Capitolo ventidue

Castiel's point of view

- Will, mi aiuti ad alzare ancora un po' gli ostacoli? - chiede Brooklyn, smontando agilmente.

- Ancora? - replica il nostro istruttore, stupito.

- Ma sì, solo un po'...

Io esibisco una smorfia colma di apprensione, poggiando il mento sulle braccia e osservandoli alzare gli ostacoli.

Oggi non mi sento molto bene, quindi ho portato Shining Tears a fare una passeggiata nel bosco e mi son messo a guardare Brooklyn che si allena.

- Ma non è troppo alto? - gli chiedo, quando torna da me. Il suo volto è illuminato dall'orgoglio e il compiacimento.

- Troppo alto? - domanda, perplesso. Dà una pacca sul collo a Wamblee. - Non esistono ostacoli troppo alti, per noi. Sono certo che Wamblee possa saltare anche più in alto, vero campione?

Wamblee nitrisce piano, quasi a dirsi d'accordo. Percepisco le sopracciglia aggrottarsi ulteriormente e gli angoli della mia bocca piegarsi all'ingiù.

- Brook, c'è un limite a tutto... 

- Lo so, lo so. Ma come facciamo a prepararci alla competizione se restiamo sempre allo stesso livello? - ribatte, mentre lo accompagno nel box del suo cavallo.

- A proposito della competizione... - esordisco, a disagio. Lui si affaccenda attorno a Wamblee.

- Ti ascolto - dice distrattamente.

- Ho pensato... no, ho deciso che non parteciperò.

Alza il capo di scatto, sconcertato.

- Cosa? Perché no? - mi fissa per un lungo istante. - È per questo che oggi non hai voluto allenarti?

Un brivido mi corre lungo la schiena e io mi stringo nella felpa, prima di starnutire. Forse è un principio d'influenza.

- No - rispondo, offeso. - Non è per quello. Io, quando sto male, non cavalco a tutti i costi, mettendo a rischio la mia cavalla.

Il suo bel viso s'indurisce tutto: contrae la mascella, serra le labbra, assottiglia lo sguardo e corruga la fronte.

Questo non avrei dovuto dirlo, realizzo. L'ho appena accusato di essere un irresponsabile. E lui ti ha accusato di fingerti malato per non fare allenamento, ribatte una vocina nella mia testa.

- Allora perché? Hm?

- Perché è troppo pericoloso - ammetto pacatamente. - Quegli ostacoli... sono troppo alti.

- Hai paura - mi provoca. Non mi piace il suo tono. Questo... questo lato di Brooklyn che non avevo mai visto mi fa paura.

- Io... forse. E anche se fosse? Tu no? Sai meglio di me quanto male possono finire cavallo e cavaliere per un piccolo errore. Anche i cavalieri più bravi sbagliano.

- Oh, avanti, Castiel! - esclama, spaventando Wamblee. - Lo so! Ma è solo una competizione come tante! Importante, ma non è certo le Olimpiadi! Salto da tutta la vita e non smetterò certo ora che le cose si fanno serie!

- Io non... - protesto, sentendo sempre più freddo. È l'influenza? - Io non ti sto dicendo di smettere, Brook. Sto dicendo che io penso sia troppo pericoloso saltare quanto saltate tu e Wamblee. Abbiamo quindici anni, tutta la vita davanti! Un errore potrebbe rovinare tutto e...

E tu sei così importante per me, così prezioso, e se ti perdo cosa faccio?

- Io voglio diventare uno dei cavallerizzi più giovani della storia a vincere le Olimpiadi, Castiel - dice freddamente. - Il tempo per le passeggiate ci sarà quando sarò un nonnetto con i capelli bianchi.

Ha detto sarò. Ha detto sarò, non 'saremo'. Lui... lui non mi vede nel suo futuro.

Percepisco gli occhi riempirsi di lacrime.

- V-... va bene! Fa' quello che vuoi! Scusa se mi preoccupo per te! - sbotto, sentendo la voce incrinarsi. Me ne vado e lui non mi ferma.

~~~

È tutta la sera che sto piangendo. Mio padre mi ha dato una goffa pacca sulla spalla e mi ha arruffato i capelli, a cena, ma non ha detto una parola. Ho sentito sua moglie chiedergli se io stia ancora piangendo, però non ho udito la sua risposta.

Sapevo che Brooklyn non avrebbe detto: oh, allora non parteciperò se questo ti rassicura. Ma mi aspettavo che mi dicesse di star tranquillo, che andrà tutto bene, lui e Wamblee sanno quello che fanno e conoscono i loro limiti.

Non abbiamo mai litigato così, neanche prima di metterci insieme, e mi pare di non aver mai avuto il cuore spezzato come adesso. Povero illuso, se avessi saputo cosa aveva in serbo per me il futuro!

Qualcuno bussa alla porta della mia camera.

- Entra - singhiozzo.

- Castiel, c'è qualcuno per te alla porta - m'informa mio padre. Si guarda attorno. - Quant'è buio qui. 

Scendo dal letto e mi asciugo il volto.

- Okay.

- Stai bene? - mi chiede, accarezzandomi di nuovo con goffaggine il capo. Mi stringo nelle spalle e vado a vedere chi è.

I miei occhi sicuramente gonfi e arrossati si posano su un paio verdi, decisamente pentiti. Gli chiudo la porta in faccia e mi appoggio ad essa. Il cuore inizia a battermi forte.

Brooklyn: apri la porta, per favore. Sto congelando.

Castiel: e allora congela.

Brooklyn: per favore, Castiel, apri la porta. Non me ne andrò finché non aprirai, anche a costo di prendermi un accidente.

Castiel: se ti ammali non potrai partecipare alla competizione.

Brooklyn: correrò il rischio.

Apro lentamente la porta. Lui tira un sospiro di sollievo.

- Mi dispiace, piccolo - dice. Mille pensieri s'affollano nella mia mente: potrei mandarlo al diavolo. Potrei insultarlo. Potrei tirargli un pugno.

Potrei fare tante cose, ma l'unica che mi riesce è quella di sciogliermi in lacrime per l'ennesima volta.

Mi abbraccia.

- Detesto vederti piangere - mormora, stringendomi forte.

- E allora non farmi piangere! - dico fra i singhiozzi, il viso affondato nel suo petto.

- Mi dispiace, Castiel - ripete. - Mi sono comportato da vero stronzo, oggi.

- Sì, l'hai fatto - concordo, tirando su col naso. Sospira, scostandomi i capelli dalla fronte e baciandomi dolcemente le lacrime.

- Mi dispiace davvero tanto... quella competizione è importante per me, ma anche tu lo sei, amore mio.

Avvampo violentemente e Brooklyn mi guarda con espressione dolce e ancora pentita. 

- Non penserai che... 

- Che chiamandoti amore mio mi perdonerai? - abbozza un sorrisetto. - No, certo che no.

Stavolta sono io a sospirare. Sonoramente.

- Non stavi congelando? Forza, entriamo.

Prova a prendermi la mano nel seguirmi all'interno, tuttavia gli do uno schiaffetto e desiste.

- Sono ancora arrabbiato con te, Brooklyn.

- Lo so.

Ci sediamo sul mio letto e io accendo la luce sul comodino.

- Non ho mai avuto nulla oltre all'equitazione - asserisce, sospirando. - I miei amici... sono quelli del maneggio, perché i miei compagni di scuola non capiscono la mia passione. Mi sono sempre dedicato ad essa anima e corpo, a fare ciò che amo. E il pensiero di non farlo più... di non saltare più... mi fa sentire vuoto.

- Brooklyn, io non...

- Lo so, Castiel. Tu eri solo preoccupato per me e io ti ho trattato malissimo. Mi dispiace. Forse... ti sarai accorto che, senza il mio cavallo, sono una persona abbastanza piatta. 

Gli appioppo uno schiaffo non troppo forte sulla nuca.

- Ouch...

- Ma ti ascolti quando parli? Credi davvero che starei con un ragazzo il cui carattere ha lo spessore di un foglio di carta? Brook, tu sei così dolce, così solare, sempre pieno di sorprese, di idee, sei intelligente e responsabile. A volte mi fai arrabbiare, sì... ma ti amo. Ti amo perché mi fai arrabbiare. Altrimenti... saresti noioso. Oh, se saresti noioso - faccio una pausa, riprendendo fiato. - E hai sbagliato. Okay. Mi hai chiesto scusa. Va bene. È okay sbagliare.

- Io... io... non so cosa dire...

Gli accarezzo il volto con dolcezza.

- Quindi... mi perdoni?

- Ti ho già perdonato, sciocco - ribatto, sospirando. Mi prende la mano e ne bacia il palmo.

- Grazie - bisbiglia, poggiando la mia mano sul suo petto, all'altezza del cuore. - Sei... così perfetto per me. Sei tutto ciò che desidero.

- Però...

Vuoi davvero rovinare il momento con le tue paranoie? Non puoi essere felice e basta?

- Però?

- No, niente...

Un guizzo d'apprensione nelle sue iridi di smeraldo.

- Dimmi. Qualunque cosa sia. Anche se è stupida, Castiel. Se ti ha ferito... non è stupida.

- T-tu... hai detto che ci sarà tempo per le passeggiate quando sarai un nonnetto.

Stringo il labbro inferiore per non farlo tremare. Questo ha fatto davvero male, molto più di tutto il resto della discussione.

- Hmm?

- E io? Io non sarò un nonnetto... c-con te?

- Oh Castiel - dice con tenerezza. - Certo che sì. Sarai il mio nonnetto, piccolo.

Ridacchiamo e poi ci baciamo a lungo, facendo definitivamente pace.

- Vuoi restare a dormire? - sussurro, sollevato di non avere più un peso sul cuore.

- Io... no, devo tornare a casa...

- A quest'ora? Si sta facendo buio...

Lo guardo implorante, strappandogli un sospiro.

- Aspetta che chiamo mia sorella. 

Una volta terminata la telefonata mi dona un sorriso rassegnato.

- Allora?

- A quanto pare... stanotte sarò il tuo cuscino.

Gli riempio il viso di baci e gli do qualcosa di comodo da mettere per dormire.

- E i tuoi? - domanda. Adesso siamo sotto le coperte, abbracciati. Sono così felice che sia qui.

- Chi se ne frega!

Mi bacia la fronte, dopo avermi scostato i capelli.

- Castiel... ti prometto che andrà tutto bene, okay? Come sempre. Ma tu... tu devi credermi, devi fidarti di me. Ti fidi?

Annuisco, baciandolo sulle labbra e stringendolo più forte.

- E poi... ho il tuo portafortuna. Cosa potrebbe andare storto?

Sorridiamo uno sulla bocca dell'altro e ci coccoliamo per un po'.

- Buonanotte - bisbiglia infine, strofinando il naso contro il mio.

- Buonanotte - replico dolcemente.

Mi sento rassicurato. Abbiamo fatto pace. Eppure... eppure in fondo al mio cuore si annida un orribile, nefasto presagio.

-

Note dell'autrice:
konbanwa! Ovviamente chi mi conosce... e un pasticcino in particolare che mi ha già spedito qualche ceffone virtuale in anticipo, sa che non è solo un presagio, quello di Castiel. Muahahahah. Preparatevi a precipitare nella disperazione con i nostri eroi! Un abbraccione

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