Capitolo 24

Il mercato non ammetteva ritardatari. Specialmente quello di Thana, porto all'estremo oriente del regno di Far. Un mercato molto più piccolo rispetto a quello di Vardal e della capitale, ma sicuramente il più fornito, a tal punto che tra i suoi venditori non regnava di certo la pace, anzi, provare a commerciare a Thana era una battaglia all'ultima offerta.

L'odore del molo al mattino presto era sempre lo stesso: pesce proveniente dalle imbarcazioni dei piccoli pescherecci che rientravano dalla caccia notturna, mescolato al sale delle onde del Golfo del Silenzio. Il vento poteva anche creare onde fragorose, con le tempeste arrivavano a superare il muro di pietra protettivo, spruzzando la strada e inghiottendo la spiaggia di sabbia bianca, ma non producevano mai alcun suono; come se incuneandosi in quella mezzaluna di terra il mare avesse deciso di spegnere la sua voce. Eppure gli scafi delle barche scricchiolavano quando attraccavano alle strisce di roccia che si prolungavano dalla strada verso il mare; fossero stati di piccole barche con una sola vela di stoffa o di grandi vascelli, il loro legno cigolava sempre come i denti del vecchio Jaspar, il guardiano del faro di Thana, quando tentava di masticare le parole per spiegarsi meglio.

Balzier stringeva saldamente i manici del carretto di suo padre, il Gofannon, come lo chiamavano al mercato, ovvero il dio dei metalli.

Una delle ruote sbandava pericolosamente a destra e a sinistra, ma nel carro aveva avvolto accuratamente delle stoffe attorno agli oggetti in metallo per tenerli fermi e separati da quelli in ceramica, contenenti i sacchetti con le misture di erbe che preparava sua madre. Così la merce più fragile produceva soltanto un fremito, un leggero tintinnio, mentre il carro di legno veniva spinto sulla strada lastricata.

Quel giorno il suo carretto era occupato perlopiù da una cassa contente qualcosa di molto prezioso. Un'ordinazione speciale che doveva assolutamente consegnare.

Suo padre lo avrebbe di certo ucciso, una volta che si sarebbe rimesso in sesto dalla febbre. Lo avrebbe ucciso perché era in ritardo e sicuramente qualche altro mercante si era accaparrato il suo posto, quello più vicino al primo molo, facendogli perdere quel prezioso cliente. Ma del resto che ci poteva fare? Dopotutto lui era solo un bambino e i bambini non si svegliano presto, specialmente se sono rimasti a giocare ad acchiappa-ombre tutta la notte con gli altri coetanei del vicolo.

Non aveva nemmeno preso con sé tutte le merci per quel giorno. Abbassò sconsolato gli occhi sul contenuto del carretto. Doveva tornare con il carretto vuoto o suo padre sarebbe andato su tutte le furie. Aveva scoperto a sue spese quanto potesse rinvigorirlo la rabbia, nonostante fosse stato costretto a letto con un riposo forzato da sua madre, una delle dodici guaritrici della città.

Sollevò di nuovo lo sguardo verso le numerose taverne e botteghe che si affacciavano sulla strada principale che conduceva al porto. Sentendo lo stridio delle ruote del carro, la gente si spostava per fargli spazio. 

Le lanterne, ancora illuminate appese alle entrate, dondolavano nella brezza salmastra, avevano un sottile strato di rugiada attaccato al vetro che proteggeva il fuoco all'interno. Il sole stava già dipingendo il cielo d'oro spuntando dietro a un banco di nuvoloni bianchi. 

«Fate largo! Fate largo!» strillò il ragazzino ad un gruppetto di tre giovani imbambolati in mezzo alla strada. «Fate largo!» rimarcò il concetto, urlando a squarciagola. Quel tratto di strada era in discesa, fattore che aveva dato maggiore velocità al carro.

Balzier cercò di rallentare, puntando i piedi a terra e stringendo più forte i manici, come se avesse a che fare con un toro imbizzarrito, ma non servì a molto. Se non si fossero spostati li avrebbe centrati in pieno e suo padre gliele avrebbe date di santa ragione. 

Qualche passante affaccendato si fermò a osservare il motivo di tanto trambusto. 

Ci mancavano anche quei tre, pensò frastornato Balzier. Stava per ripetersi, quando il ragazzo con il mantello di colore diverso prese da parte la ragazza con i capelli rossi, che strattonò a sua volta l'altro ragazzo. Si distanziarono sul ciglio della strada, parandosi davanti alla taverna di Cerdic.

Bembolio, il cane da caccia di Cerdic, abbaiò dalla trave a cui era legato alzando il grosso muso nero verso i tre ragazzi.

Grazie al cielo! Non li aveva notati mentre percorreva la discesa verso il porto, erano come sbucati dal nulla.

Le persone in strada cominciarono a mormorare fra loro incuriosite. Occhi indagatori si posarono sui tre stranieri e i loro mantelli. Qualcuno si era accorto che erano semplicemente apparsi dall'aria, come un miraggio del vento. Li fissavano incuriositi o intimoriti, con le sopracciglia aggrottate per lo stupore o con una mano appoggiata alla bocca.

Armand sospinse la porta di legno alle sue spalle. Non sapeva dove portasse ma voleva togliersi dalla strada e da quel brusio che si levava sempre più alto. Il battente si aprì e lui riportò il pugnale nella fodera alla cintura.

Aisling ripose il grimorio nella sua sacca da viaggio e lo seguì.

Rian lanciò un'ultima occhiata alla strada prima di entrare. Si scambiò un'occhiata veloce con una cartomante che posizionava diligentemente i suoi tarocchi su una botte di vino, usandola come fosse stata un tavolo, dall'altro lato della strada. Gli ammiccò da sotto il cappello di fili di perle che le nascondeva parzialmente il volto e sul quel gesto Rian chiuse il battente di legno dietro di sé.

«Faolan, ti ho già detto che Cerdic non c'è questa mattina» li accolse un'innervosita voce femminile, che per il momento non aveva un volto.

«Buongiorno» rispose il Ladro, muovendo due passi verso il bancone della taverna, da dove era provenuta la voce.

Rian ed Aisling rimasero vicino all'entrata.

Da sotto il grosso tavolo si alzò una donna che si strofinò la frangetta castana con il dorso della mano, mentre nell'altra stringeva una pezza umida.

Li fissò spalancando gli occhi azzurri, con le labbra leggermente dischiuse per la sorpresa.

«Vogliate scusarmi, benvenuti» si affrettò a correggere l'errore, per poi indicare con un gesto i tavolini bassi posti al centro dell'ampia sala. «Accomodatevi» li invitò tramutando la sua confusione in un sorriso accogliente.

Quel posto era molto diverso dalla taverna di Fenn. Tappeti dai numerosi motivi floreali erano sparsi su tutto il pavimento, insieme a cuscini in velluto che contornavano i bassi tavolini di legno. Arazzi raffiguranti creature leggendarie decoravano i muri, riscaldando l'ambiente: donne mezze nude con grandi ali nere che spuntavano dalle loro schiene e unghie affilate come lame, uomini con le gambe da capra che saltellavano attorno a un falò, un grosso drago rosso che volava in una nube di fumo, e ancora uomini la cui parte bassa del corpo apparteneva a un cavallo o avevano le corna di un cervo sulla testa e corteggiavano fanciulle la cui pelle era fatta di corteccia.

Candele erano sparse ovunque, sui lampadari e al centro di ciascun tavolo. Le piccole fiammelle danzavano allegre nei fasci di luce che provenivano dalla grande finestra alla fine della sala, schermata da tendaggi bianchi e rossi che drappeggiavano le volte del soffitto.

I tre ragazzi si guardarono perplessi mentre Armand per primo si sedeva su un cuscino celeste.

«Sembra comodo» sussurrò saltellandoci sopra prima di incrociare le gambe l'una sull'altra.

La donna si schiarì la voce. «Ehm ehm» tossicchiò: «Rosmerta?».

Solo allora si accorsero di una bambina con una cascata di treccine nere che le scendevano lungo le spalle e lo sguardo annoiato. Sedeva su uno sgabello accanto al bancone, con la schiena appoggiata al cardine di un arcata che conduceva alla cucina.

Il richiamò della donna sembrò destarla da un pensiero non particolarmente confortevole. Arricciò il naso, le lentiggini sembrarono ballare sulla sua pelle chiara e si portò un piccolo flauto di legno alla bocca.

Iniziò a suonare, soffiando nello strumento. Le prime cinque note furono incerte e uscirono distorte, ma mentre la madre la stava per richiamare di nuovo, la melodia si trasformò in una canzone dolce e gioiosa, dal ritmo basso ma incalzante.

«Molto bene» mormorò la donna compiaciuta dal suono che si spandeva per la taverna: «Non ti mando a lezione dal vecchio Jaspar per nulla».

La bambina fece un'espressione irritata, che dalla sua angolazione la madre non poteva vedere e continuò a suonare, dondolando le spalle a destra e sinistra come se non sapesse star ferma.

Aisling e Rian imitarono il Ladro sedendosi su due cuscini rossi dall'altro lato del basso tavolino. Avevano scelto un posto, vicino alla finestra che offriva, fra le candide tende, la vista di una stradina adiacente. A parte loro tre, la donna e la bambina, la taverna era deserta.

«Abbiamo attirato un po' troppo l'attenzione» sentenziò Armand sottovoce. Si fermò ad osservare la superficie del tavolo e ci tamburellò due dita, cercando di seguire il ritmo della musica come se anche lui non sapesse star fermo a causa dell'agitazione. 

Aisling fece un sorriso tirato e nervoso. «Chi se lo aspettava che il libro ci avrebbe condotto proprio in mezzo alla strada. Dite che se sono accorti in molti?». 

«Mi prendi in giro?» si accigliò Armand: «Siamo sbucati come funghi in mezzo alle botteghe». Si portò la mano alla fronte e mormorò tra sé e sé: «Un'entrata in scena davvero con stile e per di più siete ricercati dalla corona. Non ci penserebbero due volte questo branco di popolani a offrire le vostre teste al re e sua moglie».

Venire a conoscenza del motivo per cui quei due ragazzi avevano condiviso una cella con lui non gli era piaciuto per nulla e ancora faticava a mandarlo giù. Era vero, il rischio lo faceva sentire vivo, dava un senso al suo tempo e alla sua rovina, ma aveva pur sempre un limite.

«Thana è molto distante da Agna, forse la falsa notizia non è ancora arrivata da queste parti». 

«Oh credimi, se c'è qualcosa che ho imparato sulla mia pelle è che la prudenza non è mai troppa».

Armand incrociò le braccia al petto e trasse un profondo respiro per calmarsi. Quanti occhi li avevano visti spuntare dal nulla sulla strada? Quanto erano in pericolo? Poteva fidarsi dei compagni di viaggio che il destino aveva piazzato al suo fianco? Essere fuggito con loro dalle prigioni di Rena implicava essere complice in un tutta quella storia sull'omicidio dell'erede al trono, che gli avevano assicurato essere inventata, ma ormai sapeva che non era più al sicuro a Far. A meno che non avesse trovato modo di cambiare volto.

Rian fissava rammaricato lo spigolo del tavolo, immerso nei suoi pensieri e nelle sue perplessità su ciò che gli aveva rivelato la regina Nubia. Aisling gli porse la mano da sotto il tavolo, come aveva fatto lui nel suo momento di debolezza nella dimora dei due maghi gemelli. Il ragazzo fece scorrere due dita sul nuovo segno di quella mano piccola e candida, la sua pelle era fredda, era stata per colpa sua. Deglutì. Che ci faceva seduto su quel cuscino mentre avrebbe dovuto essere a casa, per proteggere le persone che amava?

«Mi dispiace...» sussurrò debolmente. Socchiuse gli occhi e si ricordò dello sguardo che quel cavaliere, Antartide, gli aveva rivolto dopo aver salutato Aisling, dopo aver deciso di mettere a  rischio il suo titolo e la sua libertà per coprire la loro fuga.

Continuava a pensare che avrebbe anche lui dovuto rischiare per tornare indietro, ma le urla di Aisling che lo fermavano e lo imploravano di restare lo pietrificavano sul posto. Provò a ricordarsi se durante la festa del principe gli fosse sfuggito con qualche ospite il nome del suo villaggio, ma i ricordi erano confusi e distanti, come se fossero passati secoli da quella notte.

«Va tutto bene» lo tranquillizzò la maga, afferrandogli le dita con l'altra mano. «Va tutto bene» ripeté un po' più forte: «Nedera non è sola, starà bene. Ripetilo sempre e vedrai che sarà così».

Rian spalancò gli occhi di colpo. Osservando lo sguardo lucido di Aisling pensò a quante volte avesse detto quella frase con Antartide come soggetto, a quanto avesse pregato affinché fosse al sicuro lontano da lei. Quella sensazione di impotenza che gli stava schiacciando il petto era qualcosa che lei conosceva così bene, qualcosa che le aveva fatto compagnia per molto tempo e con cui a quanto pareva era riuscita a convivere.

Ormai era lì, doveva concentrarsi sul presente.

Armand tossicchiò interrompendoli. «Dobbiamo trovare la nave, prima che salpi». Fece schioccare il collo, piegando la testa prima a destra e poi a sinistra, come se fosse stato fermo in quella posizione per molto tempo e gli facesse male. «Non deve essere difficile trovare un porto, molto più complicato sarà individuarla tra le tante navi ormeggiate».

«Possiamo rischiare e chiedere informazioni?» valutò Aisling, continuando a tenere la mano di Rian da sotto il tavolo. «Siamo al confine del regno, io credo che...». 

«No! Direi di girovagare e tentare di carpire qualcosa giù al molo, magari dividendoci» la interruppe il Ladro. 

«Buona idea. Potremmo tenere su i cappucci dei mantelli per nasconderci e attirare di meno l'attenzione» decise di intervenire Rian, concordando con l'idea di Armand che gli sembrava la più cauta sicura viste le taglie sulle loro teste.

Aisling lasciò andare la sua mano per sbattere i pugni sul tavolo. «È una perdita di tempo! La nave potrebbe salpare nel mentre che cerchiamo una soluzione». Aveva alzato il tono di voce senza rendersene conto, si mordicchiò il labbro a disagio: «E forse sta già salpando in questo momento».

«Cosa vi posso portare?» domandò una voce squillante alle spalle della maga. 

Come un fantasma si era avvicinata la donna che al loro ingresso stava pulendo il bancone. La sua veste rossa era stretta in vita da un corsetto di cuoio marrone, che le delineava le forme accentuandone le curve abbondanti. Sorrise cordiale, con le labbra colorate della stessa tonalità del suo vestito, sbattendo le ciglia due volte. 

Tra le mani aveva un vassoio vuoto ma i suoi occhi erano così ipnotici da attirare l'attenzione verso il suo volto.

I tre ragazzi sussultarono per lo spavento.

Armand posò un istante lo sguardo sulla scollatura della vesta rossa, imitato da Rian che aveva piegato la testa per guardare meglio la donna. Aisling li fissò a bocca aperta facendo vagare lo sguardo dall'uno all'altro. 

«Volevamo solo scaldarci un po', grazie» rispose la maga, riprendendosi per prima dallo spavento e dall'incanto che quella donna suscitava.

«In effetti stamattina fa già più freddo. Magari un caldo bicchiere di idromele potrebbe aiutare» riprovò con voce suadente, facendo scorrere la mano sull'aria dietro la schiena di Aisling, come se stesse toccando il bordo fantasma di uno schienale di una qualche sedia che prima era stata lì. Fece un passo in avanti, troneggiando in piedi accanto al bordo del tavolo. 

«No, davvero, stiamo bene così». Aisling cercò di mandarla via.

«La vostra taverna è davvero molto accogliente» si complimentò Armand con un sorriso furbo stampato sul volto.

Il sorriso della donna si allargò in risposta, ma c'era qualcosa nei suoi occhi che non faceva presagire nulla di buono. «Siete un intenditore» disse dopo un lieve silenzio: «Se non volete bere non insistito. Ho sentito che andate al porto. Mi fareste un favore se portaste con voi anche Ross. Potrebbe accompagnarvi, tanto doveva andare a lezione».

Sentendosi tirata in causa la bambina smise di suonare. L'ultima nota si disperse nell'aria frantumandosi stonata nella canna del flauto di legno.

«La lascerebbe a tre sconosciuti?» domandò Aisling incredula.

«Avete delle facce simpatiche, e poi il porto è qui vicino» si limitò a rispondere enigmatica. Si chinò leggermente sullo spazio sopra al tavolo e sussurrò: «La mia Ross a volte mi racconta le bugie, salta la lezione e mi dice che ci è andata, vorrei soltanto che vi assicuraste che è arrivata al faro del porto... In cambio della mia accoglienza».

La bambina sbuffò. «Ma madre è ancora presto!».

«Sono sicura che il vecchio del faro è già in piedi e sarà contento di vederti» la incoraggiò la donna girandosi verso la figlia ancora seduta sullo sgabello.

Sbuffò di nuovo e scese, lasciandosi scivolare dal bordo circolare.

«Possiamo farle questo favore» parlò Armand a nome di tutti.

«Ne ero certa» sospirò la donna ostentando un'espressione sollevata e compiaciuta.

Quando uscirono dalla taverna al seguito della bambina, Rian adocchiò l'angolo della strada dove un vicolo più piccolo si intersecava con quella principale. La chiromante era sparita e con lei anche le carte che aveva posizionato sopra al barile.

Scrollo le spalle come a togliersi un peso di dosso. Sentiva ancora quello sguardo carico e inquietate da dietro i fili di perle, era rimasto sospeso nella brezza fredda della strada.

«Da questa parte» si mosse Rosmerta, stringendosi un pesante scialle di lana davanti al collo che la madre le aveva dato poco prima di uscire.  

«Se non avessi urlato saremo stati più discreti» mormorò Armand, avvicinandosi all'orecchio della maga, al suo fianco. «E non ci dovremmo portare dietro la bambina». 

«Ma sei stato tu che hai accettato senza indugio» lo rimproverò lei, portandosi le mani sui fianchi.

La bambina saltellava per scaldarsi e l'ampia gonna rosa sembrava galoppare con lei ogni volta che si sollevava in punta dei piedi. Il Ladro sorrise ricordandosi di Shilin.

Il sole si era levato più alto. Una grande sfera che si stagliava all'altezza dei tetti, illuminandoli con caldi raggi dorati che bucavano la nebbiolina del mattino invernale. Da alcuni comignoli si librava del fumo grigiastro che poi si disperdeva nel mattino. Le botteghe si accingevano ad aprire e un numero maggiore di persone iniziava a riversarsi fuori dalle case per sfruttare la luce sin dalle sue prime ore.

La strada principale scendeva verso il basso per poi aprirsi in una grande mezzaluna sul bordo del golfo.

Vele di numerose imbarcazioni coloravano il paesaggio con le loro sfumature e simboli, ondeggiavano con le loro bandierine, pronte a lasciarsi gonfiare dal vento ma trattenute soltanto dalle sartie. I marinai scendevano dai pescherecci, legando le cime delle loro piccole imbarcazioni, per accaparrarsi un posto al mercato dove vendere il pescato raccolto durante la notte. Un imponente faro di pietra arenaria si ergeva verso il mare su una prolungazione di roccia della spiaggia.

Dopo il tratto di sabbia e un muretto protettivo, sulla piazza a mezzaluna spuntavano tende bianche che riparavano dal sole le merci più disparate: boccette di oli e miscugli densi, canne da pesca ed esche, armi, ma sopratutto si vendevano pesci, tessuti, spezie e cibi. Le urla dei mercanti echeggiavano nell'aria susseguendosi per attirare la clientela, offrendo sconti sui primi acquisti.

I tre giovani frugarono con lo sguardo le barche e i vascelli, cercando di individuare quale potesse appartenere alla flotta che si sarebbe diretta all'ambasciata.

Rosmerta sbuffò di nuovo, ma poi socchiuse gli occhi inspirando l'aria fresca portata dal mare e si gettò nella mischia del mercato. Gli altri si affrettarono a seguirla.

Un ragazzino con i capelli marrone scuro scarmigliati dal vento, sedeva su un muretto a capo chino. Dondolava le gambe nel vuoto con fare assente, alternando la destra alla sinistra, al suo fianco aveva un carretto carico di merce.

Rosmerta gli si avvicinò. «Ciao Balzier, come mai hai l'aria così cupa?».

Il ragazzino si strinse nelle spalle: «Ciao Ross, mi sono svegliato tardi e mi hanno rubato il solito posto al mercato».

«E non ne hai trovato un altro? La piazza non è ancora completamente piena».

Il ragazzino scosse la testa. Alzò lo sguardo sui tre giovani che inseguivano la figlia di Cerdic e riconobbe i tre stranieri che aveva quasi investito. Li osservò sorpreso per poi tornare a concentrarsi su Rosmerta: «Mi serviva quel posto, ho una consegna importante per il capitano Andras Cydonos e mio padre aveva pattuito con lui di incontrarlo là, all'alba. Ma sono già molto in ritardo quindi immagino che ormai se ne sia andato via».

«Quello che fa paura? Quello della Lestariuum?» domandò la bambina portandosi una mano alla bocca e restando con la destra a tenersi chiuso lo scialle sotto al collo. Il ragazzo annuì. «E chi ti ha rubato il posto?».

«Naddor e suo padre, con i loro stupidissimi pesci puzzolenti. Non mi hanno nemmeno voluto dire se effettivamente fosse già arrivato e lo avessero visto».

«Se vuoi ti aiuto a cercarlo, magari è ancora in giro» si propose di aiutarlo.

«Ho già fatto due giri del mercato provando a cercarlo, ma nulla. Non c'è traccia di lui, ho anche chiesto a qualche membro del suo equipaggio. L'unica fortuna che ho avuto è che mi hanno detto che la nave partirà tra due giorni, invece di domani».

«Allora forse ce la fai a consegnargli l'ordine!» cercò di rincuorarlo la bambina.

«Scusa» s'intromise Armand nella loro conversazione, posando una mano sulla spalla di Rosmerta: «Ma tua madre mi ha chiesto di accertarmi che tu arrivassi al faro, quindi non aiuterai proprio nessuno».

«E tu chi saresti?» lo sbeffeggiò il ragazzino, sollevandosi dallo scoglio e stringendo i pugni.

«La sua guardia del corpo» rispose sicuro il Ladro.

«Non sei uno dei suoi amici, io li conosco gli amici di Ross».

La bambina si scrollò la mano del Ladro dalla spalla. «Infatti, sono solo tre tizi a cui mia madre ha chiesto di farmi da balia, visto che non hanno portato nemmeno l'ombra di mezzo ginz alla taverna».

«Stranieri» brontolò il ragazzino: «Ultimamente i mercanti che vengono da fuori città sono tutti così maleducati, non lo sanno che porta sfortuna interrompere una conversazione durante il mercato del pesce?».

«Il faro è laggiù» continuò Rosmerta indicando la grande torre verticale: «Grazie tante per avermi accompagnato ma posso raggiungerlo da sola. So badare a me stessa».

Fece una linguaccia ad Armand che si allontanò di un passo, interdetto, per poi raggiungere Aisling e Rian che erano rimasti tra due bancarelle di pesci che si agitavano in grandi catini di metallo.

«Che cosa dovevi consegnare?» domandò incuriosita Rosmerta, appena lo straniero maleducato fu lontano dalla portata d'orecchio.

«Bracciali della verità, una cassa. Da quando i pirati si sono infiltrati nel vascello dell'ambasciata a inizio mese il capitano ha detto che voleva attuare qualunque forma di protezione per evitare di essere rapinati di nuovo o così gli aveva ordinato il re in persona» raccontò orgoglioso il ragazzino, gonfiando il petto: «Io stesso l'ho aiutato a farli, con l'ossidiana che viene dalle cave».

«Ohhh!» esclamò Rosmerta: «Posso vederne uno?».

Balzier ci pensò e poi scosse la testa, riflettendo su ciò che stava facendo. Non poteva aprire la cassa davanti a tutti se non voleva rischiare di essere anche derubato. Non erano molte le persone che credevano nella proprietà dell'ossidiana di poter smascherare qualunque menzogna, ma si usava per fabbricare i ginz e solo gli orefici di Dubis e Morag potevano manipolarla per poi spedirla sotto forma di monete al resto del regno. Trovarla grezza era veramente raro, a meno che non provavi a rubarla ai minatori delle cave. «Si tratta di merce preziosa. Non dirlo a nessuno, per favore».

Armand aveva le guance imporporate, ma sulla sua carnagione scura si notava a malapena. «Ma tu guarda che gioventù c'è oggi! Che razza di ingrati!» protestò sonoramente, incrociando le braccia al petto.

Rian gli riservò un sorriso ironico. «Ti sei fatto mettere i piedi in testa da due bambini».

Armand stava per ribattere, ma Aisling gli fece cenno di tacere. Stava sorridendo soddisfatta. Si voltò verso il mercato, da sopra i tendoni si vedevano i vascelli ormeggiati sulle lunghe protuberanze del molo. «La nave che dobbiamo cercare si chiama Lestariuum, e salperà tra due giorni» annunciò ripetendo le informazioni che si era fatta portare alle orecchie da un incantesimo.

«Come lo sai?» chiese Armand, aggrottando la fronte, ancora irritato.

Lei si limitò a squadrare il Ladro dall'alto al basso. «Alla fine la tua idea non era poi così male. Devo scusarmi, ma non si può dire che non siamo indubbiamente fortunati».

Rian osservò il cielo, le nuvole bianche si stavano dissolvendo nella luce del giorno. Stava ancora pensando a Nedera.

Sta bene, si disse. Lei starà bene.

Gli tornò in mente la tristezza nei suoi occhi quando si erano salutati nel buio del sottoscala. Forse lei, al suo posto, avrebbe pagato tutto l'oro del mondo per essere lì, in viaggio con una maga. La magia non la terrorizzava, proprio come quei pazzi che facevano di tutto pur di avere un oggetto proibito e magico. Lui, invece, si era sentito come obbligato a fidarsi di Aisling, Zallen e gli altri. Aveva fatto una scelta da cui non poteva tornare indietro, perché farlo poteva mettere a rischio le persone a cui voleva bene. Ormai era un fuorilegge, un assassino, non poteva non accettare ciò che era accaduto e non voleva marchiare nessun altro con il pericolo che si portava addosso.

Se lo avessero catturato cosa sarebbe successo? 

Aisling aveva ragione. Sospirò, concentrandosi su un'altra frase che gli aveva detto Nubia. Avrebbe dovuto viaggiare per mare per scoprire i misteri del suo passato. Ormai era lì e il mare, quella distesa d'acqua immensa, sembrava chiamarlo, invitarlo a proseguire, quasi sfidandolo.

Un brivido gli corse lungo la spina dorsale.

«Non perdiamo tempo» disse, sfregandosi le mani per scaldarle: «Due giorni sembrano tanti, ma possono essere anche maledettamente pochi».

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