28. Conoscere la Verità

Bridget

Ammiro, oltre la finestra, l'alba.

Non pensavo potesse esistere tanta perfezione. Il cielo si tinge di un violetto crepuscolare che va a sfumare lentamente, schiarendo la notte. Poi tutto assume il caldo tono dell'arancione e dell'oro, riflesso dei raggi solari che fanno la loro comparsa sull'orizzonte.

Quando il sole raggiunge la massima altezza, la distesa di colori mescolati ritorna del suo consueto azzurro, un mare fluttuante increspato dalle nuvole bianche.

Resterei per ore ad ammirare la bellezza del firmamento, ma il bussare incessante alla porta mi obbliga a distogliere lo sguardo dal cielo. Abbandono la finestra e mi avvicino alla porta, aprendola.

Davanti a me c'è una ragazza che sono sicura di non aver mai visto prima d'ora. I suoi occhi chiari, di un celeste profondo e intenso, e i suoi capelli neri e lisci non mi sembrano del tutto estranei. Però, non riesco ad associare il suo volto a nessuno di mia conoscenza.

«Posso aiutarti?» le chiedo cortesemente.

«Sei tu Bridget Stewart?»

Annuisco, seppur mi sembri strano che qualcuno ancora non mi conosca: sono l'ultima novità e le voci nei corridoi viaggiano come folate di vento.

«Ti ho trovata, finalmente» esclama.

«E tu sei?» domando, mentre la squadro attentamente.

«Questo non è importante. Ora, devi venire con me.»

Percepisco l'urgenza nella sua voce e la fretta nei suoi movimenti.

«Dove?» Intendo farle capire che esigo una spiegazione, prima di farmi portare in chissà quale luogo.

Sospira pesantemente, capendo che non la seguirò senza una risposta valida. «Nell'ufficio del direttore.»

«Mark vuole parlarmi?»

Tutta questa situazione brulica di stranezza. Perché il signor Smith dovrebbe convocarmi alle cinque di mattina?

«Deve parlarti» corregge il verbo che ho usato, enfatizzando l'altro.

Non faccio altre domande e mi richiudo la porta alle spalle, scegliendo di seguire la ragazza. Sarei andata lo stesso da Mark, dopo la chiacchierata notturna con Ryan. E, magari, mi comunicherà proprio quello che volevo sentirmi dire.

****

Fuori l'ufficio del direttore, è tutto come ricordavo che fosse poche settimane prima. La targhetta dorata affissa alla porta è lì, sfavillante, in un muto e prezioso invito ad entrare.

La ragazza, che ho scoperto chiamarsi Yara, bussa piano e poi più forte, dal momento in cui non riceviamo risposta. Pochi secondi dopo, Mark Smith occupa il nostro campo visivo, con i suoi occhi di ghiaccio penetranti che ci scrutano meticolosamente.

«Yara. Bridget» esala. Non sembra stupito di trovarsi di fronte noi. Anzi, è come se ci stesse aspettando.

«Siamo arrivate, papà» risponde lei.

Non ho idea di quale sia la mia espressione, in questo momento, ma sono sicura che ho un cipiglio esterrefatto a incresparmi i lineamenti.

«Papà?» ripeto, scandalizzata.

«Bridget, lei è mia figlia: Yara» mi spiega Mark.

«Figlia?» Il tono di voce mi esce stridulo e acuto, modellato dalla sorpresa di questa rivelazione inaspettata.

«Proprio così» conferma Yara.

Ora che ci penso meglio, ricordo che il signor Smith, al nostro primo incontro, aveva nominato una certa Alyssa, sua moglie. Deve aver avuto una figlia con lei, prima che morisse.

«Accomodati, Bridget. Ho un po' di cose da raccontarti» mi invita il padrone dello studio. «Yara, puoi aspettare fuori?»

La figlia del direttore annuisce e io entro nell'ufficio, mentre Mark chiude la porta. Prima, però, Yara mi rivolge un debole sorriso di incoraggiamento e compassione.

Anziché metterci ai lati della scrivania, come la scorsa volta, Mark e si siede sulla poltrona accostata alla finestra e io su quella frontale alla sua.

«Sappi che non ti piacerà ciò che sto per dirti» mi avverte, serio e scuro in volto.

«L'unico modo per saperlo è iniziare a parlare» lo sfido, anche se percepisco la paura strisciare lentamente nel mio organismo.

«Suppongo che ti ricordi la storia dei figli di Den e Selene» inizia.

«Sì, il Principe e la Principessa.»

«Esatto. Ti ho detto che non sappiamo dove si trovano e che li stiamo cercando da anni. In realtà, Selene mi ha detto, al tempo, che avrebbe trovato ai fratelli una casa sulla terra, per far vivere loro una vita normale, prima che arrivasse il momento di unirsi ai Guerrieri.»

«Dove vuole arrivare?» incalzo.

«Quanti anni hai, Bridget?» chiede all'improvviso.

«Sedici. Diciassette, tra qualche mese» preciso. «Perché?»

«I tempi coincidono» sospira. Mark si decide a puntare il suo sguardo chiaro nel mio. È amaro, triste, dispiaciuto e stranamente dolce, mentre dice: «Ho capito subito non eri una comune Arcandida. Vedi, Bridget...»

Ma io ho già capito, e non gli lascio terminare la frase, colpita da una consapevolezza che mi fa vacillare.

«Sono... sono io, vero?» sussurro, l'aria che mi viene strappata. «L-la bambina. Sono io, vero, signor Smith?»

Temo la risposta, perché se ho ragione significa che la mia vita è stata un'enorme bugia.

Un'enorme bugia che mi seppellirà viva.

«Sì, Bridget. Sei la Principessa di Arcandida.»

Una furia di emozioni disperate mi abbatte sulla mia mente, scombussolandomi i pensieri. Sapevo di essere stata adottata, sapevo di essere stata abbandonata dai miei genitori, sapevo di essere un'Arcandida.

Però non sapevo, e non avrei mai potuto saperlo, di essere la figlia di Selene e Den Kelley. Dei sovrani.

Ora riesco a spiegare la somiglianza tra me e la Regina e anche la mia collana, nonché la chiave del Sacro Sigillo. Prendo quest'ultima dalla tasca dei pantaloni e la fisso intensamente. Mordo l'interno della guancia per scacciare le lacrime, che fanno di tutto per scendere impetuose.

«Quello è lo stemma di Arcandida» chiarifica il direttore, indicando il ciondolo a forma di fiocco di neve. «La collana si tramanda alle Regine della dinastia Kelley di generazione in generazione. Ma non solo: è anche la chiave per spezzare il Sacro Sigillo e raggiungere Arcandida. Selene te l'ha lasciata perché un giorno tu ci conduca alla Grotta di Cristallo e liberi il regno.»

Da me dipende il futuro di tutti gli abitanti di Arcandida. Sono l'erede al trono. Sarò la loro salvatrice, la loro futura Regina.

No, non sono pronta ad affrontare tutto ciò. Non lo sarò mai.

«E... mio fratello?» trovo il coraggio di domandare. È doloroso, ingiusto, chiamare così qualcuno che non sia Matt, ma devo ingoiare l'amarezza.

«Non abbiamo idea di dove sia, Bridget. Probabilmente vive a New York, come te, ma non sappiamo dove Selene l'abbia nascosto.»

«È tutto?» Voglio andare via. Ho la sensazione che le pareti mi stiano soffocando.

«Prima che te ne vada voglio darti una cosa.»

Si avvicina alla scrivania e afferra un mazzo di chiavi. Apre il secondo dei due cassetti sul lato destro, prendendo dall'interno un oggetto, e me lo porge.

«Uno specchio?» faccio, non capendo, osservando la superficie riflettente rivestita d'argento.

«Lo Specchio» specifica. «Questo strumento magico ha il potere di catturare gli spiriti dei defunti, in modo da potervi parlare per qualche minuto. Puoi usarlo per conoscere i tuoi genitori.»

«Posso farcela» mormoro a me stessa, specchiandomi nel vetro.

«Bridget» mi chiama, il tono grave. «La tua missione, d'ora in poi, sarà allenarti per raggiungere Arcandida insieme a noi. Continueremo a cercare tuo fratello, ma nel frattempo il tuo compito sarà prepararti a spezzare il Sigillo.»

Mi limito ad annuire, troppo stremata dalle numerose informazioni per ribattere. Mark mi sorride e mi liquida gentilmente dal suo ufficio.

Esco e in corridoio noto Yara, appoggiata al muro, negli occhi il dispiacere per avermi obbligata a portare a galla la verità.

«Grazie, davvero» la fermo, prima che possa scusarsi. «Senza di te sarei rimasta per chissà quanto altro tempo all'oscuro di tutto.»

«Non c'è di che. Dovevi saperlo» risponde, infine. Guarda lo Specchio tra le mie mani e poi di nuovo me. «Posso chiederti un favore?»

«Certo.»

«Mio padre ti avrà detto che lo Specchio serve per comunicare con i morti, no? Beh...» Morde il labbro, imbarazzata. «Mi piacerebbe che tu parlassi con mia madre, Alyssa, per conto mio.»

Guardo Yara con tenerezza e le sorrido. «Nessun problema. Cosa vuoi che le dica?»

Risponde che mi farà sapere e ci salutiamo, io diretta in camera e lei da suo padre, nello studio. Raggiungo rapidamente la mia stanza, prendendo l'ascensore e attraversando in fretta il corridoio, sperando di non imbattermi in nessuno.

Una volta dentro, mi permetto mi espirare l'aria trattenuta e di lasciare che le lacrime di riempiano lo sguardo, senza però versarle.

Mi precipito in bagno e prendo la spazzola argentata. Adesso che c'è lo Specchio, sembra aver acquisito un senso. Mi accorgo che dietro lo Specchio sono incise le stesse lettere riportate sul dorso della spazzola. Li poso entrambi sul ripiano del lavandino e mi ci appoggio di peso, stanca.

Immagino una giovane donna che pettina la sua riccia chioma rossa, attraverso il suo riflesso. Il luccichio dell'argento puro contro la luce del lampadario prezioso, degno di una vera sovrana.

È solo una fantasia.

Mi sono già rassegnata: non vedrò mia madre spazzolarsi i capelli o mio padre combattere da valoroso Comandante. Mai. Non se le loro anime sono intrappolate dietro una lastra di vetro.

Recupero la collana dalla tasca e la indosso. Il ciondolo riprende il suo posto intorno al mio collo, dove sarebbe dovuto sempre stare. Ormai, non ho più niente da nascondere, a nessuno.

Incrocio il mio riflesso nello specchio a parete, sopra il lavandino, e mi paralizzo. Ho perso completamente il colorito e sono pallida come uno spettro; le occhiaie sono talmente profonde che è inutile tentare di camuffarle.

Ti ucciderai, se continui così, dico alla me del vetro.

Parlo al mio riflesso, come se la colpa fosse solo sua. La tempesta che irrompe dentro me sembra scoppiare in un boato di turbini di dolore e fulmini d'ira, che mettono a tacere una volta per tutte l'ultimo briciolo di razionalità ancora rimasto.

Colpisco con tutta la forza di cui sono capace lo specchio del bagno, che va a frantumarsi in una pioggia di schegge. Il pugno con cui ho distrutto il vetro è ancora sospeso a mezz'aria e non mi preoccupo del sangue che scorre sulla mia mano.

Permetto a una lacrima, una sola, di accarezzarmi la guancia e scivolare via, poi mi ritiro di scatto, andando a sbattere di schiena contro la porta trasparente della doccia.

Osservo le nocche spaccate e tagliate, non capendo cosa mi sia preso. Apro il rubinetto dell'acqua fredda e il getto ghiacciato mi bagna la mano ferita. Mordo il labbro per il bruciore e rivolgo la mia attenzione su altro, come per esempio i cocci sparsi sul pavimento e nel lavandino, dove l'acqua li sta ripulendo dal sangue.

Mi sono trasformata in un'altra persona. Ritornerò mai quella di prima?

Alzo timidamente lo sguardo e, attraverso la superficie di vetro crepata e segnata di spesse righe di rottura, scorgo i miei occhi.

Un paio di occhi spenti e spezzati.

Due iridi nere e blu.

Spazio Autrice

Bridget ha scoperto di essere la Principessa, ma non l'ha presa tanto bene. È davvero sconvolta. Adesso che ha lo Specchio, come lo userà? Si metterà in contatto con i suoi veri genitori o no?

E la parte finale? Come mai i suoi occhi continuano a cambiare colore?

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Se è così, lasciatemi un piccolo commento. Per me è molto importante sapere cosa ne pensate!

Ps: Grazie ancora per il sostegno, vi voglio un mondo di bene

Xoxo🐚

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