appena tornate a casa ne parliamo con calma. Dai un bacio ad Agnese da parte mia.»

«Non ne voglio sapere più niente!» Valerio chiuse la telefonata e appoggiò il suo smartphone sul tavolo. Non ce la faceva più a reggere tutta quella situazione, aveva bisogno di uscire, di prendere aria e di restare da solo.

Incurante delle persone presenti, uscì dalla cucina e superò il salotto in una falcata. Si recò fuori premurandosi di sbattere la porta come segnale nell'invitarli a non seguirlo. Agnese avrebbe voluto tanto correre da lui, ma sapeva benissimo che era meglio lasciarlo riflettere per un po'.

«Mi dispiace per tuo fratello, ciò che ho detto è tutto vero e vorremmo accogliervi nel nostro Ordine. – Jerome unì due dita e le mosse verso il basso facendo comparire un biglietto – Qui c'è il mio numero, così possiamo tenerci in contatto.»

Agnese lo prese ancora una volta stupita da ciò che aveva appena fatto, smaniosa di poterlo imitare, di imparare. Non poteva negare che fosse anche lei sconvolta da quelle rivelazioni, ma allo stesso tempo le avevano messo un'adrenalina addosso non indifferente. Aveva passato così tanto tempo a sognare un'avventura fuori dal normale, i videogiochi per lei erano stati una finestra sconfinata su una fantasia aperta e senza limiti. Sembrava che ciò che aveva sempre bramato fosse a portata di mano, e non voleva farsi scappare l'occasione. Era curiosa di ciò che avrebbe potuto fare.

«D'accordo, Jerome, posso parlare io con mio fratello. Ha un carattere particolare, per lui non è facile. Ci servirà un po' per assimilare tutto.»

«Non preoccuparti, non avevo preso in considerazione tutto questo. Prendetevi queste ore per riflettere, perché non abbiamo molto tempo. Cerca di convincere tuo fratello entro domani.»

I due si salutarono e Jerome uscì da quella casa, attraversando la stessa porta che aveva utilizzato poco prima Valerio.

Jerome lo salutò, ma il ragazzo non lo degnò neanche di uno sguardo. Era proprio l'ultima persona che desiderava vedere in quel momento. Rimase seduto a terra con la schiena appoggiata alla sua auto, continuando a chiedersi se quella fosse la realtà o tutto uno strano sogno. Più passava il tempo più considerava quella situazione surreale, dai discorsi inverosimili ai gesti strani di quell'uomo. Si sentiva come dentro una bolla che lo teneva imprigionato, i suoni diventavano ovattati e aveva voglia di chiudere gli occhi per risvegliarsi quando tutta quella situazione fosse finita.

Agnese, all'interno del cottage, non sapeva come comportarsi con suo fratello. Camminava avanti e indietro per tutta la stanza, ma anche attorno al tavolo della cucina in cerca di risposte. Se fosse dipeso da lei non avrebbe lasciato andare via Jerome così facilmente, forse non aveva neanche un posto dove dormire. Non capitava tutti i giorni di ritrovarsi davanti certe situazioni, ma in ogni caso se Jerome fosse stato un impostore non avrebbe potuto rubargli nulla, non avevano con sé niente di valore, se non un'automobile e i loro cellulari.

Non poteva esserlo, sentiva che era sincero e anche il nonno aveva dato loro conferma della sua onestà attraverso la lettera. Quelle rivelazioni erano riuscite a farle collegare tutti i punti, come quel gioco che trovava sempre nelle riviste con i cruciverba. Ogni sabato mattina il nonno ne comprava una copia e, seduta sulle sue gambe, faceva sempre quello in cui doveva unire i puntini numerati in ordine crescente. Sorrise, stava divagando con la mente, ma quei ricordi erano sempre piacevoli.

Le parole di Jerome si adattavano in modo perfetto a tutte le stranezze di quella giornata: le rune, i libri, il Triskell nella parete della stanza al piano di sopra e il segreto di cui parlava il loro nonno nella lettera che aveva lasciato.

Doveva far ragionare suo fratello, era più che certa che fosse la verità e doveva crederci anche lui. Dovevano condividere questa avventura assieme, nel bene e nel male.

Uscì fuori e lo trovò seduto a terra, senza dire nulla si mise accanto a lui e appoggiò la testa sulla sua spalla come era solita fare. Valerio rimase dapprima impassibile, ma poi spostò il braccio e la fece sistemare meglio.

«Vale, non risolvi nulla se stai da solo e in silenzio. Entriamo dentro.»

Valerio sospirò, quella situazione non lo faceva ragionare in modo lucido.

«No, non ora almeno. Voglio godermi un po' questa tranquillità che a Torino non abbiamo mai.»

Agnese si mise a osservare ciò che avevano intorno e capì che suo fratello aveva ragione. Il sole era alto nel cielo, ma non c'era la solita calura della città, era piacevole sentirlo sulla pelle. Le maestose montagne facevano da cornice e gli alberi di diverse lunghezze coloravano quel dipinto naturale. Il lago era placido e l'acqua brillava colpita dai raggi solari. Il campanile non spezzava la veduta, ma sembrava parte integrante di essa come se fosse del tutto naturale che si trovasse lì.

Il silenzio era l'elemento che colpiva di più e che si imponeva prepotente in quel posto. Non c'era nessun clacson, nessun rumore degli autobus o il vociare delle persone; lì il silenzio regnava sovrano e veniva spezzato solo dal cinguettio degli uccelli.

«Sembra il paradiso qui, i nonni avevano davvero un buon gusto.» Agnese cercò di portare il discorso dove voleva, ma provò a non essere troppo diretta.

«Oltre ad avere buon gusto credo che fosse un atto di prudenza la scelta di questo luogo. Sì, insomma, se quell'uomo ha detto il vero...»

Valerio non voleva ammettere che un po' ci credeva e che si era solo arrabbiato perché era stato tenuto nascosto. Quel sentimento era prevalso sulla curiosità e l'eccitazione di quella scoperta. Portò una mano al petto, sfiorando con le dita il centro. Gli venne in mente il sigillo che Jerome aveva nominato.

Sua madre era stata davvero egoista a non permettere a lui e Agnese la possibilità di scegliere. Non gli importava della ragione che aveva allontanato Demetria da quel mondo, loro avrebbero dovuto comunque avere il diritto di conoscere e decidere cosa fare. Lei, invece, aveva voluto tenerli all'oscuro e adesso avrebbe ottenuto l'effetto contrario.

«Oh, sì, hai ragione. Non avevo tenuto conto di questo aspetto.» Agnese gli sorrise, in un modo che riservava solo a suo fratello. Forse aveva sbagliato a pensare che Valerio fosse del tutto contrario.

«Ti senti un po' meglio, ora?» gli chiese, staccandosi dal suo abbraccio per poterlo guardare in faccia.

Valerio annuì.

«Avevo bisogno di non sentire più nulla e di pensare. Ho pensato perfino che il nonno ci avesse tradito, ma ora capisco che stava solo rispettando la volontà della mamma.»

«Ma lui e la nonna non hanno voluto che non sapessimo niente per sempre. Ho notato una cosa: quando Jerome ha detto che avevamo poteri magici ha menzionato solo noi, la mamma e la nonna.» Agnese era rimasta colpita, significava che Fulvio era un semplice umano consapevole di ciò che gli accadeva intorno e che per la maggior parte della popolazione era segreto.

«Sì anche io ci ho fatto caso, significa che la nostra discendenza magica viene solo da parte della nonna.» Valerio sorrise sghembo, parlarne ad alta voce lo rendeva sempre più reale.

«Avremmo dovuto sapere tutto da sempre e dalle persone di cui ci fidavamo.» Agnese incrociò le braccia al petto, in un gesto che faceva sempre quando era nervosa.

«Jerome è un tipo strano, eh?»

Entrambi si misero a ridere, ricordando la sua maldestra presentazione iniziale.

«Lo è, ma se i nonni si fidavano di lui ci deve essere un valido motivo. Ha avuto un compito piuttosto ingrato e tu non gli hai reso la vita facile.»

«Lui, però, non l'ha resa facile a me, anzi a noi. Che dovremmo fare?» Valerio sospirò un'altra volta. Era confuso dopo quelle poche notizie, ed era certo che erano solo una piccola parte di tutta la verità. Nel frattempo continuava a stilare, nella sua mente, delle liste con tutti i pro e i contro del caso.

«Forse sono di parte, ma secondo me dovremmo andare fino in fondo a questa vicenda e scoprire tutto il resto. Non voglio più che mi venga nascosto qualcos'altro.»

Si strinsero la mano come se stessero suggellando un patto e in coro pronunciarono la parola "insieme".

Jerome aprì la porta del suo appartamento, non molto distante dall'abitazione in cui aveva incontrato i due gemelli. Era tutto in perfetto ordine come l'aveva lasciato. Le grandi finestre riempivano la casa di luce naturale, affacciandosi su un paesaggio mozzafiato. I mobili in legno di quercia aiutavano a completare quell'atmosfera di montagna.

«Sono a casa!» esclamò quando si richiuse la porta alle spalle.

Evius alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e gli rivolse un ampio sorriso.

«Di già? Non pensavo tornassi così presto.»

Jerome sospirò, e un velo di delusione calò sui suoi occhi.

«Non è andata come speravo, ma forse dovevo aspettarmelo.»

Evius chiuse il tomo, premurandosi di mettere il segnalibro, e lo posò sul tavolinetto davanti al divano. Allargò le braccia e invitò Jerome a mettersi accanto a lui.

«Ti va di raccontarmi?»

Jerome si sistemò meglio e si lasciò stringere, lo faceva sentire sempre protetto e al sicuro. Alzò leggermente la testa per poter perdersi nei suoi occhi castani, accompagnati da quel viso color cioccolato. Iniziò a raccontargli tutto ciò che era successo appena aveva messo piede nel cottage, e giustificò subito le reazioni dei due ragazzi, soprattutto quella di Valerio.

«Il ragazzino mi ha risposto male in continuazione, a un certo punto me ne sono andato, era inutile continuare a provarci.»

«Ma questo non deve essere un motivo per arrenderti, il tuo compito è sempre stato chiaro sin da subito.» Evius iniziò a giocare con la ciocca che ricadeva sul viso di Jerome.

«E se non fossi capace? E se questa non fosse la mia vera strada?»

«Smettila di tormentarti. Lo sai che sei pronto a fare il Maestro, saresti capace di insegnare la magia pure a dei bambini.»

«Forse non è stata una grande idea affidarmi loro. Stiamo parlando dei nipoti di Anita, la loro è una magia anche più potente della mia.»

«Basta pensarci. Se lei ti ha dato questo compito vuol dire che ne sei all'altezza. Sei stressato, ora hai solo bisogno di rilassarti.»

Evius si spostò da lui e iniziò a lasciargli dei piccoli baci sul collo. Mise una mano sotto la sua maglia e sfiorò gli addominali scolpiti con le punte delle dita. Con l'altra mano afferrò l'elastico che teneva raccolti i capelli di Jerome e, con un gesto rapido, lo sfilò, facendoli ricadere sulle spalle. Quello era diventato il loro segnale per spostarsi in camera da letto.

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