22. Storia e Leggenda

Bridget

La mattinata peggiore della mia vita. Potrei definire così, queste due ore.

Sono talmente esausta che mi reggo a mala pena in piedi e, come se non bastasse, oggi ho la mia prima lezione di storia. E dalle voci che girano nei corridoi, la professoressa Moore è una tipa scrupolosa e perfezionista. Sono sicura che non sia clemente con i ritardatari.

Sto cercando la sua aula da una quantità di tempo smisurata. Non c'è un'anima viva tra i corridoi, ciò significa che non ho la possibilità di chiedere indicazioni.

E Mason mi ha abbandonata. Mi ha lasciata a girovagare tra i corridoi del secondo piano, senza una meta precisa.

Quando il cielo notturno ha cominciato a illuminarsi del chiarore dell'aurora mattutina, mi è arrivato un messaggio. Il Guerriero mi ha scritto che aveva altri impegni e che per oggi avrei dovuto cavarmela da sola.

Non gli ho creduto, ma non ho protestato. Non pensavo che il nostro bacio l'avesse turbato al punto da inventare una scusa poco credibile per evitarmi. Anche io ne sono rimasta scossa, ma non ci ho rimuginato più del dovuto.

È stato un bacio. Stop.

Le persone si baciano in continuazione e non rimangono sconvolte ogni singola volta.

E, allora, come mai per noi è diverso?

Non voglio che prenda il mio brusco allontanamento come un rifiuto. A dir la verità stavo aspettando quel momento da giorni. Volevo con tutta me stessa che accadesse.

Ma è sbagliato. Io, lui, noi. C'è qualcosa che mi frena, che mi impedisce di lasciarmi andare. Forse è la paura di essere tradita di nuovo, oppure il fatto che la nostra natura di Guerrieri ci impedirà di vivere una storia serena.

In ogni caso, a frenarmi stanotte, è stato il pensiero di Henry. Ero sicura di poter considerare il capitolo del mio ex-ragazzo definitivamente chiuso. Però, che io lo voglia o meno, quella è stata la mia vita. La vita che mi ha vista crescere, scegliere, errare, cadere e rialzarmi. Le apparterrò per sempre.

Quando vedo un ragazzo percorrere il mio stesso, desolatamente vuoto corridoio, temo di avere un'allucinazione. È la prima persona che vedo: il resto degli studenti è alle consuete lezioni mattutine.

Affretto il passo, sperando che possa fornirmi le indicazioni che cerco. Sono così di fretta che rischio di cadergli addosso, ma lui mi afferra prontamente per le spalle, evitandomi una rovinosa caduta.

Mi sorride impercettibilmente e mi guarda, curioso. Non come fanno tutti: mi osserva con puro e innocente interesse. Probabilmente vuole sapere chi sia la ragazza che gli è finita contro.

Il Guerriero ha i capelli scuri, tagliati invisibilmente da un ciuffo ribelle, gli occhi del colore del cioccolato fuso e la pelle leggermente abbronzata. Noto una certa aria di familiarità nel suo sorriso e nei lineamenti.

Mi accorgo troppo tardi che sono rimasta impalata a fissarlo, come una vera stupida. Mi riscuoto e sento le guance avvampare.

«Mi... mi servirebbe un'indicazione» balbetto.

Lui aspetta e continua a sorridere gentilmente. A questo punto dovresti dirgli cosa ti serve, mi ricorda la coscienza.

«Oh, giusto» mi rispondo da sola. «Sai dove posso trovare la classe della professoressa Moore?»

«Ti accompagno io» si offre. «Nessun problema.»

«Okay, grazie» farfuglio in risposta.

Mi fa strada e io mi schiaffeggio mentalmente. Si può essere più sbadati di così?

Cammino dietro al ragazzo. Come ogni Guerriero, ha un fisico scolpito dalle ore di intenso allenamento e le mani coperte di cicatrici. Non parliamo durante il tragitto. Si limita a farmi strada.

Ci fermiamo davanti a una porta chiusa. Memorizzo il percorso nella mia mente, per poi rivolgermi al ragazzo.

«Grazie» mormoro, con un flebile sorriso di riconoscenza.

«Non c'è di che...» Lascia la frase in sospeso e aspetta che io prosegua.

Lo guardo perplessa, non capendo. «Credo che per me sia l'ora di andare.»

Mi volto verso la porta, ma lui mi blocca. Lo vedo roteare gli occhi e nascondere una risata. «Il tuo nome. Qual è?»

Schiudo le labbra e percepisco gli zigomi accaldarsi per l'ennesima volta. A quanto pare qualcuno, lassù, si diverte a mettermi in ridicolo.

«Bridget» rispondo.

«Bridget» ripete, quasi affascinato.

«Già, è il mio nome» biascico, come se non fosse evidente.

«Non l'avrei mai detto» esclama, sarcastico.

«Il tuo, invece?» chiedo, per salvarmi dall'imbarazzo.

Lui sorride semplicemente, facendo affiorare una fossetta sulla guancia destra, e mi dà le spalle. Lo seguo con lo sguardo mentre si allontana, confusa.

Non ci credo. Se n'è andato.

Sospiro e apro la porta dell'aula sgarbatamente, senza perdere tempo ad aspettare il permesso di entrare.

La donna seduta dietro la cattedra sussulta, per poi sollevare lo sguardo e vedere chi ha fatto irruzione nella sua classe. Un paio di iridi acquamarina mi scrutano meticolosamente e mi ammoniscono per il mio ingresso poco educato.

La donna si alza dalla sedia e abbandona la sua scrivania. Sulla superficie di betulla spiccano venature di legno scuro, in netto contrasto. Il caschetto biondo della professoressa ondeggia a ogni passo sicuro che compie, finché non mi è di fronte.

«Lei è la professoressa Moore?» domando, con le braccia incrociate e un'espressione imperturbabile.

«Sono io.» Il suono pacato della sua voce non è severo e rigoroso, come me lo aspettavo.

«Immagino che conosca già il mio nome» ipotizzo, ricevendo una conferma da parte sua.

Come pensavo. In Accademia ogni Guerriero o insegnante sa chi sono. Tutti sembrano sapere tutto su di me, ma in realtà non mi conoscono affatto.

«Allora, Bridget. Suppongo che vorresti essere in tutt'altro posto, in questo momento» dice, interpretando la mia espressione.

Avrà visualizzato la stanchezza impressa sul mio viso come noia. «Veramente...» cerco di correggerla, ma vengo interrotta.

«Immagino che trovi quest'ora inutile, mi sbaglio?»

Voglio dirle che sì, si sbaglia, eppure me lo impedisce e continua il suo monologo. «Se c'è una cosa che i Guerrieri hanno in comune, è questa: pensano che per vincere una battaglia basti saper combattere e usare qualche arma. Tutto qui.»

Con un gesto fluido si siede sulla superficie di un banco, in prima fila, e mi invita a fare lo stesso. La affianco, dopodiché riprende a parlare.

«Se ti dico "storia", cosa ti viene in mente?» cambia completamente la direzione del discorso.

«Il passato» rispondo di getto.

«Nient'altro?»

Scuoto il capo, in difficoltà.

«Beh, è già qualcosa» osserva.

«Temo di non aver capito» faccio, dubbiosa.

«Quale senso ha combattere, se non conosci il significato della guerra, se non sai per chi combatti e nemmeno perché lo fai?»

Le sue parole mi hanno completamente rapita. E ora mi ritrovo a chiedere a me stessa perché.

Perché li sto aiutando?

Non avevano nessun diritto di portarmi qui, né di obbligarmi a seguire le loro abitudini. Però io ho accettato tutto ciò.

«La storia ti insegna questo. Serve a comprendere il reale significato di ciò che fai e apprendi. Gli studenti dell'Accademia la ritengono una materia inutile, ma se non conoscessero il passato di Arcandida, nessuno di loro avrebbe accettato di schierarsi contro le Ombre. Tantomeno tu» spiega. «Sono sicura che Mark ti abbia raccontato di Den e Selene.»

Annuisco. «Mi ha parlato di loro e di Seth.»

«Sembra una tragica favola d'amore, no?» sorride, però è un sorriso triste.

«Proprio così.»

«Il problema è che non è una tragica favola, ma la realtà. La realtà passata. La storia del nostro regno.»

Si concede qualche secondo di pausa, per sondare la mia attenzione.

«Ascoltare è semplice, tutti ne siamo capaci. Ma a cogliere il senso di ciò che sentiamo? Ne siamo davvero in grado? Riusciamo realmente a trovare risposte ad ogni singolo perché?» domanda all'aria che ci avvolge in un sommesso muro di cinta. «Prendiamo per esempio un fatto concreto: tu stai apprendendo l'utilizzo dei poteri magici, con il solo fine di combattere, però non hai idea del perché li possediamo.»

«Non posso darle torto.»

«Ti piacciono i miti?» chiede d'un tratto.

Si sporge in avanti, il gomito contro il ginocchio e il mento poggiato sulla mano chiusa.

«Li adoro» affermo, imitando la sua posa.

Così, comincia a raccontare: «Nella seconda metà del diciottesimo secolo, Arcandida non era ancora giunta al massimo del suo antico splendore, ma era un piccolo villaggio disperso tra le Pianure Ghiacciate. Il potere era in mano alla Regina Audrey a suo marito Cedric. Avevano instaurato una monarchia assolutistica sul popolo e, nonostante l'immenso affetto donato dalla Regina, non tutti si potevamo definire contenti. Queste proteste diedero inizio alla Ribellione».

«La Ribellione?» domando, assorta dalla sua narrazione.

«La Ribellione era un movimento di rivoluzionari che intendevano abolire l'assolutismo in cambio di una monarchia più democratica. La più grande esponente fu Miranda Kelley, figlia di un ricco commerciante. Fu lei a dare inizio alla rivolta.»

«Kelley?» ripeto.

«Esattamente. Come avrai capito dal cognome, Miranda era un'antenata di Selene. Anzi, fu proprio lei a dare inizio alla dinastia Kelley» mi informa. «Questa è la parte storica del racconto. Da ora, ha inizio la leggenda» mi annuncia, per poi riprendere. «Miranda non aveva possibilità contro l'esercito arcandido: i rivoluzionari erano in netta inferiorità numerica. Per questo le venne un'idea geniale, che non sapeva avrebbe stravolto l'intero popolo. Si recò da Alayna, soprannominata da tutti "La strega". Si diceva che possedesse poteri magici e che discendesse da una stirpe maledetta secoli prima dalla volontà divina. Miranda chiese la conoscenza delle arti magiche e in cambio promise alla strega un posto privilegiato a corte, una volta che avrebbe conquistato il trono. Però, stava mentendo. Quello era l'unico modo per trarre in inganno Alayna, che accettò la proposta senza esitare.»

Se prima pensavo che Miranda agisse per il bene degli abitanti, adesso sono di tutt'altra idea. Era un'egoista accecata dall'idea della ricchezza e del potere.

«Architettò in ogni singolo dettaglio un attentato ai sovrani, prendendosi l'onore di eliminarli personalmente. Con la morte di Audrey e Cedric, la linea di successione si spezzò, segnando l'inizio della dinastia dei Kelley. Miranda, la nuova Regina, regnò indisturbata, temuta da tutti per la sua energia sovrannaturale e il modo spietato e insensibile di giustiziare chiunque le sbarrasse la strada. Ma Alayna si sentiva tradita e presa in giro. Per vendicarsi, munì l'intera popolazione di poteri magici che, ne era certa, avrebbero utilizzato per fronteggiare Miranda e stabilire un governo meno rigido. Il destino della sovrana era già scritto. Non esisteva una via di fuga per le atrocità commesse, ma decise che non se ne sarebbe andata così. Non senza aver prima lasciato la sua impronta permanente su Arcandida. Così tentò di iniziare una gravidanza, utilizzando gli uomini della servitù senza scrupoli, pur di aspettare un bambino. Quando ci riuscì, affrettò il tempo di attesa con un incantesimo, dando alla luce suo figlio dopo pochissimi mesi.»

Faccio una smorfia, contrariata dal comportamento della donna. Era disposta a far del male a tutti e a distruggere tutto, pur di raggiungere i suoi obiettivi.

«Ovviamente, Miranda non aspettò che la uccidessero. Era troppo orgogliosa per permettere a qualcuno di portarla tra le braccia della morte, perciò lo fece lei. Si tolse la vita, volendo fingere che si trattasse di una punizione autoinflitta. E con la fine della sua vita, termina anche la leggenda» conclude.

«Quindi, è a causa di Alayna e Miranda se noi possediamo tutto questo potere?» chiedo.

La professoressa conferma. «Un anno dopo, nel 1788, fu presa la decisione di costruire una scuola per imparare il controllo dei poteri magici, che nel passare degli anni prese il nome di Accademia» termina con un'ultima curiosità.

«Mark aveva detto che anche i regni di Atlas e Krystall possiedono un'Accademia, a Madrid e a Pechino. Loro come hanno ottenuto la magia?»

«Ogni regno ha la propria leggenda, ma si dice che gli altri due regni pretesero di essere al livello di Arcandida, e perciò la strega diede i poteri anche ai loro abitanti.» Si rimette in piedi. «Spero che la lezione sia stata di tuo gradimento.»

«È stata più che di mio gradimento, professoressa.»

«Dakota. Chiamami Dakota, Bridget» mi permette, accantonando la sua aria fiera e rispettosa.

«Con piacere» rispondo con un lieve sorriso, mentre lei torna a sedersi dietro la cattedra.

Dakota mi dice che posso andare. Mi avvicino alla porta e abbasso la maniglia. Uscendo, percepisco il suo sguardo azzurro chiaro toccarmi. E, quando mi volto per chiudere la porta, riesco a scorgere la sua espressione attraverso la fessura rimasta aperta.

Mi osserva, sorridendo amaramente.

****

Ultima tappa della mattinata: parlare con Mason. Affrontare i problemi a testa alta e non scappare.

Sarà facile. Almeno, spero.

Mi sento pervadere dalla paura. Temo di aver messo un punto di rottura al legame che si era creato tra noi. Non era niente di importante, ma qualcosa era.

Cammino lungo il corridoio del quarto piano, incerta sul da farsi. Vado o non vado? Valuto attentamente i pro e i contro: se vado, rischio di scoprire che ho davvero rovinato tutto; se non vado, me ne pentirò per il resto della mia vita.

Raggiungo la porta della camera di Mason. Faccio avanti e indietro davanti al battente, mi torturo il labbro inferiore con i denti e le dita delle mani tra loro, sospirando di nervosismo.

La mia insicurezza viene bloccata dalla porta che si apre di scatto e da qualcuno che esce dalla stanza del Guerriero.

Non è Mason.

I capelli biondissimi completamente scombinati, la camicia sbottonata e l'immancabile minigonna blu.

Ora, sono indecisa su quale sia il problema più grosso: Tiffany poco presentabile o Tiffany che esce dalla camera di Mason?

La ragazza chiude la porta e mi squadra, ridacchiando. Dondola sui talloni con un'espressione trionfante e un ghigno vittorioso. Mi osserva in trepidazione, come se non stesse aspettando altro che sbattermi in faccia le sue conquiste.

«Ma guarda chi si rivede» mi saluta, con quella sua odiosa e stridula risata impertinente.

«Che ci fai qui?» sibilo, provando a non alzare la voce.

«Sai cosa significa "conquistare", ragazzina?»

«Arriva al punto, Tiffany» incalzo, irritata.

«Questo è il mio territorio. L'ho conquistato da tempo e mi è sempre appartenuto. Non sei la benvenuta.» Mi lancia uno sguardo torvo con i suoi occhi castano-verde.

«E io che pensavo che le guerre medioevali rimanessero tra le mura dell'aula di storia» dico ironicamente. Mi schiarisco la voce. «Spostati. Devo parlare con Mason.»

«Fidati, tesoro, non ti piacerebbe vedere ciò che ho ottenuto in quella stanza. Per l'ennesima volta, ci tengo a precisare.» Le sue labbra sottili sono incurvate in modo derisorio. «Lascia stare Mason. Lo dico per te.»

Mi tira un'ultima occhiata e si allontana, dandomi le spalle, la gonna corta che oscilla e la postura fiera. Ha finito di giocare. È consapevole di avermi ferita.

Scaccio i pensieri che mi invadono la mente. L'immagine di lui e Tiffany mi riempie la testa e mi causa un moto di rabbia e disgusto. Non voglio pensarci, non voglio infliggermi altro dolore.

Metto distanza tra me e la porta della stanza di Mason, con la delusione che mi schiaccia. Sta con Tiffany. Mi ha baciata, ha lasciato che mi avvicinassi a lui, mi ha permesso di piangere sulla sua spalla, anche se era impegnato con un'altra.

Me l'aveva giurato. Aveva giurato che sarebbe andato tutto bene.

A quanto sembra, però, le promesse sono fatte per essere infrante.

Spazio Autrice

Conosciamo un'altra professoressa: Dakota Moore. Vi è piaciuta la leggenda che ha raccontato? È totalmente di mia invenzione, quindi ditemi come vi è sembrata!

All'inizio del capitolo c'è anche un Guerriero misteroso. Chi sarà? Un nuovo personaggio?

E, per finire, Mason e Tiffany. Cosa avranno combinato, in quella stanza? Stanno davvero insieme, come ha ipotizzato Bree?

Scrivetemi le vostre teorie e le vostre opinioni. Aspetto una pioggia di stelle e commenti, readers

Xoxo🌹

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