Capitolo 19
Il suolo nel tunnel era appiccicoso, imbrattato di una qualche sostanza oleosa, che Rian sentiva appiccicarsi come miele sotto le scarpe. Lui e Aisling stavano seguendo Armand, immersi nel buio più totale di quel corridoio segreto che li avrebbe condotti finalmente lontano dal pericolo.
Il Ladro sapeva perfettamente dove andare, ogni tanto chiedeva loro se fossero ancora dietro di lui, per accettarsi di non averli seminati. Rian aveva la sensazione che se si fossero fermati all'improvviso sarebbe andato a sbattere contro la schiena della maga, che camminava a passo spedito di fronte a lui. Si concentrò sul suono dei loro passi, cercando di distinguerne la cadenza. Armand aveva detto che il tunnel era dritto fino a Danhara, ma loro non sapevano se fosse esattamente così e in quel caso era meglio non perderlo di vista, o meglio d'udito, dato che in quella densa oscurità gli occhi di Rian faticavano ancora ad abituarsi.
Gli sembrava di camminare dentro il cielo di notte. Si sentiva smarrito, una sensazione che non aveva mai provato nella nebbia.
Non aveva confidenza con le tenebre. A Thanlos la notte non era fatta per uscire, per cacciare o per le scorribande e dopo le giornate passate ad aiutare sua madre alla taverna l'unica voglia di Rian era quella di appisolarsi nel suo letto.
Non sapeva da quanto tempo fossero lì sotto, ma il suo stomaco aveva cominciato a borbottare per la fame e il corridoio di roccia sembrava non finire mai. Si posò una mano sulla pancia, massaggiandola delicatamente. Thanlos era un paese povero, ma non aveva mai saltato un pasto. Se sua madre non aveva guadagnato abbastanza denaro con la taverna, lui andava a caccia e procurava sempre della selvaggina. Lepri che si nascondevano lungo la costa e qualche volta cervi o cinghiali.
«Fermi!» ordinò il Ladro, il suo passo si era arrestato all'improvviso e Rian era stato abbastanza attento da fermarsi in tempo. Aisling invece no, andò a sbattere contro la schiena di Armand, ma non si scusò.
«Ho capito che sono affascinante, ma mi sembra prematuro saltarmi addosso ora. Ci conosciamo ancora da poco» la prese in giro, sorridendole nel buio e voltandosi a prenderle le mani fra le sue: «Ma mi piacerebbe conoscerti meglio».
La maga ghignò desiderando di cavargli quel sorriso che vedeva a malapena, ma si trattenne dal momento che quel ragazzo sembrava essere la loro unica via d'uscita.
Rian tossicchiò alle loro spalle per reclamare la sua presenza e Armand liberò le mani di Aisling dalla sua stretta. «Siamo arrivati, salgo io per primo» continuò con tono nervoso. Si sentirono i suoi piedi battere e salire su una superficie metallica. Lo scalpitio saliva verso l'alto.
Arrivato in cima alla scala gemella, Armand spalancò una seconda botola che cigolò sui cardini arrugginiti, inondando il tunnel con un fascio luminoso proveniente dall'esterno. La maga e il cacciatore sbatterono le palpebre, travolti da quel cambio di luminosità.
«Restate lì a fare la muffa o salite?» li schernì senza neanche voltarsi, salendo gli ultimi gradini e arrampicandosi fuori dalla cavità del buco.
Quando Rian sbucò per ultimo con la testa verso l'aria fresca, il Ladro gli offrì la mano per aiutarlo a issarsi all'esterno, proprio come aveva fatto un attimo prima con Aisling.
Rian guardò quelle dita protese verso di lui e le ignorò, puntando i palmi sul terreno e tirandosi fuori da solo, facendo leva con i muscoli delle braccia.
Armand chiuse la botola e con una piccola chiave che teneva legata a una cordicella sull'avambraccio sinistro fece diversi giri alla serratura.
Si ritrovarono in un vicolo stretto e maleodorante. Della spazzatura ricopriva gli angoli della strada, carte sporche, avanzi di cibo troppo marcio per essere mangiato, con mosche saltellanti come uniche compagne e vestiti strappati. Su una parete grigia regnava una chiazza di fuliggine nera, la polvere sembrava staccarsi col vento per poi riattaccarsi alle mattonelle nello stesso momento.
«Benvenuti alla periferia di Danhara, giovani stranieri». Armand si prodigò in un inchino sfarzoso che lo rendeva buffo a causa degli abiti logori e le ferite sul volto. Il suo nervosismo era fluito via come per magia.
Accanto allo scolo di una grondaia il cui ferro era ammaccato in diversi punti, un gatto nero stava rosicchiando un topo morto. Lo tratteneva tra le zampe lunghe, spolpandolo, e non li degnò di un'occhiata mentre loro sgattaiolavano silenziosi lontano dal muro di mattoni che segnava la fine di quel vicolo cieco.
Guardandosi attorno, Rian si rese conto che forse c'erano posti peggiori del suo villaggio. Sembrava un luogo malfamato, un osso ridotto fino al midollo; e Thanlos, anche se era tagliata fuori da qualsiasi commercio o approvvigionamento di merci, non era ridotta in quello stato pietoso.
Aisling si mise le mani sui fianchi: «Avevi detto di avere un covo, ci servono delle provviste».
«Vuoi tutto subito, eh?» il Ladro aggrottò le sopracciglia.
«Mi sembra il minimo dato che ti abbiamo aiutato a uscire di prigione. E poi non dovresti metterti contro dei maghi».
«Dei maghi ricercati a quanto pare, visto che le guardie vi hanno catturato» rispose sorridendo come se stesse guardando una refurtiva: «E poi magari sono abbastanza folle da non curarmi di chi diventa mio nemico».
Aisling stava per ribattere, quando il Ladro la interruppe: «Tuttavia mantengo sempre le promesse. Vi ho detto che vi avrei portato al sicuro e lo farò, non sono così stupido da non riconoscere la vostra gentilezza».
«Sbrighiamoci» lo spronò Rian controllando l'entrata del vicolo. Si sentiva decisamente più al sicuro sottoterra, disperso nell'oscurità, che lassù in bella vista.
Passandogli accanto, Armand gli posò una mano sulla spalla. «Sta tranquillo, qui nei bassifondi le guardie non vengono mai» ammiccò: «A meno che se non siano state avvisate di cercare dei fuggitivi, allora questo diventa il primo posto in cui andrebbero». Fece diversi passi in avanti e guardò la strada su cui sbucava il vicolo, prima a destra e poi a sinistra: «Per fortuna che i soldati non sanno proprio dove guardare».
Fuori da quel vicolo la città sembrava deserta, diversa da come era Rena. Il vento spostava la polvere sulla terra scura della strada, gli edifici erano fatiscenti, alcuni per metà diroccati. Muri crollati, rovine dimenticate, tetti in paglia lasciati a marcire o di tegole cadute per terra, rovinati dal periodo delle piogge. Armand spiegò che in quella parte della città vivevano le persone più povere e che non tutto il mondo è generoso e misericordioso, specialmente con chi non riesce a ritagliarsi il proprio posto in modo onesto nel regno. Il re dice di voler salvaguardare la propria gente, ma non ci tiene ad aiutare la parte "marcia" che crea solo problemi.
Aisling cercò di non indugiare sulle macchie di sangue scurito dal tempo, che ogni tanto imbrattavano qualche muro. Anche Rian cercò di non guardare quelle chiazze di colore indurito nel grigio e nero delle pareti; non gli aveva mai dato fastidio la vista del sangue, ma adesso gli ricordava come mai si ritrovava a camminare per quelle strade. Non incontrarono nessuno che sbarrò loro la via o tentò di inseguirli, eppure sentiva degli sguardi pesare sulle sue spalle, dai balconi semichiusi o dai buchi nel legno delle porte, o ancora da dietro qualche colonna o pietra. Qualcosa si nascondeva attorno a loro. I suoi muscoli erano all'erta, pronti a scattare se qualcuno li avesse aggrediti.
Raccolse da terra un bastone abbandonato, procurandosi un'occhiataccia da parte di Armand. La loro guida camminava in testa alla fila, con aria sicura e le spalle dritte, come se fosse il re di quel posto. Arrivarono davanti a quella che doveva essere una bottega di un calzolaio, l'insegna era illeggibile, incrostata di polvere da sparo, segni di di un incendio passato ne annerivano le mura, ma dalla finestra accanto alla porta, oltre il vetro sporco, si potevano notare fila e fila di scaffali coperti da strisce di cuoio e un tavolo mezzo inclinato con ai piedi arnesi di legno e chiodi e un metro sbiadito.
Armand tirò fuori ancora una volta la sua piccola chiave arrugginita. Avvicinò l'avambraccio alla serratura della porta e fece scattare la serratura, infilandola nel buco.
«Quella chiave apre tutte le porte, vero?» gli domandò Aisling, fissando il piccolo oggetto mentre lui lo nascondeva sotto la manica. Non le rispose, si limitò a farle un'occhiolino e invitarla ad entrare nel suo covo.
Il padrone di casa entrò per ultimo, chiudendo la porta alle sue spalle e fissandola dall'interno con la catenina in ferro di un chiavistello. Si lasciò andare a un sospiro sollevato; quando lo avevano catturato le guardie, quella notte a Rena, non era convinto che sarebbe riuscito a tornare di nuovo in quel postaccio.
«Vivi davvero qui?» gli chiese stupito Rian, continuando a guardare la piccola sala sciupata e vuota, a parte per il tavolo e gli scaffali. Un paio di ragnatele pendevano dall'angolo che conduceva a una scalinata in legno. L'odore di muffa era quasi peggiore di quello che si respirava nelle prigioni.
«Al piano di sopra» rispose, indicando con un dito verso l'alto. Fece un gran sorriso prima di dirigersi in cima alle scale. Aisling lanciò una veloce occhiata a Rian prima di seguire quel ragazzo. I suoi occhi neri nascondevano un messaggio "Facciamo attenzione".
Il legno scricchiolò sotto ai loro piedi mentre salivano un'altra rampa di scale e rimasero entrambi ancora più sorpresi dal piano superiore di quell'abitazione. La confusione regnava nella stanza. Diversi oggetti erano accattasti lungo la parete, quadri dalle sontuose cornici in legno di quercia e di ciliegio, pile di libri ingialliti, parti di statue bianche: un braccio era appoggiato grazie al gomito in un angolo, un volto piegato a testa in giù li scrutava con occhi vuoti dall'alto di una mensola tra vari tessuti pregiati. Una libreria correva lungo la parete adiacente ed era stipata di piccoli ninnoli luccicanti, gioielli, sacchi di monete, piume, boccette di inchiostro, pugnali con pietre preziose incastonate nell'elsa, un'elmo di un soldato di Agna. Le mensole si interrompevano soltanto per lasciar spazio a un piccolo caminetto in pietra.
«Casa, amata casa!» commentò in modo melodrammatico Armand, raggiungendo il camino e inginocchiandosi per accendere il fuoco. «Spero che vi piaccia il tè» continuò mettendo a bollire una teiera in terracotta accanto alle fiammelle che cominciavano a crepitare e illuminare la stanza.
Al centro della stanza si trovavano un piccolo divanetto in cuoio consumato, un tavolino, due sgabelli con montagne di libri sopra e una poltrona di tessuto blu con uno schienale alto e i braccioli intarsiati da quello che sembrava essere argento sbiadito. Stipetti chiusi contenevano chissà quali altri tesori.
La parete di fondo conteneva invece una finestra dal vetro grigio, oltre la quale si notavano i tetti malridotti e in lontananza altri più bianchi e rossi, lucenti come gemme nel sole pomeridiano. Quella sullo sfondo era la vera città di Danhara, la parte rigogliosa e nobile.
«Qualcuno di voi potrebbe chiudere le tende?» disse Armand, intento ad aggiungere all'acqua delle foglioline verdi che aveva recuperato da una dispensa. Aisling si mosse e fece quello che aveva chiesto, afferrando il pesante tessuto blu ai lati della finestra, schermandoli dall'esterno. Rian fece dei passi verso di lui che nella confusione della piccola dispensa gli allungava delle tazze sbeccate e un vassoio con dei pezzi di pane umido. «Sarà meglio se le pulisci prima, non ho mai ospiti» sorrise al ragazzo per passargli anche uno straccio.
Il fuoco che addentava pigramente la legna proiettava delle ombre sui loro volti affaticati dalla corsa.
Rian alzò gli occhi verso il soffitto, scoprendo un lampadario dorato con delle candele consumate. Posò le tazze sul tavolino, l'unico ripiano completamente sgombro, per liberarsi le mani e afferrare lo straccio che il Ladro sventolava quasi fosse una bandierina.
Subito dopo Armand prese uno straccio anche per lui, lo immerse nella teiera con un lembo e se lo posò sull'occhio dolorante e gonfio.
«Hai rubato tutta questa roba per accumularla qui dentro?» gli chiese Rian, continuando a frugare la stanza con gli occhi, fin dove i bagliori del fuoco gli permettevano di vedere. Aisling si era chinata su un paio di libri sopra uno degli sgabelli e ne sfiorava la copertina con estrema cura, come se si potessero ridurre in polvere soltanto a guardarli.
«Non ho rubato tutto quanto» rispose il Ladro, andando a sedersi sul divanetto sopra una coperta sfilacciata, premendosi il panno sulla ferita: «Per la maggior parte sì, ma alcuni cimeli li ho salvati dalla tenuta della mia famiglia, prima che mio fratello mandasse il nostro patrimonio in bancarotta. Ci aveva riempiti di debiti di gioco ed è fuggito. Un giorno sono arrivati i creditori a riscuotere il denaro che gli doveva e si sono portati via quasi tutto. I miei genitori hanno deciso di cercare fortuna altrove e io sono rimasto qui». Si portò una mano al petto, mentre rilassava le spalle contro lo schienale: «Ero più giovane, incorreggibile e testardo. Avevo delle cotte per diverse ragazze, alle quali non volevo rinunciare».
Smise di raccontare e fissò Aisling, ancora concentrata a leggere i titoli delle varie copertine. La guardò con il suo occhio buono, facendo scorrere lo sguardo dalla sua chioma rossa alle caviglie esposte dai pantaloni recisi. «Una potrebbe essermi venuta in questo momento» bisbigliò e un sorriso gli increspò le labbra ruvide.
«Siccome nessuno mi ha mai insegnato un mestiere mi sono messo a rubare. Qui mi chiamano "Miraggio di Polvere", a Rena semplicemente "Ladro" e a Selin "La slitta d'ombra". Onestamente adoro questi nomignoli scenografici» continuò subito dopo, per evitare che dicessero qualcosa al suo posto.
Rian lo inchiodò con uno sguardo accusatorio: «Rubare non è corretto».
Il sorriso di Armand non si dileguò di un centimetro: «Quando tocchi il fondo, ragazzo, farai di tutto pur di risalire. Vi ho parlato di me, adesso ditemi chi ho l'onore di ospitare nella mia umile dimora».
Il rumore dell'acqua che bolliva li distrasse e Rian si affrettò a recuperare la teiera, aiutandosi con lo straccio per non bruciarsi le dita. Versò il contenuto nelle tre tazze sul tavolo e Armand gli indicò una tinozza di latta dove posare il contenitore fumante.
Si tolse il panno umido dall'occhio, facendolo ricadere sulla spalla, per allungarsi ad afferrare una tazza: «Allora?» li incalzò entrambi.
Solo in quel momento Aisling parve interessarsi alla conversazione e alzò lo sguardo verso il tavolino. Prese un tozzo di pane scuro e si sedette sull'altro lato del divanetto. Lo annusò. «Mi chiamo Aisling Ymera e vengo dal villaggio del vento di Gwarak-an-Sidhe» si presentò con orgoglio, ma i suoi occhi continuavano ad essere allarmati, come se un pensiero preoccupante le solcasse la mente ora che finalmente erano al riparo, ma lei volesse celare il suo stato d'animo.
Rian spalancò gli occhi di fronte a quella informazione, in parte nuova anche per lui.
«Quindi non erano trucchetti quelli che ci hanno fatto fuggire» mormorò incantato Armand, per nulla intimorito: «Non mi era mai capitato di vedere della vera magia in azione».
Rian conosceva quella sorpresa, era la stessa che aveva avuto lui quando i maghi si erano esibiti per le prove dello spettacolo e quando avevano combattuto contro i lupi.
«Io sono Rian e non ho un cognome. Non so chi sia mio padre» tentennò il ragazzo, cercando un modo di attirare l'attenzione del ladro che fissava Aisling come se fosse un cibo prelibato e volesse addentarla. «Vengo da Thanlos» sussurrò chino sul fumo che fuorusciva dalla sua tazza. Annusò l'acqua calda, un leggero aroma di menta e qualcosa di speziato.
Armand rischiò quasi di sputargli in faccia il tè che si era appena portato alle labbra. «Non nominare il luogo maledetto dal quale non si esce più. Si dice che tutte le persone che ci vivono siano portatori di peste e altre malattie. Solo gli stolti ci vanno» si fece il segno della croce con la mano libera.
«Non ti sembra di essere un po' offensivo?» lo rimproverò la maga.
Rian lo guardò sconcertato: «Non è così. La nebbia è maledetta, ma non le persone del mio villaggio. Non ho la peste!».
Armand lo studiò attentamente: «In effetti non mi sembri moribondo, ma eviterò di toccarti tanto per precauzione. Cosa ci facevano due tipi come voi nelle prigioni di Rena?».
Rian sentì spuntare un sorriso sulle sue labbra dopo quell'affermazione, non gli era piaciuto quando gli aveva afferrato la spalla nel vicolo, lo sguardo prepotente e di superiorità che aveva ostentato nei suoi confronti. Si rilassò, sapendo di aver una carta vincente in tasca, quella della paura, ma chiedendosi anche come mai quel ladro avesse insinuato una cosa simile. Andò a sedersi nella poltrona azzurra, sprofondandoci dentro, riscaldandosi le mani attraverso la porcellana della tazza e bevve un sorso di tè.
«Semplicemente le guardie sono sulle nostre tracce, ma non posso dirti il motivo, spero che capirai» rispose la maga, alzando le spalle e infilandosi in bocca il pezzo di pane.
«Oh, oh, qualcosa di grosso insomma» sibilò il Ladro, come se tutta la faccenda lo divertisse parecchio.
«Già e penso che sarebbe meglio se restassimo qui a riposare» intervenne Rian guardando la maga, stanco per la corsa della fuga improvvisata: «Sempre se tu sei d'accordo».
Aisling ingoiò il boccone e strinse i pugni sopra le gambe: «No. Dovremmo arrivare il prima possibile alla foresta di Halor».
«Aisling, non arriveremo nemmeno al confine della città se non riposi. Si vede da come cammini che sei sfinita, anche se vuoi nasconderlo».
«E vi assicuro che è molto più facile uscire dalla città quando calano le tenebre» s'intromise Armand, con un luccichio sinistro nell'occhio sano: «Potrei aiutarvi di nuovo, se voi aiutate me. Potremmo collaborare. Si dice che Halor ora sia inespugnabile. Il nostro sommo re ha scoperto che il suo legno è ricco di magia e solo chi ha un permesso scritto può entrarci. Volevo derubare una delle carovane che scortano la legna fino a Dubis, una maga mi farebbe comodo».
Aisling scambiò sbigottita uno sguardo con lui: «Vuoi farci diventare dei fuorilegge in cambio di un aiuto ad uscire dalla città?».
«Mi era sembrato di capire che lo foste già» ridacchiò Armand e sorseggiò di nuovo la sua bevanda calda. «Sei così smaniosa di partire, ma qui siamo al sicuro, hai la mia parola e poi secondo me una sosta per lavarci via il sudiciume della prigione farebbe bene a tutti e tre».
«Parli come se avessimo già accettato il tuo accordo» commentò lei, alzando un sopracciglio rossastro.
«Non avete scelta, se volete cavarvela. Senza di me non sapete nemmeno dove si trovano le uscite della città e fuori dalla mia casa gli altri farabutti che si nascondono tra le rovine vi attaccherebbero all'istante».
«Ci possiamo fidare di te?» gli domandò Rian dubbioso.
«Come io posso fidarmi di voi» rispose, senza degnarlo di uno sguardo. La sua attenzione era catturata dalla reazione della ragazza seduta al suo fianco.
La maga incassò il colpo, ma lo sfidò continuando a guardarlo. «Bene, allora. Sei mai stato ad Halor?».
«No, ma qualcosa mi dice che tu ci sei stata, signorina, non è vero?».
Aisling si strinse nelle spalle e si alzò dal divanetto, a lui bastò come risposta al suo quesito.
«Quella porta conduce al bagno» indicò un'anta di legno, camuffata tra gli scaffali: «Ho una bellissima vasca d'ottone che tutti mi invidiano» aggiunse rimanendo fermo sulla propria idea. «Puoi scaldare l'acqua sul caminetto e andare per prima, così farai il bagno più caldo e più pulito visto che per oggi ho solo quella e l'ho razionata solo per me».
La maga diede la schiena a entrambi i ragazzi e si chinò ad afferrare una tinozza già ricolma d'acqua, abbandonata sul pavimento. Rian si offrì di aiutarla ma lei rifiutò educatamente e si aprì da sola la porta evocando uno sbuffo d'aria che fece tremolare le fiamme nel camino, minacciandole di spegnerle. Varcò la soglia a testa alta e posò la tinozza d'acqua fredda solo dopo qualche passo, incassandone il peso ad ogni movimento; non l'avrebbe riscaldata sul fuoco come quel ragazzo le aveva consigliato di fare. Dopotutto non aveva mai fatto un bagno caldo in vita sua.
La vasca era al centro dell'angusta stanza quasi spoglia, ad eccezione di un mobile intarsiato e un vaso da notte, illuminata da un fascio di luce tra gli scuri di una finestra; era abbastanza grande per distendere completamente le gambe. Ci versò l'acqua senza troppe cerimonie e poi chiese al vento di chiudere la porta.
Sussultò per lo sforzo, anche se era un gesto che richiedeva pochissima energia. I muscoli le pulsavano, la testa le doleva.
Udiva le voci, oltre il legno, di Rian e di quel ragazzo che li aveva aiutati. Sarebbe voluta ripartire subito, sentiva che ogni istante era troppo prezioso per essere sprecato. Doveva trovare le Temahe e capire che cosa era successo; ma era il suo unico voto, contro quelli dei ragazzi, che avevano già deciso come agire. Si maledì di sentirsi così debole. Eppure lo era. I suoi ultimi bagliori di forza si infransero dietro la fragilità del momento.
La sua vita stava cambiando, in peggio. Partendo da casa aveva deciso che avrebbe convinto Antartide a tornare indietro, invece era stata soltanto capace di mettersi nei guai, trascinando Rian con sé. Antartide gli aveva chiesto di prendersi cura di lei e probabilmente se fosse stato al suo posto le avrebbe detto di recuperare le energie.
Si tolse frettolosamente i vestiti e i bendaggi. La ferita al braccio si stava infettando e laddove si era estratta i pezzi di vetro, righe rosse le infiammavano la pelle bianca. Si immerse in fretta nell'acqua, appoggiando la schiena al bordo e affondandoci dentro fino alla bocca. L'acqua le lambiva le labbra come un velo, il suo respiro ne increspava la superficie in onde leggere. Strinse i pugni per evitare di guardare i segni sui suoi palmi e silenziosamente pianse, mescolando lacrime salate a quell'acqua gelida che le ricordava con nostalgia il tocco di Antartide. Il suo corpo era a mollo lì, nella casa di un furfante, ma la sua mente era ormai altrove.
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