Capitolo 6
Rian non aveva mai immaginato come sarebbe morto. Del resto solo un pazzo ci penserebbe, specialmente se si ha ancora molto da vivere.
Si sentiva piuttosto stupido. Era stato come cadere in un crepaccio perché non si è stati abbastanza attenti da evitarlo.
Aveva sporto le mani appena in tempo, davanti alla faccia, per evitare di sbattere il naso a terra; riusciva a sentire la neve ghiacciata attraverso la lana dei guanti, sotto le dita lasciate scoperte dal tessuto.
Tremava. Nel suo cuore paura e stupore si mescolavano come belve feroci, inseguendosi in una corsa convulsa. Il suo cuore batteva così forte, tanto da fargli pensare che potesse fuoriuscirgli dal petto e spiaccicarsi sotto il peso del guscio vuoto del suo corpo, creando una pozza cremisi, macchiando la neve sotto di sé, come un fiore che sboccia in primavera.
Strinse la neve fino a farsi male, il gelo penetrò dentro ai suoi palmi; aspettando di dissolversi, come narravano le leggende. La punizione per aver sfidato la maledizione di Thanlos. Pregò qualche dio dimenticato e nella sua testa vide tutti i suoi istanti scorrergli davanti per ripercorrersi nel buio in cui costringeva i suoi occhi.
Ripensò a Fenycia, sua madre, a quanto l'avrebbe delusa quando avrebbe saputo che era morto in quel modo. Si scusò per averla lasciata sola, sperando che quel pensiero potesse raggiungere la taverna in riva al mare.
La cicatrice sul volto gli pulsava, creando un duplicato del ritmo del suo cuore. Il fiato caldo gli riempiva i polmoni ma era tentato di trattenerlo, per aggrapparsi a una piccola speranza di salvezza, pur di poter acquisire ancora un ultimo e patetico istante prima di dispersi per sempre.
Si maledì per essere caduto nella trappola della nebbia nera, per essersi avvicinato così tanto al pericolo e maledì anche Grifar per averlo spinto.
Pensava che morendo l'anima si staccasse dal corpo, lasciandolo marcire a terra, e che si sarebbe sentito leggero come il vento, come un ricciolo di piuma, ma sopportava ancora il peso dei suoi arti, il contatto con il terreno ghiacciato.
Il suono del suo cuore ancora rimbombava sulle costole e nelle sue orecchie, assomigliando molto al ritmo delle onde del mare. Un mare in tempesta.
«Ma hai le gambe fatte di burro!» esclamò la voce di Grifar. La sentiva sopra di sé, chiara e netta.
Qualcuno lo rimproverò, gridando qualcosa da lontano.
«Perdonami amico» aggiunse e percepì il rumore delle sue scarpe avvicinarsi al suo corpo, schiacciare la neve e fermarsi accanto a lui.
Provò a muovere le mani. Si sentiva confuso. Le sue dita affondarono leggermente nella neve, raccogliendone di nuovo dei mucchietti sotto i palmi.
«Non pensavo che saresti caduto come una pera cotta, ma ora alzati che mi fai fare una pessima figura» gli stava sussurrando il prestigiatore. Lo toccò sulla spalla, afferrandolo, e Rian s'irrigidì immediatamente percependo le dita del ragazzo sulla casacca in pelle.
«Non... Non sono morto?» farfugliò contro il terreno, a voce bassissima. Aveva paura di rialzarsi. Forse la maledizione era soltanto in ritardo.
«Mi stai facendo spaventare» gli rispose Grifar, che non aveva capito cosa Rian avesse detto. «Forza alzati!».
Rian espirò l'aria dai suoi polmoni e accettò l'aiuto di Grifar per rimettersi in piedi. Le gambe gli tremavano e reggendosi a lui si ritrovò a guardare accigliato il muro di nebbia che aveva oltrepassato.
In quel momento lo stavano varcando anche la giumenta e il carro al suo seguito. Spuntarono tra le nubi come una sorta di miraggio; gli sembrava di sognare.
«Non capisco, dovrei essere polvere a quest'ora» constatò e le sue mani vagarono sul suo corpo per accertarsi di essere veramente lì.
«Che stai dicendo? Sei ubriaco?» Grifar gli rifilò un'occhiata storta e lo lasciò andare.
«Non capisci!» protestò Rian, alzando la voce, sentendosi invincibile: «Ho superato il confine!».
Si tappò immediatamente la bocca con entrambi i guanti bagnati. Aveva paura. Una paura folle. Si morse l'interno della guancia. Chiuse gli occhi e li riaprì una decina di volte. Si guardò attorno per vedere una prateria segnata da una spolverata di neve luccicante a causa dei raggi del sole. Non stava sognando. Aveva superato il confine ed era ancora vivo.
Il sole.
Non aveva mai avvertito il calore dei suoi raggi, non così intensamente. Cercò quel disco luminoso tra le nuvole, ma ne rimase abbagliato e dovette schermarsi gli occhi con le mani.
Voleva gridare di gioia. I colori non erano mai stati così vividi. Fece una sorta di piroetta per ammirare il resto del paesaggio. Era come se qualcuno avesse tolto un velo grigio dai suoi occhi che offuscava ogni cosa.
Il verde era così intenso, il bianco non appariva più sporco, il blu era così magnetico.
«Tu... Sei... Matto!» esclamò Grifar a un palmo dal suo naso, scandendo divertito ogni parola. Gli sventolò una mano davanti al volto. «Quante sono queste?» domandò riferendosi alle sue dita.
Zallen si avvicinò a loro. Era sorpreso, anche lui poteva vedere il velo nero come Rian e si era preoccupato quando ci era caduto attraverso. «Ragazzo sei sicuro di essere nato a Thanlos?» gli chiese come se non credesse ai suoi occhi.
«Ne sono sicuro» rispose convinto. Fenycia gli aveva raccontato la storia della sua nascita in quella piccola stanza della locanda. Gli aveva detto di quanto il parto era stato doloroso e di quanta paura avesse avuto, perché in quel momento suo padre non era con lei ed era sola. Ma se l'era cavata, come sempre. «Anche se mia madre non è originaria del posto» disse d'un soffio, cercando una spiegazione che probabilmente si domandava anche Zallen.
«Allora forse non sei stato concepito in quel villaggio, quindi puoi superare il confine» s'intromise Nehon dall'alto del carro. Tutti gettarono lo sguardo verso di lui che alzò le spalle raddrizzandosi sullo schienale di legno: «Che c'è? I dettagli sono importanti. Specialmente in una maledizione».
Rian si portò una mano al petto, il cuore gli doleva adesso. Perché sua madre non gliene aveva parlato? Forse aveva paura che potesse fuggire e dimenticarsi di lei? Abbandonarla come aveva fatto il suo sconosciuto padre?
«Il mio invito per Agna è ancora valido» gli disse Grifar, scacciando tutta quella conversazione con la mano, come se una mosca immaginaria gli stesse dando fastidio. I suoi occhi dorati incontrarono quelli azzurri di Zallen che annuì.
Ma Rian scosse la testa, tornando alla realtà, al presente crudele: «Non posso lasciare mia madre».
«Non preoccuparti» lo rassicurò il domatore di fuoco, sorridendo: «Nehon può avvertirla in un sogno così non si preoccuperà per la tua assen... Ahi!». Zallen gli aveva mollato uno scappellotto dietro la testa per farlo tacere.
«C'è né era bisogno?» protestò Grifar, facendo un balzo lontano dall'uomo, massaggiandosi la nuca. «Non è mica stupido, si è accorto di cosa ha fatto Ais alla bufera».
La ragazza incrociò immediatamente lo sguardo di Rian. Gli sorrise, mentre si intrecciava una ciocca di capelli al dito e distendeva l'altro braccio intorpidito dalla posizione rigida che aveva mantenuto durante gli ultimi metri di attraversata della valle.
«Se viene con noi ci possiamo assicurare che terrà la bocca chiusa, sempre se venisse a conoscenza di qualche nostro segreto» Grifar continuò imperterrito ad avanzare la sua tesi.
Rian indietreggiò verso il muro di nebbia, mentre la realtà lo investiva di nuovo. «Voi siete dei maghi» commentò a denti stretti.
«Non abbiamo intenzione di farti del male» gli disse Zallen, mostrandogli i palmi: «Sempre se terrai fede alla promessa che mi hai fatto».
«Vieni con noi Rian. Ti divertirai, te lo assicuro» tentò di convincerlo Grifar, ignorando le sfumature di terrore negli occhi del ragazzo.
«Perché ci siamo fermati? Di che cosa state confabulando?» intervenne Sioban, sbucando con la testa dal retro del carro, attirando l'attenzione.
Zallen aggrottò le sopracciglia scure. «Sioban ha ragione, stiamo perdendo tempo. Vuoi venire con noi, Rian? Non sei obbligato, ma stavo pensando che al ritorno dovremmo passare di nuovo per Thanlos e la tua presenza ci potrebbe tornare nuovamente utile» domandò più risoluto, come se si aspettasse soltanto un sì o un no.
Il ragazzo si picchiettò le dita sul mento, ancora incredulo per tutto quello che gli stava succedendo. Si sentiva così leggero. Guardò di nuovo la coltre nera dietro di lui e il solo pensiero di doverci tornare lo rattristò.
Si stava sentendo libero per la prima volta nella sua vita ed era una sensazione a cui non avrebbe rinunciato tanto facilmente.
Osservò attentamente prima Grifar e poi Zallen, se avessero voluto fargli del male lo avrebbero già fatto.
«Potete davvero avvisare mia madre?» domandò incerto.
Grifar annuì: «Certo, ci penserà Nehon. Non ti preoccupare».
Rian non sapeva se poteva fidarsi di loro, ma la voglia di assaporare quella libertà e vedere almeno la capitale del regno in cui era cresciuto gli ardeva dentro e lo stava consumando. Le parole di Grifar suonarono come un nuovo patto e lui voleva soltanto accettare.
Zallen si grattò il fantasma dei baffi, come se gli avesse letto nel pensiero: «Potrebbe essere una buona occasione per visitare qualche posto fuori dalla tua valle».
Il ragazzo si portò una mano al cuore. Tutte quelle parole non gli servivano, dentro di sé aveva già deciso che cosa scegliere e il suo istinto gli suggeriva che non era una decisione sbagliata. «Abbiamo un nuovo accordo» sentenziò, facendo comparire un sorriso sulle labbra di Zallen.
Gli porse la mano e Rian la strinse.
Grifar stava trattenendo la sua gioia, ma rimettendosi in marcia posò un braccio attorno alle spalle di Rian e lo costrinse a camminare lontano dal muro di nebbia. «Vedrai, ci sarà da divertirsi ad Agna. Sai per cosa è famosa? Non solo per i reali, ma anche per le bellissime donzelle che la popolano».
Il mago del fuoco gli fece un occhiolino e Rian si sentì a disagio. Il suo intento non era quello di fare baldoria ma di vedere finalmente uno scorcio di mondo e di godersi quella libertà il più possibile.
Nehon spronò l'animale e il carro ripartì. Le ruote scricchiolarono sul terreno, mentre si rimettevano tutti quanti in cammino.
Grifar aveva continuato a parlargli ma Rian non riusciva a decifrare nemmeno una parola di ciò che gli stava dicendo. Riusciva a sentire soltanto una nuova felicità farsi strada nel suo animo man mano che aggiungeva distanza tra sé stesso e il muro di Thanlos.
Aisling era scesa dal carro per sgranchirsi le gambe e li affiancò come aveva fatto nel bosco.
«Non dare retta a Grifar se ti da noia» imitò la voce del mago e quello che aveva detto durante il viaggio su di lei. Rian l'aveva già presa in parola.
Grifar le fece una linguaccia in risposta.
In quel momento Rian non voleva essere diffidente. Voleva lasciar perdere tutte le congetture che da anni si tramandavano sul conto dei maghi a Thanlos e divertirsi in quel viaggio. Il suo primo vero viaggio.
Tossicchiò come se gli fosse andata di traverso della saliva e poi chiese ad Aisling: «Ti ha fatto male?» le indicò le braccia. Lei si stava massaggiando i polsi.
Scosse la testa. Sulle sue guance era comparso un lieve rossore. «No, è stato solo un po' stancante, ma me la cavo bene direi». Sorrise sincera e non faceva paura.
«Quello non è niente» sbuffò Grifar infastidito.
«Allora la prossima volta la tempesta la fermerai tu».
Cominciarono a battibeccare di nuovo e Rian sorrise tra sé e sé. Stava già viaggiando con l'immaginazione. Non era mai stato a una vera festa. A Thanlos si festeggiava il solstizio d'estate ma non c'erano danze, né banchetti, né giovani donzelle in cerca d'amore. Si stava tutto il giorno nei campi e i più giovani aiutavano gli anziani a raccogliere le verdure.
Si sentiva eccitato solo all'idea di assistere allo spettacolo dei maghi, di vedere anche solo da lontano il re e di gironzolare per le strade della capitale.
Si bloccò incantato a fissare il cielo che si scuriva. Il sole stava sparendo all'orizzonte dietro le numerose colline che costeggiavano il fiordo. Strisce cremisi si fondevano ad altre color rosa scuro e verde acqua, creando uno spettacolo nel cielo che non aveva mai visto. Il cielo stesso era una trapunta bluastra drappeggiata da puntini luminosi. Dovevano essere le stelle. Erano sempre presenti nei racconti di sua madre, i marinai le usavano per orientarsi navigando per le acque scure dell'oceano.
Rimase a fissarle, contemplandole, stupendosi della loro magnificenza, mentre il suo cuore batteva forte. Provò a contarle, ma erano così tante. Nessun racconto di sua madre rendeva loro un'adeguata giustizia. Erano molto più belle di quanto avesse immaginato da bambino.
«Hai la faccia di qualcuno che se l'è fatta nei pantaloni» lo prese in giro Grifar, gongolando.
Lo ignorò.
Non si era nemmeno reso conto che avevano camminato per quelle colline tutto il giorno, perso come era a imprimersi ogni colore e sfumatura nella memoria. La neve ormai aveva lasciato spazio all'erba, come se fosse inverno soltanto a Thanlos o laggiù l'aria fosse più mite. Aveva i palmi completamente sudati. Si tolse i guanti e li ripose nella sua sacca da viaggio, mentre Grifar si preparava a dirgli qualcos'altro a cui non avrebbe dato peso.
Aisling tirò una gomitata nel fianco al mago che gli fece chiudere la bocca: «Sii gentile. Probabilmente Rian non ha mai visto un tramonto in vita sua».
Era quella la verità. Quello era il suo primo tramonto, per lui il cielo era sempre stato un grigio inespugnabile.
Il ragazzo scosse la testa. Si sentiva un bambino che nasce per la prima volta e scopre quanta bellezza ci sia intorno a lui.
«Mi dispiace» si vergognò della reazione che non aveva saputo contenere.
«Esattamente per che cosa ti stai scusando?» gli domandò invece Aisling, fissando il carro che si allontanava dal punto in cui si erano fermati.
Zallen si voltò a chiamarli con un gesto e disse loro di non rimanere indietro. Una delle due gemelle ne approfittò per raccogliere delle erbe più scure, che ricoprivano la collina.
La notte stava calando su di loro. L'uomo senza scarpe disse che l'indomani avrebbero finalmente raggiunto Agna e che per fortuna non erano troppo in ritardo per il compleanno del principe.
Con il tessuto che copriva il carro le gemelle crearono una tenda abbastanza grande da permettere a tutti di riposare al suo interno.
Rian si meravigliò anche di quello. Avevano soltanto sbattuto il tessuto prendendolo un lembo ciascuna e quello si era allungato ed era rimasto sospeso per aria, creando una sorta di casa con tre pareti e un tetto a forma di cupola.
Forse per quello viaggiavano con due semplici sacchi di cibo e un carro.
Accesero un fuoco e cenarono parlando dello spettacolo che si prestavano a inscenare l'indomani per il principe. Decidendo i turni e le esibizioni e come allestire il palco. Rian li ascoltava in silenzio, ma a un certo punto non riuscì più a trattenersi.
«Mi chiedevo...» interruppe Sioban che stava parlando di una strana edera color corallo, che a quanto pare era capace di farti respirare sott'acqua: «Avete tutte queste manie di tenere la magia segreta» ripensò alla promessa che aveva stipulato con Zallen: «Ma lì, ad Agna, sul palco tutti sapranno che siete dei maghi. Lo vedranno con i loro occhi» rifletteva sulle esibizioni che ognuno di loro aveva proposto.
«Abbiamo un mandato speciale per farlo» rispose d'impeto Zallen, stupendo tutti i membri della compagnia: «Il nostro sovrano e re Farron sono alleati, la magia nel tuo regno è proibita e per questo attira il pubblico. La moglie del re, la regina di Far, proviene dalla nostra terra. Sono accordi politici complicati, ti annoieresti se ti spiegassimo tutta la storia» concluse pragmatico.
In realtà Rian voleva saperlo, ma non osò chiedere altro.
«Non dovevamo dare nell'occhio durante il tragitto, questo era il piano. Per evitare...» cercò la parola direttamente nel cielo, tra le stelle: «Complicanze spiacevoli. Per cui spero che ti ricorderai del nostro patto e non dirai nulla, nemmeno una volta tornato a casa».
Non era una vera spiegazione, ma si trovò soltanto ad annuire, capendo che probabilmente nessuno di loro voleva o poteva dirgli altro.
Quello che lo aveva colpito era la notizia che la regina fosse una maga. Forse un altro dono da parte di quel sovrano senza nome, alleato con il regno di Far. Era una notizia che non aveva mai sentito e probabilmente nessuno a Thanlos lo sapeva. Si rese conto con dispiacere di quanto il suo villaggio fosse così tagliato fuori dal resto del regno, tanto da non sapere nemmeno che cosa vi succedeva.
Dopo cena designarono i turni di guardia. Rian si offrì per il primo turno insieme a Nehon, pensando che probabilmente nemmeno lui quella notte avrebbe chiuso occhio.
Si ritrovò a osservare i cerchi scuri che gli incupivano il volto, mentre era seduto accanto a lui. Punzecchiava la cenere del fuoco con un ramoscello e ogni tanto abbassava le palpebre come se volesse addormentarsi. Rian voleva soltanto dirgli di farlo, di andare a riposarsi, ma aveva la sensazione che dicendoglielo lo avrebbe soltanto infastidito.
«Secondo me, tua madre avrebbe dovuto dirtelo» gli bisbigliò pianissimo per non svegliare gli altri che si erano addormentati al riparo nella tenda magica.
«Che cosa?» chiese Rian, stupito dal suono della sua stessa voce.
«Che potevi superare il muro e andartene dove volevi. Sicuramente ne era al corrente».
Rian aveva voglia di chiedergli se l'avesse già avvisata di quanto era accaduto, ma aveva paura di mancargli di rispetto. Dopotutto lui avrebbe già dovuto essere di ritorno alla taverna, a dormire nel suo letto e invece era lì.
«Forse aveva paura» rispose invece, cercando una giustificazione per quell'omissione.
«Tsz» sibilò: «La paura è una cosa da... Umani».
Rian rimase di stucco a quella parola. Il mago del buio l'aveva pronunciata con un tono aspro, come se lui fosse un essere superiore. Il cuore gli palpitò nel petto, ricordandogli che loro erano pur sempre dei maghi e potevano fargli qualunque cosa. Avrebbe dovuto tenere sempre gli occhi aperti e stare all'erta e non pensare alla magia come un semplice divertimento, ma come un'arma.
Cercò di ignorare quei pensieri e rilassarsi, visto che ormai aveva deciso di viaggiare con loro. «Tu non hai paura di nulla?» gli domandò, decidendo di sfidarlo.
«No, proprio di nulla, e tu?» rispose lui convinto, fissandosi le dita nella controluce del falò.
Rian ci pensò ma decise di non rispondergli, perché la risposta implicava qualcosa che non gli piaceva. Sì, lui aveva paura di tante cose. Lui era e sarebbe rimasto soltanto un semplice umano al confronto di quella carovana di artisti. Sarebbe stato sempre inferiore e indifeso rispetto a loro, anche se li aveva aiutati.
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