Capitolo 15

Le guardie condussero i prigionieri in una torre al confine nord della città, dove il fiume si diramava in due linee d'acqua, come se una spada lo avesse trafitto e tagliato a metà. La sua funzionalità era quella di avamposto dove trattenere i criminali del distretto degli Acquitrini, che poi sarebbero stati mandati alle prigioni di Pryo, con una delle tante carovane di soldati che facevano continuamente via vai dalla caserma principale del regno; lì ogni possibile delinquente o impostore avrebbe ottenuto un processo presso il tribunale dei consiglieri del sovrano. Se fosse stato positivo lo avrebbero spedito al porto di Vardal, per poi essere imbarcato in una nave verso il continente alleato, se invece l'esito fosse stato negativo sarebbe stato ucciso.

Re Farron ci teneva alla giustizia. Voleva che il suo popolo si sentisse al sicuro sotto il dominio della sua ala protettrice. Diventare soldato era quindi il mestiere più ambizioso e rinomato a cui un ragazzo poteva aspirare; in molti decidevano di arruolarsi per custodire la pace del regno, ma allo stesso tempo tanti uomini provavano piacere nel trasgredire le regole avvicinandosi alla magia.

La torre non era un edificio molto grande, ma pullulava di soldati e armi. Si sviluppava in altezza e sovrastava i tetti della città, tanto che ne si poteva scorgere la cima svettare in lontananza al di sopra delle abitazioni. Numerose scale a chiocciola conducevano alle celle di contenimento che progredivano nella torre senza finestre, fatta eccezione per il piano terra. Al momento non c'erano molti criminali al suo interno. Qualcuno che era stato sorpreso a usare oggetti illegali, altri ciarlatani che avevano tentato di rivenderli, ma il numero era sotto la decina.

«Non credo che questi due siano i ricercati. Si sono lasciati catturare troppo facilmente da quello che mi hai raccontato, Graint» aveva constato un uomo con i capelli rasati e il labbro spaccato da una ferita fresca. Il sangue era ancora rappreso sulla sua bocca gonfia, ma non se ne stava preoccupando rimanendo stravaccato accanto a un tavolo sbilenco, con gli stivali comodamente posati sopra la superficie vuota e rovinata da numerose scheggiature. Dal modo in cui guardava tutti con sufficienza e ostentazione di superiorità si capiva che doveva essere la figura di riferimento in quel posto, l'uomo a cui tutti davano conto del loro servizio.

«Se fossero maghi userebbero la magia per liberarsi, mentre noi siamo qui tranquilli a discutere» spostò leggermente la testa per osservare i due prigionieri, compressi tra un drappello di guardie armate al centro di quell'angusta stanzetta.

«O magari stanno solo fingendo» gli rispose una delle due guardie che aveva catturato Rian e Aisling: «Magari hanno un piano».

Il capitano spalancò gli occhi bruni di fronte alla constatazione del suo soldato. Scacciò le parole con il dorso della mano, come se l'uomo dall'altro lato del tavolo stesse dicendo un'eresia. Era da tanto tempo che non vedeva due sciocchi, o forse fin troppo coraggiosi, tradire la corona di Farron. Ma quei due gli sembravano molto giovani per essere riusciti a contrastare le guardie nel castello reale e fuggire. Conosceva la bravura di Loer e della sua squadra di guerrieri scelti. Poco importava che quei due avessero dei poteri sovrannaturali, per lui tutta quella storia non aveva senso e non ci avrebbe nemmeno creduto se non fosse che quella mattina, all'alba, fosse arrivato Teundro, il messaggero più fidato del re, a impartire l'ordine di sorveglianza delle mura di ogni cittadina e di cattura per due fuggitivi criminali.

«Comunque sia alcuni dei loro dettagli corrispondo alle descrizioni che ci hanno pervenuto. Quindi ho fatto chiamare i Gelidi che sono sulle loro tracce. Il generale Glaze saprà sicuramente riconoscere un mago» continuò il comandante: «Se poi avessi ragione, Graint, e fossero loro questi due criminali, allora ci considereremo fortunati. Il re non si può di certo lamentare circa la nostra efficienza».

Graint si strinse nelle spalle. Quell'uomo si sarebbe comunque preso il merito, anche se a catturare quei due ricercati erano stati lui e Daron. Certo, era stato un vero colpo di fortuna come aveva appena detto il generale Lothien, e proprio per questo non si sentiva al sicuro.

Aisling sussultò come se avesse appena sbattuto la testa e Rian la guardò preoccupato, prima che una guardia alle sue spalle le desse uno scossone a ricordarle che avevano delle lame puntate dietro di loro.

L'uomo seduto fece un cenno con la mano alle sue guardie, rivelando un albero di spesse vene blu sul polso in contrasto con la sua pelle chiaro. «Scortateli in cella. Quella sotterranea. Ho sentito dire che sono scappati da una torre del palazzo reale, quindi se fossero davvero dei maghi sarebbe sciocco metterli in uno dei piani di sopra».

«Quindi siete d'accordo come me?» gli domandò stupito Graint.

«Nel sotterraneo abbiamo già un prigioniero, signore» parlò subito dopo un'altra guardia.

Il generale sbuffò sonoramente e decise di ignorare Graint: «Quella cella è abbastanza grande. Sono sicuro che si terranno in buona compagnia». Il suo sguardo si illuminò felino, adocchiando i prigionieri, anche se continuava a mantenere un'espressione annoiata. «Non dimenticate di aumentare la sorveglianza, nel caso questi due fossero davvero i traditori della corona».

Daron, che era rimasto al fianco di Rian per tutto il tempo, alzò lo sguardo verso il soffitto con espressione sconsolata, mentre Graint guardò il suo comandante tenendo le spalle rigide sotto il peso dell'armatura.

«Meglio essere previdenti e non sciocchi» ghignò il generale per poi scostare la sedia e posare i piedi a terra. Le gambe di legno della seduta graffiarono le piastrelle e le guardie come risvegliate da quel suono si mossero, scortando i due giovani al di fuori della stanza.

Graint sospirò impercettibilmente sotto l'elmo, almeno il capitano non era stato così tonto da metterli in una cella normale, ma non era convinto che gli credesse; era sempre stato un uomo pratico, che non credeva nelle coincidenze e anche se quei due non assomigliavano molto al ritratto che aveva portato il messaggero del re quella mattina, sicuramente non era un caso che molti aspetti combaciassero. Quando aveva legato i polsi della ragazza dai capelli rossi aveva notato delle rune nere impresse nei suoi palmi, quello sicuramente doveva significare qualcosa.

Si voltò per seguire il drappello dei suoi compagni. Avrebbero deciso i turni per la doppia sorveglianza della cella sotterranea e sperava quanto Daron non toccasse a loro il primo, dal momento che anche lui sarebbe voluto tornare a casa per pranzo. 

Rian si lamentò quando lo spinsero verso una botola, nascosta sotto un grosso tappetto a scacchiera rosso e nero che copriva in modo circolare l'epicentro del pavimento nell'atrio della torre. 

Due guardie alzarono l'apertura di legno, rivelando degli scalini di pietra fredda e umida che scendevano verso il basso.

«Attenti a non scivolare» ridacchiò uno dei soldati che teneva aperta la botola. Uno di loro scese per primo e Rian riuscì finalmente a contarli.

Erano in otto.

Otto soltanto per loro due.

La guardia che gli puntava la spada dietro la schiena gli intimò di scendere e l'unica cosa che poté fare fu eseguire quell'ordine. La sua mente sembrava incapace di formulare un piano di fuga ma non voleva che Aisling fosse di nuovo costretta a utilizzare il suo potere, non voleva vedere altri segni sulla sua pelle e sopratutto non voleva che soffrisse.

Le parole di Zallen continuavano a tormentarlo.

Il rumore di passi alle sue spalle, gli suggerì che lo stavano seguendo Aisling e gli altri soldati. Quello che era sceso per primo afferrò una torcia dalla parete e l'accese utilizzando due pietre focaie, illuminando un tunnel dritto che terminava poco più avanti con altri due soldati che sorvegliavano una porta scura con due torce ai lati.

Rian ipotizzò di muovere un passo più lungo e afferrare di sorpresa la torcia dalla mano del soldato, ma poi cosa avrebbe potuto fare? L'unica uscita che conosceva era dietro di lui, il tunnel era stretto per muoversi a malapena in fila indiana e quelle guardie erano armate e protette da un'armatura. I suoi occhi si posarono sull'elsa della spada del soldato. Poteva combatterli? Non era un soldato, ma sapeva come uccidere. La figura accasciata del principe comparve di nuovo prepotente a torturare i suoi pensieri e cercò di scacciarla. Strattonò i polsi, cercando di divincolarsi e i nodi gli premetterò contro la pelle, graffiandola. Sentiva il braccialetto di Nedera sfilarsi da sotto la stretta delle corde e cercò di stare fermo.

«Cambio del turno?» bofonchiò con tono assonato una delle guardie ai lati della porta.

L'uomo con la torcia scosse vigorosamente la testa: «Abbiamo altri due prigionieri».

«Oh! Oggi sembra proprio una giornata movimentata» proruppe l'altro compare, facendo schioccare il collo a destra e sinistra, come se si stesse svegliando anche lui da una posizione scomoda.

«Daron e Graint resteranno con voi per il resto del turno» continuò l'uomo con la torcia, avvicinandosi alla porta per illuminarne meglio la serratura. Estrasse una piccola chiave che portava legata al collo, al di sotto della cotta di maglia.

«Chi lo ha deciso?» protestò Daron: «Oggi è il compleanno di mia moglie, le avevo promesso che sarei tornato a casa».

«Mi dispiace, ma non è affar mio. Il generale Lothien ha promosso me come suo secondo e quindi dovete sottostare ai miei comandi» gli rispose l'uomo, inserendo la chiave argentata nella toppa e girandola. Riprodusse lo stesso scatto di un ingranaggio che si aziona.

Daron sbuffò sonoramente alle spalle di Rian, che pensò di dire qualcosa per aizzare la rabbia di quell'uomo. Forse se si sarebbero messi a litigare tra di loro, lui e Aisling avrebbero potuto scappare nella confusione.

Ma la porta cigolò, aprendosi e rivelando un piccolo spazio buio oltre il legno. Qualcuno incatenato al muro di pietra alzò la testa. La lama di luce, che correva dalla torcia lungo la cella, mostrò a Rian un volto tumefatto dalle botte, un occhio nero, del sangue secco colato dal naso.

«Hai visite!» esclamò l'uomo per poi girarsi, afferrare la spalla di Rian, infilando con forza nella sua pelle due dita coperte dal guanto di metallo. Il ragazzo si trattenne dal mandarlo al diavolo e per poco non inciampò quando venne spinto malamente all'interno della cella.

«Non li incateniamo, signore?» domandò una delle due guardie accanto alla porta, mentre Rian cercava di ritrovare l'equilibro evitando di sbattere la faccia per terra.

«Sono già abbastanza legati e poi io sono d'accordo con il generale. Questi qui non mi sembrano due maghi. Hanno la forza di un bambinetto che si scaccola e se la fa nei pantaloni».

Le fiamme della torcia balenarono nel buio del tunnel, come un lampo che preannuncia l'arrivo di un temporale. Aisling ricevette lo stesso trattamento di Rian, ma lei non si trattenne dall'insultarli: «Un po' di buone maniere, cani».

Il soldato con la torcia ridacchiò e imitò il verso di un segugio, per poi richiudere la porta della cella e far piombare i tre prigionieri nel buio più totale.

Sentirono la chiave richiudere l'ingranaggio alle loro spalle, internandoli in quel luogo.

Una voce tossicchiò rivelando la presenza del prigioniero di cui avevano parlato i soldati. Rian lo aveva visto a mala pena, ma gli era sembrato ferito e in pessime condizioni.

«Siete davvero due maghi?» domandò con voce flebile.

Un rumore di metallo, di catene che sbattevano, riempì il silenzio. Né Rian, né Aisling ebbero il coraggio di rispondere a quella scomoda domanda.

Rian si accostò alle mura. Lì sotto faceva freddo, sentiva degli spifferi tra le pietre. Provò a strofinare la corda che gli legava i polsi contro il muro, con la speranza di spezzarla.

«Dobbiamo andarcene prima che arrivino i Gelidi» disse invece Aisling.

«Che cosa sono i Gelidi?» chiese Rian, stringendosi nelle spalle per la sua ignoranza, continuando a tentare di liberarsi, ma quelle pietre erano irrimediabilmente troppo lisce.

Prima che potesse rispondergli, la voce dell'altro prigioniero risuonò per le pareti della cella: «Le guardie reali più forti e sanguinarie... Siete davvero in grossi guai se le hanno scomodate per voi».

«Sono dei demoni, creati dal ghiaccio dalla regina stessa. Una delle poche forme di magia ammessa nel regno» aggiunse la maga, ignorando la spiegazione del detenuto.

«Ti succhiano l'anima se menti. Ti distruggono le ossa se provi a scappare. Ti congelano la mente se non rispondi» continuò lui in tono teatrale: «Da dove vieni per non conoscerle?».

«Smettila» lo rimproverò Aisling scrutando nel buio: «Che stai facendo, Rian?».

«Cerco di slegarmi» le rispose sussurrando il ragazzo.

«Ho un pugnale nello stivale, se riesci a prenderlo. Io ci sto provando ma i miei nodi sono troppo stretti» lo avviso lei, per poi imprecare qualcosa in uno strano dialetto.

«Ti vedo a malapena con tutto questo buio».

«Credevo fossi un cacciatore!» lo punzecchiò.

«Credevo fossi una maga!» le disse di rimando.

«Tu non hai voluto che usassi la mia magia per liberarci e ora eccoci qui» protestò offesa.

Rian alzò gli occhi verso la tenebra sulla volta del soffitto. Una goccia gli scese sulla fronte. Probabilmente erano sotto il letto del fiume; aveva intravisto un corso d'acqua dietro la torre. «A proposito di liberarci, tu hai un piano?» domandò alla maga, cercando di avvicinarsi al punto in cui aveva sentito la sua voce.

I suoi passi erano piccoli e cauti. Non era riuscito a scorgere se il terreno fosse completamente privo di ostacoli. Quel buio lo infastidiva. In compenso se si concentrava riusciva a sentire il rumore dell'acqua che scorreva sopra le loro teste.

«Io vi vedo!» si intromise di nuovo il prigioniero. Erano solo due contorni nell'oscurità, ma almeno non erano incatenati come lui. «Un po' più a destra... Un altro passo... Ecco ci sei! Dopo tante ore al buio ormai la mia vista si è abituata» disse soddisfatto di sé stesso, cercando di guidare il ragazzo. 

Rian andò a sbattere contro il fianco di Aisling. Lei percepì lui che le dava le spalle, un fruscio accompagnò i suoi movimenti, mentre si voltava per darle le spalle e le sue dita scendevano titubanti dal suo fianco per dirigersi lungo la coscia e farsi strada fino agli stivali.

«Tu in che guai sei?» domandò la maga, osservando verso il fondo della cella, che non era poi così lontano dal punto in cui era lei, con l'intenzione di ignorare il tocco di Rian.

«Io sono un ladro, mia signora» le rispose orgoglioso il prigioniero: «Anzi sono il ladro. Non potete non aver sentito parlare di me. Sono il ricercato più famoso degli Acquitrini».

Rian aveva raggiunto il lembo dello stivale sinistro e si era accucciato ai suoi piedi, continuando ad armeggiare con le dita per raggiungere l'elsa.

«Credo che ci... Sono... Quasi... Ci sono» disse debolmente, concentrandosi.

«Il pugnale è sotto il mio piede, devi togliermi lo stivale» lo guidò abbassando la voce, mentre lui le afferrava la scarpa e tirava. La maga alzò il piede per aiutarlo nel movimento, finché lo stivale si sfilò. Ringraziò mentalmente Revis per averle suggerito quel posto segreto e averle insegnato a camminare e correre senza ferirsi sulla lama dell'arma.

«Ahi! » protestò poco dopo, per poi mordersi le labbra. La suola, scivolando, aveva premuto la lama contro la pianta del suo piede e l'aveva ferita. Sperò che il battente della porta fosse abbastanza spesso da aver attutito il suo lamento.

Era una ferita piccola e superficiale, ma il sudore e il terriccio sporco la fecero bruciare come se avesse posato il piede sulle braci ardenti.

«Scusami» disse Rian confuso; non aveva visto cosa era successo, ma aveva percepito qualcosa scivolare a terra dallo stivale. L'elsa aveva sbattuto sulla terra bagnata.

«Non fa niente».

La maga si accucciò cercando il pugnale con le mani legate, finché le sue dita incontrarono trionfanti l'elsa piatta e levigata. Rabbrividì posando di nuovo il piede sul pavimento umido.

«Avvicinati, tagliamo le tue corde» cercò Rian, che stava tastando come lei il terreno. 

Aisling mantenne il pugnale dritto in orizzontale fra loro e il ragazzo sfregò le sue manette sulla lama. Sentì i pezzi di corda scivolare dietro il suo tallone e le mani di Rian che afferravano l'arma per slegare i suoi polsi.

Se li massaggiò non appena fu libera portandoseli davanti al petto. Le sue labbra si piegarono in un piccolo sorriso di vittoria, almeno adesso potevano muovere le mani.

«Fantastico e adesso?» commentò Rian, stringendo il pugnale per evitare di perderlo nell'oscurità. Quella piccola lama era la loro unica arma contro i guerrieri che stavano sorvegliando l'ingresso della cella e della torre.

Il ladro fece sferragliare le catene che lo tenevano inchiodato alla parete e gridò nella loro direzione, torturandosi la gola già secca: «Non pensate di scappare senza di me!».

«Non urlare» lo minacciò preoccupata la maga.

«Tanto non ci sentono. Ho urlato per mezzora prima del vostro arrivo» gracchiò di nuovo. Una nota di tristezza gli aleggiava nella voce: «Per favore, liberate anche me. Siamo sulla stessa barca e poi la botola che conduce al sotterraneo si apre solo dall'esterno, per cui non riuscirete a uscire dal cunicolo se non conoscete la strada segreta».

Quel discorso a Rian non piacque per nulla. Magari potevano usare la punta del pugnale per azionare la serratura, combattere contro le guardie, ma se anche fossero riusciti a superarle non sarebbe stato in grado di sfondare quella botola pesante, specialmente se l'avevano chiusa. Forse però potevano utilizzare le torce per darle fuoco. «Come facciamo a fidarci di te?» domandò al ragazzo incatenato.

«Io l'ho vista quell'uscita, so come scappare. Ho solo bisogno che mi liberiate» fece tintinnare ancora le catene che gli tenevano fermi i polsi, come se stesse provando a divincolarsi da solo dalla morsa del ferro.

«Anche io so come scappare da questo posto» mormorò la maga; dal tono di voce sembrava che stesse ancora sorridendo.

«Aisling no!» la bloccò immediatamente Rian, cercando di capire cosa si stesse facendo venire in mente. «Niente magia».

«Non la userò contro le persone».

«Sarai costretta a farlo con le guardie, una volta fuori di qui. Sono troppe».

La maga sbuffò e posò una mano contro il fianco, sopra la tasca dei pantaloni, sentendo un piccolo rigonfiamento a forma di occhio. Era il seme che le aveva dato Sioban e forse non tutto era ancora perduto.

«Se siete dei maghi toglietemi queste dannate catene, vi aiuterò, ve lo prometto».

Aisling si diresse verso la parete di fondo della cella. Per un po' i suoi passi coprirono il ritmo serrato dei cuori di tutti e tre. Diverse gocce d'acqua le picchiettarono sulla nuca, penetrando fra le pietre del soffitto.

Percepì il respiro pesante del prigioniero sul suo volto non appena lo raggiunse. Non era molto più alto di lei e dal tono di voce sembrava anche piuttosto giovane. Allungò una mano sfiorandogli dapprima le labbra con le dita e poi il volto, le mascelle coperte da uno strato di barba appuntita. Dalle spalle scese velocemente fino ai polsi legati da due pesanti anelli di metallo, dove posò le sue mani. Erano troppo spessi per chiedere al vento di provare a scalfirli e in quella cella l'aria stagnante era stanca, satura di muffa.

Scese a terra, inginocchiandosi e tirando fuori dalla tasca il piccolo oggetto magico. Scavò con due dita nel pavimento bagnato e vi depositò il seme.

«Cresci» sussurrò alla magia, sperando che l'ascoltasse, perché quel seme poteva essere la loro unica possibilità per uscire da quella torre.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top