49. Un Vuoto che Logora

Mason

Sette giorni.

Sono passati sette maledettissimi giorni.

È da una settimana che non ho alcun contatto con Bridget. La evito accuratamente, e lei sta facendo lo stesso, a quanto pare.

Dal non riuscire a staccarci al bisogno di stare lontani.

Il mio piano ha avuto un buon esito: ho rovinato tutto. Mi sentivo lo sguardo di Bridget addosso, mentre baciavo Tiffany e la stringevo a me. Quando l'ho fatta stendere sul letto e ho udito i passi di Bridget che si allontanavano, mi sono separato bruscamente dalla Guerriera bionda, con il senso di colpa che mi trascinava a fondo.

L'ultima volta che sono stato così male è stata dopo la morte dei miei genitori e di mia sorella. Mi sentivo così inutile, impotente, distrutto dal rancore verso me stesso e il mondo.

Dopo una settimana, sono arrivato alla conclusione che di me non è rimasto nulla, se non il rimpianto e la rabbia.

Rabbia verso Mark, perché l'ho lasciato vincere, perché ho perso Bridget e non tornerà più da me. E se c'è una cosa che ho capito, in questi giorni, è che senza di lei non sono niente.

Sono solo vuoto che logora, abisso buio e voragine gelida che mi scavano le membra.

Ora dovrò vivere con la consapevolezza di non rivedere più il suo sorriso, non ascoltare più la sua voce e non sentire più le sue labbra morbide toccare le mie. Dovrò vivere con la consapevolezza di aver rinunciato alla ragazza che avrei desiderato avere accanto tutta la vita.

Sono stato tentato più volte di correre da lei e dirle la verità sul mio gesto, ma il pensiero del direttore che minaccia di consegnarla a Seth mi ha trattenuto. La mia unica consolazione è il fatto che, almeno, sarà al sicuro dalle Ombre e da Mark.

Busso due volte alla porta dello studio del signor Smith. Suppongo che lui debba essere il primo a ricevere la grande notizia di persona. Non l'ho fatto prima perché il pensiero di ammettere ad alta voce di aver chiuso con Bridget mi faceva un male assurdo. Mi sono limitato a scrivere a Mark un misero messaggio, che diceva "È tutto finito".

Non ho avuto il coraggio di uscire dalla mia stanza, in questi sette giorni. Ho ignorato chiunque bussasse alla mia porta e le mille telefonate di Carter ed Emily.

Oggi, spinto da non so quale forza di volontà, ho lasciato la mia camera e ho raggiungo l'ufficio del direttore. Già mi immagino la felicità e la soddisfazione impresse sul suo volto, nell'udire che ha vinto.

«Avanti.»

Abbasso la maniglia ed entro nel piccolo studio ordinato. Il mio aspetto, al contrario, sembra quello di un senzatetto, ma non me ne interessa.

Non mi interessa più di niente.

Mark alza lo sguardo dai fogli che stava esaminando e mi scruta, incuriosito. «Serve aiuto, Evans?»

Mi siedo davanti a lui e gli tiro un'occhiata carica di ostilità. Lascia ricadere i fogli e mi presta la sua più completa attenzione. Deve aver capito il motivo della mia visita.

«Ho fatto ciò che dovevo fare» esordisco. «Ho lasciato Bridget.»

Il direttore sorride compiaciuto, mentre i suoi occhi vengono accesi da una scintilla di piacere. Probabilmente, sentirselo dire a voce fa un altro effetto.

«E, dimmi, ne sei pentito?»

Non immagini quanto.

«Affatto» sussurro a denti stretti, sforzandomi di non dare di matto.

«Bene» mormora, continuando a osservarmi.

«Adesso tocca a te» dichiaro.

«Sono un uomo di fiducia, Mason» sghignazza. «Lo sai.»

«Dammi quel dannato ruolo e lascia in pace Bridget, Mark. Ho rinunciato a tutto per assecondare i tuoi ordini.»

«Come dici?» fa Mark, accigliato. «Tutto? Hai rinunciato a tutto?»

«Sì, a tutto.»

«Era la Principessa, il tuo tutto, Mason?» domanda, prendendomi in contropiede.

«No» mento d'istinto. Era la mia fottuta esistenza.

«Beh, non vedo a cosa tu abbia rinunciato, allora. Anzi, hai ottenuto il ruolo più importante dell'Esercito.»

Desidero così tanto tirargli un pugno e strappargli quel sorriso vittorioso dalla faccia, ma peggiorerei la situazione. Non capirà mai che ciò che provo per Bridget supera di gran lunga qualsiasi altra cosa.

«A quando la cerimonia?» incalzo.

«Dopodomani.»

Annuisco. Due giorni e il mio sogno si realizzerà.

Dovrei esserne fiero, contento. Ma tutto ciò che sento è il nulla.

E mi sta uccidendo.

****

Mentre torno in camera e passo davanti alla palestra per l'addestramento fisico, adocchio di striscio qualcuno si allena all'interno. Sbircio dalla porta aperta e mi sembra un maledetto scherzo del destino.

Scorgo la chioma rossa di Bridget svolazzare ad ogni colpo che sferra al sacco da boxe. Mi blocco sulla soglia della palestra e la guardo, indeciso tra il fermarmi e lo scappare.

La osservo mentre urta il sacco con i suoi pugni, come se le avesse fatto il torto peggiore. Non posso analizzare la sua espressione perché è di spalle, ma sono certo che sia un miscuglio di rabbia e dolore.

Borbotta un paio di "traditore" e "bugiardo", chiaramente riferiti a me. Magari sta immaginando di picchiarmi, e non posso che darle ragione. Ne avrebbe tutto il diritto.

Smette di assestare botte al sacco, che continua a oscillare come un'altalena, e srotola le bende protettive dalle mani. Quando ha finito, si gira verso la porta e, finalmente, si accorge della mia presenza.

Non riesco a decodificare il suo cipiglio. Pare irritata di vedermi là, ma al tempo stesso sorpresa. Noto anche una punta di tristezza, come se le facesse male solo stare in un luogo dove ci sono anche io.

I nostri occhi si incrociano per la prima volta dopo quello che mi è sembrato un secolo e, se possibile, la trovo ancora più bella.

Indossa un top sportivo nero e un paio di pantaloni bianchi, stretti in vita e larghi lungo le gambe; i capelli le ricadono morbidi dietro la schiena, ricci e spettinati.

«Non dovresti essere a lezione?» chiede duramente, spezzando il silenzio. Incrocia le braccia e il suo sguardo furioso sostiene il mio.

In realtà, in questi giorni le ho saltate tutte. Non mi sono presentato né agli allenamenti né in classe, e neppure in mensa. Ero troppo occupato a maledirmi, chiuso nella mia stanza, lontano dal mondo.

Avevo in programma di rintanarmi di nuovo nel mio posto sicuro, in seguito alla chiacchierata con il direttore, perciò non ho addosso la divisa accademica.

«Avevo un impegno» mi giustifico.

«Cioè? Farti qualche altra Guerriera?» sibila, inviperita.

Mi scocca un'occhiata truce e io chino le pupille, sentendomi tremendamente in colpa.

Se solo sapesse che l'ho fatto per salvarla...

Bridget mi raggiunge. Mi guarda per un lunghissimo secondo, poi fa per uscire dalla palestra. Devo fermarla. Non può andarsene così. Le circondo il polso con le dita, con la conseguenza di ricevere uno sguardo ancora più risentito.

«Non provare a toccarmi» ringhia, divincolandosi.

«Bree, aspetta, ti prego.»

«Non chiamarmi in quel modo, Evans. Anzi, non chiamarmi proprio!» sbraita, puntandomi contro due occhi d'oro fiammeggiante e lucidi. «Sparisci dalla mia vita. Non me ne frega se viviamo nello stesso posto, non me ne frega se dormi a due porte di distanza dalla mia camera, non me ne frega se frequenti gli unici amici che sono riuscita a trovarmi e non me ne frega se sei la mia guardia del corpo! Voglio solo che tu mi lasci in pace!»

Respira in modo irregolare e ha gli occhi pieni di lacrime, ma le trattiene. È sul punto di sprofondare, ma non desiste. Questa è una delle tante caratteristiche che amavo - che amo - di lei. La sua determinazione, il suo coraggio, la sua forza. Crolla e si rimette in piedi, da sola.

«Fammi parlare» la supplico. Beh, nemmeno io cedo.

«Sentiamo, Mason. Cosa hai da dirmi?»

Bella domanda.

La testa mi suggerisce di inventare l'ennesima bugia e di chiudere definitivamente, mentre il cuore mi urla di dirle la verità e di riprendermela.

«È complicato, Bree» abbozzo una risposta penosa, e lei si innervosisce ancora di più.

«Ti ho detto di non chiamarmi così» scandisce in tono minaccioso. «Adesso, spiegami perché l'hai fatto. E non dire che è complicato.»

«Non posso» mi scuso.

La rabbia lascia posto alla disperazione, sul suo viso, e i suoi occhi mi implorano di darle una risposta. «Pensavo che tra me e te ci fosse qualcosa, Mason. Credevo che mi am...» La sua voce si spezza e non conclude la frase.

Mi costringo ad assumere un'espressione rigida e a soffocare il dolore. Alla fine, decido di seguire la testa.

«Beh, non c'è più niente, ora.»

Se la mia affermazione l'ha ferita, non lo dà a vedere. Un muro invalicabile cresce tra noi, una barriera di ghiaccio e odio.

«Sei ancora innamorato di Tiffany?» mi domanda.

Scelgo di essere sincero, stavolta, almeno su questo punto. «Non ho mai amato Tiffany, e lo sai.»

Non è lei, la ragazza che amo, aggiungo tra me, e spero quasi che lei colga questo muto pensiero.

«Allora, perché l'hai fatto? Perché l'hai baciata e l'hai... Dio, non voglio neanche saperlo.» Fa una smorfia di orrore.

E ora cosa le dico?

Una bugia. Un'altra. Posso solo mentirle.

Perciò, inspiro, espiro e tiro fuori tutta la collera e la frustrazione che ho in corpo.

«Perché non voglio stare con te, Bridget!» sbotto, e lei sussulta, sorpresa e ferita. «Sei un casino assurdo e non mi servono altri casini. Riesci solo a portare scompiglio. Ho già perso tutto e non voglio rischiare di stare ancora male. Ho voluto troncare qualsiasi stupido sentimento sia nato tra noi, prima che fosse troppo tardi. Diventerò Generale, tra due giorni, prenderò il posto di mio padre, realizzerò il mio sogno, e non mi serve una relazione così scombussolante!»

Urlo quelle parole con tutto il rancore di cui sono capace. Il petto mio si alza su e giù, instabilmente, e ho l'indice puntato in modo accusatorio contro Bridget, lo sguardo impregnato di fuoco e rabbia. Lei mi guarda, le palpebre spalancate e le lacrime che invadono gli occhi. Probabilmente, l'avrei ferita di meno se l'avessi accoltellata.

Dannazione. Mi distrugge, vederla così sofferente a causa mia. Non mi perdonerà mai, dopo questa sfuriata.

«È questo, che pensi?» sussurra con la voce rotta. «Che sono un casino?»

Non rispondo. Mi perdo nelle sfumature di dolore che invadono le sue iridi, dove le scaglie dorate luccicano in mezzo a un mare di sale e sofferenza.

E in fondo penso davvero ciò che ho detto.

È vero che Bridget è un disastro, che la nostra relazione è scombussolante e che non mi servono altri problemi.

Perché sì, è un casino, ma è il più bello che potesse capitarmi.

«Capisco» bisbiglia Bridget, interpretando il mio silenzio come una conferma.

A quanto pare, ha creduto a ciò che ho detto, perché abbassa la testa e oltrepassa l'uscita, dandomi le spalle.
Stavolta, non la fermo e lascio che vada via. Fuori dalla palestra, in corridoio, si gira un'ultima volta, guardandomi con i suoi occhi brillanti di lacrime non versate e delusione.

«È bello sapere che tu possa realizzare il tuo sogno, Mason. Io, però, non posso più realizzare il mio» mormora, afflitta. «Eri tu, il mio sogno. E l'hai infranto.»

Spazio Autrice

Mi rattrista un sacco farli discutere così 💔

Tra Mason e Bree, le cose peggiorano notevolmente. La possibilità di vederli di nuovo insieme si allontana sempre di più, ma noi non ci arrendiamo, vero?💪

Mason si sfoga, tirando fuori cattiverie che feriscono ulteriormente Bridget. Non le pensa davvero, ma stavolta ha un po' esagerato. Spero che non finirete per odiarlo, anche lui ci sta male, in fin dei conti. È riuscito a ottenere il ruolo di Generale, in compenso. Una piccola gioia.

Fatemi sapere, con un commento o una stellina, se il capitolo vi è piaciuto😘

Xoxo🎐

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