Capitolo 13

Un'aquila volava al di sotto di grandi e bianche nubi spumose, che attraversavano lente il cielo. Le ali aperte, le penne grigie e marroni, il becco dalla punta ricurva e due occhi neri che scrutavano il mondo. Sembrava pronta ad alzarsi di quota e bucare quelle nuvole.

Rian la osservava dal basso. I contorni di quelle nubi, dove erano più effimere e sottili, gli ricordarono la nebbia di Thanlos.

Lui e Aisling avevano cavalcato per un giorno intero, distanziandosi da Agna, dal palazzo reale e da tutto quello che era accaduto. Quel giorno era il compleanno del principe. Avrebbero dovuto far ritorno a casa dopo lo spettacolo, invece stavano fuggendo verso nord, come aveva suggerito Zallen.

Verso nord non c'erano molte colline, né fattorie, né campi. Una valle enorme, punteggiata da sporadici boschetti faceva da ripiano alle Montagne Brune, che ne incastonavano l'orizzonte, come antichi guardiani di roccia scura. Il suo nome era Valle degli Acquitrini, dal momento che molteplici piccoli ruscelli scendevano dai monti e l'attraversavano, formando numerosi laghetti dove il terreno si incuneava in buche di varia forma e dimensione. 

Nelle fiabe e nelle ballate, i menestrelli chiamavano quegli specchi d'acqua "i molteplici occhi del cielo" o ancora "le pozzanghere per giganti", decantando che quello fosse il posto in cui, un tempo, i primi abitanti di quella landa usavano farsi il bagno.

La maga si era addormentata alle sue spalle, rannicchiata sotto l'ombra di due sequoie. Si erano concessi una sosta per riposare e medicarsi le ferite. Lei dormiva già da un un po', usando il braccio come cuscino. Rian non se la sentiva di svegliarla per il momento. Erano certi che il re avesse ordinato di inseguirli e catturarli. Avevano scavalcato i soldati presenti al portone delle mura di cinta, che avevano inveito contro di loro, ma non si erano messi alle loro calcagna. Eppure sapevano che sicuramente li stavano cercando, per questo motivo erano stati attenti a evitare i percorsi cosparsi di fanghiglia e non lasciare in giro possibili tracce che rivelassero il loro passaggio.

L'attenzione di Rian si spostò dalla maga a quella di uno scoiattolo dal pelo rossiccio e la lunga coda arricciata. Stava scendendo a testa in giù da uno dei tronchi alla sua destra, artigliandosi con le zampe nella corteccia.

Oltre alla cavalla avevano recuperato anche le sue frecce, ma non erano riusciti a prendere del cibo, soltanto la sacca delle provviste di Rian, che però si era rotta nella corsa sfrenata per fuggire dalla capitale, perdendo per la strada tutto il suo contenuto.

Sfilò silenziosamente una freccia dalla faretra e raccolse l'arco accanto ai suoi piedi. Incoccò la sua arma e tese la corda all'indietro. Prese la mira, mentre lo scoiattolo era ancora ignaro di quello che stava succedendo. Non si accorse del cacciatore, i cui abiti erano tornati quelli di sempre ed erano perfetti per mimetizzarsi nella foresta. L'incantesimo delle gemelle si era sciolto poco dopo aver superato le mura d'uscita delle città. 

L'animale era quasi sceso sulle radici del grande albero, che spuntavano fuori dal terreno come dita di una mano pronta a chiudersi in un pugno.

Emise un lungo respiro e lo scoiattolo alzò il piccolo muso verso di lui, impietrito, in attesa. A Rian sarebbe bastato aprire le dita e far partire la freccia per mettere fine alla sua vita, guadagnando così almeno la cena. La sua preda piegò il muso di lato e lo fissò con due occhietti vispi che gli ricordarono Nedera. 

Rian abbassò l'arco, lasciandolo scappare. Sospirò affranto, mentre gli balzavano sotto le palpebre il ricordo del sangue del principe che macchiava il suo palmo e il pugnale che aveva stretto tra le mani. L'elsa di metallo era terribilmente fredda e pesante, e gli era sembrato di tenerla ancora in mano, nonostante l'avesse posata sul pavimento di quella biblioteca. 

Aisling mormorò qualcosa nel sonno e Rian si voltò di nuovo verso di lei. Le si avvicinò e le sistemò meglio sulla schiena una coperta di lana, che avevano rubato in un fienile dall'aria abbandonata soltanto un'ora prima.

Si mise a raccogliere qualche fungo tra il muschio umido che percorreva il terreno in piccole stradine, per poi lavarli sulla sponda dell'acqua di un laghetto lì vicino. Era piuttosto piccolo, ne si vedeva il fondale ricolmo di ciottoli levigati attraverso l'acqua limpida. Con pochi passi si sarebbe potuto attraversare da parte a parte, bagnandosi soltanto fino a metà polpaccio.

Immerse le mani nella pozza gelida e lavò i funghi. Chiuse gli occhi, desiderando di possedere il dono di Grifar per scaldarsi e l'acqua gli sembrò meno ostile.

Spalancò le palpebre confuso.

Desiderò che l'inconveniente al castello non fosse mai successo. Le sue nocche urtarono il fango, i sassi e i fili d'erba che spuntavano dalla bassa riva.

Chiuse gli occhi di nuovo. Ma quando li riaprì era ancora sulla sponda di quel lago.

«Sei sicuro che non siano velenosi?» gli domandò una voce alle sue spalle, facendolo trasalire.

Aisling si accucciò accanto a lui, trattenendo uno sbadiglio.

Ritrasse le mani dall'acqua, chiudendo i funghi al sicuro tra i pugni. L'acqua sgocciolò dalla sua pelle e le gocce, ricadendo nel lago, formarono dei piccoli cerchi concentrici toccandone la superficie. Agitò le mani togliendosi di dosso gli ultimi residui di gocce.

«Sono commestibili» le rispose, sentendo i suoi occhi su di lui. Non si voltò a guardarla e rimase a fissare l'altra sponda del lago. Poco più lontano se ne intravedeva un altro, costeggiato da cinque betulle e un pino. 

Il vento frusciava, spostando i lunghi steli d'erba verde, accarezzandoli come se fossero il pelo di un grosso animale.

Rian si schiarì la voce. Non si erano rivolti più la parola da quando erano fuggiti dal palazzo. Erano soltanto saliti in sella alla cavalla nera, uno dietro l'altra ed erano corsi via. Però lui sentiva il bisogno, la necessità, di sapere che cosa era accaduto e sopratutto che cosa avrebbero dovuto fare adesso.

«Perché sei scappata dalla sala da ballo?» le domandò. Cominciava a pensare che se lei fosse rimasta con loro al banchetto, la serata non avrebbe preso quella brutta piega, ma non voleva addossarle le colpe dell'accaduto.

Aisling si ritrovò a fissare sorpresa l'acqua del lago insieme a lui.

Sospirò. «Mi hai vista scappare?» tentò di tergiversare e Rian lo capì. Tuttavia non avrebbe demorso. Spostò i funghi su un palmo solo e ne prese uno per il gambo, rigirandoselo tra le dita e concentrandosi sul suo colore marroncino.

«Ti ho vista» rispose siccome lei non parlava: «E vorrei conoscere il motivo per cui ci siamo cacciati in questo grosso guaio. Vorrei sapere se ne vale la pena».

La maga si strinse la coperta sulle spalle come se potesse sparirci dentro. Si morse il labbro, consapevole della nota scontrosa che avrebbe assunto la sua voce: «Nessuno ti ha chiesto di venire ad aiutarmi».

«La vuoi mettere su questo piano? L'ho fatto perché ero preoccupato per te. Mi avete detto che non potete usare la magia per difendervi e il principe ti spaventava così tanto».

Aisling si fissò i segni concentrici sui palmi. Erano sei. Il principe e le sue cinque guardie accorse nella torre. Le persone contro cui aveva indirizzato la sua magia con l'intenzione di far del male. Aveva ferito le guardie, aveva ferito il principe e anche Rian. Il suo taglio sul volto si stava cicatrizzando e sperò che non gli avrebbe lasciato nessun segno, come quello che già aveva sulla guancia destra. Alla fine lo aveva fatto lo stesso, aveva usato la magia per difendersi perché era stata la sola soluzione che le era balzata in testa in quel momento di sconforto e paura.

Rian notò quel gesto e la osservò. «Anche se le leggende dipingono voi maghi come esseri eccezionalmente forti e superiori, non significa che non abbiate bisogno di una mano. Quindi non dirmi che te la potevi cavare benissimo da sola» continuò a replicare, nonostante il tono bellicoso che lei aveva assunto.

«Siamo fragili come tutti gli altri» dichiarò pensosa, portandosi le ginocchia al petto.

«Allora ne vale la pena?» s'impuntò Rian, sperando che lei glielo rivelasse.

La maga si voltò di scatto. Si studiarono a lungo prima che lei si decidesse a rispondere. Sembrava in ansia. «Sì, perché farei di tutto per lui, e mi dispiace che sei finito in mezzo ai miei guai anche tu, non avrei dovuto coinvolgerti».

«Lui chi? Il principe?».

«No» sospirò di nuovo: «Antartide, un mio... Amico».

Il modo in cui aveva pronunciato quell'ultima parola si insinuò fra loro con un suono improvviso, come se Aisling avesse raccattato un sassolino per terra e lo avesse lanciato nell'acqua del lago.

Rian si sentì ancora più confuso, ma poi si ricordò che Zallen aveva pronunciato quello strano nome quando stavano preparando la scena per lo spettacolo.

«Venne qui l'anno scorso per lo spettacolo della principessa Valys. La principessa si è innamorata di lui e ha deciso di tenerlo a palazzo, ovviamente sua madre, la regina, fu d'accordo e assieme al re lo investirono della carica di primo generale del loro esercito più forte».

«Credevo che fosse il capitano Loer».

«Ce ne sono tanti di eserciti e ognuno ha il suo generale». Aisling si mise a strappare i fili d'erba accanto alle sue scarpe, sconsolata: «Io... Non voglio perderlo e detesto queste leggi assurde, questi sovrani che possono decidere delle nostre vite e del nostro futuro. Giocano con il nostro destino. Siamo sabbia nelle loro mani ormai». Serrò i pugni, scossa dal ricordo della felicità di quel sorriso accanto al volto della giovane principessa. «Vederlo laggiù, accanto al trono... Mi è sembrato così diverso in quella maledetta corte, come se non gli fosse importato di altro. Si atteggiava in modo così innaturale e composto, non mi ha mai rivolto una parola, nonostante ho provato ad avvicinarmi a lui da quando siamo entrati nel salone. Non so se è ancora la persona che ho conosciuto».

Rian le porse un fungo con un gesto dubbioso. Ma la ragazza aveva chiuso gli occhi e rivolto il viso verso l'alto, dove le nuvole coprivano il sole che si stava nascondendo dietro la punta delle montagne, gettando un'ombra sulla valle. «Forse non ci può fare nulla e quindi ha soltanto accettato il suo nuovo presente» dedusse, cercando di consolarla: «Ma magari non ti ha dimenticata, magari...».

«Non lo so» lo interruppe arrabbiata.

Il ragazzo si portò il fungo alle labbra e ne morse un pezzo. «Bleah, sono molto meglio cotti o affumicati» constatò appena il sapore aspro si fece strada nel suo palato.

Aisling gli porse un pezzo di coperta e il ragazzo si rannicchiò vicino a lei. La cavalla, dietro di loro, si era messa a brucare l'erba sotto le cupole di alberi. Rian non riusciva a capacitarsi come mai avessero ancora foglie autunnali a ricoprine i rami e come mai lì il clima fosse così mite. Varcare quel muro era stato come entrare in un altro mondo. Un mondo diverso e meno ostile, dove non c'erano neve, scarsità di cibo, nebbia e dicerie malevole per alimentare fuochi fatui di paura e superstizione.

«Sai» le disse per cambiare argomento, dal momento che gli occhi della maga erano diventati umidi: «Non mi sarei mai immaginato di dividere una coperta logora e puzzolente con una maga».

Aisling tentò di sorridere. «Nemmeno io. Agli umani solitamente non ci è permesso avvicinarsi, tranne per questa ricorrenza del regalo ai principi di Far».

«Capisco, quindi hai fatto di tutto per esserci, per incontrare questo tuo amico». Iniziava davvero a comprenderla e forse riusciva anche a soppesare quanto importante per lei fosse il mago di cui gli stava parlando.

Lei annuì e si ritrovò a guardare di nuovo verso lo specchio d'acqua. «Ti sembrerà assurdo, ma con la magia non me la cavo così bene come sembra. Ho dovuto allenarmi tantissimo per riuscire a convincere il sovrano a mandarmi qui e rivedere Antartide. Avrei voluto parlargli e chiedergli perdono per quel duro saluto che ci siamo dati prima che si trasferisse a Far... Invece ho rovinato tutto».

«Direi che il principe ha fatto la sua buona parte» tentò di consolarla di nuovo.

«Secondo te si è fatto male?» domandò agitata.

Rian strinse con la mano libera il lembo di coperta che gli ricadeva sulla spalla e si mise a riflettere. Ricordò lo schiocco che aveva sentito quando il corpo del principe aveva sbattuto contro la libreria, ma era convinto che non ci avesse lasciato le penne. «Credo di sì... Ma si riprenderà».

«Lo spero, non voglio sentirmi responsabile di una guerra».

Non sapeva cosa dirle, talmente tanti erano i pensieri che gli passavano per la mente in quel momento, si rincorrevano come i copiosi fiocchi di neve che vedeva ogni mattina dalla finestra della sua stanza. Lasciò cadere i funghi nell'acqua, facendoli precipitare lentamente dal suo palmo. 

Aisling si stava osservando le mani di nuovo e più precisamente i segni neri che le erano comparsi dopo che aveva usato la magia nella torre. 

«Ti fanno male?» le chiese dolcemente.

«No, però non ho idea di come fare a toglierli».

Rian la osservò mentre si strofinava quei simboli e decise di cambiare argomento di nuovo: «Comunque mi sembra che tu te la cavi benissimo con la magia, ci hai fatto uscire sani e salvi da una caduta che poteva davvero finire in modo tragico». La paura che aveva provato lanciandosi dalla finestra della torre tornò ancora ad agitarsi nel suo petto.

«Perché non hai visto nulla. Quella che riesco a usare è soltanto la bassa magia che consiste nel piegare un elemento al tuo volere e comandarlo, ma rimane sempre nella sua forma naturale e quindi le tue richieste sono limitate a ciò che l'elemento può fare. Mentre con l'alta magia si può fare qualsiasi cosa. Per esempio trasformare il tuo elemento in qualcosa di solido e visibile, come le creature di fuoco di Grifar. Quello è un assaggio di alta magia».

I funghi erano caduti tutti e galleggiavano sulla superficie liquida del lago come piccole bolle di sapone. «Sì, me le ricordo» le rispose grattandosi il mento.

«E per finire c'è la magia superiore, che non ha alcun tipo di limite. Quando ci siamo allontanati troppo da Camelia e Cornelia la loro magia sui nostri abiti è svanita, perché ogni incantesimo ha il suo raggio d'azione. Tranne quelli compiuti con la magia superiore».

Le dita della maga finirono sull'orlo reciso dei suoi pantaloni di cuoio, le lasciavano scoperta la pelle sopra le caviglie e si era anche strappata una manica della camicia per fasciarsi le ferite al braccio. Rabbrividì a causa del ricordo delle mani del principe che le afferravano la gonna.

«Sembra piuttosto facile» commentò dubbioso Rian, interrompendola. La magia iniziava a suscitare in lui parecchia curiosità e se l'era immaginata come un sistema molto più complesso, fatto di rituali e formule imparate a memoria, di legami con la natura, il sangue e le ossa. 

«Non lo è, Rian. Non è un dono che si può apprendere. Si nasce così e si può solo tentare di migliorare, ma non tutti sono così predisposti e inoltre non tutti riescono a tenersi il dono per tutta la vita, ma più ci riesci e più rimani giovane e in forze. Le gemelle lavorano al palazzo del sovrano e hanno ben sessantadue anni, anche se sembrano due ragazzine».

Quello che gli aveva appena rivelato faceva a pugni con ciò che gli aveva raccontato Grifar. Chi dei due stava mentendo? Forse il mago del fuoco aveva semplicemente camuffato la verità perché non poteva rivelargliela. Cercò di non sorprendersi ma quello che gli aveva appena detto lo aveva scosso e probabilmente non ci avrebbe mai creduto se Aisling non lo stesse guardando con quell'espressione fiera e sicura di sé. 

«Se si nasce magici allora potrebbero esserci altri maghi al di fuori del tuo regno» ragionò, pensando che tutte le persone con questo dono dovevano essere creature fortunate e fuori dal comune.

Lei però non gli rispose. Forse perché se lo era chiesta ma non lo sapeva, o forse perché si trattava di un segreto del suo popolo. Sembrò voler dire qualcosa ma le sue labbra si schiusero senza proferire alcuna parola. Solo dopo qualche istante parve ritrovare la voce: «Da quanto tempo siamo qui?».

«Non saprei. Un paio d'ore».

«Forse sarà meglio proseguire».

«Dista molto il bosco di cui ha parlato Zallen?».

«Sì, è poco prima del confine nord del regno. Ci vorranno giorni per raggiungerlo, ma lì saremo al sicuro. Ci basterà chiedere asilo alle Temahe».

«Temahe?» domandò incuriosito, sillabando l'ennesimo nome che non aveva mai sentito pronunciare.

«Sono...» cominciò a spiegargli ma poi si interruppe, liberandosi dal suo lato di coperta: «Mi è difficile spiegarti che cosa sono, però saranno in grado di nasconderci finché le acque si saranno calmate».

Si alzarono insieme e Aisling gli porse la coperta: «Tienila tu, visto che sali dietro, almeno ti proteggerà le spalle e la schiena dal vento».

Rian afferrò la stoffa e il suo sguardo ricadde sulla manica della sua camicia. Si era sollevata e il braccialetto di spaghi di Nedera era ben in vista, su un lato si era leggermente rovinato. Un filo blu si era tirato, impigliato da qualche parte, e formava una piccola gobba sopra gli altri.

«Hai qualcuno che ti aspetta a casa?» le chiese, mentre si portava la coperta sulle spalle come se fosse una sorta di mantello.

«No, noi maghi non abbiamo genitori, siamo come un'unica grande e sola famiglia. E tu? Sei preoccupato che tua madre possa essere in pensiero per te?».

Rian contrasse la labbra in una smorfia: «Dipende da cosa le ha detto Nehon nel messaggio».

«Non lo so. Però potrebbe anche darsi che le faccia sapere che stai bene attraverso qualche sogno, tanto per non farla restare in ansia».

«Dici che lo farebbe?» disse sbalordito, mentre catalogava quel tipo di incantesimo come una magia superiore, dal momento che Nehon e gli altri maghi probabilmente a volo di drago dovevano essere già tornati nel loro regno oltre le montagne. Non sapeva esattamente dove si trovasse o quanto distava, ma voleva pensare che adesso almeno loro erano al sicuro.

«Conoscendolo penso proprio di sì. Ha due bambini piccoli, quindi penso che sappia cosa significa».

«Ma mi hai appena detto che voi...».

«A volte si è fortunati e si rimane con i propri genitori o fratelli. Si tratta di qualcosa di molto complesso» lo interruppe, mentre camminavano verso la cavalla nera.

Aisling l'accarezzo sulla criniera, prima di posare le mani sulla sella per aiutarsi a montare sul loro destriero.

Rian chiuse la bocca. Non era sicuro che la maga avrebbe risposto ad altre sue curiosità sul suo regno; gli sembrava che lei si stesse contraddicendo ad ogni rivelazione o forse era lui che non aveva la mente abbastanza aperta per riuscire a comprendere un mondo diverso da quello a cui lui era abitato.

Montò subito dietro di lei e si irrigidì quando la sua schiena si appoggiò contro il suo petto. Aisling gli era sembrata una sua coetanea, ma dopo quello che gli aveva detto sulle gemelle, pensò che magari potesse essere anche molto più vecchia di lui e non sembrarlo. Aveva ancora una miriade di dubbi che voleva sciogliere.

Agguantò le redini e la cavalla alzò il muso verso il boschetto. Aisling diede un colpetto ai fianchi dell'animale che partì al galoppo.

Le punte della chioma rossa della maga gli finirono sul viso. Lo avevano infastidito durante tutta la fuga. Tentò di scostarle con una mano dalla sua guancia e il suo sguardo si fermò su qualcosa di altrettanto rosso. Un uccello che saltellò da un ramo a un altro, seguendo la direzione del loro tragitto. Gli parve che avesse due occhi chiari, dello stesso colore dell'ambra, e che assomigliasse a un corvo. Si disse che probabilmente aveva visto male ed era solo un picchio, uno di quelli con la pancia dal piumaggio scarlatto. Ma appena girò leggermente il volto per osservarlo di nuovo, il voltatile era già sparito. Si era librato in volo, verso qualche altro cielo che Rian non aveva ancora avuto modo di ammirare.

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