Capitolo 21

«Non penso che sia una buona idea» disse Aisling, mentre seguivano il volatile: «Non ho mai visto un corvo simile, è piuttosto... Strano». Faticava a trovare parole adatte a descriverlo.

Le sembianze erano quelle di un corvo, ma le sue ali erano troppo lunghe rispetto al resto del corpo e le sue piume scarlatte risplendevano nella notte come se potesse brillare di luce propria. Rosse, come se si fosse fatto il bagno in una pozza di sangue, come vernice incrostata al suo corpo per chissà quale errore. Le ricordarono le costellazioni visibili soltanto dal deserto nella terra di Sabhali, un luogo lontano e arcano dove si raccontava che fosse nato il primo spirito della magia. Un luogo che nessuno aveva mai visto, ma di cui parlavano innumerevoli pagine e pergamene racchiuse nella biblioteche di Gwarak.

Il corvo li stava guidando verso la radura che circondava la foresta ad ovest. Ogni tanto si fermava a girare in cerchio per aspettarli, quando si accorgeva che i suoi pellegrini erano rimasti indietro.

«Il mondo è vasto. Ci sono sicuramente tantissimi animali che non abbiamo mai visto» le rispose Rian, sorridendole rassicurante. Sentiva che rispettare il volere di quel corvo era la cosa giusta da fare, anche se non ne conosceva il motivo. 

Non sembrava spaventato da loro tre e li aveva seguiti da quando erano fuggiti dalla capitale. Forse anche da prima, si interrogò Rian, ma non lo aveva notato. Era un comportamento strano, come aveva detto Aisling, ma doveva pur significare qualcosa.

«Sono d'accordo con lui» aggiunse Armand: «Ha lo stesso colore dei tuoi capelli, maga. Magari è un tuo lontano parente».

Aisling alzò gli occhi verso la volta notturna sopra le loro teste. La luna brillava tra deboli nubi scure che si addensavano nel cielo, sagomando con la sua luce l'erba d'argento, proiettando le ombre dei tre viaggiatori sulla radura. «Comando il vento, ma questo non vuol dire che ho parenti dotati di ali».

Il corvo rosso non li condusse verso il confine della foresta e nonostante li stesse allontanando da essa, addentrandosi a nord verso le montagne, i tre giovani decisero di proseguire. Quell'animale non aveva intenzione di lasciarli in pace finché li avesse portati dove voleva. Aisling, però, si sentiva sempre più inquieta. Al di là di quelle vette nevose si trovava il suo regno e non poteva tornarci, non con i marchi del tradimento.

Dalle prigioni di Gwarak non era così semplice scappare e non voleva pensare agli ordini del sovrano, alle punizioni che le avrebbe inflitto per aver violato le regole. Si chiese se Zallen lo avesse già convinto che la morte del principe di Agna non era accaduta per mano sua. Si chiese se il suo sovrano avrebbe servito volentieri la sua testa su un piatto d'argento piuttosto che perdere l'alleanza con i reali di Far. Lei non lo aveva mai visto e non sapeva come davvero fosse il suo temperamento.

L'animale si fermò in prossimità di un cerchio di pietre apparentemente vuoto. I menhir erano eretti come un piccolo tempio; alte colonne che volevano sostenere il cielo, ma che per quanto fossero possenti non lo toccavano. 

La foresta era ormai lontana, come una linea di foschia sull'orizzonte, e le montagne si stagliavano sullo sfondo blu scuro della notte. La luna illuminava quelle rocce grigie e levigate, facendole assomigliare a persone immobili, radunate in preghiera.

Il corvo gracchiò, innalzandosi su una corrente d'aria e sparendo come se fosse stato un effimero frutto della loro immaginazione.

«Perché ci ha condotti qui?» domandò perplesso Armand: «Non ho mai visto un posto simile».

«Ais, tu sai che posto è questo?» chiese Rian, mentre teneva le braccia premute accanto ai suoi fianchi, in sella al cavallo bianco.

«Una radura con un cerchio protettivo, visibile solo a chi sa dove guardare e percorre la piana dalla giusta direzione» rispose Aisling, ammirando la costruzione solo per un momento e cercando a terra delle probabili rune tracciate tra i ciuffi d'erba che spuntavano sulla neve. Il manto candido doveva averli celati sotto di sé, ma sapeva che c'erano e mantenevano vivo quell'incantesimo.

Nemmeno lei aveva mai visto un cerchio protettivo dal vivo, soltanto sui libri di incantesimi, ma sapeva a che cosa serviva. «Nasconde qualcosa di molto potente, è una magia proibita, non legata a un'elemento ma al sacrificio di uno spirito magico. Dovremmo andarcene».

Gli zoccoli del cavallo scricchiolarono sul nevischio, mentre lei tirava le briglie per spronarlo a cambiare direzione.

 «E se le creature di cui ti ha parlato Antartide fossero là dentro?» ipotizzò Rian, appoggiandole una mano sulla spalla per fermarla: «Hai detto che serve per nascondere, forse potrebbe nascondere anche noi».

Aisling scosse la testa risoluta. «Quella» indicò il cerchio di pietre: «Quella è magia malvagia, non voglio averci nulla a che fare e dubito che creature come le Temahe possano esserne state attirate».

«Nasconderci?» domandò confuso il Ladro, interrompendoli. Una nuvoletta di condensa gli usciva dalle labbra ferite mentre respirava profondamente. «Il nostro patto prevedeva che...».

«Se vuoi rubare la legna alle guardie e farti catturare di nuovo, accomodati» lo interruppe Rian, facendo un'ampio gesto verso la direzione in cui si trovava la foresta. «Pensi che rivenderla ne valga la pena? Hai visto tu stesso che è troppo rischioso, quel confine è disseminato di guardie».

Armand si prese il mento fra pollice e indice: «Conosco delle persone che la comprerebbero e farei una piccola fortuna. Magari potremmo aspettare che un carro ne trasporti del carico e depredarlo prima che arrivi a qualche città, abbiamo una maga e...».

«Lei non può usare la sua magia contro gli umani e sinceramente la nostra libertà è più importante del denaro che tu guadagnerai» disse secco il ragazzo, sbuffando.

Armand scrutò mesto il volto di Aisling che annuì alle parole di Rian.

«Mi avete imbrogliato!» protestò il Ladro: «E io vi ho offerto il mio aiuto, il mio cibo, la mia casa». Strinse le redini fino a farsi sbiancare le nocche. «Avevamo un patto!».

«Non ci farai venire i sensi di colpa» gli rispose Rian: «Te l'ho detto, se vuoi andare accomodati. Noi decidiamo di non rischiare».

«Non parlarmi in questo modo, ragazzino. Non prendo ordini da te» s'infervorò ancora di più.

Aisling aprì le braccia, frapponendosi tra loro due: «Basta, smettetela o sveglierete quello che si nasconde nel cerchio. Potrebbe essere un'entità maligna».

«Allora che stiamo aspettando ad andarcene?» l'apostrofò Armand, allargando gli occhi verso la costruzione di pietra.

Il vuoto tra le colonne era ancora immobile.

«Voi due vi siete messi a discutere come bambini...».

La maga non riuscì a finire la frase che una folata di vento destò i cavalli, facendoli impennare. Il destriero di Armand nitrì. Aisling a stento riuscì a mantenere l'equilibrio e Rian le sbatté il petto contro la schiena.

«Aisling, che stai facendo?» domandò nervoso Rian.

«Non ho fatto nulla. Non sono io».

«Riiiaaaaan» chiamò una voce femminile dal cerchio di pietra, allungando le vocali del suo nome, come se si dovesse arrampicare su un ripido pendio per pronunciarle.

Assomigliava a un lamento.

«Avete sentito?» domandò il ragazzo. Un brivido gli correva lungo le braccia e la spina dorsale. Avrebbe voluto aggrapparsi alle redini, per essere pronto a fare dietrofront, ma le teneva saldamente la maga.

«Riiiiaaaan» sibilò di nuovo la voce.

Aisling scrutò il cerchio. Le sembrò molto più vicino, come se si fosse spostato o il vento li avesse sospinti lontano attirandoli verso le pietre. Chiunque stesse parlando ormai li aveva notati, era troppo tardi per scappare, bisognava prepararsi a combattere. «Qualche morto deve aver un conto in sospeso con te».

Il ragazzo provò a pensare se avesse mai dato fastidio a qualcuno; a parte Jamera, la moglie del vecchio Heil, che non voleva suo marito bevesse troppo, non gli venne in mente nessuno. «Come può essere?».

«Oh, ma guardati! Poco fa eri tutto temerario e ora quelli cosa sono, brividi?» lo canzonò Armand.

«Non sono spaventato» lo rimproverò Rian sfregandosi le braccia: «Non sono di paura, provengono da qualcos'altro». 

Non era vero. Il cuore gli martellava nel petto, impazzito. Che cosa poteva volere quella voce da lui? Aisling aveva detto che era una magia malvagia.

Deglutì.

Una sagoma scura saltellò fuori dalla pietra. Sembrava una piccola ombra che si avvicinava molto velocemente. Armand estrasse un pugnale, Rian lo imitò anche se avrebbe preferito avere un arco con sé, ma il Ladro non ne aveva nella sua collezione.

I cavalli rimasero stranamente calmi e immobili mentre la figura si avvicinava e prendeva le sembianze di un vecchio incappucciato da un logoro mantello pieno di toppe di diversi colori sgargianti.

La barba bianca gli scendeva dal mento arrivando quasi a toccargli i piedi nudi, che non lasciavano nessun'orma nella neve, mentre avanzava verso di loro. La luce lunare gli faceva sembrare la pelle ancora più diafana, evidenziandone i segmenti delle vene bluastre sulle tempie.

Si fermò a pochi passi di distanza dai tre viaggiatori, tirandosi giù il cappuccio per mostrare un volto costernato di rughe e due occhi azzurri incavati in una testa completamente calva.

«Mettete via le lame prima che qualcuno si faccia seriamente del male» disse e con la mano ossuta scacciò una mosca invisibile.

Tossicchiò dopo aver parlato e si coprì la bocca con la mano.

Rian abbassò la sua arma, Armand non fece altrettanto.

«Come avete fatto ad eludere gli Invisibili?» domandò incuriosito dai tre stranieri. Aggrottò le sopracciglia, studiando i tre giovani che non gli sembravano per nulla particolari, eppure erano riusciti ad arrivare fino alla sua dimora.

«Noi...» farfugliò Aisling, che guardava il vecchio come se stesse vedendo uno spettro: «Noi abbiamo sentito una voce».

Sapeva che era importante non far arrabbiare gli spiriti e forse, se fosse stata brava, sarebbe riuscita a negoziare la loro libertà.

Il vecchio si concentrò su di lei e un timido sorriso gli increspò le labbra: «Non sono uno spirito, come pensi, ma forse dovrei esserlo per gli anni che ho vissuto. Era da molto tempo non vedevo una vaneeta».

Sorrise alla maga e si tirò su la larga manica della tunica blu per mostrarle un marchio che aveva sul dorso della mano. Era nero, proprio come quelli di Aisling, ma invece dei vortici rappresentava un cerchio perfetto interrotto a metà da una linea obliqua.

«Il simbolo degli Esiliati» mormorò lei a bocca aperta.

A Gwarak tutti conoscevano gli Esiliati, due gemelli che avevano cercato di usurpare il trono del sovrano e per questo erano stati uccisi a sangue freddo e i loro corpi erano stati poi donati a delle creature malvagie perché banchettassero con le loro carni. La storia più sanguinosa raccontava che  fosse stata mozzata la loro testa da uno dei golem che proteggevano il castello, proprio sulle scalinate d'ingresso e con un solo e preciso colpo d'ascia.

«Voi dovreste essere morto» commentò ancora: «Siete maestro Errant o maestro Sareis?».

«Maestro Errant, mio fratello è molto più brutto di me» rispose il vecchio sorridendole ancora. «Una così giovane fanciulla che conosce il mio nome. Devono raccontare parecchie storie sul mio conto ai bambini e immagino che non siano per nulla piacevoli».

«Non ne avete idea» continuò a bisbigliare la maga con sguardo attonito e un'espressione confusa dipinta sul viso.

«Credo di sapere a chi apparteneva la voce che avete sentito. Seguitemi» ordinò l'anziano mago e con un gesto li incitò a fare come diceva.

Nessuno dei tre ragazzi si mosse.

Il vecchio si voltò e si grattò il mento. «Potete fidarvi, non vi lascerò nel limbo».

«Quale limbo?» s'intromise Armand, continuando a guardarsi attorno come se dovessero spuntare nemici dal nulla.

«Quello in cui siete finiti quando avete interrotto il mio incantesimo di difesa».

L'anziano ancheggiò verso il cerchio e sparì dentro la roccia da cui era uscito. «Sbrigatevi!» disse la sua voce dall'interno della pietra: «Sto tenendo la porta aperta, vi basterà proseguire».

I due giovani fissarono la maga in attesa di un suo cenno.

«Hai proprio degli amici strani» le disse il Ladro, ridacchiando tra sé e sé.

Aisling alzò le spalle. Non erano di certo favole quelle che si raccontavano sugli Esiliati e i crimini che avevano commesso contro la loro corona, ma se c'era qualcosa che a lei non andava a genio era la possibilità di sentire soltanto una campana. Da quando le avevano raccontato le storie su di loro, avrebbe tanto desiderato sapere anche le motivazioni che avevano spinto i due maghi ad aizzarsi contro il sovrano; la parte di storia vista dai loro occhi e udita dalle loro menti. Ne aveva discusso spesso con Antartide, ammirata dall'audacia e dal coraggio dei due fratelli di opporsi alle costrizioni del regno degli incanti.

«Non è un mio amico, ma facciamo come dice».

Quando aveva visto maestro Errant le era sembrato un vecchio fragile, piegato dagli anni, dall'assenza della magia, che come dicevano le leggende gli era stata portata via quando venne mandato in esilio con il fratello, prima di essere ucciso per mettere a tacere qualunque ribellione. Eppure solo il fatto di entrare in una roccia era qualcosa di magico, stava piegando il volere della terra al suo dominio. Se utilizzava la magia e non l'aveva perduta perché era invecchiato così tanto?

La curiosità annidata in lei era forte, più spavalda della paura di essere al cospetto di un criminale o di un mago abbastanza potente da creare un limbo, una storpiatura della realtà, protetta da esseri invisibili.

Se li avesse attaccati non avrebbero avuto scampo, ma spronò il cavallo in direzione del cerchio.

Revis, il capo del suo villaggio, le aveva insegnato che le apparenze possono ingannare, che un vecchio storpio poteva essere il più temibile assassino e che una donna incinta era la miglior guerriera; ma quel mago non li aveva ancora aggrediti e se davvero erano in un limbo, come aveva professato, soltanto lui poteva farli uscire.

Appena furono in prossimità della pietra, la roccia si deformò traballando, scomponendosi per aprire un passaggio su una distesa verde e soleggiata. Rian si stropicciò le palpebre come se gli fosse finito qualcosa negli occhi.

 Al limitare della valle, ai piedi di una grande collina, si ergeva un'alta casa di legno dal tetto vertiginosamente a punta e cinque comignoli da cui fuoriusciva del fumo grigio e denso.

Il vecchio era dietro di loro. Si girò verso lo squarcio che dava sul cerchio di pietre. Si chinò a spazzolare dei fiocchi di neve che si erano precipitati nel passaggio con loro, e strappò qualche ciuffo d'erba dal terreno ai piedi del varco. Sobbalzò per lo sforzo, come se gli avessero tirato un pugno nello stomaco e Rian ebbe l'istinto di scendere da cavallo per aiutarlo.

Pronunciò qualche parola apparentemente senza senso e gettò i fili d'erba al di là del passaggio che si chiuse piegando cielo e terra su sé stessi.

«Che razza di posto è questo?» domandò Armand guardandosi attorno, nello stesso modo in cui un cercatore d'oro guarderebbe una miniera di pietre preziose.

«Questo posto è casa mia» disse il mago: «Mia e di mio fratello».

Aisling s'accigliò. «Siete vivi entrambi allora».

«Ma certo, cara, anche se dopo tanti anni preferirei essere morto».

«Usate la magia? Il vostro aspetto è così...» non voleva essere scortese, ma non aveva mai visto un mago così invecchiato.

«Che ne dite se rispondo alle vostre domande in casa? L'inverno mi gela fin dentro le ossa» rabbrividì sotto la tunica chiara e s'incamminò verso la dimora in legno.

I tre giovani lo seguirono a piedi, smontando dai cavalli che legarono a una staccionata pendente in prossimità della casa.

Un secondo vecchio li attendeva sull'uscio. Erano identico ad Errant, cambiavano soltanto il colore della tunica, una blu e l'altra verde, e quello dei loro occhi, se Errant li aveva azzurri, Sareis ne aveva uno blu e l'altro giallo.

«Non era la tormenta come pensavi» disse al fratello, lanciando un'occhiata confusa ai viaggiatori.

Errant si accarezzò i gomiti, incrociando le braccia al petto: «Questa volta no».

«Erano loro il motivo per cui Lei si è svegliata?».

«Temo di sì».

Rian guardò i due vecchi e ripensò alla voce che aveva detto il suo nome: «Di che state parlando?».

«Venite» li invitò di nuovo Errant.

La porta della casa si spalancò da sola, come se fosse una creatura viva, inondandoli con un lieto e caldo tepore. Subito dopo l'ingresso si apriva una sala circolare le cui pareti erano cosparse di mensole con gli oggetti più disparati: strani capelli a punta, rotoli di pergamene consumati, boccette con svariati liquidi colorati che bollivano o luccicavano all'interno del vetro, utensili in legno.

Rian ne riconobbe alcuni, ma non fu sicuro di ciò che vedeva finché Armand glielo confermò sottovoce: «Artefatti magici illegali, qui dentro c'è una fortuna». Il Ladro si strinse nelle spalle, quella sala gli ricordava molto la sua casa dei tesori; era al cospetto di qualcosa di unico e i suoi occhi si annebbiarono per un momento con lacrime mute.

«In pochi sono stati qui, non dovete farne parola con nessuno, e se lo fate noi lo sapremo. Siamo noi a produrre questi oggetti con il nostro spirito, e poi li vendiamo agli abitanti del vostro regno per metterci il pane sotto ai denti» rivelò orgoglioso maestro Errant, posando le mani su una spalla dei due ragazzi.

«E così è da qui che vengono» pronunciò sottovoce Rian, annotandosi un'altra leggenda raccontata in modo completamente sbagliato.

Sareis lo fulminò con un'occhiataccia: «Glielo dici in questo modo? Non sai nemmeno se possiamo fidarci di loro».

«Se Lei li ha chiamati probabilmente non sono pericolosi». Errant si puntò le mani sui fianchi ossuti.

«Sei sempre il solito, non sei mai prudente».

Aisling si intromise fra loro, portando le mani ben in vista in segno di pace. «Vorrei sapere la vostra storia, per favore».

«Non te l'hanno già raccontata?» le chiese Sareis accigliandosi. Sbatteva la porta della casa che non aveva voglia di richiudersi.

«Vorrei saperla dalle vostre bocche» rispose prontamente, alzando la voce per farsi sentire sopra il baccano che il vecchio stava producendo.

Sareis sbuffò ma Errant fece loro strada verso una piccola sala da pranzo composta da un tavolo coperto da una candida tovaglia ricamata, con al centro un vaso di rose bianche e gialle.

Dalla finestra sulla desta filtrava la luce del sole e si intravedeva un bosco verde e rigoglioso alzarsi sul pendio della collina.

Il gemello poco prudente fece comparire dal nulla un altro paio di sedie e apparecchiò delle ciotole con una strana brodaglia scura e grossi pezzi di pane che ci navigavano all'interno.

«Mangiate, sarete affamati» sorrise ai suoi ospiti.

Sareis alzò gli occhi verso il soffitto e unì le mani in preghiera. «Farai bene ad aver ragione, perché questa volta io non ti aiuterò a rimediare i guai che combini».

Aisling si sedette per prima. La ciotola che aveva davanti si mise a fumare, riscaldandosi da sola.

Osservò attenta il rivolo di fumo che si disperdeva nel vuoto. «Mi avete promesso una storia» non volle demordere dal suo desiderio.

Sareis si sedette proprio di fronte a lei. Il suo stomaco brontolò rumorosamente mentre piegava le gambe sotto al tavolo, ma non si curò di scusarsi. «Non ti abbiamo promesso un bel niente».

Rian fece un respiro e si intromise nel discorso: «Chi è questa Lei che ci avrebbe chiamato?».

Anche Errant si sedette a tavola e sorrise gentile al ragazzo. «Una domanda per volta. Dopotutto non siamo più dei giovincelli come voi». Si massaggiò le meningi e li guardò come se stesse riflettendo da dove iniziare.

Anche Rian si accomodò a tavola, proprio accanto alla maga, soltanto Armand si fermò ad accarezzare lo schienale della sedia prima di prendere il posto rimasto libero a capotavola. Il suo sguardo guizzò per un istante verso la sala che avevano oltrepassato e si chiese quanti cimeli avrebbe potuto mettersi nelle tasche senza che quei due vecchi se ne accorgessero.

Sareis rigirò il cucchiaio nella sua brodaglia, prima in senso orario e poi nell'altro. Un leggero sospiro si insinuò fra le sue labbra. «Prima ci interrompono la colazione, infrangendo le protezioni e poi gli offriamo pure da mangiare!».

Suo fratello rise, come se avesse detto una battuta. «Non fate caso a lui, è sempre così scorbutico. E per le protezioni sono sicuro che non è colpa vostra, ma che vi ha cercati Lei» disse ai tre giovani. Il vecchio con gli occhi diversi fece finta di non dargli retta e raccolse una cucchiaiata di brodo.

«Sarà meglio iniziare dalla curiosità della vaneeta, che si chiama?» continuò Errant.

«Aisling» rispose, pendendo dalle labbra del vecchio, mentre il suo cuore si scaldava. Sentiva che avrebbe finalmente scoperto qualche segreto sul suo regno.

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