Capitolo 18

Rian si era appena separato dal Ladro. Gli aveva suggerito di andare a sinistra, mentre lui sarebbe andato a destra, per poi continuare dritti verso nord, creando altre piste false per i loro inseguitori. Sapeva che era pericoloso ma non lo ascoltò. Senza nemmeno aspettare che Armand scomparisse dalla sua visuale, oltre i canneti che ornavano gli altri canali tra i campi, prese la rincorsa e saltò il fosso alla sua destra, tornando indietro, alla ricerca di Aisling.

Più si era allontanato dal punto in cui lei si era divisa da lui e più sentiva di averla abbandonata. Lo aveva già salvato due volte e lui aveva percepito la sua stanchezza. Non sarebbe andata lontano a piedi o almeno il suo istinto gli diceva questo. Doveva aiutarla. 

Si mise a correre più veloce che poté, ripercorrendo la strada all'indietro, stando attento a individuare possibili impronte sul terreno al suo fianco. Il suo respiro pesante faceva più rumore di qualunque suo passo. Si diede dello stupido, mentre sconfortato non trovava nessun segnale del passaggio della maga. Non doveva sottovalutare Aisling, magari era già andata avanti, ma percorrendo un'altra strada così da far deviare i soldati che li avrebbero inseguiti.

Sarebbe dovuto tornare indietro invece di correre dritto in pasto alle guardie, o peggio, a quei mostri di ghiaccio.

Si fermò per recuperare fiato, ascoltando il ritmo del cuore che gli rimbombava nel petto, quando notò dei solchi di zoccoli di cavallo affondati nella terra smossa e cambiò direzione, seguendoli con il cuore in gola.

Aisling era andata in quella direzione. Possibile che le guardie l'avessero già individuata e seguita? Scorse la torre di Rena in lontananza, con il suo tetto a punta che non permetteva di sorvegliare dall'alto la campagna e il muro privo di qualunque finestra. Non potevano averli visti, non ancora.

Sapeva di non essere più riparato dalle ombre del canneto intorno al fosso, e sopratutto di non possedere alcuna arma, ma continuò a correre alla ricerca della maga.

Vide un cavallo fermo a pochi metri da una coppia di alberi e due figure chine sopra le radici. Il destriero alzò il muso verso di lui e Rian aprì i palmi verso la sua direzione, suggerendogli di non avere cattive intenzioni e sperando che non lo tradisse. Si avvicinò di soppiatto per non spaventare il cavallo e notò Aisling in balia di un soldato che gli dava le spalle; sul suo mantello blu campeggiava ricamato in bianco il simbolo dell'albero e della spada. Accarezzò il fianco del cavallo bianco, affinché rimanesse tranquillo e non percepisse la sua agitazione.

Il suo primo pensiero fu che lei fosse stata catturata e cercò delle possibili armi legate alla sella, ma non ne trovò nessuna. Si fermò a raccogliere un sasso da terra e si tenne pronto a scagliarlo, sperando di distrarlo abbastanza per far sgusciare via Aisling dalla sua presa. Doveva solo raggiungere una migliore angolazione e magari avvicinarsi al suo bersaglio, ma con una seconda occhiata vide che il soldato le teneva le mani fra le sue, accarezzandole piano con i pollici e che la sua bocca si muoveva lentamente, sussurrando qualcosa all'orecchio di Aisling che di slancio lo abbracciò, tirandolo a sé.

«Aisling?» la chiamò, uscendo allo scoperto. Il gesto che aveva appena visto rendeva la sua voce titubante, come se stesse pensando di essere svenuto e di star sognando tutto.

La destinataria della sua preoccupazione e il soldato si voltarono di scatto verso di lui.

«Rian... Sei qui» farfugliò la maga, come se si fosse dimenticata che stavano scappando e che avevano entrambi una taglia sulla propria testa. Il soldato si sollevò controvoglia da lei, in imbarazzo, come se fosse stato colto con le mani nel sacco a fare qualcosa di sbagliato.

Prima che potessero insinuarsi pensieri inesatti nella mente di Rian, la maga si affrettò a fare le presentazioni. «Lui è Antartide» disse semplicemente, sollevando lo sguardo verso il mago dagli occhi grigi: «E lui è Rian, era con me nella torre quella notte».

«L'altro impostore quindi» sussurrò il soldato, squadrandolo dalla testa ai piedi.

Le dita di Rian si strinsero attorno al sasso nel sentirsi chiamare in quel modo. Tutta la preoccupazione stava scemando per tendere i suoi nervi. «E tu sei il traditore».

Anche Antartide si accigliò: «Non ho tradito nessuno, non dovresti dare aria alla bocca quando non sei al corrente di come stanno davvero le cose». Gli occhi del generale tornarono a posarsi sulla maga, chiedendosi che cosa avesse raccontato di lui a quel ragazzo.

Anche se non gli aveva detto molto sul suo conto, Rian aveva intuito che Aisling era arrabbiata con lui per aver tradito la sua fiducia, per esserne andato ad accettare il suo destino a braccia aperte senza provare a lottare per restare al suo fianco. Qualcosa che probabilmente lei, al posto suo, avrebbe fatto. Eppure adesso non vi era traccia di risentimento nei suoi occhi, sembrava felice di averlo trattenuto tra le sue braccia, anche se per pochi istanti.

Una volta sua madre gli aveva detto che quando si ama qualcuno alla follia ne si tende sempre a perdonare gli errori, pur di non perderne la presenza nel proprio presente. 

«Ne sei proprio sicuro?» lo sfidò Rian, puntandosi le mani sui fianchi.

«Rian, il principe è morto» intervenne di nuovo Aisling, cercando di mitigare la tensione che si era accesa tra di loro, come una piccola scintilla di una brace.

Il sasso rotolò via dalle mani del ragazzo, che si fece più vicino all'ombra degli alberi. Nello sguardo aveva la stessa espressione sconvolta della maga. «Ma è impossibile, respirava ancora quando siamo fuggiti. Quel colpo non poteva essere stato mortale».

Anche Aisling aveva controllato prima di saltare dalla torre ed era certa di aver visto il petto del principe abbassarsi e rialzarsi, mosso dai suoi respiri. Quando loro erano scappati aveva soltanto perso conoscenza. Non poteva essere davvero morto, eppure sapeva che Antartide non le avrebbe mai mentito.

Il generale Glaze rivolse la sua attenzione in modo meccanico all'orizzonte, alla ricerca di qualche movimento. Il tempo iniziava a stringere e avrebbe voluto far sapere ad Aisling tutto quello che gli era capitato da quando era partito, ma quello scocciatore era arrivato a interromperli. «Per quanto ne so, colpire una persona dritta al cuore è un colpo mortale» disse amaramente.

«Che cosa?» domandarono all'unisono Aisling e Rian.

«Non siamo stati noi a colpirlo al cuore» continuò Aisling, sfregandosi la pelle sotto gli occhi, come se la stanchezza continuasse ad appesantirle le spalle, schiacciandola a terra.

Rian cominciò a ragionare sulla rivelazione del giovane soldato e si ricordò dell'uomo mascherato che alla festa lo aveva aiutato ad accompagnare Grifar fuori dalla sala da ballo. «Devono essere state le guardie, quei soldati che non vogliono che salga sul trono».

Antartide socchiuse le palpebre confuso, prima di fare leva con le ginocchia sul terreno e alzarsi. «Non li credevo così pazzi da disertare di nuovo, ma potrebbero aver sfruttato la situazione a loro vantaggio» seguì il ragionamento di quello sconosciuto che aveva capito non possedere alcuna traccia di magia: «Tutto il regno penserà che siete stati voi, quando invece...».

«Quando invece sono stati loro» terminò Rian la frase per lui: «C'è un modo per scagionarci?».

 «Non credo. Loer sa che alcuni dei soldati non simpatizzano per i modi del principe, ma è convinto che tutti quelli che vogliono realmente minacciare la sua incolumità abbiano già fatto una brutta fine molto tempo fa, prima che io arrivassi a corte».

«Deve esserci un modo. Forse possiamo tornare al castello a testimoniare» Aisling si sollevò e lui le posò una mano sul gomito, aiutandola a rialzarsi. Si guardarono di nuovo come se esistessero soltanto loro due e lei ebbe voglia di abbracciarlo di nuovo.

«È la nostra parola contro la loro» continuò a ragionare Rian: «Non so che valenza abbia». 

Antartide ripensò di nuovo ai marchi sulle mani della ragazza. Avevano entrambi degli obblighi,  e seppur adesso fossero diversi erano come catene che li trattenevano lontani. «Non devi combattere, Ais. Sta diventando troppo pericoloso e non voglio che tu sia in pericolo». La conosceva troppo bene per sapere che avrebbe demorso senza lottare o che si sarebbe nascosta per sempre. 

«Non posso tornare a casa» commentò lei, avvilita, come se le stesse ordinando di rimanere al sicuro mentre altri pagavano le conseguenze delle sue azioni.

«Lo so».

La ragazza sospirò agitata: «Stiamo andando dalle Temahe».

«Mi sembra una buona idea, loro potranno nascondervi per un po', ma so che non sono più alla foresta di Halor, gli umani le hanno cacciate qualche mese fa. Ho tentato di convincerli che sfrattare creature antiche non avrebbe portato a nulla di buono, ma non mi hanno voluto ascoltare. Il re preferisce sfruttare ogni risorsa del suo reame. Quella foresta fornisce un'ottimo legname per costruire o riparare le flotte di navi che vanno alle città oltremare, e le Temahe hanno deciso di non stare più ai patti e provare a impedirlo».

«Un comportamento che il figlio cercava di imitare a quanto sembra» mormorò Rian seccato, accarezzandosi la cicatrice sulla guancia.

Aisling guardò il mago del ghiaccio sorpresa da quella rivelazione: «E dove si trovano adesso?».

«Nessuno lo sa, ma andate lo stesso a nord. Se scoppiassero delle rivolte almeno sarete vicini al confine. Vi coprirò la fuga».

La maga annuì e strappò un ultimo abbraccio al suo mago: «Stai attento, per favore».

«Anche tu» le sussurrò lui all'orecchio in risposta per poi lasciarla andare. Con passi svelti raggiunse Rian e gli posò una mano sulla spalla: «Non so chi tu sia, ma prenditi cura di lei».

Il cacciatore gli rispose con uno sguardo stranito: «Affideresti una persona a cui tieni a uno sconosciuto?».

«No, ma so che Aisling sceglie bene le persone di cui fidarsi e io mi fido di lei» gli angoli della sua bocca si incresparono in un debole sorriso. Non sapeva se l'avrebbe rivista, ma adesso che sapeva che lei non era più arrabbiata con lui riusciva a sentire il cuore più leggero. Tuttavia non si voltò a guardarla un'ultima volta prima di montare in sella.

Avrebbe soltanto reso quel nuovo distacco più difficile a entrambi. Si chiese se il suo destino fosse quello di averla per un istante per poi abbandonarla. Se fosse stato così avrebbe trovato un modo per non arrecarle mai più dolore.

Spronò la sua cavalcatura verso il punto in cui aveva lasciato il suo esercito magico.

Il cacciatore sospirò: «Sei ancora convinta di voler andare nel covo di quel ladro?».

«Sì, potremmo prenderci delle scorte di cibo e magari troveremo davvero un aiuto» Aisling fuoriuscì dall'ombra dei due alberi: «Ha detto lui che siamo sulla stessa barca». 

«Bene, allora andiamo». Rian non era ancora del tutto convinto.

Osservarono entrambi il mago del ghiaccio che si allontanava tra i campi. Quando la sua figura fu solo un puntino scuro si misero a correre nella direzione che aveva indicato loro il fuggitivo con cui cercavano di mettersi in salvo.

La loro fuga non era ancora terminata.

Il distretto degli Acquitrini era un luogo ammantato di leggende, non solo per gli "occhi d'acqua" o i "catini dei giganti" o il tempio sacro di Selin dove si narrava fossero vissuti i primi abitanti umani di quelle terre. Ogni bambino conosceva le storie, gliele raccontavano i genitori per farli addormentare e le imparavano a scuola. A Rena e Danhara tutti sapevano della leggenda del "prato che sembrava d'oro" o dei "fasulli gioielli d'amore".

Il campo di girasoli perenni era un fazzoletto di terra quadrata incastrato tra i canali d'irrigazione della campagna che serpeggiava tra le due cittadine. Un campo recintato da un pezzo di rete arrugginita da un lato e costellato da numerosi e alti girasoli che stonavano in quella fredda stagione. Non avrebbero dovuto essere lì, eppure i fiori gialli erano aperti e rigogliosi, rivolti verso la luce del sole. La storia raccontava che li avesse piantati, grazie alla magia, un umile contadino di Rena per impressionare una donna di Danhara a cui piacevano particolarmente quei fiori. Quel contadino sperò che quel dono bastasse per farla cadere ai suoi piedi, ma si sbagliava. L'amore non è sempre così semplice da conquistare e così si ritrovò letteralmente a mani vuote, dal momento che aveva speso tutti i suoi averi per comprare i semi magici e gli era stato spezzato il cuore. Dopotutto la donna che voleva impressionare era l'amata figlia del sovrintendente di Danhara, quando ancora i vari villaggi lottavano per costruirsi una propria egemonia e non erano uniti sotto una corona. Una donna che non avrebbe mai rinunciato ai propri agi a favore di un contadino di una città nemica, nemmeno se la storia volle che quell'uomo fosse così bello da togliere il respiro. Il desiderio di quel contadino però non morì, nemmeno dopo aver ricevuto il rifiuto. La magia continuò a proteggere i fiori e non si mostrò clemente con chi avrebbe tentato di ferirli, come era stato infranto il cuore del loro padrone. Erano un simbolo di amore eterno, gocce d'oro sotto forma di petali.

Probabilmente durante l'estate, quando i campi attorno erano seminati da grano, quell'agglomerato di fiori non sarebbe stato così appariscente. Invece, in inverno, spiccavano con il loro colore solare come se non facessero parte di quel mondo; erano uno scherzo della natura.

«Cerchiamo di non danneggiarli mentre ci passiamo attraverso» disse la maga, appiattendosi tra due steli, mettendosi di profilo come se dovesse strisciare tra due pareti strette. Nessuno si sarebbe mai sognato di passarci in mezzo dal momento che se tentavi di coglierli o rovinarli sprigionavano del veleno che avrebbe fatto secco chiunque; o almeno così recitava un cartello che diceva di stare lontano da quel campo, ma loro lo ignorarono.

«Spero che non sia una trappola» le sussurrò Rian, alzando gli occhi al cielo e imitandola, ma lei fece finta di non sentirlo. «Ha detto che ci avrebbero aperto, quindi non è nemmeno da solo. Magari se non lo tiravamo fuori noi di prigione ci avrebbe pensato qualcun'altro dei suoi amici».

«Se è una trappola tra poco lo scopriremo» gli rispose lei convinta, continuando a destreggiarsi tra i gambi dei fiori.

Rian deglutì, quella maga lo stava letteralmente mettendo in un guaio dietro l'altro e lui che aveva anche pensato di soccorrerla. Da quando erano fuggiti da Agna era diventato molto più cauto di quanto non fosse mai stato, sentiva il suo corpo sempre all'erta. Pronto a sfidare qualsiasi pericolo.

Aisling stava spostando con cautela una foglia con il palmo, quando una mano le afferrò all'improvviso il polso. Sussultò, sorpresa. Fra gli steli e le numerose foglie, che li circondavano quasi fossero state scale a chiocciola verso la corolla dei fiori, spuntò la faccia di Armand. Le sue labbra erano piegate in un sorrisetto beffardo.

«Infatti nessuno vi aprirà» disse, facendo intuire di aver ascoltato il loro battibecco: «Era un trucco affinché vi fermaste ad aspettare nel caso foste arrivati prima di me, ma devo dire che quando si tratta di velocità sono imbattibile». Si passò un dito sotto al naso sicuro di sé, liberando la maga dalla sua stretta. «Non mi avete nemmeno sentito arrivare, io invece ho sentito la vostra presenza. Dovreste affinare il vostro udito o magari concentrarvi su altro invece di discutere».

Rian alzò gli occhi agli sprazzi di cielo azzurro tra i petali gialli sopra la sua testa, sentendosi come una formica tra quelle alte piante. Voleva ribattere alle osservazioni del Ladro, ma sapeva che in fondo aveva ragione.

Le loro vite erano ormai in gioco. Un gioco pericoloso e avrebbero dovuto sfruttare ogni senso, invece di litigare.

«Mi hai spaventata» replicò la maga.

Un secondo sorriso compiaciuto nacque sulle labbra di quel fuorilegge: «Andiamo, vi guido io».

Li condusse agilmente fino al centro del campo, dove i girasoli si aprivano a cerchio, creando una piccola radura, grande abbastanza da contenerli tutti e tre se si ponevano uno di fianco all'altro. Armand si chinò a smuovere del fieno ingiallito che nascondeva una botola.

La leggenda diceva che la figlia del sovrintendente uscisse di nascosto da Danhara grazie a un passaggio segreto, che anticamente veniva utilizzato come vantaggio per colpire l'esercito di Rena alle spalle, mentre gli uomini pensavano a prendere le mura della cittadella. Era lì che l'impavido contadino avevo voluto piantare i suoi fiori, in modo tale che la sua bella potesse ricordarsi di lui ogni volta che usciva dalla città. Quando tutti i villaggi vennero uniti sotto il dominio della corona del primo re della stirpe dei Far, il passaggio cadde in disuso, così come il ricordo della sua ubicazione.

Aisling arricciò il naso. Non voleva tornare sottoterra, ma a quanto pare non c'era un'altra strada più sicura. Se non altro nessuno li avrebbe visti. La preoccupazione le oscurava il volto e con una sola occhiata Rian poté intuire i pensieri che le scuotevano l'animo. Forse stavano pensando alla stessa cosa. La superficie della botola era rivestita da schegge di ferro dentellato e assomigliavano molto alle squame di un drago. Rian stava pensando a Camelia che li aveva presi sulla groppa e condotti fuori dal castello. Il suo pensiero viaggiò da quella signora con l'aspetto di una bambina fino a tutti gli altri. Erano maghi, ma ormai non gli facevano più così tanta paura se associava i loro volti a quella parola.

«Da qui arriveremo alla periferia di Rena e lì c'è il mio rifugio» li avvisò il Ladro: «Prima le signore». Fece un gesto plateale con la mano e un leggero inchino, invitando Aisling a scendere sottoterra, mentre teneva l'anta della botola.

Stavano di nuovo scappando per mettersi in salvo, ma se non fossero stati giustiziati per tradimento, i reali avrebbero mirato al regno di Gwarak, utilizzando per vendicarsi ogni scintilla di magia che il sovrano senza nome aveva offerto loro. Era solo questione di tempo, ma sarebbe scoppiata una guerra. 

Una guerra che avrebbe portato soltanto a vittime innocenti e desolazione per i villaggi confinanti dell'impero. Aisling lo sapeva e per questo continuava a mordicchiarsi il labbro e guardarsi attorno come se stesse decidendo se gettarsi sotto la scure di un boia o mettere i piedi uno sotto l'altro per scendere quella scala verticale, fin dentro al tunnel.

Cominciò a scendere, stringendo il piccolo corrimano fino a farsi sbiancare le nocche.

Armand invitò Rian a fare altrettanto con un cenno del capo. 

Non riusciva a non sentirsi così teso, dopo la scoperta della morte del principe. Il suo cuore non voleva saperne di calmarsi e la sua gola implorava dell'acqua per la fatica della corsa. Il sudore gli aveva appiccicato dei ciuffi ribelli sulla fronte e lungo il retro del collo.

Non si dissocia facilmente il proprio nome dall'assassinio di un futuro re, nemmeno se è una bugia.

Mentre imitava Aisling si chiese se avrebbe mai fatto ritorno a Thanlos. Se avrebbe mai rivisto Nedera o sua madre, o il vecchio Heil. E poi lo vide. Sbatté le palpebre incredulo. Un uccello dal piumaggio rosso era appollaiato delicatamente su una foglia di un girasole, di fronte a loro. Sembrava che lo stesse scrutando con i suoi piccoli occhi d'ambra.

Era un corvo. Un corvo molto strano.

Poteva essere un fantasma. La foglia non si piegava sotto il suo peso, come se quel volatile ne fosse un'estensione naturale. Forse lo stava soltanto immaginando per colpa della stanchezza. Sentì il bisogno di chiedere ad Armand se anche lui lo vedeva, ma il Ladro lo incitò a muoversi, dicendogli che ogni istante è prezioso quando si è un ricercato.

Scrollò la testa, dimenticandosi di quel corvo, e cominciò a scendere verso quella nuova oscurità.

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