Extra V - Famiglia

Tre anni prima

Mason

Seguo con gli occhi la figura della Guerriera bionda, mentre cammina verso l'uscita del vicolo. Le sue parole mi rimbombano incessantemente in testa.

"«Ho capito che ora l'Esercito è senza il suo Generale. Ho capito che tua sorella ha perso i suoi punti di riferimento. Ho capito che tu provi a essere forte, quando in realtà sei morto con loro. Sei tu quello che non capito un cazzo di me, Evans»" mi ha sussurrato sulle labbra, le sue iridi castano-verde incastrate nelle mie.

Tiro un'occhiata ai tre cadaveri abbandonati sull'asfalto. Uno appartiene al Guerriero che era in compagnia della ragazza bionda, di cui non conosco ancora il nome. Gli altri due corpi sono dei miei genitori. Guardo la ferita che segna il petto di mio padre e il foro scavato dalla pallottola sulla tempia della mamma.

Mi obbligo a distogliere l'attenzione e a non pensarci. Devo raggiungere Piper. Ha bisogno di me. Supereremo la perdita insieme. Sì, insieme. Saremo l'uno la spalla dell'altro, e non permetterò a nessuno, nessuno, di farle del male.

Raggiungo l'uscita del vicolo. Le luci di New York mi colpiscono, illuminando le tenebre notturne e rischiarandomi la vista. Scorgo la Guerriera dai capelli biondo platino a qualche metro di distanza. Sta fissando qualcosa sulla parete di un edificio, e il suo sguardo è pieno di orrore.

Mi avvicino a lei e nella mia visuale entra l'ennesimo cadavere. Il corpo di una ragazzina, con i capelli chiari, la divisa imbrattata di sangue e la gola squarciata da un profondo taglio, da cui continua a scorrere una cascata di sangue. Gli occhi sono spalancati dalla paura, le iridi appannata da un velo di morte, nere e spente.

Mi inginocchio davanti al corpo. Veramente, sono le mie gambe a crollare sull'asfalto, alla vista del cadavere di Piper. Studio la sua espressione, contratta dal terrore e dal dolore. E il sangue, e la ferita che traccia la clavicola, e le sue iridi, dove si è annidato il buio eterno.

«No, no, no» sussurro, gemendo di dolore. È come se mi stessero strappando la pelle, distruggendo gli organi. No, è peggio, perché il dolore viene da dentro. Non so se è possibile sentire una cosa del genere, ma percepisco il mio cuore che brucia e l'anima che collassa. «Piper...» bisbiglio, ma la voce mi resta bloccata nei polmoni.

Ricordo improvvisamente che, alle mie spalle, si trova la Guerriera dagli occhi sfumati di verde. Non posso mostrarmi debole, non davanti a lei. Quindi, inspiro con forza, mi chino sul cadavere di mia sorella e le bacio la fronte, stringendola per l'ultima volta tra le mie braccia. Sigillo gli occhi, con le lacrime che protestano per uscire.

Poi, mi stacco dal corpo di Piper e le abbasso le palpebre, nascondendo il suo sguardo nero. Mi rimetto in piedi, fissando un punto imprecisato per appiattire le lacrime e la sofferenza che mi sta distruggendo.

Resisti, Mason. Resisti. Riporta questa ragazza in Accademia e, dopo, potrai piangere. Adesso, no, mi impongo.

«Torniamo in Accademia» ordino alla Guerriera, la voce gelidamente controllata.

Si limita ad annuire. Ha perso tutta la spavalderia. Sembra che stia trattenendo anche lei un pianto disperato. A giudicare dal suo sguardo affranto e dal modo in cui stringeva quel ragazzo, nel vicolo, ho intuito che fosse il suo fidanzato. Decido di non fare domande, però. Non è il caso.

Ci incamminiamo per le strade di Manhattan. Le luci dei lampioni e dei grattacieli ci illuminano il cammino. Uno strato di nuvole spesse oscura la luna e le stelle, come se gli astri avessero paura di mostrarsi, dopo ciò che è appena accaduto.

Proseguiamo in silenzio. Questo mutismo assoluto, interrotto dai clacson dei veicoli e dal rombare dei motori, mi dà la possibilità di ripensare a ciò che è accaduto. Gli eventi della serata sono tatuati nella mia mente. Se continuo a riviverli, sento che finirò col distruggermi, quindi scaccio dalla mia testa gli occhi vuoti di mia sorella, il pugnale che penetra il petto di mio padre e lo scoppio della pistola che ha ucciso mia madre.

«Come ti chiami?» chiedo alla ragazza, per distrarmi dai miei ricordi.

La guardo con la coda dell'occhio e noto che si asciuga una lacrima dal viso. Mi ero scordato che anche lei ha perso qualcuno di caro, stanotte.

«Che te ne importa, Evans?» sbotta, la voce rotta.

«Scusa, Bionda, se stavo cercando di fare conversazione per non pensare ai miei genitori che muoiono davanti ai miei occhi» rispondo in tono tagliente.

Lei esala un respiro nervoso. «Tiffany. Mi chiamo Tiffany, okay? Tiffany Campbell.»

Non aggiungo altro. Continuo a proseguire lungo il marciapiede, senza fiatare, la ragazzina bionda che avanza alle mie spalle. Le mie riflessioni finiscono di nuovo ai miei genitori e a mia sorella. Mi chiedo se i loro corpi si siano già sbriciolati in polvere d'argento bianco, come succede agli Arcandidi quando muoiono. È la cenere della nostra essenza magica.

Non abbiamo neanche un cadavere su cui piangere, ma solo un mucchio di granelli chiari che si dissolvono nell'aria. Questo pensiero mi fa venire voglia di ridere, ridere con amara cattiveria, perché la vita è una stronza, perché nell'esistenza di noi Guerrieri non c'è spazio per la felicità.

Nella mia, almeno, non più. Non credo che riuscirò più a sorridere, a provare gioia, dopo stanotte. Non credo che la lastra di ghiaccio che mi sta intrappolando l'anima si scioglierà mai.

«Mi dispiace, per quello che ti ho detto nel vicolo» si scusa Tiffany, all'improvviso. «Non volevo aggredirti. Ero solo... arrabbiata.»

«Fa niente» dico seccamente. «Non importa.»

Non importa più niente, aggiungo tra me.

In lontananza, avvisto l'Accademia, un edificio a quattordici piani circondato da uno spazioso cortile e recintato da un'imponente staccionata d'oro.

Percorriamo l'ultimo tratto di strada senza rivolgerci parola, arrivando poco distanti dal cancello. Io e Tiffany avanziamo e varchiamo la barriera magica, che nasconde la scuola agli occhi umani. Il potere della cupola mi calpesta e mi strappa il fiato, per un istante, finché non giungiamo dall'altra parte. Entriamo nel cortile della scuola, dal prato congelato e dagli alberi spogli e coperti di neve.

Raggiungiamo l'ingresso dell'istituto, costituito in due battenti di vetro colorato, dove è rappresentato lo stemma di Arcandida. Le porte sono socchiuse, per permettere ai Guerrieri che rientrano dalle Sentinelle di entrare senza problemi.

L'atrio della scuola è buio e deserto. Davanti a noi, si ergono le scale che conducono al primo piano. A destra e sinistra, due lunghi corridoi, che si tuffano nelle tenebre.

«Devo andare da Mark, per riferirgli le perdite di stanotte» avverto Tiffany.

Il modo indifferente con cui parlo della morte della mia famiglia e del suo ragazzo stupisce anche me, ma l'apatia è l'unico metodo che ho per non crollare su me stesso.

«Va bene» mormora lei.

Si avvicina all'ascensore installato nella parete. La guardo mentre entra nella cabina, e i nostri occhi restano incrociati finché le porte di metallo non si chiudono e la Guerriera non sparisce dalla mia vista.

Imbocco il corridoio a sinistra. Sui muri, brillano le fioche luci di lampade a olio arrugginite, che gettano fasci luminosi sui dipinti che tappezzano le pareti. I volti della famiglia reale Kelley e delle figure più popolari della storia di Arcandida mi fissano, gravi, in un miscuglio di ombre notturne e lineamenti schiariti dalle lampade.

Mi fermo davanti a un battente di mogano, sui cui scintilla una targhetta d'oro. Busso alla porta dell'ufficio di Mark, sicuro che si trovi ancora qui. Lavora sempre fino a tarda notte.

«Avanti» grida la sua voce dall'interno, confermando i miei sospetti.

Entro nello studio. È una stanza piccola e ordinata, arredata in modo accogliente. La scrivania occupa gran parte dello spazio. Dietro essa, è seduto il direttore dell'Accademia.

«Mason» fa, sorpreso di vedermi. «Hai bisogno?»

«Devo informarti di un paio di cose.»

Mark mi invita a sedermi davanti a lui. Mi accomodo, rigido contro lo schienale della sedia. Riesco a controllare le mie emozioni e a non far trasparire nulla dal mio sguardo, se non assoluta freddezza.

«Cosa devi riferirmi?» domanda Smith, mentre sistema le numerose scartoffie sparse sulla superficie di legno, impilandole in mucchi precisi.

«La mia famiglia è stata uccisa.»

Mark alza i suoi occhi color ghiaccio su di me, i fogli a mezz'aria. «Come, scusa?»

Non crollare, mi ordino.

«I miei genitori e mia sorella sono morti» ripeto, la voce spaventosamente calma.

Le cartacce scivolano dalle mani di Mark. Non riesco a decifrare la sua espressione. È un misto di incredulità e smarrimento. «Spiegati meglio, Mason.»

Faccio ordine mentale e comincio a parlare. Gli racconto della Sentinella di famiglia, dell'imboscata di Seth e di come le Ombre hanno ucciso i miei genitori e il compagno di Tiffany. Gli dico anche di Piper, che ho trovato morta all'uscita del vicolo.

«Probabilmente c'è una spia in Accademia» ipotizzo. «Sappiamo che Seth è sempre informato, ma quella Sentinella è stata organizzata senza preavviso. Qualcuno deve averlo avvertito. Ha attirato nella sua trappola anche gli altri due Guerrieri.»

«Frena, Mason» mi interrompe Mark. Noto con stranezza che le sue palpebre sono spalancate, gli occhi chiari pieni di sconcerto e timore. «Stai dicendo che Caleb, il Generale, è morto

«Sì, Mark. E con lui mia madre, mia sorella e un Guerriero» specifico, pacato.

Il direttore impreca, sbattendo il palmo della mano sulla scrivania. «Non è possibile.»

«A quanto pare, sì.»

«Come fai a essere così... calmo?» mi chiede. «Se Caleb fosse davvero morto...»

«Ho visto un'Ombra ucciderlo, Mark» sibilo, perdendo compostezza. «Ho visto mia madre morire e ho trovato per strada il cadavere di mia sorella. Dovresti sapere meglio di me perché sono così calmo.»

Perché se mi lascio andare al dolore, ne verrò schiacciato, vorrei aggiungere.

Il direttore sospira, passandosi le dita tra i capelli neri e corti. «L'Esercito non andrà avanti senza Generale. E se c'è davvero una spia in Accademia...»

«Salterà fuori, prima o poi. E, a quel punto, la ucciderò con le mie mani» dichiaro.

Smith mi squadra a lungo. «Se hai bisogno di un periodo di pausa per riprenderti, non devi nemmeno chiedere.»

«Sto bene, Mark» sancisco. «Sto più che bene.»

«Non farti sopraffare dall'indifferenza, Mason. È letale.»

«Sì, lo so» rispondo sbrigativamente, alzandomi. «Posso andare?»

Mark mi dà il permesso. Mi avvicino alla porta e impugno la maniglia dorata, ma d'un tratto ricordo qualcosa che volevo dire al direttore e mi giro di nuovo a guardarlo.

«Non investire troppo nel funerale. Tanto, non verrò» gli comunico.

Non sento la risposta di Mark, perché apro la porta del suo ufficio ed esco.

****

Tengo le pupille fisse sulle piastrelle blu e bianche del corridoio, mentre raggiungo la biblioteca. Carter mi ha scritto un messaggio, dove mi informava che lui ed Emily si trovavano là.

Vedere i miei migliori amici mi risolleverà il morale, ne sono certo. Mi impunto su questo pensiero, per scacciare quelli legati alla morte della mia famiglia.

Arrivo davanti al doppio battente di legno della biblioteca, che spalanco con un rumoroso cigolio. L'intera stanza è buia, tranne che per un debole bagliore dorato che proviene da un angolo. Mi avvicino alla luce, che scopro nascere da una lampada su un tavolo. Seduti ai lati opposti di esso, Emily e Carter.

Stanno discutendo animatamente su qualcosa, gesticolando e tirandosi occhiatacce. Uno dei loro soliti e infantili litigi, probabilmente.

«Ciao, ragazzi» li saluto, quando arrivo al tavolo.

«Mason» fa Emily, allegra. Mi indica una poltrona libera, tra la sua e quella di Carter. «Siediti.»

Seguo il suo consiglio. Mi sforzo di mantenere uno sguardo neutrale, mentre chiedo: «Per cosa state litigando, stavolta?».

«Sto studiando, ma Carter continua a darmi fastidio» si lamenta la Guerriera dagli occhi blu.

«Questa roba è noiosa» commenta Carter, accennando al libro aperto che si trova sul tavolo.

Getto un'occhiata al testo e scopro che parla della geografia di Antylia, il continente dove sono presenti i tre regni delle Pianure Ghiacciate, tra cui Arcandida.

«Non è una giustificazione» ribatte Emily.

Carter si rigira una matita tra le mani, l'aria annoiata. «Sei insopportabile.»

Vedere i miei migliori amici che si urlano contro a vicenda riesce a farmi sorridere. Per un attimo, mi sento meglio.

Ma la serenità dura solo un secondo, perché, subito dopo, una morsa atroce mi stritola il cuore, e la mia mente viene tartassate da immagini di morte, sangue, armi e Ombre.

«Stai bene, amico?» mi chiede Carter. Non gli sfugge mai niente.

Faccio un sorriso tirato. «Sì, sì. È solo che la Sentinella è stata stancante.»

Nessuno dei due indaga oltre. Non so perché non ho ancora detto loro cosa è successo stanotte. Forse, semplicemente, non ci riesco. Non sarei in grado di dirlo ad alta voce per la seconda volta.

Emily torna a studiare e Carter a rigirarsi la matita tra le mani. Ogni tanto tira la matita contro la ragazza, per il solo gusto di irritarla, e lei lo fulmina con i suoi occhi blu elettrico mentre lui ridacchia.

Io fisso le venature del legno del tavolo, con il cervello inceppato sempre sulla stessa scena. Stringo i pugni con forza, spezzandomi quasi le dita, e chiudo gli occhi, ma i ricordi sono impressi a fuoco e non posso più liberarmene.

Mi marchieranno per sempre.

All'improvviso, dal cellulare di Emily, posato sul tavolo, proviene il suono da una notifica. Anche il telefono di Carter squilla, insieme al mio.

Non prendo il telefono. So già di cosa si tratta.

Emily e Carter, invece, afferrano i loro smartphone e controllano il messaggio che è appena stato inoltrato a tutta l'Accademia.

La mia migliore amica sbianca, diventando più pallida di quanto non lo sia già, cosa che mette in risalto le sue lentiggini. Carter spalanca gli occhi verdi.

«Domani ci sarà un funerale» annuncia Emily.

«Chissà a chi è toccata, stavolta» riflette Carter, a voce alta.

«Alla mia famiglia.»

Mi rendo contro troppo tardi di ciò che ho detto. Le iridi dei due sono già volate su di me. Le loro espressioni sono confuse.

«C'è stata un'imboscata, durante la Sentinella» inizio a spiegare, prima che facciano domande. «Seth ha scoperto che uscivamo e ci ha guidati in un covo d'Ombre. I miei genitori sono stati uccisi, e anche Piper. È morto anche un Guerriero che si trovava là con la sua ragazza.»

«Oh, Dio» sussurra Emily, le palpebre allargate dallo stupore.

«Cazzo, Mason, perché non ce l'hai detto prima?» prorompe Carter.

Scrollo le spalle. «Non lo so. Non volevo.»

A Emily basta uno sguardo per capire che, in realtà, non potevo. Non ci riuscivo. Si alza dalla poltrona e si avvicina a me. Mi posa il palmo della mano sulla nuca e mi tira a sé, la sua guancia appoggiata sulla mia testa, che è premuta contro il suo petto.

«Mason...» mormora, stringendomi. «Mi di...»

«Non dirlo. Ti prego» replico, e la mia voce si spezza. Il guscio di indifferenza dentro cui mi ero rifugiato si crepa. Sento un velo di lacrime appannarmi agli occhi, ma le trattengo. Non voglio piangere. Non voglio crollare.

Avvolgo le braccia intorno ai fianchi di Emily, nascondendomi nella sua stretta confortante. Carter si avvicina a noi. Mi posa una mano sulla spalla e, anche se il gesto è leggero, mi aiuta.

«Ti staremo accanto, amico. Sempre» mi giura Carter.

Mi rilasso nell'abbraccio di Emily, rincuorato dalla presenza di Carter, e ripenso a come ci siamo conosciuti.

Era il primo giorno della scuola elementare, e noi avevamo cinque anni. L'Accademia ha anche un ciclo di studi di undici anni, diviso in asilo ed elementari, che insegna le basi delle materie umane ai bambini, finché non compiono dodici anni e non cominciano l'addestramento da Guerrieri.

I miei migliori amici sono rimasti orfani quando avevano appena due anni, a causa della guerra ad Arcandida. Sono cresciuti insieme nell'orfanotrofio dell'istituto, ma non hanno mai fatto amicizia.

Il primo giorno delle elementari, quando presi posto in quella classe piena di bambini sconosciuti, ero agitatissimo. Ero abbastanza popolare tra i piccoli Arcandidi, per essere il figlio del Generale, quindi ero vittima di continue occhiate, che mi mettevano in soggezione. Prima di lasciarmi entrare in aula, mamma mi disse che io ero coraggioso come papà, e che non dovevo lasciarmi spaventare da nessuno, ma in quel momento avevo una paura tremenda.

Finché un bambino dagli occhi verdi non si sedette accanto a me, nell'unico banco libero. Sembrava il solo a cui non importasse che mio padre fosse una specie di celebrità. Così, quando la prima ora di lezione terminò, decisi di esprimere i miei dubbi.

«Perché non mi fissi?» gli chiesi, con la schiettezza che possiede solo un bambino di cinque anni, come lo ero io allora.

Lui sembrava confuso. «Perché devo farlo?»

«Perché lo fanno tutti» ribattei.

«Beh, io non sono tutti. Sono Carter» si presentò.

Gli dissi il mio nome, poi gli spiegai il ruolo di mio padre nell'Esercito.

«Che figo!» esclamò Carter, gli oggi verdi che brillavano di entusiasmo. «Quindi va al Polo Nord e combatte un sacco di spiriti cattivi?»

Annuii, fiero delle imprese di mio padre. Per una volta, ero soddisfatto di essere figlio del Generale, e non mi sentivo fuori posto come lo ero stato finora.

«Tuo padre cosa fa?» gli domandai.

Carter si strinse nelle spalle, improvvisamente non più euforico. «La signora Kane, la direttrice dell'orfanotrofio, mi dice sempre che mio padre è un astronauta e che è partito un sacco di anni fa per una missione importante nello spazio. Ma io non le credo.»

L'idea di un padre astronauta mi sembrava molto più interessante di quella un padre Generale, perciò sorrisi. «Secondo me è vero. È fantastico.»

Carter ritornò a essere contento. «Sì, è fantastico» dichiarò, orgoglioso.

Passammo l'intera giornata a parlare e a conoscerci. Il pomeriggio lo invitai nella suite degli Evans, e fu felicissimo di incontrare mio padre.

Trascorremmo i giorni seguenti sempre insieme, sia durante le lezioni che durante il pomeriggio e la sera. Carter divenne praticamente mio fratello.

Poi, un giorno, mentre eravamo seduti in classe, durante la pausa merenda, Carter mi indicò qualcuno. Era una bambina carina, con i lunghi capelli che sembravano d'argento, un sacco di puntini sul naso e sugli zigomi e due enormi occhi blu, come il cielo notturno.

«La vedi?» mi domandò il mio nuovo migliore amico.

«Chi è?» gli chiesi.

«La mia futura ragazza» dichiarò, sicuro come non lo avevo mai visto.

«Ma se non la conosci nemmeno» protestai.

«Vive in orfanatrofio. La sua stanza è accanto alla mia. Si chiama Emily e mi sono innamorato di lei» mi spiegò, senza staccare l'attenzione dalla bambina.

«Vuoi conquistarla?» intuii.

Carter annuì varie volte. «Ma sono so come avvicinarmi.»

«La mamma dice sempre che si inizia prima con l'amicizia, poi con l'amore.»

Il mio migliore amico assunse un'espressione delusa. «Quindi non posso andare da lei e dirle che la amo?»

«No. Ho un'idea migliore» dichiarai.

Quando la lezione terminò e i bambini uscirono dall'aula, per raggiungere i loro genitori, mi alzai dal banco e mi diressi verso Emily, insieme a Carter.

Lei stava sistemando alcuni quaderni pieni di scritte nel suo zainetto, e quando alzò la testa noi eravamo davanti a lei.

«Ciao» esordii, «io sono Mason. E lui e Carter.»

Quest'ultimo le rivolse un cenno di saluto, con un sorriso luminoso sul viso. «Ciao.»

La bambina non rispose. Ci studiava con i suoi occhi blu, l'espressione stranita. O era timida, o non le piacevamo.

«Cosa sono quei cosi che hai sul viso?» chiese Carter, senza riuscire a contenere la curiosità.

Emily continuava a guardarci male. «Lentiggini» rispose.

«Sono belle» affermò Carter. «Cioè, tu sei bella.»

La bambina arrossì. «Grazie» sussurrò, improvvisamente timida.

«Vuoi essere nostra amica?» le domandai.

«Mio padre è un astronauta» la informò Carter, forse per convincerla.

Emily spalancò gli occhi. «Anche il mio.»

Probabilmente, sentendo quella frase, Carter perse completamente la testa per la bambina dai capelli argentei e gli occhi blu.

Alla fine, Emily accettò. Uscimmo tutti e tre dalla classe, dove mia madre mi aspettava. Le presentai Emily e le due si trovarono subito in sintonia, tanto che, durate il tragitto verso la nostra suite, camminavano davanti, parlando di cose da donne e lasciando me e Carter dietro, in disparte.

«La sposerò» mi disse Carter, a bassa voce, lo sguardo che divorava la figura di Emily.

Io alzai gli occhi al cielo. «Sì, certo, e io sposerò la Regina di Arcandida» esclamai, sarcastico.

Da quel giorno diventammo inseparabili.

Mi scappa un sorriso, ripensando a quei momenti, così spensierati. Emily continua ad abbracciarmi e Carter a starmi vicino. Sento che il dolore della perdita, piano piano, si allieva.

Carter ed Emily sono tutto ciò che mi resta, e non sono solo i miei migliori amici.

Sono la mia famiglia.

Spazio Autrice

Ho adorato scrivere questo capitolo. L'amicizia tra Mason, Emily è Carter è davvero speciale, e con questo extra scopriamo come è iniziata. Non sono adorabili?🥺

Comunque, il capitolo inizia con Mason e Tiffany che tornano dalla Sentinella, dopo che Chris e i genitori di Mason sono stati uccisi. Lui trova anche il cadavere di sua sorella, e questo è il colpo di grazia💔 Fortunatamente ha ancora i suoi migliori amici, con sé.

Se l'extra vi è piaciuto, stellinate e commentate!

Xoxo💙

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