Capitolo venticinque

Brooklyn's point of view

Ho lasciato trascorrere qualche giorno prima di riaccendere il cellulare: la maggior parte dei messaggi sono di persone preoccupate per me che in qualche modo hanno saputo dell'incidente. Nomi senza volto su uno schermo piatto.

Non ho risposto a nessun messaggio; mi son limitato a studiare l'immagine profilo di coloro che non erano salvati nella rubrica come nome e cognome. La mia famiglia, compresi tutti i cugini e gli zii. Il giovane con i capelli ramati e gli occhi grigio-verdi, 'Will'. E... Castiel.

Non volevo aprire la conversazione con Castiel. Doveva essere un 'problema per un altro giorno', ma perché rimandare? Dubito che leggere i messaggi che ci siamo scambiati riporti a galla qualche ricordo.

Infatti non mi ricordano nulla, rinforzano solo l'idea che mi son fatto di com'ero prima dell'incidente: solare, estroverso, dolce, scherzoso, energico, tenero e romantico. Amabile.

Mi pare impossibile che una persona così viva dentro di me. Probabilmente è svanita insieme ai ricordi.

E anche se non è svanita... è troppo debole per manifestarsi. Forse è lei che di notte mi tormenta. Avrebbe senso, no? Il vecchio me che m'implora di non dimenticarlo. Vorrei che la smettesse di causarmi quegli incubi orribili e si mettesse il cuore in pace.

Non scorro la conversazione fino all'inizio, ci siamo inviati troppi messaggi. Soprattutto io gli scrivevo tante di quelle volte ti amo da farmi venire la nausea. Lo appellavo perfino al femminile. Ugh.

Decido di non controllare né Instagram né la galleria, so già cosa ci troverò. Mi bastano le foto appese al muro. Apro il lettore musicale, invece, sperando di non rimanere deluso.

Trovo un sacco di musica classica, qualche canzone pop, un paio di brani country e delle canzoni di cui non saprei definire il genere. C'è un'unica playlist, porta il nome di Castiel e contiene solo una canzone: Take your time di Sam Hunt.

Sono tentato di ascoltarla. Sono tentato anche di eliminare la playlist, eliminare la nostra conversazione e il suo contatto nella mia rubrica, eliminare tutte le foto sul cellulare e il mio profilo Instagram. Sono stato tentato di strappare le foto dal muro e di riempire uno scatolone con qualunque cosa riguardi i cavalli e buttarlo nella spazzatura.

Mentre pensavo a tutto ciò mi sono inoltre accorto di avere un mucchio di vestiti da equitazione e troppe magliette con qualche disegnino legato ai cavalli.

Ma non ho fatto nulla. Non ho fatto nulla perché mi è sembrato di fare un torto alla voce dentro di me che mi assilla con la sua richiesta di non dimenticarla.

E se un giorno avesse abbastanza forza per manifestarsi?

- Clop clop... voglio dire, toc toc - m'interrompe Bella, strappandomi ai miei pensieri. Spengo il cellulare e lo infilo in tasca.

Clop clop? Suona infantile e... familiare.

- Hm?

Ho un flashback.

'- Brook, cosa dice un cavallo quando bussa alla porta?

- Toc toc?

- No, cespuglietto! Dice clop clop!'

- C'è qualcuno alla porta che vuole vederti - annuncia, senza alcun particolare tono o espressione.

Qualcuno che vuole vedermi? Forse... Will?

- Chi? - domando. Si stringe nelle spalle.

- Qualcuno - ripete, facendosi da parte per lasciarmi passare. - Va' a scoprire chi con i tuoi occhi.

Sospiro, obbedendo. Alla porta c'è... Castiel. Leya gli ha dato i biscotti che lei e mia sorella hanno fatto, nonostante non sia Natale.

I suoi capelli vistosi sono pettinati di lato e sul suo viso sboccia un timido sorriso quando mi vede. Io mantengo un'espressione fredda, guardandolo dall'alto in basso. Sulla sua maglietta grigia c'è la sagoma nera di un cavallo che salta.

Ho già visto quella maglietta... forse ne ho una uguale. Però... c'è qualcosa di più. Una sensazione di déjà-vu.

Déjà-vu...?

- C-ciao, Brook - mi saluta, con la stessa timidezza impressa nel suo sorriso. Inarco un sopracciglio.

- Brook?

Arrossisce.

- B-brooklyn, scusa... - s'affretta a correggersi.

Ci osserviamo per un lunghissimo istante e lui avvampa ulteriormente.

- Be'? Perché sei qui? - chiedo, un poco spazientito. Perlomeno il mal di testa è scemato lievemente.

- Ah, i-io... volevo parlarti...

- Ti ascolto - replico, appoggiandomi al muro col braccio sano. Spero si sbrighi, non ho voglia di socializzare, men che meno con lui.

- So che stai passando un momento difficile... e... e lo capisco... quindi... quando torneranno i tuoi ricordi o... q-quando vorrai... io sarò q-qui... per r-ricominciare... - farfuglia, senza guardarmi negli occhi. - E... mi dispiace di essere stato precipitoso, all'ospedale. Ero... tremendamente felice di sapere che stavi b-bene...

Un momento difficile? Tsk.

- Ah? Ricominciare?

- Sì... la nostra relazione... - mormora, strascicando i piedi. La nostra... relazione. Le sue parole mi fanno rabbia. Non capisce che non provo niente per lui? Che qualunque cosa ci sia stata non ci sarà mai più?

- Puoi dimenticartela, la nostra 'relazione' - dico pacatamente, mimando le virgolette nell'aria. Sgrana gli occhi. Devo ammettere che ha degli occhi meravigliosi.

- C-cosa? Mi... mi stai lasciando?

Oh ti prego, risparmiami questa frase da film.

- Sì, Castiel - sospiro, sforzandomi di restare calmo. Riesco a controllarmi un po' meglio, ma è difficile. A volte ho degli scoppi di rabbia totalmente imprevedibili.

Inevitabilmente inizia a piangere. Alzo gli occhi al cielo.

- Perché?

Mi sta chiedendo sul serio il motivo?

- Perché non ho intenzione di ricominciare una relazione con un ragazzo. Né tantomeno di riprendere ad andare a cavallo.

Lui resta lì, a piangere. Cosa si aspetta, che lo consoli? Che gli dica che mi dispiace? Non lo farò, non l'ha capito?

- Potresti... andartene? - domando, cercando di non suonare scocciato. Ho già abbastanza problemi con le mie emozioni, senza che debba pensare anche a quelle degli altri.

Singhiozza rumorosamente e corre via. Io non mi sento affatto soddisfatto che sia uscito dalla mia vita forse in maniera definitiva. Non sento niente, per essere onesto.

Chiudo la porta, sospirando e appoggiandovi la fronte. Vengo punito da una fitta di mal di testa e mi allontano immediatamente.

- Biscotto, Brook? - asserisce Leya, offrendomene uno. Mia sorella li sta disponendo su un piatto in maniera carina, a formare un fiore. Mi lancia una rapida occhiata e io mi aspetto di leggervi disapprovazione, ma il suo sguardo non tradisce alcuna emozione.

- Grazie - borbotto, prendendolo e staccandone un morso. Mentre sto masticando osservo meglio il biscotto e mi accorgo che è a forma di cavallo. Sospiro. Non appena il mio braccio guarirà troverò un altro sport, magari il basket come papà. Vincerò abbastanza premi da rimpiazzare tutti quelli dell'equitazione.

Castiel's point of view

Poco fa mi è arrivato un messaggio di Leya in cui mi diceva che lei e Bella hanno fatto i biscotti e di passare a prenderne un po', se mi va.

Le ho risposto che passerò, anche se ho paura che Brooklyn mi rifiuti di nuovo. Però al contempo ho troppa voglia di vederlo.

Sto per uscire, quando ho un'idea e corro in camera mia. Mi vesto come la prima volta che sono stato a casa sua e mi pettino allo stesso modo. Sorrido al mio riflesso allo specchio. Magari questo lo aiuterà a ricordare.

- Io esco! - esclamo di nuovo, chiudendo la porta di casa senza aspettare una risposta. M'infilo le cuffiette nelle orecchie e metto una canzone a caso. Dal giorno dell'incidente evito accuratamente di ascoltare Take your time.

Arrivo a casa di Brooklyn prima del previsto, perché sono così impaziente che cammino molto più velocemente del solito. Suono il campanello e Leya viene ad aprire, consegnandomi un sacchetto di biscotti.

- Poi dimmi come sono - asserisce, sorridendo. - Aspetta, te lo chiamo. 

Mi dà le spalle.

- Bella, amore? Puoi chiamare tuo fratello? C'è qui Castiel.

Torna a rivolgersi a me.

- Adesso arriverà. Buona fortuna - mi dice, prima di congedarsi. Devo attendere giusto un paio di minuti.

Brooklyn non sembra molto in forma: è più magro di quanto lo ricordassi, i suoi occhi verdi sono freddi, senza una traccia della consueta dolcezza, e le sue labbra sono strette in una linea dura e sottile.

Eppure, nonostante la sua espressione ostile, io gli sorrido timidamente.

- C-ciao, Brook - lo saluto, studiando la sua espressione in cerca di un segno che ricreare la situazione della prima volta che sono venuto qui abbia funzionato. Nessun segno.

- Brook? - dice, inarcando un sopracciglio. Arrossisco. È così che ti chiamavo quando eri il mio ragazzo, vorrei spiegargli. Ma noi stiamo ancora insieme... o no? 

- B-brooklyn, scusa... - mi correggo, invece. Non sono qui per forzare la mano, ma per essere paziente e comprensivo.

Ci guardiamo in silenzio per un attimo. Il suo sguardo penetrante mi fa avvampare ulteriormente.

- Be'? Perché sei qui? - domanda con tono chiaramente irritato. Pazienza, mi ripeto.

- Ah, i-io... volevo parlarti...

Dirti che sarò paziente, che puoi contare su di me.

- Ti ascolto - replica, senza ammorbidirsi nemmeno un po'. Si appoggia al muro con il braccio sano e io noto che indossa ancora il braccialetto che gli ho regalato. Questo dettaglio mi rende felice e mi infonde il coraggio di cui ho bisogno per parlargli.

- So che stai passando un momento difficile... e... e lo capisco... quindi... quando torneranno i tuoi ricordi o... q-quando vorrai... io sarò q-qui... per r-ricominciare... - farfuglio, senza guardarlo negli occhi perché sarebbe troppo difficile parlare e sostenere il suo sguardo. - E... mi dispiace di essere stato precipitoso, all'ospedale. Ero... tremendamente felice di sapere che stavi b-bene...

E sono tremendamente felice di vederti, adesso... e quanto vorrei baciarti...

- Ah? Ricominciare?

Le sue parole mi strappano alle fantasticherie in cui mi stavo perdendo.

- Sì... la nostra relazione... - mormoro, strascicando i piedi. La sua espressione s'indurisce ancor di più. Non mi piace questa espressione... non gliel'ho mai vista, neanche quando litigavamo. Mi fa paura.

Mi aspetto che si arrabbi ed esploda, invece...

- Puoi dimenticartela, la nostra 'relazione' - ribatte con calma, mimando le virgolette nell'aria. 

Sto... fraintendendo, vero? Pazienza, Castiel, pazienza e comprensività.

- C-cosa? Mi... mi stai lasciando? - domando, stupidamente. Mi sto scavando la fossa da solo. Cosa mi aspetto che risponda? No? Sono un idiota.

- Sì, Castiel - sospira. Non lo fa neanche con esasperazione, non l'ha neppure detto con cattiveria. Avrei preferito che mi avesse urlato addosso, perché così... fa troppo male. Percepisco le lacrime affiorarmi agli occhi e rigarmi il volto senza che possa farci nulla.

Mi... sta... lasciando. Mi... ha lasciato. 

Alza gli occhi al cielo, vedendomi piangere. Quando finirà quest'incubo? 

- Perché? - chiedo. Devo essere masochista. Che importanza ha? La nostra vita non dipende dalla nostra relazione. O non più relazione, dovrei dire. Ma questo è valido solo per lui. Io ho bisogno del suo amore...

- Perché non ho intenzione di ricominciare una relazione con un ragazzo. Né tantomeno di riprendere ad andare a cavallo.

Vorrei chiedergli quale sia il problema nel fatto che sono un ragazzo. Potrei essere una ragazza solo per lui... e vorrei chiedergli perché non vuole più andare a cavallo. Come può fare questo a Wamblee? Chi si occuperà di lui? Io non posso farlo per sempre.

Tuttavia non gli chiedo più niente. Mi limito a piangere, sperando che appaia il Brooklyn che detesta vedermi piangere, quello che mi bacia le lacrime.

Ma non appare.

- Potresti... andartene? - domanda, inespressivo. Un singhiozzo rumoroso è la mia risposta prima che corra via.

Non torno a casa. Mi siedo su un muretto e lì resto a piangere, con il cuore ancora più infranto dei giorni precedenti.

È finita. È finita. Mi ha lasciato.

Mi sento devastato. Questa è l'ennesima dimostrazione che non dovrei mai permettere a me stesso di affezionarmi a qualcuno, perché alla fine sono sempre io a soffrire.

Quando mi calmo un po' vado alla fermata del bus e poi al maneggio. Will sta facendo lezione ai bambini. M'intrufolo nella scuderia.

Wamblee e Shining Tears alzano la testa nel medesimo istante. So che Wamblee spera ogni volta che io sia in compagnia di Brooklyn. E ogni volta resta deluso.

Entro nel suo box e lo accarezzo, poggiando la fronte contro la sua e bagnandogliela con le lacrime.

- Il tuo padrone non ti vuole più - gli dico. È la cosa più crudele che abbia mai detto e sento il cuore stringersi dolorosamente. - Non tornerà da te, Wamblee. Mi dispiace tanto, bello... ma ti prometto che mi prenderò io cura di te.

Mi siedo e mi metto a mangiare i biscotti. Sono buoni, a forma di cavallo. Mi ricordo... l'ultima volta che li ho mangiati con Brook abbiamo giocato alla corsa dei cavalli con i biscotti. Era stato divertente.

Ma adesso ogni bel ricordo è motivo di tristezza.

Shine mi sbuffa tra i capelli dal suo box, percependo il mio umore. Non cerca nemmeno di rubarmi un biscotto. 

Wamblee non si esibisce in nessuna manifestazione d'affetto. Mi fa pena. I suoi dolci occhi castani, terribilmente malinconici, sono puntati verso l'entrata della scuderia. Si starà chiedendo se il suo padrone... il suo migliore amico si sia dimenticato di lui. Letteralmente.

Non so se i cavalli abbiano il concetto di 'dimenticare' come noi. Ma di sicuro si starà domandando perché Brooklyn non venga più a salutarlo. A portarlo fuori, nel tondino o nel paddock. Perché non sia qui ad accarezzarlo, a giocare con lui, a strigliarlo, a chiamarlo campione.

Sembra di parlare di un morto. Ma ora che ci ha tagliati fuori dalla sua vita siamo noi, morti, per lui. Ci seppellirà nel dimenticatoio, lasciandoci svanire insieme ai suoi ricordi. E non piangerà la nostra scomparsa.

- È inutile che lo aspetti, Wamblee - singhiozzo. - A lui non manchi.

-

Note dell'autrice:
buon pomeriggio, pasticcini! Non nego che questo capitolo ha strappato qualche lacrima anche a me. Spero riuscite a sopportare la sofferenza e non mi abbandonerete prima dell'happy ending. Anche il commento di un lettore, ieri sera, mi ha toccato il cuore! Ne avevo bisogno. Grazie. Un abbraccio

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