Capitolo ventitré - Parte seconda
Bella's point of view
Non ho mai fatto un lungo viaggio, non che io ricordi. Ma dall'arena all'ospedale... si sta rivelando un tragitto interminabile. Sono seduta accanto ad un uomo del pronto intervento e intanto stringo una mano a Brooklyn. La sua mano è grande come la mia e non ci ho mai fatto caso.
La mia mente è costellata di preghiere: prego perché stia bene, perché non gli sia successo nulla di grave, perché torni da me.
E penso, penso a quanto la mia vita fosse piatta prima dell'arrivo del mio fratellino. Io nemmeno lo volevo, un fratello. Temevo che le attenzioni della mamma e di John si sarebbero riversate tutte su di lui e io mi sarei dovuta far da parte ad occuparmi di Yuuhi. Ma il giorno in cui ho incontrato quella creaturina appena nata... con quel cespuglietto dorato sulla testolina, che fra le mie braccia ha smesso di piangere... mi sono innamorata di quella creaturina.
La sua prima parola è stata 'mamma', ovviamente. Tuttavia, la seconda... è stata 'Bella'. Voglio sentirlo ancora dire il mio nome...
Voglio ancora che mi guardi malissimo quando lo prendo in giro, voglio accompagnarlo dal suo dannato cavallo, voglio sgridarlo quando gioca fino a tardi ad Alicia, voglio i suoi abbracci improvvisi per consolarmi, voglio dirgli che gli voglio bene perché non glielo dico mai abbastanza, voglio che mi parli di Castiel con gli occhi luccicanti e voglio che mi porti l'ennesimo premio con espressione orgogliosa...
- Voglio che torni da me, cespuglietto - mormoro, accarezzandogli il dorso della mano con il pollice.
L'ambulanza si ferma e due uomini portano via la barella con il mio fratellino. Un terzo uomo resta con me.
- Se ne occuperanno loro, adesso, non si preoccupi - dice, non rassicurandomi per niente. Mi accompagna all'interno a sbrigare alcune formalità e poi mi lascia sola. Mi abbandono su una sedia e frugo nelle tasche dei jeans, cercando il cellulare.
- Pronto? Bella?
- Mamma... - esordisco, deglutendo. Ho la gola chiusa da un nodo di lacrime che presto verserò.
- Bella?
- M-mamma... - ripeto, non riuscendo a dire altro. Mi sembra di tornare ad avere tredici anni, alla grigia vita in cui c'eravamo solo io e la mamma.
- Tesoro, è successo qualcosa?
Ma non ho più tredici anni, ne ho trentuno, ormai, e non posso permettermi il lusso che qualcun altro si occupi dei problemi per me.
- B-brooklyn... - singhiozzo, permettendo alle lacrime di rigarmi il viso. - È caduto e adesso s-siamo all'ospedale...
- Ci penso io ad avvisare papà. Arrivo - replica rapidamente, chiudendo la chiamata. Lascio cadere il telefono sulla mia gamba e mi porto le mani al volto, piangendo silenziosamente.
Forse dovrei chiamare anche Leya, però non ne ho la forza. Questo pomeriggio è un incubo da cui non mi posso svegliare; l'unica cosa che posso fare è continuare a piangere e così faccio.
- Bella!
Alzo lo sguardo. La mamma, John e Leya sono qui e mi vengono incontro quasi correndo. Mia moglie mi abbraccia.
- Perché non mi hai chiamata? - mi rimprovera, stringendomi forte. Affondo il viso nel suo petto, singhiozzando rumorosamente.
- Mi dispiace! Non ce la facevo...
Anche la mamma mi abbraccia e John mi accarezza i capelli, dopodiché Leya si siede sulla sedia di fianco alla mia, mia madre dal lato opposto e John in piedi davanti a me.
L'attesa è straziante e dopo un po' mi calmo abbastanza da parlare.
- Stava andando tutto bene... l'ultimo ostacolo era il più alto, hanno detto Castiel e William.
Mi fa strano dire il suo nome per intero, perché mio fratello lo chiama sempre Will.
- Le zampe di Wamblee hanno colpito quello stupido palo... e poi sono caduti. Brooklyn è volato in aria come una bambola di pezza e non si è rialzato... è stato bruttissimo - racconto, scoppiando di nuovo a piangere.
- Oh tesoro...
- Castiel e Will dove sono? - chiede John.
- Credo al maneggio, a occuparsi di Wamblee - rispondo, tirando su col naso. Il silenzio ci avvolge, senza offrirci alcun sollievo.
Leya giocherella con le mie dita. La mamma inizia a piangere, piano, e John s'inginocchia davanti a lei e le asciuga le lacrime con i pollici.
- Voi siete la famiglia del ragazzo che è caduto da cavallo? - ci domanda ad un tratto un'infermiera giovane, più giovane di me. Ci scambiamo un'occhiata, annuendo. - Seguitemi.
Ci conduce in una stanza occupata da un unico letto, in cui c'è Brooklyn. Ha un braccio ingessato, appoggiato sopra le coperte. I suoi vestiti sono stati piegati e sistemati su una sedia.
- Buon pomeriggio - ci saluta la dottoressa.
- Come sta, dottoressa? - chiede ansiosamente John. Lei sospira.
- Ha un braccio fratturato e un trauma cranico moderato. Non è il primo cavallerizzo che vedo... e vi posso dire che sarebbe potuta andargli molto peggio. Quando si sveglierà è meglio lasciarlo il più tranquillo possibile. Ah, giusto. Una conseguenza assai probabile del trauma cranico è l'amnesia. Siate pazienti. Adesso devo lasciarvi, ma più tardi parleremo ancora.
La dottoressa si congeda e noi ci sistemiamo attorno al letto. La mamma accarezza dolcemente la fronte a Brook. Papà gli prende una mano.
- Brook... - mormoro io, limitandomi a poggiare una mano sulle coperte.
Brooklyn's point of view
Non ti dimenticare di me... Brooklyn, non ti dimenticare di me...
Non mi dimenticherò di te, vorrei dire a questa voce così familiare nella mia mente, tuttavia non riesco ad emettere nemmeno un suono.
Non ti dimenticare di me, ripete la voce. Non mi dimenticherò di te!, insisto, ma chi sei? Nessuna risposta.
È tutto nero... e so di avere già vissuto in questa oscurità, ma quando? E come ho fatto ad uscirne?
- Brook...
Brooklyn...
È il mio nome. Chi mi sta chiamando? Non è la voce di prima. Sono... tante voci, e mi strappano all'oscurità, alla pace del buio.
Apro lentamente gli occhi. Sono in un letto, credo, e attorno ad esso ci sono Bella, mamma, papà e Leya. Sembrano tutti tremendamente sollevati, mio padre addirittura piange.
Vorrei chiedere cos'è successo, ma una fitta tremenda alla testa m'impedisce di formulare anche solo una frase semplice.
- Ugh...
- Brook! Grazie al cielo stai bene! - esclama mia sorella. Faccio per abbozzare una smorfia perplessa, però ciò mi provoca un'altra fitta e vi rinuncio.
- Oh tesoro... - dice la mamma, asciugandosi una lacrima.
- Cosa... cosa è successo? - domando faticosamente. Ho la gola secca. Secca? Arida come un deserto, piuttosto.
- Sei caduto, Brook - risponde Bella. Caduto? Da dove? O da cosa?
Ho un braccio ingessato, noto. Oh, fantastico. Come diavolo ho fatto a romperlo? Non mi ricordo nulla.
- Caduto? - chiedo, schiarendomi la gola. La testa mi punisce con delle fitte assurde.
- Da cavallo.
DA CAVALLO?
- Cos-... cosa?
La mamma bisbiglia qualcosa a Bella, qualcosa tipo: è l'amnesia. Amnesia? Forse è per questo che la testa mi duole così tanto.
- Ma non ti preoccupare - si affretta a rassicurarmi papà. - Castiel si sta prendendo cura del tuo cavallo.
Vorrei stare zitto perché la mia gola soffre ad ogni parola, eppure non riesco a non vocalizzare i miei pensieri.
- Io... cosa? Io ho... un cavallo?
Bella e papà inarcano lentamente un sopracciglio.
- Stai scherzando, tesoro? - chiede dolcemente la mamma. Studio il suo viso per cercare di capire se lei mi stia facendo uno scherzo. Mi stanno prendendo in giro?
- No, io... sono serio - ribatto, sentendo la stanchezza impossessarsi del mio corpo. Quanto vorrei tornare all'oscurità di prima... e scoprire di più della voce. Voce? Aspetta, quale voce?
Quella che diceva... cosa diceva?
- Sarà l'amnesia - bisbiglia di nuovo la mamma, stavolta a papà. - Tesoro, è normale che non ricordi. Hai un trauma cranico moderato.
Di bene in meglio.
- Scusate, ma... chi diavolo è Castiel?
Sussultano tutti all'unisono, sbigottiti. Apparentemente anche questo Castiel è qualcuno di cui dovrei ricordarmi.
- Brooklyn... - prende parola Leya. - Castiel è il tuo ragazzo.
ASPETTA, COSA? IO HO... UN RAGAZZO?!
- State... state scherzando, vero? - domando, cercando di forzare un sorriso. Pessima idea. La testa mi rammenta che mi sta già facendo un favore a permettermi di parlare e basta.
Nessuno fa in tempo a rispondere, però, perché la porta si apre ed entra un... ragazzo? Una ragazza? Un - suppongo - ragazzo con i capelli corti e variopinti, verdi e viola, e l'aria stravolta.
- Brook! Grazie a Dio stai bene! - esclama, aprendosi in un sorriso sollevato. Un paio di lacrime gli rigano le guance. Ha gli occhi azzurri come il cielo.
- Chi... sei? - domando. Il sorriso gli muore sulle labbra. Per un istante osserva le espressioni atterrite degli altri, smarrito.
- I-io... - balbetta dopo un attimo di silenzio. - Io s-sono...
- Lui è Castiel - interviene lentamente Leya. - Il tuo ragazzo.
Forse è un brutto sogno che sto vivendo all'interno della mia testa ammaccata.
- Oh avanti, io non ho un ragazzo.
FINE SECONDA PARTE
-
Note dell'autrice:
konbanwa, pasticcini! Siete pronti a scoprire un Brooklyn che non conoscete? Scordatevi il dolce principe di prima, muahahahah. La strada è tutta in salita e cosparsa di sofferenza, e lo sarà per mooolto, quindi armatevi di pazienza... se volete arrivare all'happy ending. Un abbraccio
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