3. Visioni

Bridget

Quando arrivo in prossimità della New York High School, l'orologio segna le sette e cinquantasei.

Sono in orario, per un soffio.

Varco l'imponente cancello della scuola pubblica e setaccio il cortile con lo sguardo. Tra la calca di studenti, intravedo due chiome castane. Raggiungo Henry e Katherine, che chiacchierano tranquillamente, seduti sul muretto di pietra che costeggia l'ingresso.

Notandomi, smettono di parlare. Henry incurva dolcemente le labbra, al contrario di Katherine, che scende dal muretto con un balzo degno di un felino. E sembra proprio una pantera in procinto di azzannarmi, quando mi raggiunge e mi punta contro un oggetto metallico scintillante. Un lima unghie.

«Questo sì, che è pericoloso» ironizzo, abbassandole la mano in cui tiene la lamina.

«Ultimamente, sei sempre in ritardo» osserva Katherine, corrugando la fronte. Le sue sopracciglia scure e perfettamente delineate si increspano. «E tu non sei mai in ritardo.»

«Problemi con la sveglia» invento, scrollando le spalle.

Prima che possa continuare a investigare, le sottraggo l'arnese per ritoccare le unghie e la abbraccio. Katherine finge di essere infastidita: tiene le braccia rigide, stese lungo i fianchi. È sufficiente aumentare un po' la stretta, per spingerla a ricambiare il gesto.

«Ti conosco, Bree» biascica tra i miei capelli, chiamandomi con il soprannome che mi ha affibbiato anni fa. «C'è qualcosa che non va?»

Mi separo dalla mia migliore amica e la guardo negli occhi castani e apprensivi. «Va tutto bene, Kath» la rassicuro, con un sorriso tirato.

«D'accordo. Se lo dici tu.»

Mi avvicino a Henry, che ci osserva, ancora seduto sul muretto. Mi accomodo accanto al mio ragazzo e lui mi ruba un bacio. Le nostre labbra si sfiorano appena, ma il breve contatto basta a migliorare la mattinata e ad accantonare la questione "incubi".

Io e Henry stiamo insieme da circa un anno. Ricordo ancora quando mi ha proposto di instaurare un legame che andasse oltre l'amicizia; io non ci ho pensato due volte, a rispondere "sì". Henry mi piaceva dalle scuole medie. Diventare la sua ragazza, in modo ufficiale, vero, e non soltanto nelle mie fantasie, è stata la cosa più bella a cui io abbia mai acconsentito.

Dal momento in cui ha messo piede alla New York High, si è aggiudicato il vertice della piramide della popolarità. Gioca a football ed è il più bravo della squadra, nonché il capitano. Anche Kath è riuscita a ricavarsi un angolino di agiatezza: è un membro delle cheerleaders.

Essere la migliore amica di una cheerleader e la fidanzata del capitano ha i suoi vantaggi. Tento sempre di non dare troppo nell'occhio, comunque. Detesto trovarmi al centro dell'attenzione.

La campanella suona, segno che le prime lezioni stanno cominciando. Seguiamo la massa di studenti ed entriamo nell'istituto. Henry mi circonda le spalle con un braccio e Kath si posiziona dall'altro lato, al mio fianco.

«Dovevi parlarmi?» le domando, ricordandomi della telefonata di stamattina.

All'interno della scuola risuonano i monocordi e invariati rumori: armadietti che sbattono, risate che echeggiano, amici che discutono tra loro.

«Stasera c'è una festa a casa della capo squadra delle cheerleaders» esordisce Katherine. «Quella ricca, super viziata. Hai presente?»

«Julie Wayne?» rammento il volto della diretta interessata.

«Sì, la vipera bionda.»

Katherine ha sempre provato astio nei confronti di Julie. Sono in continuo conflitto. La cheerleader detesta la mia migliore amica, e credo che sia semplicemente una questione di invidia. Per questo, Kath l'ha ribattezzata così.

«Ci andiamo insieme?» propone quest'ultima.

Henry accetta e anche io acconsento. Il venerdì sera, in un modo o in un altro, riescono sempre a trascinarmi a qualche festa.

«Venite a prendermi a casa?» chiedo loro. Nonostante i miei sedici anni, non possiedo ancora una macchina. Entrambi, invece, ne hanno già una, essendo diciassettenni.

«Non posso» nega Henry, sbuffando. «Niente macchina, fino a lunedì. Devo prendere una sufficienza al test di recupero di matematica.»

«Kath?» mi rivolgo alla mia migliore amica.

«Ho gli allenamenti fino a tardi, oggi» rifiuta anche lei. «Ma so che è stata invitata tutta la scuola, quindi puoi chiedere a Matt.»

Mi trovo d'accordo con lei e ci separiamo, ognuno diretto verso la propria classe. Prima di andare a lezione, però, faccio una sosta all'armadietto, per prendere i libri di testo necessari.

Una strana sensazione mi annoda lo stomaco, mentre inserisco la combinazione e afferro i volumi. Qualcosa mi sussurra che questa festa sarà un completo disastro. Non capisco da dove derivi: è solo un party, a casa di Julie Wayne, il venerdì sera. Niente di nuovo. Assolutamente normale.

Con un colpo secco, chiudo lo sportello. Sto per riporre i libri presi nello zaino, ma ogni mio muscolo si paralizza, improvvisamente.

Una sensazione mi scuote da capo a piedi. Avverto chiaramente due occhi che mi fissano, con tale intensità da scavarmi buchi sulla pelle. Sollevo lentamente lo sguardo.

E per poco non svengo.

Appoggiata alla fila di armadietti dove si trova il mio, qualche metro più avanti, c'è una donna. Una donna che mi sembra maledettamente familiare. Mi scervello per ricordare l'occasione in cui potrei averla vista.

Non è una professoressa, né un'inserviente. Non indossa abiti normali: una veste le fascia il corpo. È di tessuto vellutato, azzurro. Dà una sensazione di morbidezza solo a guardarne le pieghe delicate.

Ma non è l'abbigliamento, decisamente fuori luogo, a sconcertarmi. Sono i suoi ricci ramati, le iridi brune costellate di macchioline dorate e la collana d'argento che brilla sul tessuto della veste.

Come un flash improvviso, capisco dove ho già visto questa donna.

È identica a me.

L'ho scambiata per me stessa.

Quelli sono i miei capelli, i miei occhi, la mia collana.

Istintivamente, porto una mano al collo, per accertarmi che il gioiello sia al suo posto. È lì, con la catena fredda che preme sull'epidermide e il ciondolo adagiato sulla maglietta.

Le labbra della donna si muovono, mimando una parola. "Raggiungili", sta dicendo.

«Cosa...»

Non faccio in tempo a concludere la frase, che lei sparisce. Si dissolve come una fiamma spenta sotto un soffio d'aria, lasciandosi dietro una traccia di stelle bianche.

Sobbalzo e i libri che tenevo tra le mani si rovesciano sul pavimento. Un gruppetto di studenti mi tira un'occhiata confusa, per poi continuare a camminare.

Le mie dita tremano e il respiro mi manca. Sembra il risveglio che mi accompagna ogni mattina. Come se io abbia appena vissuto un incubo.

Calmati, mi impongo.

Riprendo lentamente fiato, inalando una profonda boccata d'ossigeno. Sarà stata un'allucinazione. Ho letto che l'insonnia causa effetti collaterali.

Convinta della mia ipotesi, raccolgo i libri dalle mattonelle di ceramica, nonostante le mie mani tremino ancora, incontrollate.

Mi rialzo e marcio spedita in direzione dell'aula di storia. Eppure, mentre i miei piedi calpestano frettolosamente il pavimento, una domanda mi vortica in testa, ronzando in modo incessante.

Chi devo raggiungere?

****

Sette ore dopo, quando tutte le lezioni giornaliere sono terminate, vado verso il cancello del cortile, alla ricerca di mio fratello e della sua moto. Ad aspettarmi, però, c'è Henry, con un flebile sorriso e l'immancabile giacca da giocatore di football.

«Tuo fratello è nel parcheggio.» Indica lo spiazzo dove sostano i mezzi di trasporto, al lato dell'entrata secondaria.

«Grazie» mormoro in risposta, dandogli le spalle e avviandomi al parcheggio.

«Aspetta, Bree» mi richiama Henry. La sua mano mi afferra il polso, impedendomi di raggiungere mio fratello.

«Dimmi.»

«Ti amo, lo sai?»

I polpastrelli delle sue dita mi accarezzano le guance. Con il pollice mi pressa dolcemente il labbro, per poi premere la sua bocca sulla mia, piano, con delicatezza, come solo Henry Anderson è capace di fare.

«Lo so» bisbiglio sulle sue labbra. «Anche io.»

Annego nei suoi occhi color oceano. Sono così chiari. Mi sembra di esplorare un mare piatto e limpido.

«Scusatemi.»

Non ho bisogno di girarmi, per capire a chi a appartiene la voce che ha interrotto il nostro momento intimo. Katherine.

Presto l'attenzione alla mia migliore amica. «Sì, Kath?»

«Ho visto Matt, nel parcheggio. Ti sta cercando ovunque» mi riferisce.

«È meglio che vada, allora» decreto. Saluto Henry con un bacio a stampo e Katherine con un abbraccio. «Ci vediamo stasera.»

Mi allontano dai due ed entro nel parcheggio della scuola. Trovo Matthew appoggiato al sedile della sua motocicletta, mentre discute con un certo Aiden, uno dei suoi migliori amici.

Corrugo la fronte. Non ha l'aria sbrigativa che mi aspettavo. Dalle parole di Katherine, sembrava ansioso di andare via.

Li raggiungo. Aiden mi saluta con un cenno del capo, che ricambio. Attendo pazientemente che lui e mio fratello finiscano di conversare. Esattamente quattro minuti e venti secondi dopo - so quanto tempo è passato perché ho controllato di continuo l'orologio - Aiden si dilegua.

«Mi stavi cercando?» domando a Matthew, con apparente noncuranza, mentre mi passa il casco.

Inarca un sopracciglio, allacciando il cinturino del suo. «A dire il vero, no. Perché?»

Esito qualche secondo. Kath mi ha mentito? Mi sembra assurdo anche solo pensare una cosa del genere.

«Niente» scuoto la testa, indossando il casco. «Andiamo a casa.»

Matthew monta in sella e io mi sistemo dietro di lui, circondandogli il busto con le braccia, per non rischiare cadute. Il mio equilibrio è piuttosto precario.

«Tieniti forte.»

Il motore ruggisce e sfrecciamo fuori dal parcheggio, immettendoci nel traffico di Manhattan.

Spazio Autrice

Con questo secondo capitolo, cominciamo a farci un'idea della vita personale di Bridget. Katherine è la sua migliore amica, mentre Henry è il suo fidanzato. Come vi sembrano i due, per ora?

Nel prossimo capitolo leggerete della festa. Preparatevi, perché accadrà di tutto! Ah, e chi sarà la misteriosa donna che Bridget ha visto in corridoio? Qualche ipotesi?

Mi raccomando, continuante a votare e a commentare!

Xoxo🏫

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