Capitolo 3
Jerome controllò prima a destra e poi a sinistra prima di attraversare, anche se per le strade c'era poca confusione. Era un caldo pomeriggio d'estate, e nonostante fossero le 18:00 il sole splendeva alto nel cielo. Cercò di allargare il colletto per prendere aria, chissà perché aveva deciso di dare retta a Evius. Gli aveva suggerito lui come vestirsi per non dare nell'occhio.
Se avesse fatto di testa sua adesso non starebbe indossando una felpa nera, non starebbe sudando e non starebbe maledicendo gli Antichi. Ah, e per di più veniva fissato!
Si appuntò in mente che doveva dire a Evius che indossare una felpa in pieno luglio per le vie della città dava nell'occhio eccome.
Scosse la testa per non continuare a divagare con i pensieri e si affrettò a raggiungere il portone nel vicolo di Via Lascaris, 1. Mentre aspettava che gli aprissero abbassò lo sguardo, la sua attenzione venne subito catturata dai due fori vicino alla grata della rete fognaria. Si potevano notare degli "occhi" scolpiti sul marciapiede.
Lo scatto del portone lo fece ritornare alla realtà e in fretta salì fino allo studio del notaio. Quando scostò la porta per entrare, una ventata di aria fresca lo investì.
"Menomale che qualcuno ha inventato l'aria condizionata", pensò Jerome.
Non ci fu bisogno neanche di attendere, gli appuntamenti per quel giorno erano finiti e il dottor Giordano lo accolse subito nel suo ufficio. La segreteria era già andata via.
«Jerome, accomodati.» Lo invitò a sedersi con un gesto della mano.
«Ti ringrazio, Guardiano Dario. Li ho visti uscire e andare via, hai fatto tutto?» gli chiese senza giri di parole, dopo essersi messo comodo sulla sedia in pelle. Quello studio era davvero elegante, la scrivania in mogano, la libreria dietro a essa. Perfino la finestra era coperta da un prezioso drappeggio rosso.
«Sì, ma la figlia di Fulvio sembrava nervosa. Mentre leggevo il testamento ho visto la sua espressione con la coda dell'occhio.»
Jerome sospirò. Anita gli aveva parlato delle idee della figlia rispetto a quel mondo quando le aveva chiesto perché Demetria non si allenasse più con lui.
«Spero che ci ragioni un po' su. Fulvio ci aveva detto che era tutto sotto controllo e che avrebbe trovato un modo. A noi quei gemelli servono, prima che sia troppo tardi. In ogni caso, però, ho qualcosa che potrebbe convincerla.»
«Dobbiamo solo sperare che si rechino a Resia, poi sarai tu a dover fare tutto il lavoro. Sei pronto?»
«No, per niente, sono appena diventato un Maestro e mi sono stati affidati loro due.»
«Ti sono stati affidati perché Anita si fidava di te e io sono sempre stato d'accordo con lei. Vedrai che li addestrerai nel migliore dei modi. Ora vai, devi essere pronto a ogni evenienza. Mi raccomando, discrezione.»
Jerome sorrise furbo, stringendo il codino che gli teneva raccolti i capelli.
«Oh sì, sarò discreto al punto giusto.»
Dario scosse la testa, ma non riuscì a nascondere il sorriso divertito che gli affiorò sulle labbra. I due si salutarono, promettendosi di aggiornarsi in caso di novità.
Demetria si svegliò presto quella mattina, si mosse piano per non destare Adriano e cercò di scendere dal letto silenziosa come un gatto.
Una mano, però, la fermò vanificando tutti i suoi sforzi. Fin da quando si erano sposati e dormivano insieme, Adriano era sempre stato attento ai suoi movimenti. Era molto protettivo, e avevano condiviso molte notti insonni nel periodo in cui era incinta dei gemelli. L'aveva anche aiutata quando era nati. Demetria si era sempre sentita fortunata ad avere accanto un uomo che rinnovava la sua promessa d'amore ogni giorno.
«Va tutto bene, amore?»
Demetria si lasciò guidare da lui, si strinse e appoggiò la testa sul petto. Non poté fermare le lacrime che iniziarono a scendere senza controllo, mentre le spalle venivano scosse da piccoli sussulti. Adriano preferì restare in silenzio, quella muta risposta gli era bastato per capire che no, non andava tutto bene. In fondo lui non poteva immaginare cose stesse passando, o almeno poteva comprenderlo solo in parte. I suoi genitori lo avevano lasciato quando aveva solo cinque anni, portati via da un ubriaco alla guida.
La famiglia di Demetria era diventata anche la sua in un processo del tutto naturale, Fulvio e Anita gli avevano sempre voluto un gran bene e lui aveva ricambiato in ogni modo quell'affetto. Aveva accusato anche lui il colpo della recente scomparsa del suocero, ma non poteva lasciarsi andare. Demetria aveva bisogno di lui, i suoi figli avevano bisogno di lui. Doveva essere una roccia per proteggerli dal loro dolore e per non farli sentire soli.
La strinse forte, lisciandole i capelli con la mano.
«Starai meglio, tesoro. Posso solo immaginare quanto ti manca tuo padre, è brutto sopravvivere ai tuoi genitori anche se loro pensano il contrario. Io ci sono, per te, per Agnese e per Valerio.»
Demetria tirò su col naso, si asciugò le lacrime con la mano e alzò lo sguardo per incontrare i suoi occhi. Era bello, come la prima volta che l'aveva visto. Erano passati tanti anni, ma sentiva per lui una passione sempre viva. Gli occhi profondi, il naso proporzionato, la bocca carnosa che si allargava sempre in dei sorrisi che la facevano sciogliere. Era fortunata.
«Grazie. Non so che ho fatto per meritarmi te, davvero. Mi sento già meglio, solo perché so che ci sei tu.»
Si lasciarono andare a lungo bacio che le ricordò i vecchi tempi, quando erano appena fidanzati e perdevano le ore tra coccole e carezze.
«Devo essere sincero con te, però.» Adriano esordì così, quando si staccò.
«Riguardo a cosa?» Demetria ritorno ad appoggiarsi, mentre con le dita accarezzava il petto del marito.
«Non sono sicuro che tu abbia ragione in merito alla casa. Tuo padre era troppo furbo per farsi ingannare, la sua mente è sempre rimasta lucida. Ho capito, però, perché ti stai comportando così.»
Demetria rimase immobile, mentre una paura insolita le prendeva lo stomaco. Non aveva mai mentito ad Adriano, si era concessa quell'unico segreto. Non poteva averlo scoperto.
«Ch-che vuoi dire?»
«Vuoi proteggere i ragazzi, evitare che vadano a caccia di fantasmi. Lo sappiamo bene quanto erano legati al nonno, e tu vorresti solo che andassero avanti. Forse non dovremmo impedirglielo, sai? Se vorranno andare a vedere la casa.»
Demetria si tranquillizzò, era stata una sciocca a pensare che suo marito potesse sapere qualcosa. In parte ciò che aveva detto era corretto, ma non del tutto vero.
«Non lo so, amore. Hai detto bene, voglio proteggerli.»
«Non puoi rinchiuderli, sono due ragazzi svegli e magari in questo modo riusciranno a superare il lutto. Pensaci, decideremo insieme come sempre.»
Demetria allungò il collo per stampargli un nuovo bacio e poi si staccò da lui. Erano quasi le sette del mattino ed entrambi dovevano andare a lavorare. Adriano si alzò di tutta fretta, si offrì di andare a prendere la colazione e sparì in bagno per vestirsi e poter uscire. Demetria invece andò verso la finestra e azionò il bottone per far alzare la serranda e lasciare che la luce naturale inondasse la camera.
Restò lì in piedi per accogliere i raggi solari, ma la sua attenzione venne catturata da qualcos'altro. A terra sul balconcino della camera c'era un petalo di rosa. Demetria si affrettò ad aprire l'infisso e si abbassò per prenderlo tra le mani.
Subito notò che non era un petalo qualsiasi, su di esso era inciso una specie di rombo un po' sbilenco. I lati non erano perfettamente dritti. Quasi le mancò il fiato, lei conosceva quel simbolo. Era una runa.
Inguz. La protezione dell'unione famigliare. La runa preferita di Anita, sua madre. Si affacciò in fretta per scovare chi fosse stato, ma non c'era nessuno. Le strade erano deserte e non si sentiva alcun rumore: sarebbe stata un'altra giornata di calura.
Agnese prese la sua agendina con i fenicotteri stampati sulla copertina e una penna con il tappo a forma di panda, mentre dal suo smartphone aprì il calendario. Su un foglio ancora intonso avrebbe segnato tutti i giorni in cui sarebbero potuti andare a Resia. La sua mente schematica l'aveva obbligata molte volte a sedersi e a dar vita a vere e proprie tabelle di marcia, le davano un senso di ordine e riusciva a ragionare meglio.
Quella settimana non era possibile a causa degli ultimi esami della sessione. Il martedì successivo, come ogni altro era fuori discussione: Valerio non avrebbe saltato nessuna lezione di pianoforte, per nessun motivo al mondo. Il lunedì, il mercoledì e il venerdì lei aveva gli allenamenti di roller prima dell'ultima gara della stagione. Non aveva mai fatto a caso a quanto fossero impegnati, quegli appuntamenti erano diventati un'abitudine. Fare conciliare tutto era difficile, molto, ma Agnese non si sarebbe arresa così facilmente.
A suo fratello aveva promesso che avrebbero occupato un giorno solo, quindi secondo la sua divisione della settimana potevano andare il giovedì, se fossero partiti alle prime luci dell'alba sarebbero arrivati... non aveva calcolato il percorso, cazzo! Imprecò a denti stretti, ammonendosi per non aver cercato l'informazione basilare per fare quella pianificazione. Cercò su Google la distanza da casa sua a quella dell'abitazione di Resia in auto. Non riuscì a credere ai suoi occhi quando sullo schermo, accanto al percorso in colore blu, vide scritto: "6 ore e 21 minuti".
Si passò entrambe le mani sui capelli biondi e lisci. Non poteva fare un viaggio così lungo in giornata, ma non voleva neanche rompere la promessa fatta a Valerio. Lui avrebbe capito che non era fattibile, la discussione con suo fratello doveva considerarlo l'ultimo dei problemi.
Dopo una buona mezz'ora fece in modo che tutto quadrasse. Gli unici giorni disponibili restavano il sabato e la domenica: lei e Valerio avrebbero passato un weekend alternativo, sarebbe servita come pausa. Una mini vacanza al fresco delle montagne.
Andò a bussare alla porta della camera di suo fratello per comunicargli tutto ciò che aveva pianificato.
«Fai in fretta» le rispose Valerio dopo averle aperto.
Agnese richiuse tutti i libri che erano sulla scrivania per ricavarsi un po' di spazio, incurante dell'espressione contrariata di suo fratello. Appoggiò il computer portatile e mostrò il percorso da fare per arrivare a Resia.
«Non avevo fatto caso a questo particolare. Partiremo per il fine settimana!» Agnese mise ogni briciolo di entusiasmo, magari in questo modo Valerio sarebbe passato oltre alla questione del giorno solo.
«Ti avevo concesso un solo giorno» disse Valerio con tono deciso.
«Significa fare dodici ora di viaggio in macchina nell'arco di una giornata. Non reggerei, e neanche tu. Ci sarà un posto dove dormire, no?» Agnese stava tentando ogni modo per convincerlo.
Valerio chiuse le chiuse il portatile con un gesto. Beccandosi un'occhiata truce da parte di Agnese.
«Due giorni sono troppi.»
«Non credo ci sia bisogno di rifare tutto il discorso, il viaggio richiede tempo e di certo non possiamo prendere il treno. Io ci andrò e tu verrai con me perché è anche casa tua.»
Il fratello sospirò e alzò gli occhi al cielo. Discutere con sua sorella era sempre stata una partita a scacchi che perdeva la maggior parte delle volte.
«Ti odio quando fai così. Va bene, ci andiamo.»
Agnese sorrise e gli schioccò un bacio sulla guancia. Non stava più nella pelle, sentiva che c'era qualcosa di speciale in quella casa, qualcosa che il nonno aveva lasciato per loro, e non voleva farselo scappare. Il tempo sembrava non passare mai, attendeva l'arrivo dei suoi genitori per convincerli e poter partire: era il prossimo obiettivo per passare al livello successivo.
L'aveva presa sul serio come uno dei suoi videogame, ma si trattava della sua vita reale che sembrava regalarle una nuova avventura.
Quando, nel tardo pomeriggio, sentì scattare la serratura della porta d'ingresso, iniziò a prepararsi mentalmente il discorso. Il più bravo con le parole era di sicuro suo fratello, ma in quel momento era più importante mostrare gli occhietti da cerbiatta.
Uscì dalla sua stanza e bussò con un colpo deciso alla porta di suo fratello, quello era il segnale che doveva uscire da lì. Negli anni avevano creato un codice segreto da utilizzare in qualsiasi situazione, ma per la maggior parte delle volte era solo Agnese a usarlo. Dopo pochi secondi, i due gemelli erano già in soggiorno per parlargli della loro decisione.
Demetria li anticipò prima che potessero dire qualsiasi cosa e annunciò che sarebbero andati a cena fuori. Si sentiva stanca e non le andava di cucinare, soprattutto con quel caldo. Agnese avrebbe dovuto rimandare il suo discorso di un paio d'ore.
Dopo che tutti si preparano, erano già pronti per andare e, all'unanimità, scelsero il loro solito ristorante giapponese. Probabilmente parlarne con lo stomaco pieno li avrebbe convinti più facilmente.
Presero posto a un tavolo per quattro persone dietro un paravento con le tipiche stampe orientali, e consultarono i menù che trovarono già lì. Agnese e Valerio non smettevano di scambiarsi sguardi complici, come se riuscissero a comunicare soltanto attraverso gli occhi. I due genitori non ci fecero nemmeno caso, erano da sempre abituati a quella sintonia e sapevano che nessuno poteva mettersi tra loro e i loro muti discorsi.
Dopo qualche minuto dall'ordinazione le loro pietanze arrivarono al tavolo e iniziarono a mangiarle con appetito, il sushi in quella famiglia aveva sempre messo tutti d'accordo.
«Mamma, papà, io e Valerio dovremmo dirvi una cosa, ma parlo io» esordì Agnese in un momento di assoluto silenzio.
Demetria prese il tovagliolo e si pulì l'angolo della bocca, per poi posarlo ed essere pronta ad ascoltarla.
«Abbiamo pensato tanto alla casa del nonno e ne abbiamo parlato. Valerio vuole disfarsene, mentre io no, però siamo arrivati alla conclusione di andare a vederla il prossimo fine settimana. Non c'è nessun motivo per impedircelo. Andiamo lì, la vedremo e poi torniamo a casa. Ho fatto già tutto il programma.» Agnese si liberò quel peso, dicendo tutto d'un fiato. Voleva dare l'impressione di aver pensato e organizzato tutto.
La madre stava per dire qualcosa, ma si sentì afferrare la mano da Adriano. In un attimo ripensò alla loro conversazione di quella mattina e al petalo di rosa con la runa incisa. Quel messaggio venuto da un mittente sconosciuto l'aveva dapprima spaventata, ma aver visto quel simbolo le aveva donato una serenità che le mancava da tempo. Anita e Fulvio sembravano in qualche modo aver progettato tutto, e forse mettersi contro il loro volere non sarebbe bastato a proteggerli. Non sapeva cosa fare, ma sembrava che tutto stesse andando verso un'unica direzione. Adriano accarezzò il dorso della mano con il pollice, quel gesto così delicato le dava tanta forza.
«Va... va bene, potete andare. Dovete stare molto attenti, però. Promesso?»
Entrambi i gemelli annuirono.
«Vi servirà come una breve vacanza. Così non penserete a nulla.» Adriano confermò il permesso dato da Demetria e provò a rassicurarli con lo sguardo.
Era andata meglio di come si aspettavano. Fecero cozzare le bacchette a mo' di brindisi e si avventarono di nuovo sulla barca del sushi.
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