42. Pioggia sulla Pelle

Mason

Ripongo con cura l'ultimo pugnale della collezione all'interno del cassetto, dove scintillano lame e punte di frecce. È la mia scorta di armi, formata da coltelli, spade, archi e dardi da scoccare.

A distrarmi dai riflessi luminosi delle pietre incastonate sull'else dei pugnali è un bussare concitato contro il legno della porta. Chiudo il cassetto e mi alzo, abbassando la maniglia.

Non appena identifico la persona davanti a me, un sorriso mi illumina il viso. Bridget occupa la soglia, e sto per dirle che può entrare, quando noto le lacrime che le bagnano le iridi e l'espressione distrutta. Il sorriso si spegne, sostituito da un'immediata preoccupazione.

«Che ti è successo?» le domando.

La mia voce sembra risvegliarla, perché mi punta addosso il suo sguardo, con le scaglie dorate lucide e buie, le palpebre spalancate e gli occhi iniettati di terrore.

Mi accorgo del tremore incontrollato delle mani. Allarmandomi, le stringo le spalle tra le dita e la fisso negli occhi, per cercare di farla rinsavire e di capire cosa la stia tormentando. Oppure, chi.

«Bree» sussurro, «che hai?»

Si svincola dalla mia presa con uno strattone e si porta le mani alle orecchie, tappandole con i palmi e incastrando le dita tra le ciocche ramate.

«Non riesco a togliermelo dalla testa» singhiozza, serrando gli occhi.

Mi avvicino cautamente. Il corridoio è deserto, fortunatamente. Appoggio una mano sulla schiena di Bridget, per incoraggiarla a entrare in camera, ma lei oppone resistenza, scuotendo la testa, con le palpebre sigillate dalla paura.

«Ehi, sono io» le sussurro, sperando di tranquillizzarla. Apre lentamente gli occhi, le ciglia umide che incorniciano le iridi vuote. «Di chi stai parlando?»

Come se le fosse tornato in mente un ricordo spaventoso, sgrana le palpebre e il respiro le si spezza sulle labbra, mentre ricomincia a tremare e a scuotere forsennatamente la testa.

«Devi aiutarmi, Mason» mi supplica, il tono rotto e agitato.

Le afferro i polsi e le stacco le mani dalle orecchie. La conduco dentro la stanza e stavolta si lascia accompagnare. Chiudo la porta e torno a rivolgermi a Bridget, che sembra sul punto di crollare sotto il peso di un male maggiore.

Premo i palmi sul suo viso, umido di residui di lacrime, e conficco i miei occhi nei suoi. «Stai tranquilla, okay? Spiegami cosa ti sta facendo.»

Un singhiozzo le scappa dalle labbra. «H-ho provato a parlare con mio fratello, ma è arrivato lui e... non... ha iniziato a dirmi che non avrei più dovuto farlo, poi ho cominciato a stare così. Sto impazzendo, Mason» farnetica, lasciandomi ancora più confuso di prima.

Sospiro, però scelgo di non fare più domande e mi limito ad attirarla al mio petto e a stringerla, un braccio a circondarla e una mano premuta sulla nuca.

Mi artiglia la camicia e non smette di tremare, scossa dalla paura. Non l'ho mai vista ridotta così. È completamente soggiogata da Seth, terrificata e disperata come non lo è mai stata.

«Passa?» le chiedo, sussurrando tra i suoi capelli.

Muove la testa da destra a sinistra, una sola volta, e sento che le sue gambe cedono, che non resiste più. Serro la presa sul suo corpo, stringendola con così tanta forza che la sua pelle si fonde con la mia.

Vorrei tanto entrare nella sua testa, capire quale spaventosa battaglia si sta svolgendo all'interno. Ma non posso, e questo mi fa arrabbiare da morire, perché sono assolutamente impotente davanti al suo dolore.

«Non lasciarmi, ti prego» bisbiglia una supplica, il viso nascosto contro il mio collo e le dita che vibrano, stringendo la camicia.

Le assicuro che non accadrà mai, e per dimostrarglielo aumento la stretta delle mie braccia. Bridget continua a tremare. La paura, da qualunque cosa essa sia scaturita, non va via, e lei riprende a rantolare parole sconnesse, preda del terrore più cupo.

«Fallo smettere, Mason» mi prega. «Fallo andare via.»

Sono sicuro che si riferisca a Seth. Non ho idea di cosa le stia facendo, ma so per certo che devo fare qualcosa per aiutarla, prima che quel mostro la riduca a pezzi.

Separo il suo corpo dal mio e sciolgo la stretta delle mie braccia, per guardarla negli occhi. «Vuoi prendere un po' d'aria?» le propongo.

Annuisce e intreccio le mie dita con le sue. Usciamo dalla mia stanza e la guido lungo il corridoio. Evito di usare l'ascensore, per scendere, sicuro che una bella camminata possa tranquillizzarla, almeno per qualche minuto. Arriviamo al piano terra e lasciamo l'istituto, varcando la soglia delle porte in vetro colorato, spalancate sul cortile.

Alzo lo sguardo al cielo: è mattina inoltrata, ma sopra le nostre teste si erge una distesa buia, segnata da nuvole scure ammassate tra loro. Probabilmente, tra poco scoppierà un temporale.

Bridget non sembra preoccuparsene e a me basta questo. Sempre tenendola per mano, la conduco verso l'uscita del cancello d'oro che racchiude il cortile dell'Accademia. Lo oltrepassiamo e i nostri corpi si infrangono contro una pellicola invisibile, la barriera protettiva, per poi trovarsi dall'altra parte.

Nonostante il maltempo, New York è viva come sempre. Osservo di sottecchi l'espressione di Bridget, che si rilassa alla vista della sua città.

«Va meglio?» le domando.

Fa un leggero cenno d'assenso. Poi, all'improvviso, i suoi lineamenti si contorcono in un cipiglio turbato. Seth non vuole mollare. Così continuo a camminare, e Bridget mi viene dietro, le sue dita incastrate tra le mie che tremano ancora.

Per circa un quarto d'ora, passeggiamo lungo le vie della metropoli. Sono meno affollate del solito, ma la strada è occupata da una coda lunghissima di automobili e, gettando occhiate alle vetrine dei negozi e dei locali, noto che sono pieni di clienti.

Io e Bridget percorriamo i marciapiedi come una comune coppia di adolescenti. Ogni tanto le tiro uno sguardo, per assicurarmi che stia bene, e mi appare sempre più rilassata. Sta funzionando.

Arriviamo nei pressi di Central Park, dove svettano alberi dalle chiome di rubino, bronzo e oro. Le foglie secche ingombrano il suolo e il vento scuote con insistenza gli arbusti.

Siamo alla fine di ottobre, in pieno autunno, perciò, quando varchiamo i cancelli del parco, uno spettacolo di colori ci rallegra la vista, una tavolozza rossa, marrone, gialla e arancione, schizzi di pittura sui rami che ne dipingono il fogliame.

Calpestiamo il tappeto di foglie, che scricchiolano sotto i nostri piedi, e ci fermiamo quando troviamo una panchina libera. Mi siedo e Bridget mi affianca. Sopra di noi, un intreccio di rami sottili che spezzano la visione del cielo.

«Mi mancava venire qui» asserisce, rilassando la schiena contro la panchina di ferro. Tiene gli occhi puntati davanti a sé, finalmente calma e non più terrorizzata.

«Mi hai spaventato a morte» le faccio notare. «Vuoi dirmi cosa ti ha fatto Seth?»

Espira con forza. «Era come in un incubo. Ma più reale, e soprattutto di giorno» comincia, senza però guardarmi in faccia. «Sembrava l'inferno. Sentivo grida, e parole che non capivo, e un suono insopportabile. Poi qualcosa si è impossessata della mia mente e ho perso completamente il controllo dei sensi e di me stessa. Non vedevo più nulla, ma continuavo a sentire quel rumore assordante. Dopo è diventato tutto nero e ho visto gli occhi di Seth.» Un brivido la percorre, facendole chiudere le palpebre, mentre una lacrima le casca dalle ciglia. «Non ho visto niente in particolare, ma è stato terribile.»

Mi uccide saperla così esposta a Seth, e mi odio per non possedere i mezzi necessari a proteggerla. Poche volte mi sono sentito così inutile.

«Ora... stai bene?» le chiedo, non sapendo cos'altro dirle. Non ci sono parole per commentare gli orrori che sta vivendo.

«Sì» afferma, sicura, e finalmente punta i suoi occhi, ancora bagnati, nei miei. «Grazie. Mi stai aiutando più di quanto tu creda, Mason.»

«Ma non è abbastanza» sospiro, passandomi una mano sul viso, frustrato.

Percepisco le dita di Bridget posarsi sulla mia spalla. La guardo e un sorriso dolce mi accoglie. «È abbastanza. Anzi, tu sei molto più di abbastanza.»

Ricambio il sorriso.

Un tuono esplode nel cielo, che si illumina per un secondo. Sento una goccia di pioggia colpirmi il viso, mentre un fulmine si ramifica tra le nubi scure.

«Dovremmo rientrare, prima che arrivi un acquazzone» annuncio a Bridget.

Lei, però, non sembra intenzionata a smuoversi. E, quando la pioggia inizia a scendere, prima in lievi ticchettii e poi in uno scroscio violento, lascia le gocce la bagnino.

Ben presto, ci ritroviamo grondanti d'acqua. Il cielo piange cascate rumorose e feroci, che si abbattono sulla terra come proiettili. Fulmini e lampi rischiarano il firmamento, a intervalli regolari, e il vento sbatte le fronde degli alberi tra loro.

Central Park, vittima di un temporale di metà autunno, è deserta, a eccezione di me e Bridget. Seduti su questa panchina, ci lasciamo colpire dalla furia della tempesta, che porta via con sé ogni pensiero oscuro e ci libera le menti.

Gli occhi di Bridget trovano i miei. Le chiazze dorate risplendono, mandando bagliori che squarciano il buio. E mentre guardo le gocce gelide accarezzarle il viso, impregnarle i capelli e incollarle i vestiti al corpo, sento un altro pezzo del mio cuore che diventa suo.

Perché non capisco più niente, quando sto con lei. Non riesco a farne a meno. Non riesco a fare a meno della sua presenza, del suo sguardo, del modo in cui mi sorride, come sta facendo adesso, sotto la pioggia, con le labbra piegate in una curva amorevole.

Ed è così dannatamente bella, così spezzata, tanto fragile quanto forte. Così Bridget, con la sua rarissima capacità di rimettersi in piedi dopo ogni caduta.

«Non sento più Seth» mi comunica, lo scrosciare della pioggia che fa da sottofondo alle sue parole. «Possiamo andare, se vuoi.»

«Bene» mormoro, avvicinandomi al suo viso. Le nostre iridi si incrociano. «Adesso, posso fare questo.»

Con la pioggia che striscia sulla pelle e un fulmine che scoppia il cielo, le prendo il viso tra le mani e la bacio.

****

Lo odiava.

Seth odiava Mason Evans.

E non perché era l'erede di suo padre, Caleb Evans, o perché era in grado di sterminare le sue Ombre in pochi minuti.

Seth lo odiava perché, in quel preciso momento, gli aveva di nuovo sottratto Bridget.

Li osservava attraverso il vetro dello specchio magico, avvinghiati l'uno all'altra, seduti su una panchina di Central Park e completamente fradici di pioggia. Nonostante questo, non osavano separarsi.

Non era la prima volta che Mason la salvava. Non era la prima volta che rovinava i suoi piani. Ogni volta che era sul punto di piegare Bridget al suo volere, il Guerriero riusciva a soccorrerla e scacciare la sua forza oscura dalla mente della ragazza.

Era un ostacolo. Gli impediva di manipolare la figlia di Selene a suo piacimento. E gli ostacoli vanno eliminati.

Attraverso la telepatia, contattò una delle sue Ombre e le ordinò di raggiungerlo. Eseguivano ogni suo ordine. Erano le sue creazioni, del resto.

«Cosa devo fare, Padrone?» gli chiese lo spirito, apparendo al suo fianco.

«Dobbiamo sbarazzarci di Mason Evans» disse, indicando il Guerriero dagli occhi neri, attraverso lo specchio.

«Devo ucciderlo?» domandò l'Ombra. La sua voce era sottile come un filo di vento, ma feroce e profonda come un abisso buio.

«No» decretò Seth. «Ho in mente un'idea migliore.»

Spazio Autrice

Hola readers💕

Oggi torniamo dai Maset. Bridget ha avuto una crisi per colpa di Seth, ma, come al solito, il nostro Mason è stato in grado di aiutarla. L'ha portata a Central Park e hanno avuto un momento romantico sotto la pioggia. Vi è piaciuto?

Cosa ne pensate, invece, della fine del capitolo? Seth detesta Mason perché gli impedisce di controllare Bridget e ha in mente qualcosa per sbarazzarsi di lui. Che avrà in serbo per lui?

Scoprirete una parte del suo piano nel prossimo capitolo. Quindi, lasciate una stellina e andate avanti, se siete curiosi.

A presto!

Xoxo⛈

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