10.

Harry

Sento il vento fresco sulla pelle. Mi sposta i capelli e mi fa svolazzare la giacca addosso; non sono mai stato qui. I miei non sono appassionati di montagna, e tu hai sempre sofferto di vertigini.
Questo posto è bellissimo. C'è quiete. Stranamente non provo nulla di tutta l'ansia che avevo. Questo spazio aperto non mi angoscia, anzi, mi consola, forse perché non c'è nessuno. E non mi sono nemmeno reso conto che le lacrime hanno iniziato a bagnarmi le guance. Singhiozzo senza alcun ritegno, perché ho tanta nostalgia di te, ed in qualche modo la vita sta andando avanti.
Louis mi posa una mano sulla schiena, accarezzandomi piano per confortarmi, e questo contatto non mi da fastidio, anzi. Mi fa sentire meno solo.
Piango per un'eternità, fino a sfinirmi.
Non avevo mai pianto così, da adulto. Mi sento svuotato, ed è come se un tappo fosse stato liberato dal collo della bottiglia, lasciando uscire tanta rabbia.
Poco a poco, mi calmo. Mi arrischio di lanciare un'occhiata veloce a Louis: sembra sereno, è tranquillo. Forse è abituato per lavoro a mantenere la calma; comunque apprezzo la sua pazienza, il suo non mettermi fretta. Mi sorride.
-Pranziamo?-
Annuisco, ed allora lui fa cenno alla pineta:
-Andiamo all'ombra-
Spostiamo la macchina, e Louis stende un plaid sotto i pini. Mi sento intontito, un po' dalle pastiglie che prendo, ed un po' dallo sfogo che ho appena vissuto.
-Hai fame?-
-Non lo so. Forse- rispondo.

Louis mi lascia il mio spazio, non insiste per parlare, mi lascia il tempo per riorganizzare i miei pensieri, che sono tanti ed in contrasto tra di loro.

Se penso a quanto spreco ci sia stato in questo tuo gesto, quanto i tuoi pazienti abbiano perso in termini di qualità e avanguardia nelle loro cure, quanto tu abbia tolto a tutti loro, penso che se ti avessi qui ti prenderei a sberle. Poi però penso a quanto malessere tu abbia sofferto per arrivare a tanto.
Io l'avevo intuito, sai, che non ti sei mai ritenuto abbastanza. È un controsenso, perché eri un bellissimo uomo, di successo, ricco, con un lavoro entusiasmante e carico di responsabilità e soddisfazioni. Ma sotto questa patina dorata si nascondeva il mal di vivere. L'ho intuito ancora un paio d'anni fa, dopo il tuo primo divorzio. Poi sei riuscito a mascherarlo, forse credevo che con Jennifer saresti riuscito a trovare un po' di pace, di autostima forse. E quando è finito il tuo matrimonio con lei, ho risentito quella stessa sensazione. Forse anche per questo ho voluto spingermi oltre, quella sera. Credevo di colmare quel vuoto interiore che aveva fatto capolino sotto alla tua corazza. Dopo che ti ho baciato, dopo che ti sei lasciato baciare, e per qualche secondo mi hai fatto credere che saremmo andati oltre, e poi mi hai fermato, adducendo come scusa il fatto che era sbagliato, che mi vedevi come un figlio, che la distanza di età era abissale e che ti sembrava un sacrilegio e tutte quelle cazzate, io per un periodo ho creduto di non essere abbastanza per te.
Invece eri tu, a non bastare a te stesso.

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