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C'era qualcosa di ossessivo, nel modo in cui Harry faceva ticchettare la matita sul block-notes. Louis lo stava osservando da una decina di minuti, in cui il ragazzo aveva mantenuto il silenzio più assoluto.
Harry guardava fuori dalla finestra, chiaramente indifferente.
Louis sospirò. Aiutare una persona che non vuole essere aiutata è una enorme perdita di tempo. Il primario però gli aveva chiesto di occuparsi personalmente del caso, perché, a quanto pareva, conosceva la madre, per cui doveva a tutti i costi fare un tentativo.
Sfarfallò una mano in aria, richiamando l'attenzione del ragazzo.
-Harry, sai perché sei qui?- Scandì, per facilitarlo nel leggergli il labiale.
Harry, semplicemente, si voltò di nuovo a guardare fuori dalla finestra, chiudendo definitivamente la conversazione. Louis rimase a guardarlo per un altro quarto d'ora, meravigliandosi della facilità con cui Harry poteva estraniarsi, avendo deciso di non ascoltare più. Rimase ad osservarne i lineamenti perfetti, i ricci in disordine.
Si alzò e gli si sedette accanto. Il ragazzo non si irrigidì, non dette segno di essersene neppure accorto. Louis si sporse verso di lui, cercando di stimolarlo a guardarlo. Harry sospirò, voltandosi nuovamente verso di lui.
-Cosa vuoi fare? Perché hai portato un block-notes con te?-
Harry strinse le dita attorno al blocco, portandoselo al petto.
E questo concluse la sua prima seduta.
Louis si portò la cartella clinica del ragazzo a pranzo, in mensa; atteggiamento insolito per lui, che notoriamente riteneva sacri i momenti di pausa.
Liam Payne, suo migliore amico, nonché strutturato cardiochirurgo, glielo fece notare sedendosi al tavolo.
-Che ti prende, Tommo? A forza di stare coi matti sei impazzito pure tu?-
-Ti conosco da vent'anni ed ho mantenuto la mia salute mentale, questo vuol dire che sono una persona estremamente equilibrata- lo rimbeccò Louis.
-Cos'hai lì? Quale strana patologia ti ha spinto ad accantonare la regola aurea di non portare il lavoro fuori dall'ambulatorio?-
-Agorafobia-
Liam divenne improvvisamente serio.
-È il caso che mi ha obbligato a prendere Stevenson. Non mi aveva detto nulla, mi aveva parlato di disturbo post-traumatico, e poi la madre salta fuori stamattina dicendo che l'hanno fatto ricoverare perché non solo non comunica più, ma non esce più dalla sua camera-
-Qual è stato il fattore scatenante?-
-La morte di Dumont. Era un suo paziente-
-Perché era suo paziente?-
-Impianto cocleare, quattro anni fa-
Liam guardò l'amico, preoccupato.
-Stai tranquillo. Sto bene-
-Ne sei sicuro? Posso parlare io con Stevenson, e chiedergli di affidare il caso a qualcun altro-
-Non serve. Ho tutto sotto controllo-
-Immagino, ma non sei tenuto ad affrontare un caso che non vuoi affrontare-
-Il capo ha pensato che era ora di mettermi alla prova. Mi va bene. È la conferma di tutto il lavoro svolto finora-
-Se ne sei sicuro... però fatti supervisionare, va bene?-
-Ovvio. Non sono così presuntuoso-
-Ah, no?- Sorrise Liam, ed il discorso fu accantonato.
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