33. Abisso di Costernazione

Mason

«Cos'ha fatto?!» tuona Mark.

Sbatte il palmo della mano sulla scrivania, facendo tremare le cornici appoggiate su essa. È paonazzo per la rabbia; tende i muscoli e stringe i pugni.

Abbasso il capo, non sapendo come reagire.

Sono passate ore dalla rivelazione inaspettata di Bridget, ma l'Accademia è ancora in subbuglio. La notizia ha fatto il giro dell'istituto in meno di sessanta minuti, arrivando prontamente alle orecchie del direttore.

Smith ha richiesto la mia presenza nel suo ufficio, probabilmente bisognoso di una cavia su cui sfogare la sua ira funesta.

«Te l'ho già detto. Ha detto la verità a tutti» ripeto per la seconda volta.

In questo momento vedo Mark come un vulcano attivo sul punto di eruttare cenere e lava contro me.

«È una sconsiderata!» Il suo tono elevato ha superato il limite della sopportazione per i miei timpani. «Non avrebbe dovuto farne parola con nessuno, dannazione!»

«Tu non ce l'avresti mai detto» lo accuso.

Assottiglia gli occhi minacciosamente. «Sono io che comando, Evans» prorompe. Torna dietro la sua scrivania e si prende la testa tra le mani, imprecando. «Si è esposta agli scagnozzi di quel bastardo. Sarà più facile per le Ombre rintracciarla, adesso.»

Mi irrigidisco, improvvisamente allarmato. Non avevo pensato al pericolo che Bridget corre, ora che la sua vera identità è stata sbandierata ai quattro venti.

«È al sicuro» farnetico. Non ne sono certo neanche io.

«Con te a proteggerla?» Mark mi guarda con sufficienza e sghignazza.

«Mi hai dato tu questo incarico, no?» controbatto. «La difenderò a costo della vita. Non permetterò che le accada nulla.»

Anche perché morirei, se dovessero farle del male.

Mark inarca un sopracciglio, incuriosito. «Come mai tanta determinazione, Evans?» rimarca il mio cognome, senza cancellarsi quel sorriso beffardo dalle labbra.

«Ci tengo a svolgere un lavoro eccellente» mi difendo, sostenendo i suoi occhi freddi.

«Quindi, la Principessa non c'entra assolutamente niente.» Mi osserva, circospetto.

Sento un pugno allo stomaco. La Principessa.

«Te lo assicuro» mento spudoratamente.

«Meglio così. Se ti fossi affezionato a lei, sarebbe stato imperdonabile.»

Una morsa mi stringe il petto e il cuore martella ferocemente. Sa qualcosa?

«Perché?» Cerco di stabilizzare la voce.

«È la nostra futura sovrana, Evans» spiega. «L'ultima volta che una Regina si è innamorata di un ragazzo del popolo, si è scatenato l'inferno» allude alla relazione tra Den e Selene.

Stringo le dita sul bordo della sedia per scaricare la frustrazione; Mark è troppo preso dalle sue cartacce per fare caso a me.

«Quindi, se mi nascondi una sottospecie di storia segreta con Bridget Kelley, troncala.»

Bridget Kelley. Futura sovrana.

Reprimo l'istinto di capovolgere lo studio di Smith e fare tutto a pezzi. Sto andando fuori di testa, me lo sento.

«Sei scaltro, Mason. So che non commetteresti mai una tale stupidaggine» continua, infliggendomi un'altra bastonata. «Ti conosco. L'ho affidata a te proprio perché ero certo che non ti saresti legato in alcun modo a lei. Mason Evans non si lega a nessuno, giusto?»

«Dici bene, Mark» rispondo a fatica, sentendomi la testa e il cuori pesanti. In che casino mi sono cacciato?

«E, poi, ricordati della carica che otterrai. La vuoi ancora, no?»

Mi trovo nuovamente ad annuire forzatamente, la nausea e l'angoscia che mi attanagliano. Mark sorride, soddisfatto. Se venisse al corrente dei miei sentimenti per Bridget, sarei punito all'istante. Forse espulso, forse privato del mio ruolo di Guerriero.

Devo mettere un punto a questa pazzia, prima che sia troppo tardi.

«Non ho altro da aggiungere. Puoi andare» mi liquida.

Con un gesto secco mi indica la porta, non alzando gli occhi dal suo fascicolo neanche per mezzo secondo. Esco dal suo ufficio e raggiungo rapidamente la mia camera.

Nel momento in cui sono rinchiuso tra le quattro mura della mia "casa", lascio che la rabbia repressa si sfoghi. Sferro un calcio alla parete e maledico il giorno in cui il mio mondo è entrato in collisione con quello della ragazza rossa.

Maledizione a lei e al suo sguardo magnetico, al suo sorriso contagioso e ai suoi boccoli ramati.

Ci ho impiegato anni e anni di solitudine straziante, per costruire le mie difese. Poi, dal nulla, è arrivata lei. Ha distrutto i muri che ho innalzato per proteggermi, è entrata nella mia vita senza il mio permesso e si è presa tutto.

Ma è rimasta. Mi è stata accanto più di chiunque altro. E so per certo che senza di lei non sarei più niente.

Strattono i capelli, furioso con me stesso. Non riesco neppure a mantenere la promessa che mi sono fatto. Dopo aver perso loro ho capito che affezionarsi a qualcuno, talmente tanto da sentire il bisogno disperato di averlo sempre al tuo fianco, porta solo un casino immenso.

Tutti se ne vanno. Volontariamente o involontariamente, tutti se ne vanno. L'ho imparato a mie spese.

Io e Bridget non abbiamo speranze, non abbiamo futuro. Un giorno salirà al trono di Arcandida e, a quel punto, non avrà più niente a che fare con me.

Maledizione a me, che mi sono innamorato dalla ragazza sbagliata.

Adesso vado da lei e le dico che la scintilla che è scattata tra noi deve spegnersi. Sì, è giusto così.

Sto quasi per andare, quando sento un urlo agghiacciante. Un grido disperato, di quelli che ti lasciano senza voce. Quel grido che paralizza chiunque lo senta. Quello che riesce a cambiare la volontà di agire, per quanto è terrificante.

Scatto fuori dalla mia stanza e mi fiondo come una scheggia dinanzi alla porta della camera di Bridget, con una velocità tale da invidiare persino il più bravo del corridori mondiali.

«Bree!»

Sono sicuro che sia stata lei ad emettere quel "no" raccapricciante. Premo l'orecchio contro la porta e ascolto. Silenzio. Una brutta sensazione si fa irrimediabilmente strada dentro me.

«Ti prego, dimmi che stai bene» la supplico, allarmato, da dietro il battente.

Busso forte, più volte, ma non dà segni di vita.

«Sto per entrare» la avverto.

Prendo la chiave di riserva che mi ha dato Mark tempo fa e, con un movimento singolo e rapido, faccio scattare la serratura. La porta era chiusa ma, grazie a Dio, non c'era la chiave nella fessura.

È tutto avvolto nel buio, ma riesco comunque a delineare la figura di Bridget. Il lenzuolo aggrovigliato inaccuratamente sul fondo del materasso e lei, che stringe le gambe al petto, come una bambina indifesa. Ha lo sguardo perso, che si addentra nel nulla.

Non parla. Non reagisce.

L'unico segno di vita sono mormorii disconnessi e incomprensibili che volano vibrando dalle sue labbra.

Mi avvicino, con cautela, e mi siedo al suo fianco. È madida di sudore e lacrime. Respira pesantemente, soffocando i singhiozzi. E trema.

Le sfioro la spalla, ma lei rifiuta il contatto e si scosta bruscamente. Non mi guarda negli occhi. Osserva solo il vuoto, in ogni sua cupa sfumatura.

«Bridget» la chiamo, in un sussurro troppo basso perché possa essere udito con chiarezza.

Però, lei mi sente. Mi sente e mi ignora.

Ho la sensazione di essere al fianco di un corpo privo di emozione. Non si lascia scappare nessuna espressione. È una maschera di tetra indifferenza.

«Dimmi qualcosa, qualsiasi cosa» la imploro.

Vederla così fredda mi sta lentamente uccidendo. Provo di nuovo a instaurare una vicinanza, che viene respinta malamente da parte sua.

«No» afferma, impassibile.

Non capisco a cosa si riferisca. Le circondo il braccio con le dita, leggero, e la sua reazione è del tutto inaspettata. Si sottrae dalla mia presa delicata e mi rivolge finalmente uno sguardo. La sua occhiataccia torva e infuriata mi gela il sangue.

«Non mi devi toccare!» sbraita, la voce pregna di rancore.

Resto impietrito. Lo sguardo carico d'odio che mi lancia addosso fa più male di un pugnale scagliato dritto al centro del petto.

È la prima volta in cui mi ritrovo a corto di risposte. Dovrei andarmene, lasciarla a crogiolarsi in solitudine nel suo dolore. Ma decido di restare anche io, come ha sempre fatto lei.

Capisco dalla sua espressione afflitta che è pentita del modo in cui mi ha aggredito.

È la sensazione di quando ti senti impotente. Ti sfugge tutto. Non riesci più a controllarti. Semplicemente, non ti senti più tu. Eppure, cerchi disperatamente di tenere insieme i tuoi pezzi. Alcuni scivolano, alcuni si frantumano.

E, a quel punto, crolli definitivamente. Il tuo castello di carta, per quanto fosse solido, viene spazzato via dal vento. Però, ti rimane una scelta: puoi resistere alla tempesta o farti trascinare via dalla bufera.

«Ho bisogno di una doccia» annuncia, dopo pochi minuti di silenzio assoluto.

Trascina i piedi fino al bagno, visibilmente esausta, e si richiude la porta alle spalle. Passano circa venti minuti, in cui l'unico rumore protagonista è quello dello scrosciare continuato dell'acqua.

Più volte ho avuto la tentazione di spalancare la porta e accertarmi che andasse tutto bene, solo per reprimere un minimo dell'ansia che mi attanaglia. Però mi sono contenuto. Sono sicuro che, se dovessi entrare in bagno, Bridget donerebbe la mia anima all'aldilà. Preferisco non rischiare la vita.

Nel frattempo, calpesto ogni metro quadrato di questa stanza, mentre i miei piedi fanno avanti e indietro nervosamente, lungo tutta l'area.

Sto per ammattire. È surreale impiegare mezz'ora per una stupida doccia. Giuro che se non si fa viva entro sessanta secondi, faccio irruzione nel suo bagno.

Uno, due, tre, quattro...

«Tutto bene?»

Non arrivo nemmeno al quinto secondo, che vengo interrotto dalla diretta interessata. Voglio sbraitarle contro che se continua a farmi preoccupare in questo modo andrò in esaurimento, ma non ne ho l'occasione.

Poso gli occhi sul suo corpo, fasciato dall'asciugamano bianco. Le goccioline d'acqua scorrono sulle gambe e sulle spalle scoperte; i capelli sono raccolti in una crocchia disordinata. Mi fissa con gli occhi grandi e un po' più luminosi, incorniciati dalle lunga ciglia umide.

Batto più volte le palpebre.

Sta scherzando?

Bridget arrossisce violentemente e io distolgo lo sguardo da lei. Si avvicina all'armadio e prende il pigiama. Continuo a osservarla di sottecchi, sedendomi sul letto.

Di certo non mi aspettavo di vederla mezza nuda.

Torna in bagno, per cambiarsi. Quando ha finito e rimette piede in camera, ha l'aria meno distrutta, ma ancora scossa.

Si siede accanto a me, sul materasso. Le ciocche umide sfuggite dalla pettinatura le incorniciano il viso pallido e sfinito.

«Mi dispiace» dice, chiudendo gli occhi ed espirando un soffio d'aria tremante. «Non volevo aggredirti così.»

Rialza le palpebre e scorgo le occhiaie profonde che le scavano fosse sul volto, l'espressione affranta e le scaglie dorate degli occhi che si oscurano e si bagnano di lacrime.

"«Spesso chi ha paura di qualcosa ha solo bisogno di qualcuno con cui sfogarsi. Qualcuno che lo ascolti, che lo protegga. Una colonna»" mi ha detto Robert, il medico, quando gli ho chiesto informazioni sull'insonnia.

Mi si spezza il cuore, a vedere Bridget ridotta così. Fa malissimo, non poterla aiutare a stare meglio.

O, forse, posso.

Allungo una mano e disfo la crocchia in cui ha raccolto la chioma rossa. I capelli le ricadono sulla schiena, scomposti e arricciati dall'umidità.

Le poso una mano sulla nuca e la tiro a me, permettendole di appoggiarsi sulla mia spalla. Il suo viso mi sfiora il collo. Accarezzo le onde ramate, dalla radice alle punte, poi le tocco dolcemente la schiena, seguendo la lunghezza della colonna vertebrale.

«Perché hai urlato in quella maniera terrificante, prima?» indago con delicatezza.

La pura angoscia accende i suoi occhi. «È stato orribile.»

Continuo ad accarezzarla, mentre sussurro parole confortanti al suo orecchio.

«È stato un incubo. In ogni senso» prosegue.

Riprende a tremare e la stringo più forte. «Va tutto bene» sussurro, le labbra premute sulla sua testa, incastrata tra il mio mento e il mio petto.

«C'erano mia madre e... e lui» mormora, inorridita. La sua voce è ancora più attutita, contro il tessuto del mio gilet. «Discutevano. Selene cercava di proteggermi da quel mostro, e lui l'ha minacciata. Un attimo dopo, ero ad Arcandida, e c'erano solo Ombre, sangue e morte.»

«Perché mai dovresti sognare la guerra?»

«Perché sono io la causa di tutto, Mason. Io!» Stringe un lembo della mia camicia in un pugno, con il corpo scosso da fremiti involontari.

Smetto di sfiorarle la cute, rimanendo con la mano a mezz'aria, impressionato. Si scosta, privandomi del calore del suo corpo contro il mio.

«Sono stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso» asserisce.

Seppur la sua voce sia instabile e gli occhi lucidi, lo dice con una tale sicurezza interna da privarmi quasi della capacità di respirare.

«Bree, non colpevolizzarti inutilmente.»

«Tu non capisci, Mason! È da mesi che faccio sempre lo stesso incubo» sbotta tra le lacrime, che non riesce più a frenare.

«Mesi?» ripeto.

«È iniziato tutto prima ancora che venissi qui, ma da quando ho messo piede in questo inferno è mille volte peggio!» esclama, alzando la voce.

«E quando avevi intenzione di dirmelo?» Anche il mio tono si eleva. Sono sorpreso dal fatto che nessuno sia stato svegliato dai nostri schiamazzi.

Non risponde e tiene gli occhi puntati sulla coperta. Sembra che stia sprofondando in un abisso di costernazione e che non trovi un appiglio per salvarsi e risalire.

«Avrei dovuto dirtelo tempo fa, ma...»

«Ma?» incalzo.

«Ma ero troppo spaventata da lui

«Si può sapere di chi stai parlando?»

Non mi sembrava opportuno approfondire l'identità di questo "lui", ma se è la causa del tormento che sta devastando Bridget, voglio sapere chi sia.

«Seth.»

Il nome mi arriva come una secchiata d'acqua gelida.

Seth.

C'era da aspettarselo. Quella carogna nutre un odio profondo verso la famiglia di Bridget; è ovvio che abbia deciso di perseguitare la figlia della donna che l'ha usato. Stiamo parlando di colui che ha rovinato la vita a tutti noi.

Seth. Il male in persona.

Il solo pensiero di quell'essere maligno che ha un contatto con lei mi fa ribollire dalla rabbia.

«Tieniti alla larga da lui» ordino.

La mia affermazione la fa scoppiare come una bomba ad orologeria, pronta a travolgere chiunque con la sua potenza.

«Pensi che dipenda da me? Beh, non è così! Sento le sue parole qui» si indica la tempia, rossa di rabbia, gli occhi lucidi e roventi. «Ha il pieno controllo delle mie azioni e il dominio sui miei pensieri! Riesce a manipolarmi, come se fossi un inutile burattino!»

Le lacrime corrono, si inseguono e bruciano come acido sulle sue guance arrossate.

«Ed è quello che sono» sussurra, sprezzante. «Sono un burattino troppo debole.»

«Non dire cazzate, Bree» prorompo, arrestando il suo monologo insensato. Cancello le scie delle lacrime dal suo viso. «È solo un demone in cerca di vendetta, okay? Giuro su me stesso che non ti succederà niente. Non permetterò a nessuno di farti del male.»

«Ho bisogno di te» mormora, la voce spezzata e gli occhi pieni di necessità.

«Al diavolo Mark e le mie promesse da bugiardo. Anche io ho bisogno di te» sbotto, per poi prenderle il viso tra le mani e baciarla.

Probabilmente rischio l'espulsione o la perenne sfiducia di Mark nei miei confronti, ma va bene così. Se ho la possibilità di provare queste sensazioni eclatanti, vale la pena camminare sull'orlo del precipizio.

«È la prima volta che infrango gli ordini di Mark» le sussurro a fior di labbra. «E mi piace.»

Gli schiocchi dei nostri baci leggeri rimbalzano tra le pareti della stanza, rompendo il muto silenzio che ci circonda.

Ci separiamo e le sistemo i capelli dietro le orecchie, per poi guardarla con serietà. «È per questo che non dormi, Bree? Per Seth?»

Nel suo sguardo torna la paura. «Sì» sussurra piano.

«Rischi grosso, lo sai? Devi farti aiutare da qualcuno.»

«O potresti semplicemente restare con me» ribatte, e spalanco gli occhi, non aspettandomi una richiesta simile.

«Come?»

«Mi sentirei al sicuro da lui, se tu rimanessi. Ho sempre paura che mi faccia del male, per questo non chiudo occhio, ma se tu dormissi con me sarebbe diverso. Mi sentirei protetta. So che è una richiesta stupida; anzi, se vuoi puoi andartene. Non sei costretto a...»

«Resto.»

Le iridi di Bridget risplendono di gioia dorata. «Davvero?»

Annuisco, sorridendole con amore. «Se è questo, che vuoi, non ti lascerò.»

Per la prima volta da quando ho messo piede in camera sua, un guizzo di felicità vera le colora lo sguardo.

Scosto il piumone, mi tolgo le scarpe e sbottono il gilet, lasciandolo ai piedi del materasso. «Vieni qui» le dico, strisciando sotto le coperte.

Bridget mi segue e si accoccola contro la mia figura, finalmente l'espressione rilassata e serena. La inchiodo tra le mie braccia e la tengo stretta, facendo scorrere le labbra sul profilo del suo volto.

«Mi racconti qualcosa?» domanda all'improvviso. «Su di te.»

«Qualcosa di brutto o di bello?»

«Qualcosa che ti ha reso quello che sei oggi.»

Un'idea mi balena in testa. Dolorosa, lancinante, ma opportuna. Non voglio più vivere all'ombra di un segreto tormentoso.

«Va bene» acconsento, e respiro profondamente.

Così inizio a raccontarle della notte che mi ha segnato l'esistenza.

Spazio Autrice

Adoro scrivere questi momenti notturni tra Mason e Bree😍

Lei trova il coraggio di raccontare a Mason degli incubi e di Seth, mentre lui sembra essere piuttosto combattuto a causa di Mark. Comunque sia, le cose vanno piuttosto bene, tra i due! Forse un po' troppo... Che tutto questo si ritorca contro loro? Ricordatevi che il direttore non li vuole insieme.

Comunque, nel prossimo capitolo, Mason ci rivelerà una parte molto importante del suo passato. Se siete pronti, votate, commentate e andate avanti!

Xoxo 🌠

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top