Capitolo 14

Valerio e Agnese erano ormai abituati a condividere gli spazi, nonostante avessero due camere separate. Riempirono due cassetti l'uno e riuscirono a dividere in modo equo l'armadio in cui appendere alcuni dei vestiti.

Agnese sistemò il borsone con i suoi roller e le protezioni sotto la scrivania, avrebbe voluto usarli al più presto per fare un giro nel giardino, che riusciva ad ammirare dalla finestra della sua camera. Forse l'indomani se si fosse sentita meglio, ma era solo mezzogiorno e sentiva già la stanchezza colpirle ogni muscolo a causa della notte precedente. I loro corpi avevano subito un enorme cambiamento e l'adrenalina aveva contribuito a togliere loro un po' di forze.

Quando tutti e due finirono di sistemare le loro cose, si buttarono sul letto per riposarsi qualche minuto, ma, nel silenzio assoluto, qualcuno bussò alla porta.

«Vado io, tranquillo.» Agnese si alzò controvoglia e andò ad aprire. Si ritrovò davanti Jerome con un sorriso a trentadue denti.

«È ora del pranzo, scendiamo assieme così vi faccio vedere dov'è la mensa.»

I due gemelli presero i loro effetti personali e seguirono Jerome. Ripercorsero tutto il corridoio a ritroso, fino a ritrovarsi davanti le porte metalliche dell'ascensore.

«Vi piace questo posto, allora?» chiese Jerome per rompere un po' il ghiaccio.

«Sembra bello, ed è magnifico poter essere se stessi senza nascondersi.» Agnese era già entusiasta di quel luogo, le sarebbe dispiaciuto tornare a casa, nonostante le mancasse già il suo letto comodo da una piazza e mezza.

Un campanello risuonò per l'intera area: l'ascensore era arrivato al quarto piano. Le porte si aprirono scorrendo, e il trio entrò al suo interno. Jerome premette il tasto del piano terra e tutti attesero di arrivare a destinazione.

Non avevano avuto il tempo di pensare al cibo, ma dopo la colazione offerta da Evius non avevano più mangiato altro, la fame iniziava a farsi sentire.

Quei lunghi corridoi facevano sembrare la sede un enorme labirinto, Agnese pensò che se non avesse avuto una mappa del luogo il prima possibile, si sarebbe persa alla prima occasione in cui era da sola. Non avevano ancora visitato gli altri piani, ma ognuno sembrava diverso dall'altro, come a voler indicare una loro peculiarità. Il piano terra era il più accogliente di tutti, aveva mantenuto lo stile di un classico castello medioevale. Un ampio spazio, adornato con drappi e tappeti rossi, permetteva l'accesso a varie aree dell'edificio grazie a diverse porte in legno.

Si diressero dalla parte opposta rispetto a dove si ritrovarono e Jerome entrò in una grande sala che manteneva lo stile antico dell'ingresso. C'erano diversi tavoli in legno sparsi per tutta la grande stanza, alcuni erano quadrati, che potevano contenere fino a quattro persone, e altri rettangolari. La luce era del tutto naturale, ed entrava dalle grandi finestre poste sulla parete più lunga. In fondo alla stanza, due ragazze dividevano e servivano le porzioni di cibo, indossando un grembiule nero.

Agnese allungò il collo per guardare meglio cosa ci fosse per pranzo, il menù quel giorno sembrava offrire della pasta al forno e del roast beef. Si avvicinarono sempre di più e Jerome mostrò loro da dove prendere il vassoio, un piccolo panino e il sacchetto contenente le posate e il tovagliolo.

Presero posto su uno di quei tavoli al centro della sala e iniziarono a consumare il loro pasto.

«Non immaginavo che in posti come questi si mangiasse così bene» disse Valerio dopo aver assaggiato un boccone del suo pasticcio di lasagne.

«Qui abbiamo la cuoca migliore di tutti e i suoi aiutanti sono bravissimi. Ogni volta che ritorno qui non posso non mangiare le prelibatezze di Milena.» Dopo aver risposto, Jerome si passò la lingua tra le labbra.

«Solo per questo potrei viv...»

Valerio fu interrotto da sua sorella che lo zittì con un sonoro verso.

«Sento una voce che mi sembra di conoscere, fate silenzio.»

I due ragazzi si guardarono negli occhi senza dire una parola, non si spiegavano come Agnese avesse solo potuto pensare che conoscesse qualcuno all'interno dell'Ordine.

Quella voce proveniva da un ragazzo che parlava al cellulare proprio al tavolo dietro di lei. Agnese aspettò che finisse la sua conversazione e si avvicinò a lui, dopo un vano tentativo da parte di Valerio per fermarla.

«Ciao, ci conosciamo?»

Il ragazzo la guardò in faccia stranito con i suoi occhi blu, cercando anche di inquadrare quel volto particolare, ma che era certo di non aver mai visto in vita sua.

«Non credo proprio.» Ritornò a prestare tutte le sue attenzioni al pranzo.

«Forse ti ho confuso con qualcun altro, mi era sembrata una voce familiare la tua.»

Lui sorrise e si lasciò scappare una risatina dalla sua bocca, quella situazione gli sembrava assurda e non riusciva a non ridere davanti all'espressione un po' buffa di quella ragazza.

Agnese sobbalzò e riuscì ad associare quel timbro di voce a qualcuno.

«La risata! Gabriele, sì, è la tua»

«Cosa? Ma come fai a sapere il mio nome? Va bene che qui utilizziamo tutti la magia, ma ancora non esiste un modo per leggere la mente.» Il ragazzo assunse un'aria preoccupata.

«Sono Agnese!» esclamò a voce alta.

«Agnese? Oddio, sei Agnex?»

«Sì, sono io!» Agnese fece un sorriso a trentadue denti e prese posto accanto a lui, forse fu avventata, ma era la prima volta che lo vedeva in faccia ed era davvero emozionata al riguardo.

Lei e Gabriele giocavano insieme da quasi quattro anni, per qualcuno poteva sembrare strano che non si fossero mai visti in un mondo come il loro permeato dai social. Loro, però, non ne avevano mai sentito la necessità, si erano incontrati in un dei vari server di Minecraft e avevano iniziato a parlare utilizzando la chat del videogioco. Dopo un po' di tempo si erano anche spostati su un sito per chat vocali e molte volte si erano persi a chiacchierare fino a notte fonda, nessuno dei due aveva mai chiesto di vedersi; semplicemente parlavano e passavano il loro tempo libero insieme.

«Tra tutti i posti possibili non avrei mai immaginato di incontrarti qui.» Gabriele era davvero stupito, non smetteva di fissarla come se volesse memorizzare ogni dettaglio del suo viso.

Anche Agnese lo stava scrutando, la prima cosa che notò furono gli occhi azzurri: chiari e limpidi come le acque del lago di Resia. Il naso era piuttosto pronunciato, ma si proporzionava bene al viso tondo. Le labbra erano sottili e tutta l'area della bocca era circondata da una barba curata, castana come la zazzera di capelli.

«Beh, nemmeno io. Non conoscevo l'esistenza di questo posto fino a beh... una settimana fa.»

Gabriele sgranò gli occhi sorpreso per quella rivelazione.

«Davvero? Non sapevi di avere dei poteri?»

«È una lunga storia, ma no. Io e mio fratello siamo stati colpiti da questa notizia. Nostra nonna era una strega, si chiamava Anita Nowak.» Agnese era sempre contenta di poter ricordare sua nonna, magari lo stesso ragazzo l'aveva conosciuta.

«La Gran Maestra Anita era tua nonna? Wow! Era conosciuta e stimata da tutti qui.» Gabriele era davvero sbalordito, era molto strano che proprio Agnese – la nipote di una strega eccellente come Anita – affermasse di non conoscere l'Ordine e la magia. Lui era stato abituato fin da subito a quella vita.

«Mi fa piacere saperlo, era davvero una persona speciale. – Agnese si lasciò andare a un dolce sorriso – Forse è meglio che torni al mio pranzo, così ti lascio mangiare in pace.»

«Figurati, mi ha davvero fatto piacere incontrarti. Come vedi in questo periodo l'Ordine non è particolarmente affollato. Per quanto tempo starai qui?»

«Non lo so, il nostro Maestro Jerome inizierà ad addestrarci.» Agnese si alzò per tornare da suo fratello e da Jerome.

«Io anche starò qui, quindi ci vediamo in giro.»

Agnese sentì una sensazione strana, era felice senza un apparente motivo. Annuì contenta e tornò al tavolo per consumare il suo pasto.

«Scusate la breve assenza!» disse non appena prese posto.

«Allora conosci davvero il rampollo della famiglia Rovi» osservò Jerome, lanciando un'occhiata verso il ragazzo.

«Sì, ma non ci eravamo mai visti in faccia.» Agnese spiegò in breve come e dove aveva conosciuto Gabriele e del perché non lo conoscesse in viso.

«La sua famiglia è una delle più importanti e antiche, una vera e propria stirpe di maghi e streghe. Hanno da sempre collaborato con l'Ordine sostenendolo sia dal lato organizzativo, sia dal lato economico. La magia non sempre risolve tutti i problemi, ricordatevelo.»

«Sembra davvero un ottimo partito, sorella, non fartelo scappare» commentò con tono sarcastico Valerio dopo aver ingoiato un boccone.

«Cretino!» Agnese gli diede un colpetto sul braccio, ignorandolo.

Dopo un paio di minuti li raggiunse anche Evius, consumarono il resto del pranzo tutti e quattro assieme rimanendo un bel po' seduti lì, anche dopo aver finito. I due ragazzi si sentivano meglio dopo che avevano avuto modo di stare in camera ed essersi rifocillati. Nuove energie stavano prendendo forma dentro al loro corpo e sapevano benissimo che gli sarebbero servite per l'imminente allenamento.

«Direi che è arrivato il momento di smettere di poltrire. Allora, siete pronti?»

«Pronti!» risposero all'unisono.

«Siete inquietanti quando fate così.» Jerome li punzecchiò come era suo solito fare, soprattutto amava scatenare le reazioni di Valerio. Non si fece attendere, infatti, il ragazzo incrociò le braccia al petto e alzò gli occhi al cielo mormorando un antipatico a denti stretti.

Decise di aprire le danze e si alzò, seguito da Evius e dai gemelli.

«Vieni con noi, amore?» gli chiese Jerome.

«Sì, non ho di meglio da fare. Così magari ti aiuto, anche se non ne hai bisogno.» Evius aveva bisogno di altre informazioni e l'unico modo per ottenerle era seguirli per vedere con i suoi occhi quanto potere avessero i due ragazzi.

«Di te avrò sempre bisogno, ricordalo.»

Jerome lo guardò e lui quasi abbassò lo sguardo. Mentire era un peso e sapeva che ogni giorno che passava il gioco si faceva sempre più pericoloso. Non era stato nei suoi piani incontrare Mathian e conoscere quel mondo che l'Ordine cercava di tenere a bada, ai margini, perché considerato pericoloso e distruttivo della magia. Non era stato, però, nemmeno nei suoi piani innamorarsi di Jerome. Così era rimasto incastrato, incapace di fare una scelta tra chi lo aveva davvero aiutato a incrementare i suoi poteri e la persona che amava. Seguì la strada in silenzio insieme agli altri, presero l'ascensore e raggiunsero il piano degli allenamenti, Evius ricordava bene quel posto: anni di sacrifici, di sforzi e di umiliazioni che non avevano mai portato a nulla.

«Ragazzi, benvenuti alla vostra prima lezione!»

Quando le ante dell'ascensore si erano aperte, Agnese e Valerio si erano ritrovati subito davanti uno spazio ampio. Non c'era nessun corridoio, ma solo un portone che era aperto e che dava accesso a quella che Jerome aveva definito palestra. Il grande ambiente era diviso da due settori: uno presentava i classici strumenti di allenamento come cyclette, pesi e altri attrezzi ginnici, l'altro invece era del tutto diverso e strano.

Nella parte sinistra del secondo settore c'erano, infatti, quattro oggetti ai quattro lati. L'ambiente era stato suddiviso come un grosso quadrato: nel lato più vicino ai gemelli c'era un grande vaso lungo e rettangolare che conteneva della terra, proseguendo in senso orario videro una grossa vasca d'acqua, una porta finestra e per finire un braciere che in quel momento era spento.

«Siete pronti?» chiese Jerome, quasi come se fosse una sfida.

«Noi? Non sappiamo neanche fare le cose basilari.» Agnese era ancora insicura di usare quella magia, non conosceva i limiti dei suoi nuovi poteri.

«Secondo voi io perché sono qui? Su dai, in posizione entrambi. Prima proviamo con te, Valerio. Mettiti davanti la vasca e riprova a fare ciò che hai fatto stamattina al cottage.»

Agnese fu contenta di non sottoporsi per prima all'allenamento, la primissima esperienza con la magia non era andata benissimo e aveva un po' d'ansia al pensiero di rifarlo: e se lei non fosse stata capace? Quei pensieri la stavano condizionando e non poco.

Valerio eseguì l'ordine di Jerome posizionandosi vicino alla vasca, il Maestro lo raggiunse poco dopo. Come era accaduto quella mattina, l'uomo cambiò espressione. Il volto si trasformò in una maschera seria e concentrata e Valerio attese istruzioni.

«Ti ricordi il rumore dell'acqua, Valerio? – Jerome vide il ragazzo annuire così continuò rivolgendosi a entrambi – La magia dell'elemento è già dentro di voi, ma dovete tirarla fuori, addomesticarla in un certo senso. Ci sono dei movimenti che vi permetteranno di farlo e dovrete impararli per acquisire sempre più padronanza.»

I due ragazzi erano del tutto rapiti dal discorso di Jerome, ascoltavano con vorace curiosità per assimilare tutto ciò che potevano imparare. Nessuno dei due voleva perdere tempo, sapevano di essere già in ritardo rispetto agli altri membri dell'Ordine.

«Ci dirai adesso quali sono questi movimenti?» chiese Valerio, smanioso di provare. Era stato il più restio a credere a tutta quella storia, ma una volta appurato che fosse tutto vero le sue idee avevano cominciato a mutare.

«Sì, ma non tutti o vi sovraccaricherei, rischiando anche di confondervi. Il primo lo avete visto questa mattina: la mano distesa con il palmo verso l'alto richiama l'elemento.»

Jerome compì il gesto e in un attimo una palla d'acqua iniziò a fluttuare.

«Se dirigo il palmo davanti a me, posso gettare l'acqua. Fate attenzione, però, a non prendere nessuno.»

Tutti e tre si lasciarono scappare una risata, ricordando l'episodio in cui Agnese aveva inzuppato Jerome.

«Dovete chiudere il palmo con un gesto secco per far sparire l'elemento.»

Valerio seguì attento ogni movimento di Jerome per cercare di interiorizzare tutto, si sentiva abbastanza sicuro di poter provare. Aveva trovato la spiegazione molto esaustiva, doveva ammettere che Jerome se la cavasse davvero bene.

«D'accordo, ci provo.»

"La magia è dentro di me" pensò, mentre distendeva la mano con il palmo rivolto verso l'alto.

Diede un veloce sguardo alla vasca dietro di lui, l'acqua azzurra era calma e immobile, così diversa dallo scrosciare che faceva dal lavello. Era così concentrato che non si accorse che una placida e solida bolla fluttuava dalla sua mano, Valerio spalancò gli occhi sorpreso: c'era riuscito di nuovo.

«Ottimo lavoro, Valerio! Stai andando davvero bene, vuoi provare a spostarla?»

«Va bene, devo imparare d'altronde. Dimmi cosa devo fare.» Valerio non riusciva a staccare gli occhi da quella massa d'acqua, era così straordinario che riuscisse a fare quelle cose. Fino a qualche giorno fa erano solo avventure che leggeva nei romanzi fantasy.

«Ascoltami bene o perderai il contatto. Il palmo deve restare rivolto verso l'alto, poi devi piegare tre dita. Le altre due resteranno sotto la sfera e così potrai spostarla a tuo piacimento.»

Valerio si ripeté in mente i passaggi da fare, quando si sentì abbastanza pronto ci provò: piego il pollice insieme all'anulare e il mignolo, poi portò indice e medio sotto la palla d'acqua. Era ancora lì, era riuscito a mantenere il contatto. D'un tratto, però, sentì una strana sensazione. Preso alla sprovvista da una pesantezza al petto, tolse le dita e la sfera s'infranse sul pavimento decretando così la fine della sua magia. Poggiò le mani al petto, recuperando aria, non si sarebbe mai aspettato una reazione del genere. Era come se avesse corso una maratona lunga chilometri, fermandosi solo al traguardo.

Agnese scattò verso di lui, preoccupata di averlo visto accasciarsi così all'improvviso.

«Vale, stai bene?»

«Sì, tranquilla, mi sto riprendendo.»

Jerome li raggiunse e si assicurò che tutto fosse a posto.

«Sei stato bravo, hai solo avuto un calo di energie. Il vostro corpo sta ancora mutando dopo il rito del sigillo, deve imparare a gestire questi nuovi picchi ed è normale accusare questi colpi. Vedrete che pian piano e provando tutti i giorni acquisirete molta più sicurezza e controllo. Mentre tuo fratello recupera, vuoi provarci tu?»

Agnese scattò sull'attenti a quella domanda, sentì di nuovo quell'ansia viscerale attorcigliarsi tra le budella. Non voleva fallire. Con l'acqua non era andata benissimo la prima volta, per qualche strana ragione non si sentiva a suo agio. Pensò, così, di azzardare.

«Posso provare un altro elemento? L'acqua non mi è piaciuta» disse con tono sincero, rivolgendosi a Jerome.

Lui sembrò pensarci su prima di rispondere, sapeva bene che ognuno era predisposto verso un elemento preciso. Il fatto che la ragazza avesse percepito di non sentirsi a suo agio con l'acqua era un bel passo avanti: la loro magia era attiva e ardeva dentro, era forte e desiderosa di uscire.

«Sì, Agnese, possiamo provare con altro. Scegli tu.»

Jerome si spostò dalla sua visuale e Agnese si guardò attorno. Fece saettare gli occhi da una parte all'altra della stanza, osservando bene gli oggetti. Dopo un paio di minuti il suo sguardo indugiò sul braciere spento: si sentì attratta, avvertì anche uno strano formicolio alle mani.

«Proviamo col fuoco!» affermò decisa.

Si mosse insieme a Jerome, raggiungendo il grande recipiente in metallo, sorretto da due catene attaccate al soffitto.

«La stessa cosa vale per te, richiama l'elemento con la tua mano. Pensa al calore del fuoco e alla fiamma che muta sempre.»

Agnese chiuse gli occhi per concentrarsi meglio, stavolta voleva farcela sul serio e dimostrare che ne era capace anche lei. Distese il palmo e lo rivolse verso l'alto, focalizzando l'immagine che le aveva suggerito Jerome. Le venne in particolare il ricordo di un falò, una vacanza insieme alla sua famiglia indimenticabile. Mentre ci pensava, sentì uno strano calore pervaderle il braccio destro. Quando riaprì gli occhi, una piccola fiammella fluttuava sopra la sua mano, sgranò gli occhi stupita. Era davvero incredibile avere a che fare con la magia e stentava ancora a crederci che provenisse proprio da lei. Un turbinio di emozioni le vorticava in testa.

Jerome osservava ogni singolo movimento di Agnese, era contento della buona riuscita della magia, ma non poteva abbassare la guardia. Il fuoco era uno degli elementi più pericolosi da gestire, e non doveva essere per niente semplice per una strega alle prime armi.

«Prova a muovere anche tu questa fiamma verso il braciere. Stavolta devi unire la punta del pollice e dell'indice, ma stai molto attenta, se lo fai velocemente potresti dare fuoco a qualcosa, ma se agisci con movimenti lenti potresti perdere il contatto con l'elemento e bruciarti. Un colpo deciso ma non troppo veloce!»

Quelle parole misero un po' di agitazione in Agnese, non voleva sbagliare e non voleva neanche ustionarsi una mano. Le venne in mente Anita, sua nonna, pensò che lei fosse lì e che la stesse osservando.

"Voglio che tu sia orgogliosa di me", pensò.

Si decise ad agire e unì le due dita come le aveva spiegato Jerome e cercò di dirigere la fiammella verso il braciere. All'inizio non fu per niente semplice, ma movimento dopo movimento riuscì a portare a termine il compito affidatole. Adagiò la fiamma tra quei pezzi di carbone nero, quando tolse la mano il rosso vivo del fuoco si spense subito, un piccolo rivolo di fumo si fece spazio salendo verso l'alto.

«Ce l'ho fatta!» esclamò Agnese ad alta voce, facendo girare alcuni dei presenti che si stavano allenando. Il suo viso si tinse di rosso e si girò verso suo fratello e Jerome, facendo finta di niente.

«Non era poi così complicato, ero sicuro che ce l'avresti fatta.» Jerome si avvicinò a lei e le poggiò una mano sulla spalla, facendole un occhiolino di incoraggiamento. Era davvero contento di quei primi progressi.

«Ora cosa proviamo? Sto davvero molto meglio.» Valerio sembrava aver ripreso tutte le sue forze – grazie anche a Evius che gli aveva portato una bibita fresca – e l'adrenalina contribuì a mettergli tutte quelle energie in corpo.

«Non proviamo più niente, poco meno di trentasei ore fa vi siete sottoposti al rito del sigillo, stamattina avete provato per la prima volta i vostri poteri e dopo un lungo viaggio siete arrivati qui ad allenarvi. Il vostro corpo non può essere sottoposto a ulteriori sforzi o rischiereste di incorrere in rischi ancora più gravi. Per oggi riposatevi e andate un po' in giro, esplorate pure. Prendete confidenza con il luogo, noi ci rivediamo per la cena. Domani ci alleneremo di nuovo.»

Valerio si imbronciò, un po' deluso che fosse finito così presto. Si convinse che Jerome avesse ragione, di sicuro lui conosceva meglio di loro come gestire tutto.

«Tu che vuoi fare, Agnese?»

La ragazza si girò verso il fratello, facendo ballare la chioma bionda. La sua bocca si aprì in un sorriso, come se non aspettasse altro che quella domanda.

«Vado a fare un giro con i roller!» 

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