Capitolo 3

Fu sorprendente la facilità con cui Fenycia si lasciò convincere. Aveva osservato Zallen con occhi sognanti, come se le ricordasse qualcuno a cui aveva voluto un gran bene e subito aveva offerto loro alcune stanze della locanda, in via del tutto eccezionale. Erano rimaste chiuse da quando era morto Braen, l'uomo che l'aveva cresciuta e un tempo proprietario di quel posto.

La polvere regnava come un velo sulle superfici di ogni mobile e le ragnatele ornavano gli angoli del soffitto, ad eccezione della stanza di Rian, l'unico che metteva piede al piano superiore della locanda.

Rian, ogni tanto da bambino, si divertiva a immaginare che dietro ogni piccola porta ci fosse nascosto un mondo segreto, ma di rado entrava nelle altre stanze. Non erano molte e quel giorno aveva dovuto pulirne almeno quattro. Nedera aveva deciso di dargli una mano, ma solo per restare nei paraggi se per caso uno degli stranieri avesse usato la magia, così da coglierlo con le mani nel sacco e continuare a investigare.

Rian, invece, continuava a non capire il motivo che si nascondeva dietro al gesto di sua madre. Non aveva assistito al dialogo tra lei e lo straniero scalzo, per cui poteva soltanto fare delle ipotesi. Forse le aveva offerto gli stessi diamanti con cui voleva ricompensarlo in cambio di una guida attraverso la nebbia; o forse non conosceva affatto sua madre e poteva ancora sorprenderlo. Con quei diamanti avrebbero potuto ristrutturare la taverna e magari sarebbe avanzato anche qualcosa per comperare dei nuovi bicchieri, non scheggiati e lucidi, magari simili a quell'argento fasullo in tinta con i piatti.

Non poteva sapere la verità. Fenycia non voleva più tornare al piano superiore della locanda, se avesse potuto lo avrebbe volentieri demolito, ma quel posto non poteva rimanere senza un tetto. Lì era morto Braen e da quando era scomparso, seppur il vecchio non le fosse mai stato particolarmente simpatico, lei si era sentita di nuovo sola. Sola come quando si stringeva le ginocchia al petto da bambina nella stiva di una nave, in mezzo a un gruppo di donne vestite di stracci. 

Rian non poteva sapere che Fenycia in realtà conosceva Zallen; era rimasto identico a come se lo ricordava. Lo straniero invece non l'aveva riconosciuta e quando aveva provato a menzionare il posto in cui lo aveva incontrato, lui si era semplicemente limitato a divagare dicendo di non conoscere nessun Avrael. Eppure lo aveva visto a bordo del Flagello Rosso quando la ciurma aveva attaccato la nave mercantile che la teneva prigioniera. Quando Avrael aveva scelto di non lasciarla in balia delle acque del mare. Lei ne era sicura.

Zallen era lì. O faceva finta di nulla perché non gradiva parlarne, oppure non aveva prestato troppa attenzione alla bambina dalla pelle scura che si aggrappava alle gambe del suo capitano.

Quello straniero, anche se era stato molto attento a non farlo notare, era interessato ai pezzi verdi che componevano la collana che la proprietaria di quel malridotto alloggio accanto al molo, continuava a sfiorare con la punta delle dita. Lo aveva fatto tutto il tempo, mentre parlavano e mentre cercava di convincerla ad ospitarli per almeno quella notte. Detestava ammettere che i suoi compagni di viaggio avevano bisogno di riposo, dopo quei giorni persi ad arrancare nella nebbia come spettri. Avevano bisogno di un letto caldo e confortevole che li tirasse su di morale e lui era stanco delle loro continue lamentele.

Rian strizzò lo straccio, facendone gocciolare l'acqua impressa nella stoffa dentro al secchio di latta. «Vedrai che saremo ripagati di questo lavoraccio» lo spronava Nedera che stava cambiando le lenzuola del letto.

Il ragazzo le lanciò in risposta un'occhiataccia fulminea. Se era rimasto per ore piegato a rassettare pavimenti e mobili era tutta colpa sua. «Tu pensi davvero che siano dei maghi? O era soltanto un modo per attirare l'attenzione?» le domandò, preferendo non arrabbiarsi con lei.

Nedera si bloccò. Le mani sospese a mezz'aria mentre le lenzuola cadevano scomposte sul materasso di uno dei letti a castello.

Sospirò seccata: «Non ti fidi di me, vero?».

«Sto solo dicendo... Se avessi ragione...» cominciò a ipotizzare. Se lei avesse avuto ragione allora significava che le leggende non erano solo dicerie, ma se avevano un fondo di verità allora cosa potevano significare? Davvero le persone scomparse erano state portate a Gwarak? Quegli stranieri erano strani, ma non così tanto da incutere timore o somigliare a potenti demoni.

«Io ho ragione Rian!» lo interruppe e poi lasciò perdere il letto per accucciarsi di fronte a lui. Non si erano ancora rivolti la parola da quando erano tornati alla taverna. Avevano lavorato in assoluto silenzio, a parte qualche protesta da parte di Rian e qualche suo urlo spaventato quando era uscita una coppia di ragni da un armadio.

«E come fai a dirlo? Sai cos'è la magia? L'hai mai vista prima d'ora per dirlo con certezza?». 

«Io...» Nedera si mordicchiò il labbro inferiore: «Non dirlo a nessuno però».

Rian trattenne il respiro, cercando di capire. «Che cosa non dovrei dire?» la spronò a parlare, prima che lei ci ripensasse e facesse marcia indietro.

«Ho un libro illegale» sussurrò d'un fiato, senza staccare lo sguardo dagli occhi del ragazzo che tanto le piaceva. Lui la osservò con aria confusa.

«Ho un libro illegale» ripeté più piano e lentamente. «L'ho comprato da un viandante ancora anni fa. Mia madre mi sgridò perché avevo speso tutte le monete che mi aveva dato. E questo libro parla di magia e del regno oltre le montagne. Ci sono simboli, rune antiche che non so leggere. Ma credo...» la voce le tremava: «Uno di quei simboli. Quando quel ragazzo mi ha chiamato per il trucco del fuoco, uno di quei simboli che sono nel mio libro, gli si è acceso sulla pelle. All'altezza del cuore» si portò una piccola mano al petto. «Era solo una traccia, quasi trasparente, poi è scomparsa. Ma ne sono sicura».

Rian sbatté le palpebre e lasciò cadere lo straccio nel secchio, che con un tonfo sollevo miliardi di goccioline sul bordo del suo contenitore. Immaginò Nedera nascosta sotto il letto, con la luce fioca della luna, a cercare di decifrare simboli senza senso china su un libro ingiallito.

«E se fosse tutta una fiaba?».

Lei si puntellò le mani sui fianchi: «So cosa ho visto».

Rian si sollevò, guardandola dall'alto: «Ma se dovessi sbagliarti non rimanere delusa, va bene?».

«Sono sicura che non succederà» gli rispose convinta.

«Basta così» le disse Rian, andando ad aprire la finestra per far asciugare il pavimento. Il gelo li investì entrambi, facendo sbattere i denti alla ragazza che si strinse le braccia attorno al corpo per crearsi uno scudo. Avevano trascorso quasi tutta la giornata lì sopra, tra quelle stanze.

«Credi che Fenycia si insospettirà se scendo a fare quattro chiacchiere con loro?».

Rian si girò e le sorrise. «Hai praticamente rivelato davanti a tutta la piazza i tuoi sospetti» le ricordò, facendola sentire ridicola.

«Sì, ma non mi hanno preso sul serio. Nemmeno tu lo hai fatto» puntualizzò, mentre si arricciava un boccolo all'indice, cercando di non imbarazzarsi.

«Hai paura che riveli il tuo segreto?».

Nedera scosse la testa e qualche ciocca di capelli le finì in bocca. La sputò. «Io, al contrario tuo, mi fido di te, Rian».

Il ragazzo raccolse il secchio, ignorando quelle sue parole: «Dovresti approfittarne se vuoi parlare con loro. Domani mattina mi hanno detto di essere pronto a partire».

Gli occhi di Nedera si spalancarono meravigliati. «Che cosa? E perché non me lo hai detto prima? Ho perso un sacco di tempo qui con te» s'inviperì, serrando i pugni lunghi i fianchi.

Ma Rian continuò a sorriderle, come le sua reazione lo divertisse. «Se te lo avessi detto prima non mi avresti aiutato quassù».

«Sei un perfido doppiogiochista» continuò a inveirgli contro la ragazza e cercò di afferrarlo per il colletto della camicia. Ma Rian fu più svelto, fece un passo indietro, evitandola.

«Hai cominciato tu a sfruttarmi» le ricordò.

«Ma se hai ripetuto mille volte a tua madre che quei diamanti vi sarebbero stati utili. Soltanto perché lei non voleva accettarli».

Nedera lo raggiunse, attutendo lo spazio che gli separava. Tra di loro rimaneva soltanto la presenza del secchio pieno di acqua sporca, che Rian stringeva fra i palmi. «Se non dovessi tornare ti mancherei?» le chiese a un tratto. L'aria proveniente dall'esterno gli provocava freddi brividi lungo la schiena e le spalle, ma lo faceva anche sentire così libero e vivo e per un attimo pensò di non fare ritorno a Thanlos. Pensò di fuggire con quegli stranieri.

La ragazza spalancò ancora di più i grandi occhi lucidi. Sembrò dirgli qualcosa ma poi richiuse la bocca e infine dopo averci pensato gli rispose: «Tu dovrai tornare indietro. Non possiamo superare il confine».

Quelle parole gli ricordano il suo posto. Il fatto che la sua avventura sarebbe finita presto. O meglio, non avrebbe nemmeno avuto il tempo di iniziare, dato che in mezza giornata se sapevi attraversare la nebbia riuscivi a raggiungere il confine della valle. «Lo so, stavo soltanto fantasticando».

Nedera sembrò riflettere sulla domanda del ragazzo. Continuava a fissargli i capelli, ma non lo stava davvero guardando. «Nel gruppo ci sono ben quattro donne. Magari potrei venire anche io».

Rian scosse la testa: «Scordatelo Nedera».

«Perché?» gli domandò posando le mani sulle sue. Trattenendolo in quella stanza, al suo cospetto.

«Sicuramente loro sono abituate a viaggiare. Tu no e il confine non è esattamente dietro l'angolo. Nel bosco poi ci sono animali feroci, più feroci di due ragni» la prese in giro. «Dai, forza, non perdere altro tempo con me» aggiunse cercando di liberarsi dalle sue mani. Avrebbe lasciato cadere il secchio a terra se lei non avesse mollato la presa.

«Ma non so ancora che cosa chiedergli».

«Chiedigli tutto quello che ti passa per la testa» le suggerì: «Magari prova con le due ragazzine uguali, sembravano loquaci».

Dopo aver parlato in privato con Fenycia, Zallen se ne era andato. Era tornato soltanto all'orario di pranzo,  e Fenycia aveva riservato loro un tavolo, attaccandone tre insieme per costruire una tavolata più lunga, dove avevano mangiato.

Mentre Rian e sua madre mangiavano in disparte, lui non aveva smesso di lanciare occhiate verso quel lato della taverna.

Oltre ai due uomini conosciuti al mercato, che gli davano le spalle con le loro chiome nere e bionde, c'era un altro uomo, che sembrava più giovane di Zallen, ma più vecchio di Grifar. Aveva un taglio corto come il ragazzo biondo, ma al contrario suo, un accenno di barba dorata gli copriva il mento e le mascelle pronunciate. Continuava a dire che finalmente avevano un tetto sopra la testa e i suoi occhi, scuri come l'ebano, erano cerchiati da un'enorme stanchezza, come se non dormisse da giorni.

A capotavola si era seduta una donna, proprio al fianco di Zallen. Rian aveva pensato che fosse sua moglie, ma sul suo volto aveva qualcosa che gli ricordava quello dell'uomo che girava scalzo. Forse era più probabile che fossero parenti. Lei era alta e slanciata. La più alta del gruppo. Una treccia le ricadeva lungo la schiena e tra i capelli neri si potevano scorgere piccoli rami di edera rossa che si intrecciavano nell'acconciatura. Due pendenti a forma di cerchio d'argento le impreziosivano i lobi e da quando era entrata nella taverna non aveva mai smesso di sorridere.

Dall'altro lato del tavolo, sedute sulla panca che correva lungo il muro, c'erano due ragazzine e una ragazza. Le due ragazzine erano le più giovani del gruppo ed erano due gocce d'acqua. Non avevano differenze a distinguerle, se non forse il timbro della voce: una assomigliava allo squittio di un topo e l'altra invece era più melodiosa. Avevano gli stessi piccoli occhi verdi come bucce di mele non ancora mature, e gli stessi capelli castani lasciati sciolti sulle spalle. Anche le loro tuniche bianche, ricamate da fili dorati, erano identiche e Rian si chiese come facessero a distinguerle gli altri viaggiatori.

Tutti avevano parlato animatamente tra loro, tra un boccone e l'altro, tanto da attirare l'attenzione anche degli altri pochi avventori della taverna e da svegliare il vecchio Heil, che si era messo a farfugliare qualcosa in merito a un matrimonio.

Tutti, tranne la ragazza. Eppure era quella che attirava di più l'attenzione. Se ne stava seduta con i piedi incrociati sotto al tavolo, in silenzio, mangiava lentamente e si guardava attorno, senza prestare troppo riguardo ai suoi compagni di viaggio. I suoi capelli erano rossi come il sangue, come il sole quando esplode nel tramonto prima di nascondersi dietro l'orizzonte e i suoi occhi erano talmente neri, che Rian pensò di non averne mai visti di così profondi e inquietanti al tempo stesso.

Ogni tanto i loro sguardi si erano incontrati e Rian era stato sempre il primo a ritrovarsi con la testa china verso il suo tavolo.

Nedera cercò di trattenersi più che poté a parlare con le due gemelle. Ma verso sera fu costretta a tornare a casa per non impensierire la sua famiglia e Fenycia dopo averla ringraziata per l'aiuto che aveva dato a suo figlio, aveva cercato in tutti i modi di ricordarle che era tardi e più il sole scompariva oltre la cortina di nebbia, più la strada sarebbe stata ghiacciata e scivolosa.

Rian stava salendo le scale, con l'intento di recarsi nella sua stanza e prepararsi l'occorrente per il suo breve viaggio, ma appena mise piede sul primo gradino, Nedera lo intercettò e lo condusse nella semioscurità del sottoscala.

«Credevo te ne fossi già tornata a casa» le disse Rian, stranito dal vederla ancora alla taverna.

«Ho scoperto qualcosa di strano» lo zittì posandogli l'indice sulle labbra ruvide: «Non me lo volevano dire. Ma alla fine sono riuscita a capire che loro vengono da molto lontano e sono un regalo. Sono diretti alla capitale e sono un regalo per il compleanno del principe primogenito di re Farron».

«Le persone possono essere un regalo? Aspetta... Vuoi dire che sono degli schiavi?». Le sue perplessità scivolarono distorte, sotto al dito che Nedera continuava a premergli con forza sulla bocca. Rian riusciva a malapena a parlare.

«No» gli rispose: «Ma lo spettacolo che dovranno fare laggiù è un regalo per il principe, da parte del loro sovrano. Li ha selezionati lui. Deve essere un regno davvero molto strano».

Finalmente Nedera tolse la mano e Rian alzò il tono di voce: «E chi sarebbe questo sovrano?».

«Una di loro si è lasciata sfuggire che il suo nome è andato perduto».

«Un sovrano senza nome? E come fa a regnare?».

«Non saprei» Nedera sembrava davvero impensierita. Loro non conoscevano granché di geografia sul dominio di re Farron e ancora meno degli altri regni, visto che erano costretti a restare tutta la vita a Thanlos. Avevano ascoltato le storie di viaggiatori e viandanti, quando erano bambini, tanto dal capire che esistevano più regni e più re e addirittura regine; ma sapevano per certo che bisognava avere un nome e un titolo per avere potere su un popolo. 

«Il ragazzo che parla al fuoco ha anche detto che se avessero avuto la possibilità di viaggiare di più, magari non si sarebbero persi per la nostra stupida valle». Nedera si portò una mano alla fronte sconvolta: «Sì, erano queste le parole che ha usato».

«Quindi pensi che sono come noi? Prigionieri di un qualche regno o di una maledizione?».

«Non lo so. Ma mi sembra così strano che siano qui e non mi hanno voluto dire da dove vengono esattamente».

«Quindi sei ancora convinta che siano dei viaggiatori del nord, vero?». Non era così audace da pronunciare Gwarak-an-Sidhe come lei. Fenycia aveva cresciuto anche lui con quelle macabre leggende, insieme a tutte le storie del mare e altre terre, senza nebbia, dove il sole ti baciava la pelle, che gli aveva raccontato di aver visto o di cui aveva sentito parlare. Era rimasta a Thanlos solo per crescere quel bambino e aspettare che una persona facesse ritorno per venire a prenderla. Rian lo sapeva e ogni volta che ci pensava si domandava se questa persona che tanto attendeva fosse suo padre.

Nedera non lo smentì, ma non gli disse nemmeno di sì. Si limitò soltanto a prendergli le spalle, sollevando le braccia. «Per favore, tienili d'occhio e stai molto attento» gli disse e la sua preoccupazione le oscurava il volto, facendola sembrare più vecchia.

Rian vide la tristezza passare sotto le tue folte ciglia, nei suoi occhi dolci in cui si riflettevano i suoi così dubbiosi. Gli sembrò che volesse sollevarsi in punta dei piedi per rubargli un bacio. Magari quel discorso era stata tutta una scusa, una messinscena, per provarci. Non si sarebbe stupito se lo avesse fatto.

Ma lei non si mosse e non smise nemmeno di guardarlo. Stava aspettando che la confortasse.

Rian le posò le mani sulle guance. I suoi grandi palmi quasi le ricoprivano interamente. Sentiva la sua pelle morbida e calda sotto le sue dita sciupate dal troppo sapone e dall'inverno. Il profondo respiro di lei all'altezza del petto.

«Starò attento» le disse.

Ma a lei non bastava. «Promettilo» sussurrò agitata.

Rian lasciò scivolare le sue mani sulle spalle. Ora sembravano pronti a spintonarsi l'uno con l'altra, come si stessero preparando ad una lotta. «Te lo prometto, Nedera» mormorò: «Non serve che ti preoccupi in questo modo».

Lei sgranò gli occhi e strinse ancora di più la presa. Il tessuto della camicia di Rian si increspò sotto la sua stretta. «Invece sì, perché ho come la sensazione che non ti rivedrò più».

Se solo avesse saputo prima quanto vero fosse quel tormento che sentiva crescere dentro di sé, sicuramente Nedera non avrebbe lasciato andare Rian così facilmente quella sera, o almeno gli avrebbe davvero rubato quel bacio che tanto agognava sentire sulle labbra.

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