Capitolo 5

Finora Grifar non aveva detto nulla che Rian non sapesse già. Assomigliavano molto alle informazioni che aveva raccolto Nedera, ma si accorse che per poco non ingoiò il pane che stava masticando, quando udì la sua richiesta.

«Purtroppo non è possibile» gli rispose accigliato: «Per prima cosa ci vuole molto tempo. Parlare alle fiamme è un'arte e va perfezionata ogni giorno e poi il fuoco è come un ardente maschio che si lascia sedurre soltanto dalle donne più belle».

Gli fece un occhiolino prima di tornare a guardare davanti a sé.

Rian inarcò le sopracciglia, sospettoso. «Ma tu non sei una donna» sottolineò al ragazzo biondo.

«Sì, ma io rappresento un'eccezione» rispose e finì il suo pasto con un ultimo boccone. «Anzi, modestamente io sono l'unica eccezione» si vantò, scostandosi dietro l'orecchio un ciuffo dorato che gli ricadeva appena sopra la spalla.

Rian scosse la testa, capendo che Grifar non gli avrebbe rivelato nessuno dei suoi trucchetti, nonostante avesse detto a Nedera che era disposto a insegnarle qualcosa se lo avesse voluto. Forse la usava soltanto come tattica per far invaghire le ragazze, e se avesse insistito si sarebbe sbottonato di più, ma decise allo stesso tempo di lasciar perdere per il momento.

Lo aveva visto soltanto soffiare sul ramo per accendere la torcia che aveva fatto loro da luce attraverso l'oscurità di quella grotta. Continuava a chiedersi, dopo i discorsi strani che quei prestigiatori facevano tra di loro, se Nedera davvero avesse avuto ragione. Forse non c'era proprio nessun trucco. Forse erano maghi, ma il solo pensiero lo agitava.

«E gli altri che cosa sanno fare?» domandò Rian sempre più curioso.

Grifar indicò le gemelle che davano loro le spalle: «Cornelia e Camelia sanno trasformarsi in qualunque cosa, ovviamente sono finti travestimenti, ma loro sono molto realistiche». Prima che Rian potesse fare altre domande continuò il suo racconto: «Nehon non dorme mai, l'ho visto raramente chiudere gli occhi. Lui è un maestro di ombre. I suoi spettacoli piacciono tantissimo ai bambini, anche se lui incute un certo timore».

Il suo dito si spostò sulla donna slanciata e sorrise. «Sioban ha il pollice verde. Dalle un seme e farà crescere qualsiasi pianta alla velocità della luce. Zallen, suo fratello, invece credo che sia l'unico uomo sulla faccia della terra che sa levitare e la simpaticissima Aisling» completò ironico, ma poi fece una pausa come se stesse scegliendo le parole da dire. «Ha condotto gli stessi miei studi, però sul vento. Sa danzare a diverse altezze sospesa su dei nastri, usando l'aerodinamica dell'aria».

«Deve essere molto bello da vedere» dedusse Rian, immaginandosi quelle persone sfoggiare le loro abilità in mezzo alla folla. Non aveva mai assistito a uno spettacolo simile. Si domandò se davvero esistevano trucchi in grado di dare la possibilità alle persone di fare cose del genere, oppure era semplicemente magia. Se lo chiese più volte, sperando che davvero fossero dei semplici acrobati da circo.

Forse usavano qualcosa di illegale, ma a quel punto non li avrebbero mai fatti entrare al palazzo del re e poi non gli era parso che Grifar avesse utilizzato un marchingegno per il suo fuoco.

Nessuna delle opzioni aveva senso.

«Se vuoi venire ad Agna con noi non credo a Zallen dispiacerà».

Rian volse lo sguardo verso i suoi stivali, visibilmente dispiaciuto dalla piega che aveva assunto il loro discorso. Si rannicchiò con le braccia appoggiate alle ginocchia. «Mi piacerebbe ma io non posso venire con voi».

«Perché?» gli domandò con la voce incrinata dalla curiosità.

«Non conoscete la maledizione di Thanlos?» gli rispose Rian accarezzando i nodi del braccialetto di Nedera.

Grifar si strinse nelle spalle: «Non sono mai stato in questo postaccio prima d'ora. Quindi suppongo di no».

«Beh» Rian deglutì prima di sputare il suo triste destino. Descriverlo a parole lo rendeva reale, lo rendeva così vivido e lui se ne vergognava. Era come se fosse un criminale dentro una prigione. Era così che si sentiva se ci pensava. «Gli abitanti del villaggio muoiono se superano il confine, a causa di una magia che ci tiene imprigionati nella valle».

Grifar rispose sorridendo e avvicinando di nuovo il volto alla sua spalla. «Ti svelo un segreto» stava sussurrando: «Ogni magia può essere slegata. Se ne trovi il punto debole puoi facilmente contrastarla».

«Quindi una secchiata di semplice acqua può rompere un cerchio del tuo fuoco?» gli domandò Rian afferrando il senso di quelle timide rivelazioni, cariche di speranza. Ma Grifar gli lanciò un'occhiata contrariata, come se stesse esplorando un terreno proibito. Così il ragazzo modificò la sua domanda: «Conosci la magia?».

«Forse ne ho sentito parlare» rispose, sempre mormorando, con una scrollata di spalle. «E prima che tu mi faccia le stesse domande della tua amica, non posso dirti da dove veniamo, si tratta di salvaguardare la nostra incolumità» si giustificò, allontanandosi per accoccolare la nuca contro la parete della grotta.

«Capisco» chiuse la discussione Rian, riflettendo. Se quel prestigiatore non gli aveva detto una bugia allora forse esisteva una via di fuga da Thanlos, per lui e per tutti gli altri abitanti del villaggio.

La magia può essere slegata. Si ripeté. C'è un punto debole.

«E comunque» Grifar riaprì il discorso, ma si bloccò di colpo. Zallen era comparso all'entrata della sala sotterranea.

«Mangiate qualcosa. Ho paura che dovremo restare qui per molto tempo» stava dicendo a tutti, che lo fissavano e si erano zittiti improvvisamente. Sembrava molto stanco e si spazzolava i capelli con il palmo della mano. «Aisling, appena il vento ci darà un po' di tregua, vorrei che creassi uno scudo per permetterci di...» si fermò e i suoi occhi azzurri si spostarono su Rian, seduto accanto a Grifar. Sospirò frustrato. 

«Rian puoi venire un attimo con me?» gli chiese, facendogli segno di alzarsi.

«Vai» gli sussurrò Grifar mentre Rian si tirava in piedi, posando i palmi a terra per fare leva con il suo peso. «E non farlo arrabbiare».

Il ragazzo lo raggiunse dall'altra parte della stanza naturale. Il cuore gli batteva forte e sentiva caldo, anche se erano lontani dal falò al centro della grotta. 

Zallen lo condusse lontano dagli sguardi degli altri membri della compagnia. Gli posò le grandi mani sulle spalle. Dentro ai suoi occhi sembrava agitarsi l'oceano e Rian ricordò l'odore salmastro dell'aria davanti alla taverna.

«Se vedrai qualcosa che ti sembra strano» cominciò: «Ho bisogno che tu mantenga il segreto. Senza farne parola con nessuno, hai capito?».

Rian deglutì. Avrebbe voluto domandargli per quale motivo erano così riservati, come se fossero ricercati in fuga, ma rispose soltanto: «Ho capito».

Zallen si rilassò visibilmente. «Grazie. Per me è già stato difficile coinvolgerti. Ma ci serviva un aiuto per superare la nebbia, altrimenti non arriveremo mai in tempo per la festa del principe e io non voglio pagarne le conseguenze». Il ragazzo capì che quel viaggio era un fardello per l'uomo che ne avrebbe fatto volentieri a meno. Nei suoi occhi si poteva leggere tutta la tristezza che provava in quel momento. Forse non gli piaceva eseguire gli ordini del suo sovrano? Forse non gli piaceva fare la parte del burattino che animava le feste.

Strinse la presa sulle sue spalle così forte, che Rian trattenne il respiro. «Ho la tua parola, Rian? Non lo racconterai a nessuno?».

Rian pensò a Nedera, alla delusione che le avrebbe procurato se le avesse mentito e detto che il viaggio era stata una normale traversata del bosco e che loro non erano niente altro che artisti molto abili, come gli aveva rivelato prima Grifar. Ma d'altronde sua madre gli aveva insegnato l'importanza delle promesse ed era chiaro come il sole che Zallen non si aspettava un rifiuto.

«Hai la mia parola» promise e poi trovò il coraggio di porgli una domanda: «Ma esattamente che cosa intendi per "strano"?».

«Penso che tu lo sappia già» rispose soltanto, mollando la presa per girare i tacchi e tornarsene verso l'ingresso del corridoio, ostruito in parte dal carro.

Avrebbero provato a sfidare quella tempesta improvvisa e Aisling, la studiosa del vento, avrebbe fatto qualcosa per tenerli al sicuro o per permettergli di passarci attraverso. Quindi la sua abilità non terminava nel danzare sospesa tra nastri di stoffa colorata che scendevano dal soffitto, così come l'abilità di Grifar non consisteva solo nel creare uccellini di fuoco. Se potevano piegare il fuoco e sfidare il vento, sicuramente ci riuscivano grazie alla magia. Un conto era che conoscessero le leggende sulla magia, tutt'altre maniche che la praticassero loro stessi.

«Sono dei maghi» sussurrò a sé stesso per convincersene: «Dei maghi che vengono da Gwarak, molto probabilmente». Fino ad ora non ci aveva voluto credere, anche se Nedera lo aveva avvertito della possibilità.

Sua madre gli aveva raccontato diverse storie, abbastanza dettagliate da fargli capire che il mondo era vasto, molto più grande dei confini del regno di Far. Quindi forse c'erano altri luoghi, altri villaggi, dove riuscivano a utilizzare la magia, ma lui riusciva a pensare soltanto a quel posto terribile custodito tra le montagne del Nord; perché non ne conosceva altri.

Se aveva ragione e provenivano da lì, allora quel regno era reale. Un brivido gli percorse la schiena.

I maghi possono ucciderti con uno sguardo, possono frantumarsi le ossa con una parola.

Per la prima volta da quando era partito con loro si sentì braccato. Guardò Zallen sorvegliare l'unico accesso della grotta e poi le lame di luce che si riflettevano sulle pareti dall'altro lato del corridoio.

Nessuno di loro però sembrava intenzionato a fargli del male. Eppure ora che sapeva che questa ipotesi poteva essere vera, non riusciva più a sentirsi calmo e tranquillo al loro fianco.

Gli tornarono in mente le parole ubriache del vecchio Heil. Aveva detto che esistevano molteplici verità. Si fece forza e decise che avrebbe voluto guardare quella che si era prefissato quando si era alzato dal letto, quella mattina, prima di prendere l'arco e le frecce.

Li avrebbe scortati fino al confine e poi sarebbe tornato a casa.

Un paio di frecce non avrebbero potuto difenderlo se avessero deciso di attaccarlo, con i loro poteri riuscivano a fare qualsiasi cosa. Gli era capitato di assistere all'opera di qualche oggetto illegale ogni tanto: forbici capaci di produrre seta dal nulla, occhi finti fatti da biglie di vetro che ti permettevano di guardare dietro la testa, anelli capaci di non farti sentire il freddo e maschere di legno che riuscivano a modificarti il timbro della voce.

Tutti gli incantamenti erano proibiti e punibili secondo la legge che governava il regno di Far. Non era permesso utilizzare la magia al suo interno, non senza il consenso del re. Per questo gli oggetti illegali costavano tanto. Si diceva che solo i mercenari più coraggiosi riuscissero a sottrarli a quella feccia dei maghi e se venivi scoperto a usarli la pena era la morte.

Non osava immaginare che cosa poteva fare un mago vero, invece di un semplice oggetto reso più appetibile dalla stregoneria.

Eppure quelle persone erano dirette ad allietare il compleanno del principe. L'unico figlio maschio di re Farron e suo possibile successore al trono, per cui non potevano essere dei nemici pericolosi, altrimenti il re non avrebbe mai permesso che si avvicinassero alla sua corte.

Sospirò per calmarsi e si diresse verso la sala interna della grotta. Rimase sorpreso nel vedere che ognuno dei membri di quel gruppo, compreso Grifar, stavano addentando una mela ciascuno. Le bucce rosse e succose brillavano nella luce tremolante, come se fossero la superficie screziata di un rubino.

Dodici occhi si fissarono su di lui e Rian pensò che sembrava proprio stessero facendo un qualche arcano rituale con quei frutti.

«Dove...» farfugliò imbarazzato: «Dove avete preso le mele?».

Grifar gli indicò uno dei due sacchi appoggiati alla parete di roccia, come se la risposta fosse abbastanza esaustiva con quel semplice gesto. Aveva una guancia gonfia e al suo frutto mancava un generoso morso.

Era pieno inverno. Gli alberi erano spogli e non carichi di frutti, ma forse nel luogo da cui provenivano c'era una stagione diversa in corso o forse conoscevano un modo per conservare i frutti senza che marcissero.

Rian non si rese nemmeno conto di essersi inginocchiato accanto ad Aisling, finché lei gli parlò.

«Ne vuoi una anche tu?» gli propose, mostrandogli la sua mela ancora intatta, a qualche centimetro di distanza dal suo naso.

Ma il ragazzo scosse la testa nonostante fosse passato parecchio tempo da quando aveva addentato un frutto di qualsiasi tipo. Gli alberi non erano così prosperi lì a Thanlos.

Era già tutto così strano per lui. Le leggende descrivevano i maghi come creature malvagie e subdole, pronte a farti a pezzi o prendersi gioco di te, soltanto per puro divertimento. Li descrivevano come personaggi da evitare a qualunque costo, in grado di mentire e attirarti nelle loro trappole. Eppure loro non sembravano cattivi e non gli avevano ancora fatto del male, anzi, avevano chiesto il suo aiuto.

Con ancora la buccia della mela che lo invitava ad essere morsa, Rian si chiese se le leggende fossero tutte sbagliate, ma questo significava aver creduto a secoli e secoli di ignobili bugie su una stirpe invidiata e dimenticata.

Cercò di riposare, approfittando del riparo e del calore del fuoco di Grifar, finché Zallen radunò tutti quanti decidendo che era giunto il momento di rimettersi in marcia.

Strano non era il termine adatto a descrivere quello che vide per tutto il resto del viaggio. Nehon riposizionò la cavalla a trainare il carro. Sioban e le due gemelle salirono nella parte coperta. Aisling sedette accanto a Nehon davanti, mentre lui rimase con Grifar e Zallen accanto al carro.

Il vento soffiava ancora, ma almeno i fiocchi di neve avevano concesso una tregua, in modo tale da non aggiungersi alla nebbia come ostacolo per la visibilità.

Rian poteva percepire il gelo insinuarsi sotto i suoi vestiti e schiaffeggiargli la pelle, desiderando di poter tornare al sicuro nella grotta.

Notò a malapena il cenno che Zallen fece alla ragazza con i capelli rossi, ma vide perfettamente lei che allargava le braccia e chiudeva le palpebre, concentrandosi su qualcosa. La vide respirare lentamente, non infastidita dall'aria, finché i suoi lunghi capelli smisero di essere scompigliati dal vento.

Attorno a loro il vento cessò di soffiare all'istante, come se fosse bloccato da una barriera invisibile. Ma i rami degli alberi che continuavano a piegarsi poco lontano, suggerirono a Rian che Aisling non aveva fermato la tempesta, ma creato un riparo dal vento gelido che permetteva al gruppo di procedere con il viaggio e che si spostava con loro.

Anche se la nuova neve caduta li rallentava e aveva cancellato le loro impronte, Rian riusciva lo stesso a capire dove andare. Un istinto che aveva dentro di sé lo guidava, come un pastore con il suo gregge e lui lo seguiva ostinato; fino ad ora non lo aveva mai tradito.

Durante il cammino si sorprese più volte a guardare la maga dai capelli rossi. La concentrazione era impressa sul suo volto, gli occhi rigorosamente chiusi e una piccola ruga che le increspava la fronte, mentre teneva le braccia aperte in quella posizione, come se stesse per spiccare il volo da un momento all'altro.

Rian si chiese se si sentisse le braccia indolenzite per lo sforzo. I suoi palmi erano aperti, rivolti verso l'esterno per creare e mantenere viva quella sorta di bolla invisibile che li proteggeva tutti.

Si chiese quanto potesse resistere e che cosa altro era in grado di fare con il suo dono. Gli tornò in mente il nome con cui Grifar l'aveva chiamata prima che la tempesta li sorprendesse.

Vaaneta. 

Chissà se avrebbe mai scoperto il suo vero significato. Forse tra le pagine del libro di Nedera si trovava la soluzione a quell'enigma.

Camminava a passo lento, con gli arti tesi e pronti a prendere una freccia dalla faretra se fosse stato necessario. Il suo nervosismo non fluì via dal suo cuore nemmeno quando per orientarsi utilizzò il muschio che ricopriva i tronchi degli alberi e si spostò deliberatamente più lontano dal gruppo di artisti.

Non era mai arrivato fin lì. Sentiva che mancava poco al confine e si domandava se fosse tracciato e distinguibile dalla neve che copriva il terreno, oppure lo avrebbe attraversato per sbaglio, senza rendersene conto, segnando la sua morte con un gesto così stupido.

Non ebbe bisogno di aspettare la risposta a lungo perché un muro nero, fatto da quelle che assomigliavano a basse nuvole cariche di pioggia, comparve davanti a loro, tra gli alberi che ormai si stavano diradando.

«Sia lodato il cielo» urlò Grifar in tono drammatico, al suo fianco: «Niente più neve sotto agli stivali».

«Che stai dicendo?» Rian guardò confuso il viso del ragazzo e poi il muro che sembrava toccare la cupola grigia sulle loro teste. Lo percorse con gli occhi in tutta la sua altezza. Sembrava inespugnabile e... vivo.

Quel fumo scuro si muoveva esattamente come la nebbia. Ribolliva, come se fosse fatto di lava scura, invece che di aria.

Sembrava sporco e velenoso e Rian si schifò soltanto ad averlo davanti.

«L'erba laggiù. Quei ciuffetti che sbucano tra la neve, non li vedi?» gli chiese invece stranito, indicando il muro di nubi. Rian seguì la direzione del suo dito con lo sguardo, ma scosse la testa amareggiato. Loro potevano vedere il mondo al di là di quella magia, lui no.

Quello era il muro che lo teneva prigioniero nella valle. Non se lo era mai immaginato così minaccioso e cupo. Da bambino credeva fosse fatto di pietra, come la cinta muraria di un castello.

«Qualcosa non va?» gli domandò Zallen, guardandolo confuso quanto Grifar.

«Non posso proseguire oltre» gli rispose Rian. La sua voce era incrinata dalla delusione per il suo destino.

«Ho sentito parlare della vostra maledizione al villaggio» disse il mago senza scarpe: «Ci hai portato al confine, eccoti la nostra gratitudine» continuò, per poi slacciarsi il famoso sacchetto che aveva mostrato al ragazzo al mercato. Glielo porse.

Rian lo afferrò al volo. Ma la sua bocca non riuscì a piegarsi in un sorriso compiaciuto; la sua missione si era appena conclusa. L'uomo non aggiunse altro, capendo che avrebbe soltanto aperto una ferita nel cuore della loro giovane guida.

Grifar invece si azzardò a rischiare: «Sei proprio sicuro che non puoi?».

«Non ci vedo nemmeno attraverso. È un muro scuro che si innalza dalla neve» gli spiegò ciò che vedeva.

D'istinto fece qualche passo avvicinandosi al confine.

Scrutò i basamenti, dove quel fumo nasceva direttamente dal terreno, proprio come la parete di una casa.

Le dita gli formicolavano mentre provava a sfiorarne la consistenza, sembrava proprio aria ma era densa e liquida come acqua.

Non era solido. Se avesse voluto avrebbe potuto passarci attraverso facilmente. Non sentiva nessuna forza che lo respingeva. Anzi, i riccioli di fumo leggeri che si rincorrevano sulla superficie sembravano quasi invitarlo, sfidarlo a entrarci.

Sapeva che era la voce della morte e lui non aveva voglia di ascoltarla. Non voleva morire, anche se non gli piaceva la sua vita di prigionia.

Pensò a cosa sarebbe accaduto alla sua mano se avesse spinto la sua pelle attraverso quel fumo. Avrebbe tirato indietro un braccio sanguinante, perdendo l'inizio del suo arto nel nulla? Si sarebbe dissolto, diventando polvere come raccontavano? Sarebbe rimasto senza, come se un nemico glielo avesse reciso con la sua lama?

Il fumo caldo gli accarezza i polpastrelli. La sensazione di volerlo attraversare cresceva e si intensificava nel suo animo. Dovette chiudere gli occhi per sforzarsi di ritrarre le dita.

«Spero che tu ti sia divertito con noi, finché è durata» proruppe Grifar, con il suo solito tono raggiante, cercando di confortarlo.

Rian non si era nemmeno accorto che lo aveva seguito fino al confine. La spinta della mano del ragazzo sulla sua spalla non era così forte. Ma Rian non se lo aspettava, era rimasto rapito dal vorticare della nebbia scura sulla muraglia.

Perse l'equilibrio e cadde in avanti, attraverso il velo nero.

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