Capitolo 2
Agnese uscì dall'ufficio del notaio incredula, tra tutte le cose che aveva immaginato quella era di sicuro la più improbabile: un cottage, in un posto sperduto. Come era possibile che il nonno avesse lasciato a lei e suo fratello qualcosa del genere?
Il nonno non aveva mai fatto cenno a una seconda casa in montagna, per tanti anni aveva abitato insieme ad Anita in un borgo vicino a Torino: Usseaux, per l'esattezza. Era convinta di sapere tutto su di loro, pensare che c'era qualcosa rimasta segreta la faceva impazzire.
Il terzetto raggiunse la macchina in silenzio, stavano tutti cercando di rielaborare ciò che avevano ascoltato in quello studio. Quando si sedettero in auto, Agnese prese un bel respiro e infine parlò.
«Mamma, tu lo sapevi?»
Demetria capì a cosa si riferisse la figlia, ma aspettò di completare la curva prima di rispondere.
«No, tesoro, non ero a conoscenza di questo cottage. Il nonno era un po' strano negli ultimi tempi. Spero non sia incappato in qualche truffa immobiliare e non abbia voluto dircelo.» Demetria guardò sua figlia attraverso lo specchietto, gli occhi azzurri incrociarono quelli di Agnese dello stesso colore.
Agnese ci rifletté un po' su, quella poteva essere una spiegazione logica tutto sommato, ma aveva troppe domande in testa per accettarla senza farsi altre ipotesi.
«Che importa alla fine? Non può darci più nessuna spiegazione in merito. Andiamo avanti con le nostre vite.» Valerio guardava il paesaggio fuori dal finestrino, con la mano appoggiata sotto al mento. Lui avrebbe voluto tagliare ogni ponte con ciò che era successo in quell'ufficio. Doveva già affrontare il lutto, non poteva pensare anche a cose del genere: qualunque cosa avesse combinato il nonno, si era portato il segreto nella tomba.
Agnese lo guardò di sbieco, a mo' di rimprovero. Non capiva la reazione di Valerio, come poteva essere così indifferente: forse fingeva, non sarebbe stata la prima volta. Suo fratello non era mai stato un tipo espansivo, tendeva a manifestare poco le sue emozioni, soprattutto quelle tristi. Non come lei, ogni cosa che provava le si leggeva in faccia.
Rimasero in silenzio per il resto del viaggio, ognuno si immerse tra i propri pensieri che vennero interrotti solo quando arrivarono a casa. Valerio non perse tempo e senza dire una parola tirò dritto verso il corridoio, raggiunse la sua stanza e si chiuse all'interno. Demetria e Agnese sospirarono, quasi all'unisono.
«Sta bene, mamma, non preoccuparti. Lo conosci, gli passerà.»
Demetria sorrise alla figlia, e lei notò tutta la stanchezza e la sofferenza sul suo volto.
«Sono sicura che hai ragione, tesoro. Vado a riposarmi un po' adesso, se hai bisogno di me puoi venire in camera da letto.»
Agnese annuì, guardò sua madre imboccare lo stesso corridoio del fratello, ma girare alla seconda porta a destra dove si trovava la stanza dei suoi genitori. Restò per un attimo ferma in mezzo al salone, poi decise di avviarsi in cucina e prendere il gelato. Aveva voglia di una merenda.
Demetria si tolse le scarpe e le ripose nella scarpiera dietro la porta, quando la richiuse. Sospirò, stanca, si sentiva svuotata di tutto. Andò verso la cassettiera, sopra c'era uno specchio che rifletteva la sua immagine: Demetria era una donna che andava ormai per la cinquantina, ma non le pesava il fatto di aver qualche segno dell'età sul viso. Delle piccole rughe avevano iniziato a contornarle gli occhi azzurri, e qualcuna era comparsa anche vicino agli angoli della bocca. Nonostante questo, il suo portamento e la cura che aveva per la sua persona le facevano dimostrare qualche anno in meno. I capelli erano ormai di un biondo scuro, ma non le dispiacevano. Non li aveva mai avuti come quelli di sua madre Anita, chiarissimi e particolari come li aveva Agnese.
Abbassò lo sguardo su un cassetto, voleva prendere dei vestiti comodi per cambiarsi. Tirò fuori un semplice leggings nero e una canotta per stare a casa: quando sfilò quest'ultima, però, una vecchia foto sbucò dal mobile e cadde a terra. Demetria si affrettò a raccoglierla, come se temesse che uno dei due figli fosse entrato in quel momento. La strinse per un attimo al petto, poi la scostò per guardarla.
La fotografia ritraeva lei, a cinque anni, seduta sulle gambe di sua madre. Le sue manine erano protese in avanti e si notava il sorriso soddisfatto sul suo volto; davanti a lei c'era il suo peluche preferito sospeso a mezz'aria. Quell'orsetto di tela sembrava fosse stato lanciato, ma era stata lei a farlo levitare, mentre suo padre scattava la fotografia. Aveva guardato quella foto centinaia di volte, soprattutto dopo la morte di sua madre, e ogni volta ne osservava anche il dettaglio più piccolo. Quell'immagine era stata immortalata nel cottage di Resia, lo ricordava ancora dopo i tanti anni che non ci entrava.
Si lasciò andare sul letto mentre una lacrima le rigava il volto, ricordando i suoi genitori che ormai non c'erano più. Avrebbe voluto ritornare indietro di qualche giorno e poter chiedere a suo padre il motivo di quella scelta. Perché lasciare la casa proprio ai suoi due figli? Perché dopo anni di menzogne voleva fargli scoprire quel segreto che la teneva prigioniera da tutta la vita? Era stata chiara con loro, fin dall'inizio. Quando aveva preso coscienza di ciò che sapeva fare e delle implicazioni che comportava, aveva chiuso ogni porta a quel mondo che tanto la spaventava. Aveva intimato Anita e Fulvio di non coinvolgere i loro figli, quella storia doveva essere dimenticata e invece suo padre le aveva tirato un ultimo scherzo.
Col dorso della mano si asciugò il viso e rimise a posto la fotografia, in modo che nessuno potesse trovarla. Avrebbe dovuto pensare a come fermare la curiosità dei suoi figli, soprattutto di Agnese. La storia della truffa era una buona scusa, poteva continuare su quella strada. Si alzò dal letto ed entrò nel bagno che aveva in camera. Si sciacquò la faccia e si cambiò, quella giornata era stata già abbastanza pesante.
Si recò in cucina nella quale incontrò la figlia, entrambe fecero finta di niente, come se fossero delle perfette sconosciute. Scambiarono qualche parola, Demetria le chiese cosa volesse per cena poi piombò di nuovo il silenzio. Da quel pomeriggio tutti si portavano un peso addosso, un peso fatto di tristezze, angosce, ma anche di pensieri.
Agnese era quella che dava meno importanza alla situazione in quel momento, si era buttata a capofitto su un bicchiere di gelato cercando di non pensare a nulla, ignorando che da lì a poco la cena sarebbe stata pronta. Demetria, invece, si dedicava ai fornelli, preparando pietanze diverse per accontentare i palati di tutta la famiglia. Mentre erano in cucina, sentirono la serratura scattare e la porta d'ingresso aprirsi.
Adriano fece ritorno in casa, e andò a salutare le sue donne. Teneva la giacca sul braccio e aveva ancora la ventiquattrore in mano.
«Amore, sei arrivato appena in tempo.» Demetria gli passò una mano tra i capelli neri e folti. Nonostante l'età, Adriano poteva vantare ancora una chioma niente male.
«Dopo una giornata estenuante, era ora di ritornare dalla mia famiglia. Tu come stai?» glielo chiedeva ogni giorno, era diventata una domanda di rito. Adriano credeva che fosse fondamentale, uno dei tanti modi che aveva per dire "ti amo" senza pronunciare davvero quelle due parole.
Demetria sospirò, ma non rispose a quella domanda. Adriano la conosceva da venticinque anni, sapeva che non andava tutto per il meglio e che avrebbe preferito non parlare di se stessa, di ciò che provava. Così non aggiunse nulla, e si avvicinò alla figlia.
«Mmm... questo sembra buono!»
Agnese si girò a guardarlo, scontrandosi con i suoi occhi scuri. Erano così diversi dai suoi. Capì le intenzioni del padre e gli allungò una cucchiaiata piena di gelato. Adriano lo gustò, chiudendo gli occhi e masticando piano.
«Adesso basta, voi due! Vi rovinerete l'appetito, fila a farti la doccia; la cena sarà pronta tra un po'.»
Adriano scattò sull'attenti, facendo il gesto del militare.
«Signorsì, signora!»
Demetria e Agnese non poterono fare a meno di scoppiare in una sana risata, Adriano era fatto così: era divertente e gli veniva naturale far ridere le persone.
«Ecco il suono più bello del mondo, – disse mentre si dirigeva in corridoio – arrivo subito.»
Demetria scosse la testa con ancora il sorriso sulle labbra, tornò a occuparsi delle verdure che stava grigliando. Agnese, invece, ripose la vaschetta di gelato nel freezer. La presenza di suo padre le aveva risollevato l'animo.
«C'è davvero un bel profumino, mamma.» Si accostò a lei, quasi come se volesse appoggiare la testa sulla sua spalla.
«Non ti capirò mai, hai sempre tanta fame, ma resti magra come un chiodo! Stasera doppia porzione per te.»
«Non dirò di no.» Era vero ciò che aveva detto Demetria, ma non c'era nulla di cui preoccuparsi. Era tutta una questione di metabolismo, e in fondo Agnese era felice di poter lasciarsi andare con il cibo.
«Agnese, vai a chiamare tuo fratello. È pronta la cena.»
Agnese annuì e si allontanò, dirigendosi verso la camera del gemello. Bussò una volta sola, ma non aspetto risposta.
«Vale, la cena è pronta. È arrivato anche papà.»
Valerio staccò lo sguardo dal libro che stava leggendo, sbuffò appena e si alzò di controvoglia. Agnese preferì non dirgli nulla e insieme raggiunsero la cucina.
La famiglia ora era al completo: Adriano era già lì quando i due fratelli arrivarono. Ognuno occupò i soliti posti. Valerio era seduto di fronte a suo padre, Demetria e Agnese sedevano ai lati. Quella disposizione era diventata un'abitudine sin da quando Valerio era ancora piccolo e voleva accanto sia sua madre che sua sorella.
«Allora, com'è andata lì?» esordì Adriano, riferendosi all'appuntamento dal notaio.
«Nulla di importante, caro. Mio padre ha voluto rendere ufficiale il suo lascito per me, non c'era bisogno di tutta questa formalità, ma lui era fatto così.» Demetria rispose pronta, non menzionò il cottage.
«Oh, ma non gli hai detto la parte più bella, mamma.» Valerio aveva posato la forchetta, il suo tono era sarcastico in modo evidente.
«E quale sarebbe?» gli chiese Adriano, lisciandosi i baffi corti.
«Il nonno a noi due ̶ iniziò, indicando se stesso e Agnese ̶ ha lasciato una stupida casa lontano da qui. Non c'è altro da dire.»
Demetria lo guardò male, non sapeva perché stava reagendo così a quella notizia. Da quando erano usciti dal notaio aveva assunto quel tono scontroso.
«Una casa?» Adriano aveva la stessa espressione sorpresa che aveva colto i due gemelli davanti al notaio.
«Non sarà niente, ipotizzo che purtroppo mio padre sia caduto vittima di qualche truffa. Me ne occuperò io.» Demetria minimizzò e torno a mangiare.
Continuarono la cena senza pronunciare più alcuna parola, cosa alquanto insolita per quelle che erano le loro abitudini.
«Io vado in camera» disse Agnese quando finì.
Non si era mai alzata prima che tutti finissero e insieme sparecchiassero, ma per quella sera nessuno le disse nulla. Agnese aveva bisogno di stare un po' da sola e il miglior modo per scacciare via i pensieri era raggiungere la sua camera e prendere posto sulla comoda sedia da gaming.
Non perse tempo e collegò le cuffie e il controller, il computer era rimasto in stand-by sulla schermata di Minecraft e bastò un colpetto al mouse per farlo ripartire.
MadHatter98: < Agnex! Sei in anticipo! >
Sorrise quando trovò il messaggio di Gabriele, uno dei tanti ragazzi che aveva conosciuto tramite i giochi online. Attivò il microfono e per un po' si dimenticò di quella giornata, o meglio di quel pomeriggio. Restò per due ore davanti allo schermo, poi sentì gli occhi bruciare e decise di salutare il suo gruppo dando la buonanotte, si assicurò che tutto fosse spento e mise il controller a caricare.
Dopo aver lavato i denti e indossato una semplice canotta da notte, si distese sul letto: erano appena le undici, ma si sentiva senza forze, svuotata.
I pensieri erano ritornati prepotenti nella sua testa. Perché ereditare da lui una casa lontana da lì? La teoria di sua madre non reggeva, non riusciva a credere che il nonno fosse rimasto vittima di qualche truffa: lui non avrebbe fatto scelte così avventate. Agnese pensò che avrebbe preferito qualsiasi altro oggetto di valore, soprattutto affettivo, che le ricordasse qualche momento in particolare. Non voleva fermarsi lì, sarebbe andata fino in fondo alla questione.
Si alzò di scatto per dirigersi nella camera di Valerio. Quella casa ormai apparteneva a entrambi, lui non poteva tirarsi indietro e pensare di cavarsela così. Erano complementari, la sua intelligenza l'avrebbe sfruttata in qualche modo.
Bussò alla porta ed entrò senza aspettare una risposta, come era da sempre abituata a fare. La stanza era illuminata dalla lampada sul comodino, Valerio era disteso sul letto con addosso solo un paio di mutande mentre leggeva un libro.
«Copriti!» esclamò Agnese fingendosi disgustata e facendo il gesto di coprirsi gli occhi.
«Ma sei tu che sei entrata all'improvviso. E poi abbiamo condiviso la pancia della mamma per otto mesi senza nessuno straccio addosso.» Valerio si mise a sedere, non curandosi dell'ordine dato dalla sua gemella. Con un gesto della mano la invitò a raggiungerlo.
«Mi hai sentita di nuovo, vero?»
«Io ti sento sempre, quindi sputa il rospo e dimmi che cosa hai.»
Ormai si erano abituati a quelle sensazioni che li colpivano all'improvviso ovunque si trovassero, Valerio, una volta, aveva giurato di aver sentito lo stesso dolore di Agnese quando si era rotta il braccio cadendo con i roller. Ciò che li univa andava oltre al semplice fatto di essere fratello e sorella.
Agnese si mise vicina a lui, appoggiò la testa sulla sua spalla e sospirò, aspettando che Valerio le mettesse una mano tra i capelli, prima di poter cominciare a parlare.
«Tutta questa situazione del nonno mi ha fatto venire mille domande in testa, che sono racchiuse tutte in una sola: perché a noi? Io voglio saperne di più e per scoprire ciò dobbiamo andare a Resia, solo io e te.»
Valerio la spostò in modo brusco da quella posizione per poterla guardare negli occhi.
«Non hai capito che devi ignorare questa cosa? Dimentica quella casa. Dimentica tutto! Mamma la venderà e sarà tutto come prima. Magari ha ragione lei e quel cottage nemmeno esiste.» Valerio iniziò a spazientirsi.
«E menomale che quello intelligente della famiglia sei sempre stato tu. Ammesso che questa casa esista, secondo te mamma può farlo? No. I proprietari siamo noi due e siamo anche maggiorenni. Dobbiamo sbrigarcela da soli.» Agnese incrociò le braccia sotto al seno con espressione contrariata.
«Va bene, allora in questi giorni chiamiamo un'agenzia immobiliare e la mettiamo in vendita.»
«Senza neanche vederla? Io sono curiosa di sapere che posto è. Nonno teneva a noi, non credo che non capisse quello che faceva. Dai una volta sola, se sarà una semplice casa in montagna accetterò di venderla.»
Valerio alzò gli occhi al cielo. Odiava ammettere che avesse ragione, ma ogni volta che si parlava di lui sentiva una stretta al cuore e detestava non poter chiedere al diretto interessato di più in merito alla questione. Probabilmente era questo il motivo del suo comportamento, lo sapeva dentro di sé.
«Una sola volta e per un solo giorno, intesi?»
«Intesi! Adesso riconosco la tua intelligenza, fratellino.»
Si strinsero la mano e Agnese ritornò in camera sua con un sorriso soddisfatto sul volto.
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