Capitolo 25

La Lestariuum era un vascello simile a tanti altri. Non spiccava per grandezza, né per il tessuto delle ampie vele triangolari color verde chiaro o per la bandiera con il simbolo del regno. Era ormeggiata accanto ad altre fregate tutte uguali e l'unica differenza, almeno a primo impatto, era la polena intagliata sullo sperone della prua. Invece di rappresentare una sirena, era uno scudo su cui campeggiava nuovamente il simbolo reale sovrastato da una corona.

Erano riusciti ad individuarla grazie al nome marchiato a lettere dorate sullo scafo, dopo una lunga ricerca per tutti i pontili del molo, andando avanti e indietro tra marinai intenti a caricare merci e rifornimenti, pescatori e thanesi che iniziavano ad animare il mercato.

Armand aveva proposto di dividersi per controllare più ormeggi contemporaneamente ma Aisling era stata contraria e alla fine la sua testardaggine aveva prevalso.

Stavano ammirando il vascello da lontano. Il vento faceva ondeggiare le bandiere e le vele. 

La piazza si era affollata notevolmente col passare delle ore. Bambini giocavano a rincorrersi, sfrecciando tra le gonne delle madri o delle balie che compravano il pesce, i venditori continuavano i loro schiamazzi sperando di attirare più gente alla propria bancarella. 

Aisling avrebbe tanto voluto comprare una pomata per le ferite al suo braccio, dove si era infilato il vetro della finestra del castello. Si erano cicatrizzate ma erano rimasti dei segni biancastri che continuavano a ricordarle i suoi errori. Avrebbe voluto che se ci fosse una pomata anche per i marchi sulle mani, ma sapeva già che non era possibile toglierli ricorrendo a rimedi naturali.

Non sapevano se Rosmerta fosse davvero andata al faro; dopo la scoperta di Aisling si erano messi a girovagare alla ricerca del punto in cui fosse la nave, senza più badare a lei. 

Rimanendo a osservare la Lestariuum da vicino, avevano scoperto che il vascello imbarcava dei nobili e dei mercanti iscritti in un registro o che esibivano un biglietto. Molti passeggeri non erano stati avvisati del ritardo della partenza e si erano presentati lo stesso al molo, con l'intento di salpare. L'equipaggio della nave aveva ottenuto in risposta numerosi insulti e borbottii di disapprovazione.

«Dobbiamo elaborare un piano per entrare, forse potremmo nasconderci nella stiva» stava dicendo sottovoce Aisling. 

«E magari non essere scoperti una volta all'interno. Non so voi, ma io non voglio essere gettato in mare» sbuffò Armand. 

«Potremmo confonderci con l'equipaggio» propose Rian, appoggiando la schiena a un muretto.

«Di solito i marinai sono uomini...» scosse la testa il Ladro e indicò la maga. «Lei non potrebbe mai passare per un uomo. Io propongo di fingerci mercanti e rubare un biglietto per salire a bordo». 

«E come pensi di rubarlo?». 

Armand spalancò le braccia. I lembi del suo mantello si allargarono sventolando leggermente nella brezza fredda del mare. «Hai il migliore ladro del mondo di fronte ai tuoi occhi» si vantò con un sorriso sfrontato stampato sulle labbra.

Una mano si posò sulla spalla di Aisling facendola sobbalzare per lo spavento. Rian si staccò dal muretto stringendo i pugni mentre fissava la figura dietro di lei.

Era un uomo massiccio, imbacuccato in un mantello consumato. Da sotto il cappuccio, che gli copriva anche gli occhi se teneva lo sguardo puntato verso il basso, spuntavano delle ciocche di lunghi capelli neri. Staccò la mano dalla spalla della maga, alzando la testa per studiarla. I suoi occhi castani incontrarono quelli neri di lei per un lungo istante.

«I tuoi capelli rossi attirano troppo l'attenzione, guerriera» bisbigliò. Il suo fiato caldo si trasformò in una nuvoletta di vapore. «Tingili» le consigliò, tirando fuori da sotto il mantello un sacchetto di cuoio. 

«Che cosa vorreste dire?» domandò bruscamente lei in risposta. Le sue mani volarono al cappuccio del mantello nero, ricordandosi del manifesto che la ritraeva come una ricercata.

L'uomo scosse la testa come a dirle di lasciar perdere e le fece ondeggiare il sacchetto davanti alla faccia.

Aisling lo afferrò titubante. 

«Chi siete?» gli chiese Rian, affiancando la maga.

«Qualcuno che vuole aiutare» rispose enigmatico l'uomo, ritornando a guardare verso il basso. Richiuse i lati del mantello davanti a sé, trattenendoli fra le dita, e se ne andò.

Rian tentò di fare un passo verso quel misterioso signore, ma Aisling lo fermò afferrandolo per il mantello, e mentre l'uomo spariva tra la folla del mercato, soppesò il sacchetto che aveva appena ricevuto. 

«Ma che cosa succede?» domandò allibito Rian. 

Aisling vagò con lo sguardo tra i passanti e i mercanti, partendo dal punto in cui l'uomo si era mimetizzato. «Togliamoci dalla strada, ho una brutta sensazione» mormorò nervosa. 

«Era solo un venditore, un po' strano... Ma chi non lo è? Non stare così in ansia. Piuttosto direi di andare a cercare qualcosa da mettere sotto ai denti» intervenne di nuovo Armand. Si posò le mani dietro la nuca e continuò a fissare la strada che conduceva alle botteghe. «Magari alla taverna dove siamo stati stamane, la donna che ci ha servito sembrava molto gentile».

Aisling si tirò in testa il cappuccio del mantello e annuì, cercando di calmarsi, ma mentre camminavano tra le bancarelle, il timore che la stava agitando continuò a punzecchiarla persistente. 

Uno squillo di tromba risuonò per la mezzaluna. I venditori si zittirono, la gente si bloccò sul posto pietrificata. Un altro squillo seguì il primo, più corto ma intenso. 

«Un allarme?» chiese Rian, ricordando il suono dei corni quando erano evasi dalla cella a Rena. 

Armand fece loro cenno di appiattirsi tra una calca di gente in un angolo della piazza. Rian imitò Aisling e si tirò sulla testa il cappuccio del mantello. 

Dall'imboccatura della strada stava giungendo un drappello di sei soldati a cavallo. 

La gente si spostava, chi silenziosamente, chi spintonando, cercando di far spazio alla guardia. 

L'uomo in testa alla fila smontò da cavallo e sbraitò a voce alta: «Dove si trova lui?». 

Nessuno rispose. La folla rimase attonita a fissare le armature argentee dei soldati. 

«Allora?» riprovò l'uomo. 

Dall'ammasso di gente che si era radunata si fece largo un individuo che tratteneva per la spalla un ragazzino e lo spingeva a farsi avanti verso i soldati. 

«Ecco qui il ladruncolo che stavate cercando» decreto il nuovo arrivato. I gruppetti di spettatori si aprirono come pagine di un libro per lasciarlo passare. 

Il ragazzino si dimenava sotto la stretta dell'uomo, ma aveva i polsi legati ed era molto più basso ed esile per potergli tirare una testata e fuggire. Eppure non si dava per vinto, continuava a muovere le dita, cercando di afferrare il lungo cappotto bianco dell'uomo che lo stava consegnando in mano alla legge. Il suo carceriere si teneva a debita distanza, obbligandolo a muoversi, un passo dopo l'altro, aumentando la stretta della sua mano dalla pelle molto scura.

«Vi ho fatto chiamare io e l'ho trattenuto per voi».

Il soldato avanzò verso l'uomo con passo svelto.

L'uomo sorrise. I suoi capelli biondi tirati all'indietro in un codino risaltavano sulla sua carnagione olivastra, così come la barba chiara e curata, ma ciò che colpiva di più erano le bruciature che gli raggrinzivano la pelle attorno agli occhi marroni e sul lato destro del volto. Cicatrici indelebili di un'ustione. 

La folla in quel punto si distanziò impaurita, chi inciampando nei piedi delle retrovie, chi facendo una leggera riverenza per poi allontanarsi. 

«Capitano Cydonos, quale piacere» lo salutò allegro il soldato da sotto il suo pesante elmo grigio. 

«Preferisco Corsaro, generale Dorva». 

«E non è forse lo stesso?». 

Il Corsaro si accigliò e diede una spintarella al suo giovane prigioniero che ruzzolò quasi addosso al generale. 

Il ragazzino riprese giusto in tempo l'equilibrio e alzando gli occhi verso il soldato reale gli sputò nella visiera dell'elmo, con sorpresa di tutti. 

La folla rumoreggiò. Il Corsaro trattenne a stento una risatina sfrontata. 

Il ragazzino sorrise crudele. Un sorriso da adulto che stonava su quel corpo smilzo. 

Il generale che aveva fatto un passo indietro, meravigliato per quell'affronto, caricò un colpo con il guanto di metallo e schiaffeggiò la guancia del prigioniero che emise un urlo piegando la testa di lato. 

Alcune donne in prima fila si portarono le mani alla bocca. Qualcuno bisbigliò: «Ma è solo un ragazzo!». 

Altri cori indignati seguirono il primo, mentre il ragazzo si chinava per sputare sangue sul terreno, ai piedi del generale. 

«Lasciatelo in pace!». 

«È così giovane».

«Che cosa mai avrà fatto?». 

Il generale zittì tutti quanti con un cenno della mano. I suoi commilitoni posarono le mani sull'elsa delle spade.

«Questo ragazzo» pronunciò in tono aspro, come se la vista del prigioniero ora gli stesse procurando il voltastomaco. Squadrò il ragazzino inerme, giovane, disarmato e legato, con disgusto, prima di continuare la sua sentenza. «Questo ragazzo è accusato di alto tradimento verso sua Maestà».

«Ma allora va di moda» mormorò ironico Armand.

 Aisling gli diede una leggera gomitata nel fianco.

Altri spettatori si erano aggiunti di fronte a loro, schermandoli senza volerlo, dal gruppo di soldati, ma riuscivano ancora a scorgere tra le teste dei presenti che cosa stava succedendo in quell'angolo di mercato.

«Collabora col nucleo di ribelli che si è formato recentemente. Ricordate tutti e ammirate cosa succede a chi osa sfidare il potere e il giudizio di sua Maestà, il vostro re che vi ama e vi protegge». 

«Ribelli?». 

«Ma di che cosa sta parlando?».

«Lasciate andare quel povero ragazzo».

«Avete delle prove?».

La sorpresa aleggiò sulla bocca di molti diventando quasi un'eco. 

«Non fate finta di non capire...» s'innervosì il generale osservando la folla: «Loro sono qui, tra di noi. Lavorano in segreto con i due assassini del nostro defunto principe». Allargò le braccia per intensificare le sue parole. «La pace nel regno è nelle mani di ciascun cittadino. Dobbiamo collaborare. Consegnateci i rivoltosi e avranno ciò che spetta loro. Fermiamo il tentativo di mettere in pericolo la prosperità del nostro regno». 

«Dobbiamo aiutarlo!» sussurrò allarmato Rian. Fece un passo verso la prima fila di persone ma Armand lo bloccò, parandogli davanti il suo braccio teso. 

«Sei impazzito?». 

«No, ha ragione» intervenne Aisling: «Pare che sia colpa nostra se è finito in questa situazione». 

Il Ladro si spostò piantandosi di fronte a lei. «Ferma. Ferma. Ferma. Vuoi attirarci altri guai?». 

«Spostati, Armand». 

«Faresti meglio ad ascoltarla. È soltanto un bambino, non possiamo lasciarlo lì».

Armand, messo alle strette dalla risolutezza di entrambi, sollevò gli occhi al cielo imprecando qualcosa nel dialetto danharese.

«Dove sono i tuoi compagni?» domandò il generale rivolto al ragazzo. Gli prese il mento tra le mani, ma in risposta ricevette un altro sputo in faccia.

Qualche schizzo di saliva gli si insinuò tra i buchi della visiera, bagnando il volto stanco del generale. Nessuno vide il suo ghigno frustrato ma lui lo sentì affiorare sulla bocca, come la rabbia che gli stava montando nel petto. 

Qualcuno rise e il Corsaro si unì a loro. 

«Me la pagherai» urlò a voce alta il generale. Il suo impeto rimbombò nell'elmo, facendo impallidire il ragazzo che ora tratteneva per il colletto della camicia. «Il fuoco spetta a voi cani traditori».

A quelle parole il sorriso sul volto sfigurato del Corsaro svanì per essere rimpiazzato da una smorfia di disappunto. Senza congedarsi si voltò verso il cerchio di spettatori, che interdetti lo lasciarono passare. La sua figura venne divorata dalla folla, mentre un soldato raggiungeva il suo comandante. Girò attorno al ragazzino e lo trattenne, ancorandogli le braccia attorno al busto, sollevandolo quasi da terra.

Aisling si era fatta largo tra la prima fila del pubblico spalleggiata da Rian. Nessuno si soffermò troppo su di loro, attratti da un secondo soldato che aveva acceso una torcia aiutandosi dal fuoco di uno dei grandi bracieri che scaldavano l'aria del mercato. 

«Signore, dovremmo trattenerlo per interrogarlo» provò a convincerlo il soldato con la torcia, bisbigliando all'orecchio del suo comandante. Attraverso gli elmi le loro parole sembravano metalliche, come se non fossero stati nemmeno umani. 

«Non ci serve che abbia un bel faccino per interrogarlo» proruppe nervoso il generale.

Il ragazzino si agitò, divincolandosi come un pesce fuori dall'acqua, ma la guardia lo teneva fermo, mentre il generale Dorva strappava la fiaccola dalle mani del suo sottoposto e l'avvicinava al viso del prigioniero. 

Rise. «Vediamo se così ti passa la voglia di rendermi ridicolo».

Il ragazzo chiuse gli occhi, alzò il mento preparandosi a ricevere le fiamme sulla pelle, ma la paura gli scombussolava il petto, facendogli battere il cuore come un tamburo. Non era quella la fine che aveva in mente per sé stesso quando aveva accettato di far da spia per i ribelli.

Qualcuno dalla folla urlò, dando voce al suo muto grido di terrore e di arresa.

Le fiamme erano sempre più vicine. Ne sentiva il calore.

Aisling era appena emersa dalla folla, in una mano stringeva ancora il sacchetto che le aveva propinato quello strano ambulante. Si portò la mano sinistra vicino alla bocca e ci soffiò sopra.

Il suo alito si trasformò in una forte ondata di vento che non solo fece arrancare di due passi il generale, separandolo dal ragazzino, ma soffocò anche le fiamme, rendendo la torcia un semplice bastone con una stoffa stretta all'estremità.

«Andiamocene subito». Armand si affrettò ad avvisarla, notando gli sguardi dei presenti dall'altra parte del semicerchio che ora si puntavano su di lei. 

«Stregoneria!» urlò un uomo vicino a loro. 

«I ribelli!». 

«Scappiamo!».

«Gli assassini del principe sono qui».

Tra la folla scoppiò il panico. Le persone si agitarono, spintonandosi e correndo ovunque. Il terrore si perpetrò verso le bancarelle del mercato su quel lato. La merce in prossimità del bordo di alcuni tavoli venne rovesciata. La gente che non aveva assistito alla scena si allarmò ancor di più ritrovandosi a correre per un motivo ancora sconosciuto. 

Il generale si riprese, si portò una mano alla testa e vagò con lo sguardo tra la folla impazzita, captando le urla. 

«Prendeteli!» sbraitò, gettando la torcia spenta al suolo. 

Il bastone tintinnò colpendo le mattonelle della piazza, ma il suono venne sovrastato dal clamore suscitato dall'incantesimo della maga.

I soldati al suo fianco si scambiarono occhiate perplesse prima di animarsi all'improvviso, come se avessero preso la scossa di un fulmine.

I tre ragazzi si misero a correre nel disordine della gente che cadeva e sgomitava per uscire dalla piazza o ripararsi verso i pontili del molo.

Armand virò in una stradina laterale ma quella cittadina gli era sconosciuta e non sapeva se avesse appena imboccato un vicolo cieco oppure no. Finì addosso alla schiena di un vecchio che tentava di far muovere un asino, che intestardito, si era bloccato in mezzo alla strada. 

«Santi numi!» borbottò il vecchio, aggrappandosi alle briglie per non cadere. 

«Mi dispiace» si scusò il Ladro, per poi voltarsi alla ricerca della maga e del cacciatore. 

Il cappuccio scivolò dai capelli di Aisling rivelando la sua chioma rossa, proprio mentre svoltava in quella strada. Rian era dietro di lei e subito dopo comparve la figura a cavallo di un soldato. Il sesto membro del drappello non era sceso dal suo destriero come gli altri, e appena la folla si era scatenata si era lanciato al loro inseguimento tenendo la ragazza come obiettivo.

«Fermateli!» ordinò ai presenti in strada. «In nome della corona!».

La gente che camminava per quella via si appiattì alle pareti delle case, una donna trascinò lontano suo figlio prima che potesse essere travolto dalla corsa dei tre giovani. Il vecchio con l'asino si grattò la pelata senza capire.

Qualcuno si affacciò alla finestra per osservare il motivo di tanto trambusto.

Armand sfilò un coltello dalla cintura e girando su sé stesso, lo lanciò dritto verso la gamba del cavallo che disarcionò il suo padrone, collassando per terra con un nitrito. Aisling e Rian continuarono a correre per quella stretta stradina. Armand imprecò e li seguì, senza controllare se il soldato si stesse alzando o meno. 

La strada si biforcava davanti a una locanda.

Dietro di loro si udirono delle urla.

«Dobbiamo nasconderci, non possiamo correre in eterno» disse Aisling appoggiandosi a una grondaia per riprendere fiato.

Rian stava per proporre girare a sinistra, verso quello che pensava essere il cuore della città, quando una donna attirò la sua attenzione. 

«Pssst. Da questa parte» gli fece un cenno con la mano da un angusto vicolo tra la locanda e l'edificio adiacente.

Un copricapo di perle le nascondeva parzialmente il volto come una maschera. Era la cartomante che aveva visto al loro arrivo in città.

«Per di qua» disse lui senza indugio, muovendosi verso il nascondiglio della donna.

Lei gli sorrise, ma Rian non fece nemmeno in tempo ad attraversare la strada, che lei si girò e corse nel vicolo, sparendo alla sua vista.

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