Capitolo 5

Valerio avanzò deciso e incredulo verso il camino, afferrò la fotografia per osservarla meglio e capire che non si era sbagliato. Strofinò il pollice sulla superficie ruvida e impolverata della cornice mentre coglieva ogni dettaglio. Si sentì tradito.

«Vale... posala. Non cambierà niente se continui a fissarla, anche io sono sconvolta.» Agnese ebbe l'impulso di afferrare il cellulare e chiamare sua madre, ma riuscì a frenarsi. Voleva prima fare più luce riguardo a quella storia.

«Se lei era a conoscenza di questo cottage, perché non ci ha detto niente? Perché si è inventata quella scusa assurda?» Valerio ripose la fotografia al suo posto, con apparente calma. Dentro di sé, però, si sentiva ribollire.

Non erano abituati a queste cose, la loro famiglia era unita anche perché non avevano segreti. Dalla morte del nonno, Valerio era entrato in un tunnel in cui faceva fatica a vedere la luce, arrancava e avanzava, ma nulla: non trovava l'uscita. Quell'immagine lo aveva fatto sprofondare nel buio più totale. Si riscosse dai suoi pensieri quando sentì il tocco della sorella che gli prendeva la mano, si girò verso di lei con gli occhi quasi lucidi.

«Scopriremo tutto, Vale, promesso. Io direi di esplorare, andiamo prima al piano di sopra a vedere le camere.» Agnese fece un sorriso tirato al fratello, non voleva apparire felice perché non lo era. Se fossero riusciti a pensare in modo lucido, avrebbero capito qualcosa di quella strana storia.

«D'accordo, andiamo allora.»

Proprio accanto alla balaustra c'erano le scale, di un legno più scuro rispetto a quello usato per la costruzione della casa. Valerio andò per primo e salì un gradino alla volta, seguendo le venature chiare con la mano poggiata alla parete: aveva bisogno di sentire con tutti e cinque i sensi, per non perdere il contatto con la realtà e pensare di vivere in un sogno.

Il piano superiore era composto da un corridoio e quattro stanze. Due sul lato sinistro, una sul lato destro e l'ultima in fondo, dritta davanti a loro.

«Ci dividiamo? Chi trova qualcosa di più interessante fa un segno» propose Agnese una volta arrivata.

«Sì, d'accordo. Io comincio da questa.»

Valerio indicò l'uscio a sinistra, Agnese andò nella direzione opposta e raggiunse la porta di destra. Restò molto delusa: l'aprì con uno scatto immaginando di trovare chissà che cosa, ma le si parò davanti solo il bagno. I sanitari bianchi e immobili sembravano deriderla. Fece una smorfia e richiuse la porta; non c'era nulla di interessante lì.

Quando si girò vide Valerio fermo sull'uscio della seconda camera a sinistra. Cercò di scorgere qualcosa dietro alla sagoma del fratello.

«Vale? Che c'è?»

«Questa era la camera di mamma.»

La frase uscì fuori come un sussurro, ma Agnese capì tutto. Si accostò vicino a lui e riuscì a vedere all'interno. La prima cosa che la colpì fu la sobrietà di quella camera: c'erano un letto singolo, un armadio e una scrivania, tutti su un lato della stanza. Dall'altro lo spazio era vuoto, ma non del tutto. Agnese si mosse veloce e aprì prima la tenda e poi la finestra, per permettere alla luce solare di illuminare l'ambiente.

«Cosa sono quei segni?»

Valerio riusciva a vedere meglio, e si accorse anche lui che le pareti sul lato vuoto non erano per niente spoglie. C'erano degli strani disegni dipinti, forme geometriche che non conosceva, ma che gli trasmettevano una strana sensazione. In alcuni punti il muro sembrava avesse dei buchi, in altri c'erano evidenti segni di bruciatura.

Agnese si avvicinò – curiosa come una falena attratta dalla luce – a uno dei disegni e allungò la mano per toccarlo. Anche per lei era tutto così surreale che aveva bisogno di renderlo tangibile, la sua mente era come un chip impazzito: elaborava informazioni senza che fossero preinstallate.

«Questo è un triskell.»

Agnese fece passare il dito su una delle tre spirali, seguì il suo percorso fino ad arrivare al punto in cui esse si ricongiungevano. Lo conosceva perché lo aveva visto in uno dei tanti giochi online basato su streghe e maghi.

«Un triche?» Valerio era perplesso, si grattò dietro la nuca guardando la sorella confuso.

«Triskell! – ripeté Agnese cercando di non perdere la pazienza – È un simbolo magico, queste tre spirali rappresentano l'acqua, l'aria e la terra. Il centro invece è il fuoco.»

«Grazie per la lezione di esoterismo, sorella, ma stiamo perdendo il punto centrale della questione: che cazzo ci fa nella stanza della mamma e perché cazzo è dipinto sul muro?»

Valerio incrociò le braccia al petto, nervoso, mentre con lo sguardo ripercorreva tutti i segni su quelle pareti bianche.

«E io che ne so! Abbiamo lo stesso livello di conoscenza su questa faccenda, controlliamo la scrivania magari c'è qualcos'altro.»

Valerio fece una smorfia, aveva quasi paura di scoprire altre cose e accumulare altre domande a cui non sapeva rispondere. Non poteva nascondersi, erano lì ormai.

Agnese lo superò per andare verso la scrivania e sfiorò con le dite la superficie scabra del legno consumato. Il piano era completamente libero da qualsiasi oggetto, ma in basso c'erano dei cassetti che esitava ad aprire. Entrambi i fratelli avevano lo stesso timore. Afferrò con decisione la maniglia del primo cassetto e lo tirò verso di sé. Non era vuoto: all'interno c'erano tre libri e un piccolo sacchetto scuro.

Senza dire niente li tirò fuori e li appoggiò sulla scrivania. I libri erano in pelle marrone con alcune incisioni color oro che faticava a comprendere.

«Questi forse sono per te.» Agnese prese i libri e, senza aspettare risposta, li mise tra le mani di suo fratello.

Valerio rimase senza parole da quel gesto, non voleva scoprirne il contenuto. Esortato da Agnese, però, appoggiò due dei libri e iniziò a sfogliare il terzo della fila. Riportava immagini di piante, con i rispettivi componenti: dai semi ai frutti. I colori erano ancora brillanti, nonostante fossero passati tanti anni, e i disegni sembravano quasi reali. Non riusciva ancora a spiegarsene il significato, ma gli sembrava un libro abbastanza innocuo.

Ne prese un altro per verificarne il contenuto, ma tra le pagine stavolta figuravano degli strani simboli un po' squadrati. Confuso, continuò a cercare qualche altra parola o spiegazione tra quelle righe, ma non c'era niente di comprensibile. Sembrava scritto in un'altra lingua.

Nel frattempo, Agnese aveva preso il sacchettino trovato nel cassetto e lo stava esaminando più da vicino. Era di velluto nero e al centro erano ricamate una "D" e una "F", dei laccetti – anch'essi neri – lo chiudevano, alle estremità c'erano due piccole perline color oro. Lo agitò per capire quale fosse il reale contenuto, e sentì sbattere qualcosa tra di loro, come se fossero delle pietre. Lo aprì e sul piano della scrivania fece scivolare ciò che c'era, sulla superficie si sparsero dei piccoli tondini in legno chiaro.

Quando Valerio si girò, notò casualmente che anche quei piccoli oggetti misteriosi avevano delle incisioni, le stesse che erano riportate sul libro. Ne prese uno curioso, e cercò di trovare la figura corrispondente nel tomo che aveva in mano.

«Guarda, sono le stesse cose – Valerio le fece vedere il libro che aveva in mano – Trovato! Questo segno qui si chiama in... inguz!»

Agnese fu lesta ad afferrare il cellulare – scoprendo con gioia che la connessione a internet funzionava – e a digitare sul motore di ricerca quella parola.

«A quanto pare è una runa, significa protezione dell'unione famigliare. Quindi anche queste lo sono, un sacchetto completo. Perché non c'è una spiegazione a tutto questo? Perché mamma non ce ne ha mai parlato ed è evidente che lei sapesse tutto. Questa è la sua fottuta stanza!» Agnese serrò i pugni, placando l'istinto di buttare ogni cosa per terra.

Valerio lasciò andare tutto sulla scrivania e le appoggiò le mani sulle spalle guardandola negli occhi.

«Abbiamo già detto che entrambi siamo arrabbiati per averci tenuto nascosto questo segreto, ma reagire così non servirà a niente. Scendiamo per bere un po' d'acqua e riflettiamo sul da farsi.»

Agnese annuì e insieme si lasciarono quella stanza alle spalle; quando varcarono la porta, la ragazza si ricordò dell'ultima camera in fondo al corridoio.

«Aspetta, manca questa.»

Si mosse veloce e la raggiunse, tirò giù la maniglia con precisione, ma non ottenne nulla. La porta era chiusa a chiave e invece di aprirsi le restituì un suono sgradevole.

«Niente da fare, è chiusa. Controllerò tra le chiavi se c'è quella per questa porta.»

Agnese raggiunse di nuovo Valerio e insieme ritornarono al piano inferiore. Superarono il salottino andando verso destra dove un ampio spazio ospitava la cucina. Era formata dai classici mobili componibili, sia in alto che in basso c'erano delle credenze e uno spazio era lasciato per il lavello. Accanto a esso sostava un frigorifero di media grandezza, bianco e immacolato. Al centro della sala era posizionato un normale tavolo da pranzo con le sedie.

Proprio quest'ultimo elemento catturò l'attenzione dei due fratelli, al centro, invece dei soliti centrini o soprammobili, c'erano tre strani oggetti: una statuina con due clown, un diario e uno specchio decorato con il manico che sembrava appartenere a un'altra epoca.

«Okay... questa è la volta buona che divento pazza.»

Agnese si era avvicinata con sospetto, quasi avesse timore di vedere esplodere uno degli oggetti all'improvviso. Più li guardava, più sentiva nella sua testa un vociare confuso. Immaginava una spia rossa lampeggiante che segnalava una falla nel sistema.

Valerio decise di essere più impavido, con fermezza raggiunse il tavolo e afferrò il diario, era l'oggetto che più lo aveva colpito in mezzo agli altri. La sorella cercò quasi di trattenerlo, ma si era subito resa conto che era stupido pensare che un libro fosse pericoloso e così lasciò che il gemello lo studiasse.

«Questo diario ha di sicuro un sacco di anni, la copertina è in pelle ed è consumata in più punti, è un prodotto che troveresti in qualche mercatino vintage o nei negozi di antiquariato, – iniziò lui rigirandosi il taccuino tra le mani – ci sono le pagine ingiallite dal tempo. Lo apro?»

«Non penso mi ascolteresti se dicessi di no, quindi fai quello che non vedi l'ora di fare.» Anche se non lo stava ammettendo, pure lei era curiosa.

Valerio prese posto e poggiò il diario sul tavolo, poi lo aprì. Le pagine erano ancora integre, anche se non più bianche, ed erano tutte ricoperte da una scrittura sottile ed elegante. Erano piene e fitte di parole a lui sconosciute. Strinse gli occhi per riuscire a captare un segno, un indizio e infine lo trovò.

«Apparteneva alla nonna, questo è polacco.»

Agnese si mise accanto a lui e sbirciò, dopo una rapida occhiata capì che suo fratello aveva ragione.

«Peccato che non abbiamo mai imparato la sua lingua.»

«Lo so, ma possiamo comunque portarlo con noi. Nel mio stesso edificio universitario c'è la facoltà di lingue straniere, cercherò un professore o una professoressa che riesca a tradurlo.»

Agnese si ritrovò ad annuire di nuovo, incapace di dire altro. Alzò lo sguardo e venne attirata dallo specchio. La luce del sole filtrava dalla porta finestra di fronte al tavolo e illuminava le decorazioni che si intrecciavano intorno al vetro. Incapace di resistere si staccò dal fianco del fratello e avanzò verso l'oggetto.

Era un po' pesante reggerlo, ma era bellissimo. Era in argento e quasi le ricordò lo specchio del film "La Bella e la Bestia". Lo alzò all'altezza del viso e si specchiò: il vetro le restituì l'immagine di una ragazza stanca, avvilita. I capelli le ricadevano scombinati sulla fronte e le palpebre tendevano a essere calanti, un sorriso spento completava la sua figura.

«Non hai una bella cera, Agnese, dovresti riposare» disse, rivolta alla sé riflessa.

Quando terminò la frase un bagliore le ferì gli occhi; proveniva dallo specchio. Lo guardò allarmata e vide un occhio color ambra apparire, sembrava che la vedesse. Cacciò un urlo lanciando l'oggetto sul tavolo, e in quel momento entrambi i fratelli furono presi alla sprovvista dal rintocco delle campane. Quel rumore sembrava provenire proprio dal campanile sommerso.

Valerio scattò in piedi e accolse Agnese tra le sue braccia quando la raggiunse.

«Che cazzo è stato? Vale, hai sentito anche tu vero?» La ragazza avvertì un principio di emicrania iniziare a insinuarsi nella zona delle tempie.

«Sì, ho sentito. Non ci sono le campane in quella torre, però.» Valerio prese ad accarezzarle i capelli per farla calmare e calmarsi anche lui. Non erano entrati da nemmeno un'ora in quella casa e avevano già vissuto delle esperienze assurde. Cosa sarebbe capitato da ora in poi?

Dei colpi alla porta li fecero allarmare.

"Ecco cosa può capitare" si ritrovò a pensare Valerio.

«Stai qui, vado io.» Il ragazzo provò a staccarsi dalla sorella, ma lei strinse più forte.

«No! Non lasciarmi sola, andiamo insieme.»

Valerio acconsentì, riuscì a liberarsi dalla presa della gemella e le tenne la mano, avanzando per primo e lasciando che Agnese stesse dietro di lui. Arrivarono davanti alla porta, il ragazzo allungò la mano, ma esitò. Aveva paura.

La maniglia, però, si abbassò da sola, sotto gli occhi increduli di Agnese e Valerio che erano sempre più confusi. La porta si aprì e davanti a loro comparve un giovane uomo.

Un viso lentigginoso a loro sconosciuto si aprì in un ampio sorriso.

«Ben arrivati a Resia, ragazzi!»  

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