Capitolo 7
«Svegliati Rian» gli sussurrò Aisling all'orecchio.
Il ragazzo percepì il suo fiato caldo, le punte dei suoi capelli che gli solleticavano lo zigomo mentre lei si allontanava, e uno strano profumo. Gli ricordò l'odore della resina mescolato a qualcosa di dolce, come il succo di mela, ma non ne era certo. Avrebbe voluto fingere di non aver sentito la sua voce, così da farla riavvicinare, ma ormai si era mosso e lei doveva aver capito di averlo svegliato.
Si stropicciò gli occhi, non ricordava di essersi addormentato, non ricordava nemmeno di essersi allontanato dal fuoco ed essersi rannicchiato con gli altri sotto la tenda.
«Dobbiamo ripartire» lo avvisò la ragazza sistemandosi una ciocca di capelli. I suoi occhi brillavano come due gemme scure nella timida luce dell'alba. Lo fissava e sorrideva, sembrava contenta. Rian non sapeva per quale motivo, ma avrebbe tanto voluto chiederglielo, però distolse lo sguardo concentrandosi sulla tenda. Le due gemelle la stavano disfacendo proprio in quel momento. Il telo si alzò, svolazzando nell'aria fresca del mattino, per poi tornare a essere il solito riparo del carro.
Le loro labbra erano leggermente dischiuse, come se stessero mormorando qualcosa nel vento, gli sguardi concentrati sulla traiettoria che aveva composto il telo volteggiando nell'aria come se un'enorme mano invisibile lo stesse sventolando.
Il falò ormai era niente altro che un cerchio di cenere tra l'erba e i sassi. Grifar lo stava coprendo con del terriccio, cancellando ogni traccia.
Rian sbadigliò e si coprì immediatamente la bocca con la mano, vergognandosi di essersi mostrato così pigro. Tutti si erano già alzati tranne lui e probabilmente Grifar e Aisling avevano fatto gara per chi dovesse svegliarlo.
Sospirò contento che avesse vinto la ragazza, perché era certo che Grifar gli avrebbe tirato addosso dell'acqua o dato uno spintone e non sarebbe stato altrettanto delicato.
«Pensi di farcela a tirarti su in piedi?» lo punzecchiò la maga del vento, spazzolando l'erba con le mani per poi sollevarsi sulle ginocchia.
«Se non si muove lo lasciamo qui» s'intromise una delle gemelle con voce ironica, ma ricevette subito una gomitata nel fianco dalla sorella. «Se sei ancora stanco puoi sederti sul carro» disse l'altra, indicandogli il mezzo poco lontano da loro.
Rian si alzò, scuotendo la testa risoluto: «Sono sveglio» le rassicurò. Eppure non gli sembrava nemmeno di tenere i piedi puntati per terra, si sentiva leggero e inconsistente. Sentiva i muscoli intorpiditi, come se fosse rimasto fermo nella stessa posizione per parecchio tempo. Sotto le unghie aveva della terra scura e alcuni fili d'erba gli avevano lasciato dei segni rossi sul viso e sotto i palmi.
Non aveva mai dormito all'aria aperta prima di quella notte, non era mai stato così tanto tempo lontano da casa.
Sbatté le palpebre confuso, cercando di mettere a fuoco il panorama attorno a loro. Le colline verdi macchiate di rugiada, strisce di terra scura lontane che indicavano i campi di qualche tenuta, l'alba che colorava il cielo di rosa e oro, l'erba schiacciata dal peso del suo corpo steso a terra.
Più tentava di ricordare cosa fosse successo e più sentiva la sua testa pulsare. Si portò le mani alle tempie, massaggiandole per calmarsi. Sperò che quella sensazione non fosse un sintomo della maledizione di Thanlos.
«Che brutta cera, la tisana di Sioban non ti ha fatto un buon effetto» commentò la gemella, quella che aveva una tonalità di voce gradevole. Si avvicinò a lui, tenendo una mano stretta sul fianco e due dita a sorreggere il mento appuntito. Sembrava che lo stesse studiando come fa un dottore.
«Quale tisana?» domandò Rian sempre più confuso.
La bocca della ragazza si incurvò in un'espressione sorpresa. «Quella che ha portato a te e Nehon, quando abbiamo cambiato i turni di guardia. Cornelia, cos'è che ci aveva messo dentro?» si rivolse a sua sorella, senza più guardarlo.
«Trifoglio e qualcos'altro, sinceramente non ricordo. Però questa volta era deliziosa» fece spallucce l'altra per poi incamminarsi verso il carro.
Aisling posò una mano sulla spalla di Rian, temendo che potesse collassare da un momento all'altro. Il ragazzo era sbiancato. «Sarà meglio che stai nel carro come ha suggerito Camelia, finché ti riprendi. Mi sembri pallido».
«D'accordo» accettò Rian, piantando i suoi occhi in quelli neri della maga. Nonostante non gli piacesse quella situazione non aveva voglia di controbattere e non gli importava che lo stessero credendo debole o scansafatiche. Tutto ciò che voleva era stendersi di nuovo e riposare.
Il legno duro del carro non era certo più comodo del terreno umido, ma ci si appoggiò grato e rimase seduto, finché non iniziò a sentirsi meglio. Il mezzo partì con un leggero scossone. Sentiva le voci della compagnia di maghi, cullavano i suoi pensieri come una dolce litania, stavano ancora discutendo dello spettacolo da fare alla festa, come se non ne avessero mai parlato prima.
Ebbe l'impulso di chiudere gli occhi e addormentarsi, quando sentì la voce di Aisling parlare con Sioban. Vedeva le loro ombre muoversi al di là del telo bianco, vicinissime al carro.
«Ma cosa hai usato per fare quella tisana?» stava dicendo la ragazza, contrariata: «Rian è bianco come un lenzuolo e sembra quasi che gli abbiano prosciugato le forze».
«Forse ho usato un po' di magia. Non la mia, quella dei semi dell'albero sacro» bisbigliò: «Solo per aumentare l'effetto della valeriana, affinché Nehon riposasse anche senza dormire. Non pensavo che il corpo del ragazzo reagisse in questo modo. A voi altri non ha fatto male».
«Non si ricorda nemmeno di averla bevuta da quanto ho capito» protestò la ragazza.
«Cosa potevo saperne? Non abbiamo mai vissuto con gli umani» si giustificò la donna.
Aisling alzò gli occhi al cielo: «Dici che gli passerà?».
«Certo, cara, l'effetto è momentaneo, si tratta solo di aspettare. Però forse è meglio tenerlo d'occhio, in caso succeda qualcosa di collaterale e non dire nulla a Zallen. Sai che quando si arrabbia diventa ingestibile».
«Qualcosa di collaterale?» il tono della ragazza era sconvolto, ma la donna le stava sorridendo come se fosse una battuta spiritosa. «Va bene. Starò io con lui. Se ti chiedono che fine abbiamo fatto inventati che Rian non si sente molto bene».
«Non è poi una bugia» ridacchiò la donna, per nulla preoccupata: «Suvvia non guardarmi in quel modo».
A Rian parve di sentirle sbuffare e si chiese se avrebbero lottato in quel momento, usando i loro poteri. Poteva percepire la tensione che si era creata anche al di là della tenda, ma la ragazza indietreggiò ed entrò con un agile balzo nel carro in movimento.
Rian si sorprese, ma non lo lasciò trasparire, aspettò che Aisling prendesse posto accanto a lui, concentrandosi su un punto davanti a sé.
«Non hai la nausea, vero?» gli domandò stringendosi nelle spalle.
«Mi avete dato qualcosa» suonava quasi come una domanda, ma non lo era, dal momento che era rimasto abbastanza vigile da percepire quello stralcio di conversazione tra le due maghe.
«In realtà» gli raccontò la ragazza: «L'hai bevuta di tua spontanea volontà dopo che Sioban te l'ha offerta, ma non ci aspettavamo che il tuo corpo reagisse così. Come ti senti?».
«Terribilmente stanco, come se mi fosse passato sopra un cavallo» bofonchiò Rian, trattenendo uno sbadiglio: «Vorrei solo dormire, magari per giorni interi».
«Mi dispiace» gli sussurrò: «Prova a riposare. L'effetto svanirà e non dovrai più pensarci».
Rian decise di fidarsi delle sue parole, anche se non riusciva proprio a ricordare di aver bevuto qualcosa prima di andare a dormire. Annuì e adagiò la nuca contro il bordo del carro, chiudendo gli occhi e scivolando di nuovo nell'oblio del sonno.
Non riposò molto, venne di nuovo disturbato. Questa volta si trattava della voce di Zallen; stava sbraitando parole incomprensibili.
«Che succede?» mormorò Rian. Lo disse piano, sicuro che Aisling non lo avesse sentito parlare. Era alla fine del carro e sbirciava oltre il telo, tenendolo alzato con la mano.
Rian strisciò verso di lei e mentre si muoveva si accorse che il mezzo era fermo; non stavano continuando il loro viaggio.
«Siamo già arrivati?» domandò ancora. Ma Aisling si voltò a mala pena verso di lui e gli fece cenno di tacere. Subito dopo ruotò le gambe oltre il bordo e scese giù, lasciandolo da solo ai suoi dubbi.
Il telo ricadendo su sé stesso schiaffeggiò il volto di Rian, che cercò di riprendersi e tenendosi la testa con la mano, imitò il gesto della ragazza posando di nuovo i piedi sul terreno.
Ora l'erba non danzava più sotto le sue suole e percepiva la radura più solida e presente, ma la sua percezione era sempre distorta, come se non fosse davvero dentro il suo corpo, ma altrove e lo guardasse muoversi per volontà di qualcun'altro.
«Galline morte» tuonava la voce del mago scalzo.
Furono solo queste le due parole che riuscì a capire mentre costeggiava il carro, usandolo come appoggio, come un vecchio con il suo bastone da passeggio.
«Sono galline morte» continuava a ripetere Zallen.
«E sono fresche, guarda il sangue» diceva Nehon.
Erano entrambi chini su un punto poco più in là del versante, sulla collina dove si erano fermati. Le colline attorno formavano una sorta di conca, come se un tempo avessero contenuto un piccolo lago.
«Guarda i morsi, Zallen. Qualcuno le ha fatte fuori» Nehon si sollevò, tra le mani aveva un ramoscello la cui punta era sporca di sangue. Aveva punzecchiato le macchie scure ai loro piedi: «Un animale feroce, a giudicare dalle ferite».
«Meno male che non erano cadaveri umani come aveva detto Grifar» stava dicendo Sioban, dietro di loro, con le dita si copriva la bocca.
«Che c'è?» protestò il ragazzo preso in causa: «Da lontano vi assicuro che sembrava una macchia rossa indistinta».
Rian si focalizzò sugli animali morti ai loro piedi. Erano tanti. Sembrava che qualcuno avesse deciso di uccidere un intero pollaio, lì tra le colline; alcune avevano le penne attaccate, altre invece giacevano a terra tra le pozze di sangue rappreso. Le scie cremisi continuavano oltre la collina, come se qualcuno le avesse trascinate laggiù.
La cavalla nitrì, i suoi occhi avevano visto qualcosa. Scalciò con gli zoccoli per terra, dimenandosi, pronta a correre via.
Una delle gemelle afferrò prontamente le redini e tirandole indietro le impedì di fuggire, sua sorella invece gridò: «Attenti!». Rian seguì il punto indicato dal suo dito. Alcuni dei maghi si girarono verso di loro per poi fare lo stesso.
Sul confine della collina, dove il cielo sembrava sfiorarla, comparvero delle grandi sagome scure. All'inizio sembravano ombre di nuvole che si muovevano troppo velocemente. Ma il cielo era limpido.
Soltanto una volta nella sua vita Rian aveva incrociato lo sguardo di un lupo nero di Thanlos. Solitamente se ne stavano a nord della valle e non scendevano quasi mai verso il mare, e non attaccavano durante il giorno, ma solo al calar della sera. Quell'unica volta che ne aveva visto uno era salito su un albero per sfuggirgli, ed era poco più di un bambino, ma ora non c'erano alberi su cui aggrapparsi per tenerli lontano.
Questa volta non si trattava di uno solo, ma di cinque grossi lupi. Qualcuno di loro tra le fauci aveva una gallina con il collo spezzato e la testa che oscillava pericolosamente da un lato del muso dei loro predatori. Le pellicce fulve e scure, gli occhi grandi e gialli. Erano molto più grandi di un lupo normale. Ma questo Rian non poteva saperlo dato che non ne aveva mai visti altri.
Con pochi balzi li avrebbero raggiunti, se Zallen non avesse sollevato le mani verso il cielo, facendo levitare i lupi, sospesi a qualche centimetro da terra.
Due di loro ulularono verso l'alto, verso il giorno che stava rischiarando la notte. Quello più vicino al gruppo di uomini sputò la sua gallina insieme a una scia di bava che gli cadeva dalla fila di denti bianchi, sporgenti e acuminati.
Scalciavano con le zampe, tiravano fuori gli artigli, ringhiando contro il vuoto, si dimenavano, tentando di liberarsi dall'incantesimo del mago.
Da una collina laterale ne sbucarono altri due e Grifar fece fuoriuscire dalle sue mani ondate di fuoco che crepitarono sull'erba e sbarrarono loro la strada, innalzando un muro di fiamme rossastre.
Nehon strinse i pugni e abbassò le palpebre tinte di nero sui propri occhi. Le pupille dei lupi si ingigantirono fino a oscurare la loro vista. Qualcuno di loro dimenò il muso nell'aria, ma poi tornarono tutti a puntare feroci gli sguardi verso gli uomini che li stavano sfidando e avevano interrotto il loro banchetto. Le due bestie oltre il muro di fuoco si muovevano avanti e indietro per la lunghezza della barriera, studiando il punto debole delle fiamme per poterle oltrepassare.
Nehon lasciò perdere poco dopo il suo incantesimo, riaprendo gli occhi e fissando a terra come se fosse stato sconfitto. «Vedono perfettamente al buio» disse contrariato da quella scoperta, con un tono così calmo che a Rian bastò per essere scosso da un brivido.
«Non posso tenerli fermi per sempre» imprecò Zallen a denti stretti, continuando a concentrarsi sui lupi che tratteneva sospesi da catene invisibili.
Sioban si inginocchiò e posando le mani tra l'erba fece nascere dal terreno delle piante rampicanti che si avvilupparono attorno agli addomi dei lupi, schiacciandoli. Su alcuni tralci spuntarono degli spini grossi quanto pugnali, che si conficcarono nella pelliccia dei lupi facendoli guaire per il dolore.
«Sioban, no!» la bloccò Zallen: «Non possiamo ucciderli».
«Ci uccideranno loro se non lo facciamo prima noi» replicò lei, ma Zallen scosse il capo guardandola solo per un attimo e supplicandola di rimanere ferma. Sioban sbuffò, schioccò le dita e le piante vennero risucchiate direttamente nel terreno come se non ci fossero mai state.
Rian li stava osservando come se stesse sognando, non riuscendo a credere ai propri occhi. Era incapace di muoversi, come se la paura lo tenesse incollato in quel punto, con la mano ancorata al bordo del carro; se lo avesse lasciato temeva che sarebbe caduto per terra.
Qualcuno lo destò dal suo torpore. Era Aisling, si era avvicinata a lui e gli stava porgendo il suo arco e le frecce. «Devi farlo tu» gli disse preoccupata: «Il nostro patto ci vieta di attaccare qualsiasi entità viva nel territorio di Far».
Il ragazzo strinse saldamente l'arco tra le mani, prendendo diversi respiri, calmarsi e radunare tutta la sua lucidità per prendere bene la mira. Prese una freccia dalla faretra che tratteneva ancora Asiling e puntò uno dei lupi, quello più vicino al volto di Zallen. Era ancora fermo e sospeso nell'aria, a un metro di distanza dal mago, e sembrava che lo stesse maledicendo con lo sguardo.
Stava per scoccare la freccia. Le mani gli tremavano leggermente. La tisana che aveva bevuto era ancora in circolo nel suo corpo e lo destabilizzava, se i bersagli non fossero stati immobili non era certo che sarebbe riuscito a colpirli nel loro unico punto debole: il collo.
«Grifar spostati!» urlò Sioban, a destra dalla sua traiettoria di tiro. Rian modificò il suo bersaglio.
Un lupo aveva preso la rincorsa e saltato il muro di fiamme del mago. La pelliccia aveva preso fuoco, ma l'animale non sembrò curarsene. Grifar si era piegato a terra e sbattendo le mani fra loro aveva fatto nascere delle lame di fuoco che avevano fatto indietreggiare il lupo da lui.
Rian li vide distintamente; marchi dal contorno arancione, che si accendevano e si spegnevano sui dorsi delle mani del mago, mentre si difendeva.
Il lupo rivolse uno sguardo pieno d'odio a Zallen che tratteneva sospesi i suoi compagni di branco, balzò di nuovo pronto ad azzannargli la testa con un solo morso e fu allora che Rian lasciò scoccò il suo colpo. La freccia schizzò via dal suo arco, sibilando nell'aria.
Qualcuno urlò mentre colpiva il lupo in pieno, accanto al collo e lo faceva barcollare di lato, distraendolo appena in tempo perché Zallen potesse sollevarlo da terra grazie al suo controllo della gravità.
Rian incoccò un'altra freccia e la piazzò ancora più vicina al collo del lupo. Poi un'altra e un'altra ancora, fino a terminarle tutte e colpire ogni animale trattenuto dall'incantesimo del mago.
Il lupo oltre la cortina di fuoco fuggì per non cadere nella stessa fine del branco e Rian non aveva più frecce per colpirlo, quindi lo lasciò andare mentre tutti lo fissavano sparire oltre la collina.
Solo quando fu convinto che non potessero più nuocere a nessuno, Zallen li lasciò andare, distendendoli a terra con dei tonfi, come farebbe un bambino con i suoi soldatini alla fine di un gioco.
«Come hanno fatto ad arrivare fin qui?» chiese Rian, avvicinandosi alle carcasse che aveva ucciso, per estrarre le frecce; possedeva solo quelle munizioni e di certo non le avrebbe lasciate lì.
Sentì il cuore leggero, un nodo che si scioglieva all'improvviso. La magia della tisana raddoppiò il suo sollievo in quel momento, anche se le sue gambe tremavano ancora mentre estraeva un'altra freccia da un corpo ancora caldo. Sembravano piccoli aghi in confronto alla stazza di quegli animali, eppure lui sapeva dove colpire. Dopotutto se vuoi essere un cacciatore devi conoscere i punti deboli di ogni tuo possibile nemico.
«Non lo so» rispose l'uomo: «Ma ci hai salvato la vita».
A quelle parole Rian s'irrigidì, ma Zallen si alzò da terra e cominciò a dargli una mano a recuperare le sue frecce. Assomigliava a un ringraziamento, anche se lo aveva detto a stento e Rian non riusciva a crederci; aveva salvato la vita ad un gruppo di maghi, usando soltanto qualche freccia, Nedera non ci avrebbe mai creduto. Nessuno gli avrebbe mai creduto.
«Non possiamo fare del male con la magia, nemmeno per difenderci, non finché siamo fuori dal nostro regno. Abbiamo fatto un giuramento» gli spiegò il mago, mentre si asciugava una striscia di sudore dalla fronte.
Rian annuì, ormai lo aveva capito, anche se gli parve strano che un sovrano fosse così potente da sapere se qualche suo suddito infrangeva un patto. Avrebbe dovuto avere mille occhi che gli permettessero di guardare al di là delle terre più lontane e non aveva mai sentito di abilità del genere nemmeno nelle storie popolari.
«Cosa ne facciamo dei corpi adesso?» chiese Grifar, guardandoli con disgusto e spingendo con la punta della scarpa il zampa di uno dei lupi, come a controllare che davvero avesse esalato il suo ultimo respiro.
La bava del lupo imbrattava l'erba, colando dalla lingua rossa che sormontava i denti e gli occhi ormai vitrei fissavano verso l'alto, come se il tempo si fosse bloccato in quell'istante. Aveva un ghigno quasi umano sul muso.
Senza nemmeno aspettare una risposta, Sioban disse a tutti di allontanarsi e li fece sprofondare nella terra che poi si riposò sopra di loro, come se fosse una coperta che li aveva appena fagocitati per celarli in modo perfetto nel sottosuolo. Anche sul dorso delle sue mani si illuminarono degli strani simboli, ma di colore verde chiaro.
«Che possano essere un buon concime per questa terra» augurò la donna ai lupi, aggrottando le sopracciglia: «E ora andiamocene, prima che il lupo che si è dileguato decida di chiamare altri rinforzi e assalirci di nuovo».
Quella possibilità non piacque a nessuno e si mossero in direzione del carro al centro della conca, dove le gemelle erano rimaste a osservare l'agguato ed evitare che la giumenta scappasse per lo spavento assieme alle loro scorte di cibo.
Ora che l'adrenalina era passata, Rian cominciava a risentire gli arti molli e deboli e si fece forza per tenere un passo spedito come gli altri.
«Secondo me siamo solo finiti per errore nel mezzo della loro colazione» convenne Nehon.
Ma Rian scosse la testa: «Erano di Thanlos, non dovrebbero essere qui, oltre le Montagne Brune. La maledizione a quanto ne so vale anche per gli animali».
«Allora forse comincia ad avere qualche falla o forse qualcuno sta cercando di romperla» intervenne Aisling, passando la faretra a Rian perché potesse depositarci le frecce sporche.
«Già, ma chi sarebbe questo qualcuno? E per quale motivo?» le chiese, trattenendo l'ennesimo sbadiglio.
La maga lo prese sottobraccio. «Ci penserai dopo, piccolo eroe» gli sussurrò gentile: «Ora torna a riposare».
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