66. Incompleto

Mason

«Perché sei triste?» domandai una volta alla mamma, mentre papà era partito per una spedizione con l'Esercito.

«Mi manca tuo padre» rispose con un piccolo sorriso, accarezzandomi dolcemente i capelli.

Ricordo che reagii con un cipiglio interrogativo. Come faceva a mancargli, se si vedevano quasi ogni giorno?

«Perché?»

«Perché, quando ami una persona, vuoi stare con lei sempre» spiegò. «E ti fa male starle lontano.»

«Come ti senti?» continuai a porre domande, con la genuina curiosità di un bambino di sette anni.

«Come se mi mancasse un pezzo importante. Hai presente quando fai un puzzle, ma manca una pezzo? Ecco, io mi sento in quel modo. Incompleta.»

«E se il pezzo non lo ritrovi più?» chiesi, quasi spaventato dalla conseguenza di una simile perdita.

«Beh, stai molto male, ma poi passa. Dopo un po' non fa più male.»

«Ma all'inizio fa tanto male?»

«Abbastanza.»

Mi scoccò un sonoro bacio sulla fronte, e io feci una smorfia infastidita a quel gesto.

«Anche tu sentirai la mancanza della tua fidanzata, un giorno.»

«Io non mi fidanzerò mai» replicai, sicuro di me.

Mia madre si mise a ridere, gli occhi castani che brillavano di amore. «Vedremo, tesoro.»

Incompleta. Si sentiva incompleta, in assenza di papà. Adesso, a distanza di undici anni, credo di aver compreso appieno il significato di quel termine.

Perché è così, che mi sento: incompleto.

Stringo i capelli tra le dita, emettendo un sospiro esausto e tremolante. Con le palpebre sigillate e l'aria che mi manca, seduto sul bordo del materasso, mi sembra di impazzire.

Mi odio. Mi odio per la mia debolezza. Ma, più di tutti, odio lei, perché mi ha ridotto così.

Sono passati due giorni dalla scomparsa di Bridget. I Guerrieri perlustrano New York senza sosta, frugando in ogni angolo e in ogni zona residenziale. Sono persino andati a casa della sua famiglia adottiva, fingendosi amici, ma non hanno ottenuto risultati.

Nessuna traccia. È sparita.

In quarantotto ore hanno fatto il giro completo di tutta la metropoli, più e più volte, ma l'esito è sempre lo stesso.

Assolutamente nulla. Niente che riconduca a lei.

Mark sospetta che abbia lasciato la città, e probabilmente è così. Il punto, però, non è dove. Il punto è perché. Per quanto mi riguarda, potrebbe anche essere sulla Luna o nel grattacielo qui dietro: non fa differenza. Ciò che non capisco è il motivo per cui è scappata.

L'altra mattina, ancora con le palpebre abbassate, ho tastato la parte di materasso dove pensavo di trovare Bridget, ma le mie dita hanno sfiorato l'aria. Non era lì. Pensavo fosse in bagno, tuttavia ho scoperto presto di sbagliarmi.

Poi, ho notato gli indizi: le ante dell'armadio spalancate, i vestiti dimezzati, la finestra socchiusa. Tutto mi riportava a un'unica soluzione.

Gelo. Ho sentito un profondo e insopportabile gelo. E non era per la temperatura sotto lo zero o per il freddo che strisciava dalla finestra. Era per la voragine che si è formata all'altezza del petto. La stessa voragine che continua a consumarmi da giorni.

Mentre gli altri si davano da fare per mandare avanti le ricerche, io ho passato due giorni a maledire l'universo. A fissare uno stupido pavimento che non sa darmi risposte. A serrare i pugni per la rabbia. A trattenere le lacrime. Perché sì, ho una voglia tremenda di piangere, ma non posso farlo, se non voglio rischiare di distruggermi.

Perdo sempre tutto. Ho perso la mia famiglia. E, con loro, avevo perso la capacità di provare emozioni. Avevo perso la felicità. Adesso, invece, ho perso l'unica ragazza che abbia mai amato.

Contraggo le dita attorno all'inutile biglietto che mi ha lasciato, spiegazzandolo. È davvero un pezzo di carta, l'ultima traccia che voleva lasciare di sé? Magari, credeva che mi sarebbe stato di conforto. La verità è che mi fa stare peggio.

"Non odiarmi, ti prego. Ti amo."

Ha scritto questo. Più leggo queste parole, scritte visibilmente di fretta, più mi sembrano false. Se mi amasse, non avrebbe mai avuto il coraggio di uscire dalla finestra e darsi alla fuga. In che modo è riuscita a guardarmi mentre dormivo nel suo letto, e poi ad andarsene, come se non contassi niente, senza rimpianti?

Dice che non devo odiarla. No, non ci riesco. La odio già. La odio perché si è portata via la felicità che avevo ritrovato con tanta fatica. L'ha presa e l'ha squarciata.

Sento il cigolio della porta, segno che qualcuno è entrato. Riconosco l'aura di Carter, ma non ho la forza di alzare lo sguardo e puntarlo nel suo.

«Come ti senti?» mi chiede il mio migliore amico.

«Non lo so.»

Si tuffa sul letto, alle mie spalle, con uno sbuffo contrito. «Sembri un morto vivente, Mason.»

Non aggiungo altro, poiché non posso negare. È esattamente così. Il mio organismo funziona normalmente, svolge ogni attività abituale, però la mia mente si è trasformata in un disco rotto: non fa altro che pensare, pensare a Bridget, pensare a noi, pensare a lei che mi abbandona, pensare a me che non reagisco.

Penso da più di quarantotto ore, anche se non mi è di nessuna utilità. Penso, tenendo lo sguardo incollato alle piastrelle del pavimento. Penso, stritolando il bigliettino nella mia mano. Penso, con gli occhi lucidi. Penso, con la collera che scorre nelle vene. Penso, con quella dannata voragine che si amplia minuto dopo minuto.

«Abbiamo il numero dei... deceduti» comunica Carter, all'improvviso, guadagnandosi la mia attenzione.

«Quanti sono?»

Serra le labbra in una linea dura. «Sessantotto.»

«Sessantotto morti» ripeto, incredulo. «Assurdo.»

«Seth si è svagato, mentre aspettava che Mackenzie facesse la sua parte» osserva.

Tutta l'Accademia è stata messa al corrente degli ultimi eventi, della morte di Mackenzie e della vera natura di Bridget. Ryan è stato costretto a dire la verità a Mark e le notizie si sono diffuse velocemente. Inutile dire che tra i Guerrieri si è scatenato il panico: questi due giorni sono trascorsi tra paura, ira, delusione, discussioni e opinioni diverse.

Capisco le loro reazioni, perché la mia è stata uguale. Quando, la notte della festa e dell'attacco, Bridget mi ha raccontato ogni cosa, ho fatto una fatica immensa a digerire le informazioni.

Finalmente alcuni dei miei dubbi si sono dissipati. Seth ha sempre torturato Bridget perché è suo padre. Lei è la sua Erede, e voleva portarla dalla sua parte. A quanto pare, ci è riuscito, dal momento che lei ha abbandonato gli Arcandidi.

Adesso mi è chiaro anche il motivo per cui, la prima volta che ho incontrato Bridget, l'ho scambiata per un'Ombra. La sua aura è sempre stata contrastante: luce e oscurità, ordine e caos, sicurezza e pericolo. È un ibrido.

«Emily si è ripresa?» domando a Carter, placando la furia delle mie riflessioni.

«Sì, sta decisamente meglio» mi riferisce, incurvando con contentezza le labbra.

Rispondo con un sorriso smorzato. Vorrei esprimere sollievo e felicità, come lui, ma non credo di esserne più in grado.

«Hai intenzione di continuare ancora a lungo?» sbotta il mio migliore amico.

«A fare cosa?»

«A farti del male. Non è colpa tua, Mason. Mettitelo in testa.»

Ancora una volta, taccio. E, ancora una volta, Carter ha maledettamente ragione.

«Perché sei qui?» domando.

«Per dirti che non abbiamo novità. Mark ha mandato gruppi di Guerrieri in tutta la città, ma niente.»

«Grazie. Adesso sto decisamente meglio» replico sarcasticamente.

«Mark vuole parlarti» mi informa. «Non gli va a genio questa tua depressione. Deve aver capito che tra te e Bridget c'è... c'era ancora qualcosa.»

«Non me ne importa, di quello che va a genio a lui. Non ho intenzione di sentire l'ennesima predica.»

«La troveremo, amico» dichiara Carter. «Te lo prometto.»

«Ho paura che rivederla mi farà incazzare così tanto che spaccherò l'intera scuola» rivelo.

«No, Mason, tu hai paura che rivederla ti farà soffrire proprio come quando sono morti i tuoi genitori» sputa la semplice e concreta verità.

Non rispondo nemmeno questa volta.

****

Mark passa i polpastrelli sulla barba corta e brizzolata, concentrandosi sul foglio che sta leggendo. Picchietto nervosamente la punta del piede contro il pavimento, la schiena rigida contro lo schienale della sedia. Sta leggendo da quando sono entrato nel suo studio, non degnandomi di un'occhiata.

«Stasera partiranno le ricerche fuori città» comunica d'un tratto.

«Volevi parlarmi di questo?»

«Non proprio» risponde vagamente.

Vuole farmi innervosire?

«Di cosa, allora?» incalzo, spazientito.

«Sarò sincero, Mason: dubito che la ritroveremo presto. È probabile che Seth le abbia fatto il lavaggio del cervello. Perché, se non vuole farsi trovare, non abbiamo speranze. Ordinerò una perlustrazione degli stati confinanti e, se necessario, dell'intero continente. Ma, ribadisco, se vuole stare nascosta, ci rimarrà.»

Perfetto. Ci mancava solo il pessimismo di Mark, ad aggravare il mio umore.

«Tu sapevi cosa fosse Bridget, in realtà?» gli chiedo.

«Quel segreto è morto con Selene. Non lo sapeva nessuno.»

Il direttore mi rivolge un'occhiata piena di compassione, sentimento che ho sempre detestato immensamente. Mi sono fatto valere ogni giorno, tirando gomitate e spinte per superare la calca di sconforto che ha riempito la mia vita negli ultimi anni, sebbene abbia un passato irruento che mi perseguita. Non mi serve empatia, né ora né mai. Specialmente da lui.

Mark incrocia le dita sul ripiano di legno della scrivania, studiandomi con i suoi occhi di ghiaccio. «Immagino che tu non mi abbia dato retta. Stavate ancora insieme, vero?»

Annuisco seccamente. «Quindi? Non ha più importanza, adesso. Lei non c'è.»

«Ti avevo avvertito, Mason» mi rinfaccia. Mi aspetto un sorriso soddisfatto, ma sembra solo dispiaciuto per me. «Quando ti ho detto che un giorno ti avrebbe lasciato, non intendevo esattamente in questo modo, ma il risultato non cambia. È scappata, probabilmente per raggiungere Seth, ovunque si trovi. Si è buttata tra le braccia del nemico. E, anche se non avesse intenzione di allearsi con suo padre, le Ombre la troveranno lo stesso. Non ha nessuna protezione, là fuori.»

«Avevi ragione» sibilo a fatica. «Avrei dovuto darti ascolto. Sei felice, ora?»

«Non voglio farti la predica sul fatto che tu mi abbia disobbedito. Ho altro a cui pensare, adesso. La vostra relazione non è più importante. L'unica cosa che conta è trovare Bridget prima che lo facciano le Ombre.»

«Cosa te ne frega, di lei, Mark? L'avresti cacciata dall'Accademia senza pensarci due volte» gli rammento le sue minacce.

«Lei ha la chiave per spezzare il Sigillo e accedere ad Arcandida. Senza quella, possiamo dire addio alla nostra missione. Gli sforzi di tutti questi anni saranno stati inutili.»

«Ma basterà recuperare la collana, giusto?»

Mark scuote la testa, desolato. «Ho mentito, quando ho detto che sarebbe stato sufficiente prenderle la collana. Deve essere lei a spezzare il Sigillo, perché Selene ha affidato a lei la chiave. È la nostra sola speranza di tornare a casa. Dobbiamo riportarla dalla nostra parte.»

Una tempesta furibonda si scatena in me. Ho perso tutto, per questa battaglia. Ho sacrificato la mia esistenza. Non sarà lei a impedirmi di rendere giustizia alla mia famiglia. Non sarà lei a impedirmi di raggiungere Arcandida. Devo trovarla.

«Dimmi cosa fare» dico al direttore, sentendo una scarica di adrenalina che mi colpisce.

«Unisciti alle ricerche. Anzi, guida le ricerche. Sei il Generale. Questo è il tuo primo incarico ufficiale: ritrovare la Principessa» ordina.

«Giuro sulla mia famiglia che la riporterò in Accademia, Mark. A quel punto, non avrà scelta: o è dalla nostra parte, o è una nemica. E io, i miei nemici, li distruggo

Spazio Autrice

Povero Mason🥺

Credo che questo sia uno dei capitoli più tristi. Non solo perché é l'ultimo, ma anche perché il nostro Guerriero non si è mai sentito così smarrito e debole. La fuga di Bree l'ha devastato, e non riesce proprio a capire perché l'abbia fatto.

Nonostante questo, ha accettato di cercarla. Cosa ne pensate della frase finale di Mason? Tra i Maset sarà davvero guerra? Riusciranno a rivedersi e a essere felici, una volta per tutte?

Tenetevi pronti per l'epilogo! E stellinate e commentate❤

Xoxo🧊

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