19. A Quattrocento Metri dal Mondo
Bridget
L'agitazione è come un veleno che mi macchia il sangue e mi stritola gli organi. L'ansia mi spinge il cuore contro le costole e mi fa serrare le dita in due pugni. Corrode i tessuti e mi strappa l'ossigeno.
L'orologio scandisce i secondi che passano, in un repertorio di tic e tac continuati. Il tempo passa, ma sembra che si sia fermato. Come se avesse arrestato la sua corsa, unicamente per fare un torto alla sottoscritta.
Altro tic, altro tac.
Batto il piede nervosamente, a ritmo di quella torturante e inesorabile successione di secondi, che sono costretta a subire. La paura mi sta divorando; pesa sulle spalle, schiacciando momentaneamente la stanchezza. Sono fin troppo sveglia.
Tra quindici minuti, dovrò uscire dalle pareti sicure della scuola e immergermi nelle strade di New York, brulicanti di cittadini e Ombre. Per fortuna, Mason è riuscito a contrattare con John. Staremo fuori fino a mezzanotte, per un paio d'ore, poi torneremo in Accademia.
Guardo nuovamente l'orologio digitale sul comodino. Ormai non manca molto. Mason starà per raggiungermi.
Il fiume dei miei pensieri viene bruscamente arrestato - come se le acque si fossero gettate a capofitto in una cascata - da qualcuno che bussa alla mia porta. Mi sollevo dal letto, che risponde con un cigolio di protesta, e apro uno spiraglio della porta.
Davanti a me, il Guerriero dagli occhi di pece. Mason mi guarda nervosamente, attraverso la fessura schiusa.
«Ciao» faccio, sorpresa. «Sei in anticipo.»
«Volevo assicurarmi che fossi pronta.»
«Sto morendo di paura» confesso, con un tono di voce acuto.
«A chi lo dici» mormora piano, ma riesco a sentirlo comunque.
«Entra» lo invito, spalancando il battente.
Mason varca la soglia e, dopo aver richiuso la porta la porta, lo raggiungo. Si siede sul bordo del letto, rivolto verso la finestra, dalla quale di nota uno scorcio di una New York scintillante e stellata.
Lo affianco, torturando con le dita il bordo del gilet blu. Tra noi aleggia un silenzio fitto, che sa di incertezze e paure soffocate.
«Non è così spaventoso come sembra» prova a tranquillizzarmi lui.
Lo guardo con circospezione, scrutando la sua espressione. Dietro le iridi nere scorgo una nota di brividi, di terrore represso con scarso successo. I suoi occhi sono lastre di vetro scuro che provano a celare le sue emozioni. Sembra più agitato di me, e tecnicamente lui fa Sentinelle da tutta la vita.
«Bugiardo» affermo, senza slegare le nostre pupille.
Batte le palpebre, perplesso, non riuscendo a credere che lo abbia beccato in flagrante. «Non è vero» prova a smentire, inutilmente.
Ridacchio e pare che la tensione si dissolva per pochi attimi, prima di ritornare più forte di prima, a stringerci nella sua morsa.
«Come hai fatto a capirlo?» chiede, alla fine.
In risposta, faccio un gesto che nessuno dei due si sarebbe aspettato. Con la punta delle dita gli sfioro la parte sinistra del petto, dove il cuore pulsa prepotentemente, battendomi sui polpastrelli. Non disincastro i nostri occhi, mentre gli sfrego appena il tessuto della divisa, sopra lo sterno.
Le mie guance si colorano di un rosa intenso, quando mi rendo conto di cosa sto facendo. Ho infranto le barriere della lontananza e tra i nostri sguardi è nata un'alchimia inscindibile.
«Perché hai paura?» domando in un sussurro, ritirando la mano.
«Perché rischiamo la vita.»
Scuoto la testa. Sta mentendo, per l'ennesima volta. Non vuole ammetterlo. «Il vero motivo, Mason.»
«Non c'è un motivo. Semplicemente non posso permettermi di morire e tu devi restare viva, altrimenti sarà Mark a uccidere me» risponde bruscamente.
Mi decido a distogliere gli occhi dai suoi. Credevo davvero che si sarebbe esposto così tanto? Non gliene importa, di me. Non ha motivo di fidarsi.
«Dobbiamo andare» decreta, alzandosi dal letto.
Si avvicina alla porta. Lo raggiungo, provando a dissimulare un'espressione ferita, nonostante la delusione che mi preme nel petto.
Si preoccupa della mia incolumità solo e soltanto per Mark. Sono il suo compito da terminare. Il suo lavoro.
È così. Sarà sempre così.
****
New York mi mancava.
Mi mancava la frenesia, le luci, le punte dei grattacieli, i turisti e il traffico che affollano le strade.
Mi mancava il cielo, la luna, le stelle.
Mi mancava la confusione, il rumore delle parole mischiate e dei motori. L'Accademia è un concentrato di silenzio, a confronto.
Mi mancava la vivacità della metropoli. La mia casa.
Io e Mason stiamo girovagando da circa un'oretta, sradicandoci tra i vicoletti e le vie principali. Nessuno dei due ha più spiccato parola, dopo che siamo usciti dall'istituto.
Abbiamo perlustrato buona parte di Manhattan, fino a giungere nel quartiere di Midtown, ai piedi dell'Empire State Building. Mi guardo intorno, setacciando la folla: non c'è traccia delle Ombre, e non capto la loro aura gelida e maligna. Sposto lo sguardo sull'Empire e i miei occhi si perdono lungo l'altezza dell'enorme grattacielo.
«Ci sei mai stata?» mi domanda Mason, indicando la struttura che si staglia al nostro fianco.
«Sì, almeno un migliaio di volte.» Incurvo le labbra e studio l'edificio, mentre con la mente volo a tutti i ricordi che custodisce quel posto. «Tu, invece?»
«New York è un luogo come un altro, per me. Io vivo in Accademia» risponde con una scrollata di spalle.
«È piuttosto deprimente, non trovi?» rido, divertita.
Mason sorride con me. «Ti ricordo che non siamo qui in veste di turisti.»
Gli tiro uno sguardo furbo, ghignando. «E questo chi lo dice?»
Non lascio a Mason il tempo di fare domande; gli agguanto la manica della camicia e lo trascino in mezzo alla folla.
«Bree, che stai facendo?»
«Vedrai.»
Riluttante, mi segue tra la massa di persone. Ci facciamo spazio e raggiungiamo l'entrata dell'edificio. La hall è gremita di gruppetti di turisti.
«Se vuoi salire, non credo faremo in tempo» osserva Mason, notando la fila della biglietteria.
«Fidati» gli rivolgo un sorrisino, «ho le mie conoscenze.»
Andiamo verso uno degli ascensori, già pronto per essere usato. Entriamo e premo il pulsante per l'ultimo piano, il centoduesimo.
Il Guerriero incrocia le braccia, sollevando le sopracciglia. «È legale tutto ciò?»
«Un amico di mio padre è un addetto alla sicurezza» spiego. «Mi lascia sempre via libera.»
«Sei una criminale, Stewart» ridacchia, scuotendo la testa.
In meno di un minuto, l'ascensore giunge all'ultimo livello della struttura. Le porte della cabina si aprono e sgusciamo fuori.
Davanti a noi, improvviso come uno schiaffo o uno sparo, si presenta un panorama mozzafiato. Mason sgrana gli occhi scuri, avvicinandosi alle vetrate.
«L'osservatorio è uno dei punti più alti della città» illustro, affiancandolo. «A quest'ora è sempre vuoto. E la vista, da qui, è semplicemente...»
«Bellissima» conclude, mormorando, gli occhi persi oltre la lastra trasparente e illuminati di meraviglia.
Le pareti dell'osservatorio sono fatte interamente di vetro, e dietro sorge una distesa di grattacieli e scintille. È visibile quasi tutta la metropoli. L'orizzonte divide le luci artificiali, piccole sfere dorate e argentate, dalle luci naturali, stelle che tessono disegni immaginari nel cielo blu-nero.
Il mare di cemento e travi si estende per chilometri, imponenti costruzioni che bucano il firmamento. New York è buio e luminosità insieme, fusi in un dipinto di altezza e vette troneggianti.
«È il mio posto preferito di tutta Manhattan» confesso, facendo vagare gli occhi tra i grattacieli.
«Adesso capisco perché» risponde Mason, e percepisco le sue iridi bruciarmi la pelle.
Volgo l'attenzione su di lui e i nostri sguardi aderiscono come pellicole adesive. Mi guarda profondamente e, a quattrocento metri dal mondo, davanti a questo vetro che ci separa da tutto il resto, sento qualcosa che mi si accende dentro.
Si avvicina cautamente, fino a essermi di fronte. Siamo faccia a faccia e il cuore rischia di esplodermi nella gabbia toracica. Una forza elettrica ci intrappola l'uno davanti all'altra, e non scapperei per nessuna ragione, perché quello che mi suscita questo ragazzo è completamente assurdo, nuovo, magico.
Ed è quando siamo al limite della disattenzione, concentrati solo su noi stessi e sulle nostre emozioni, che scoppia il finimondo.
Una saetta nera si infrange sulla vetrata, tra me e Mason. Ci allontaniamo sobbalzando, presi completamente alla sprovvista. Sposto lo sguardo sull'ascensore, da cui è provenuta la sfera nera.
«Mason» bisbiglio, terrorizzata.
Davanti alle porte metalliche chiuse c'è una fila compatta e fumante di tre spiriti. Tre Ombre che ci sbarrano la via di fuga e ci puntano con i loro occhi incavati, abissi infiniti di pece.
Il Guerriero ha già impugnato la sua arma, una lama d'argento dall'elsa lucente, e la rivolge verso le Ombre. Lo imito e sguaino dallo scomparto interno del gilet un pugnale affilato di acciaio scintillante, che ho recuperato nell'armeria dell'Accademia.
La prima Ombra della fila avanza nella nostra direzione, una nuvola scura e trasparente, gli artigli aguzzi come rasoi e una vaga espressione desiderosa di morte sul volto deformato.
Una corda di fulmini neri schiocca verso Mason; il ragazzo la evita con uno scatto agile e si fionda sull'Ombra. Strappa il corpo fumoso del mostro con una pugnalata secca e questo si disintegra in cristalli cinerei.
Percepisco alle mie spalle un'aura gelida che mi ghiaccia le ossa. Mi giro e mi imbatto negli occhi di una delle due Ombre rimaste. La creatura mi scruta e mi sento sprofondare in un vortice di buio.
Come ho imparato durante queste settimane di allenamento, stringo le dita intorno all'elsa fredda del pugnale e calo la lama verso l'Ombra. Un istante prima che la punta penetri la massa informe dello spirito, esso si volatizza e il mio pugnale fende solo l'aria.
Perplessa dalla sparizione improvvisa, abbasso momentaneamente le difese e non noto la folata di energia nera che viene scagliata nella mia direzione. L'Ombra che era sparita si è materializzata di nuovo e mi ha indirizzato contro un incantesimo di fulmini scuri e rotanti, che mi centra in pieno e mi spintona.
La mia schiena sbatte sulla vetrata dell'osservatorio, che trema. Trattengo il fiato, il corpo percosso dal dolore dell'impatto e la testa che gira. Sento la voce ovattata di Mason che mi chiama.
L'Ombra, intanto, mi raggiunge e si ferma al mio capezzale, squadrandomi dall'alto con il suo sguardo abissale.
«Ti abbiamo trovata» sibila in tono scricchiolante; le sue parole mi rimbombano nel cranio, martellandolo.
Poi, il mostro affonda il braccio e i suoi artigli mi lacerano la pelle all'altezza della spalla. Spalanco gli occhi e una radiazione di dolore intenso mi paralizza i muscoli. Sento l'energia abbandonarmi e trasferirsi nel corpo del mostro.
Stringo i denti e mi sforzo di restare sveglia. In mano ho ancora il pugnale. Posso salvarmi.
Facendomi forza, impugno con vigore l'elsa, sollevo il braccio e pianto la lama nella creatura. La mia energia smette di sgorgare fuori e l'Ombra si riduce in polvere.
Mi rialzo a fatica, appoggiandomi alla parete di vetro. Dietro di me, New York splende di vivacità, ignara di ciò che sta accadendo all'ultimo piano dell'Empire State Building.
Una mano calda si posa sul mio braccio. Nonostante la vista lievemente appannata, riconosco il viso di Mason. Mi guardo intorno, strizzando le palpebre per recuperare una visione nitida: delle tre Ombre non c'è più traccia.
«Tutto bene?» mi domanda, premuroso.
Annuisco, mordendo le labbra per scacciare il dolore alla spalla. Mason nota i graffi profondi e la mia camicia strappata e macchiata di sangue.
«Torniamo in Accademia» decide.
Mi posa una mano alla base della schiena e mi sostiene, aiutandomi a raggiungere l'ascensore. Mentre attendiamo l'arrivo della cabina, fitte lancinanti mi percorrono il corpo e la mente. L'Ombra è riuscita a sottrarmi abbastanza energia per togliermi la concezione del mondo.
Le porte dell'ascensore si aprono. Alzo lo sguardo e mi congelo sul posto. Mason impreca e mi strattona all'indietro, allontanandomi dall'ascensore.
All'interno della cabina, una folla di Ombre ammassate tra loro. Sono almeno una quindicina e un paio di loro sono armate.
Mason tende in avanti il pugnale, mentre le Ombre avanzano. «Stammi dietro» mi intima.
Non può affrontarle da solo. Sono troppe.
Ignorando il suo ordine, mi posiziono al suo fianco, il pugnale stretto in mano e una carica di adrenalina che soffoca temporaneamente il dolore.
Il Guerriero mi lancia un'occhiata infiammata. «Non mi ascolti proprio mai?»
«Siamo qui insieme, quindi lotteremo insieme. Non devi fare l'eroe.»
Sembra colpito dalle mie parole, ma non ribatte perché un'Ombra si scaglia su di noi. Mason assesta una coltellata precisa e il mostro si dissolve.
In seguito, il gruppo di creature fluttuanti fa la stessa cosa, volando nella nostra direzione come una gigantesca entità nera. In pochi minuti, l'osservatorio del centoduesimo piano è gremito di spiriti neri, che si sparpagliano lungo l'area.
Mason parte all'attacco e assesta pugnalate a ogni mostro che lo affronta; si muove con agilità e sicurezza, come se stesse compiendo la più semplice delle azioni.
Cerco di mettere da parte le fitte alla testa e lo imito: la lama del mio pugnale uccide due Ombre in un colpo solo, trasformandole in cenere.
Una sfera nera mi corre incontro; mi sposto dalla traiettoria e il circolo scoppia sul vetro, disegnando una crepa. Affondo il coltello dentro l'Ombra che ha tirato l'incantesimo, uccidendola.
Mentre la mia lama taglia il corpo del l'ennesimo mostro, un tonfo sordo mi distoglie dal combattimento.
Adocchio Mason, la schiena premuta contro la parete di vetro e un gemito di dolore che gli lascia le labbra. Un'Ombra lo fronteggia e lo blocca sulla lastra, con gli artigli incastrati nella sua camicia e affondati nella pelle.
Accade in un attimo: il mostro strattona il Guerriero e lo spinge nuovamente contro il vetro, con così tanta forza che il ragazzo sgrana le palpebre e smette di respirare.
Con così tanta forza che il vetro alle sue spalle si crepa, sfinito dai ripetuti colpi subiti finora. Sulla vetrata si ramifica un segno di rottura, e basterebbe un solo tocco per distruggerla.
Osservo allarmata Mason, impotente e inchiodato dall'Ombra. Sa che, con un'altra spinta, rischia di precipitare.
Scelgo di intervenire tempestivamente: alzo il pugnale e prendo la mira per lanciarlo, in modo da disintegrare l'Ombra.
Ma una scarica mi colpisce il braccio, irradiando una fiammata di dolore che mi fa mollare la presa sull'arma. Cade con un tintinnio. Allungo l'altra mano per recuperare il pugnale, ma una delle creature ancora presenti, la stessa che mi ha colpito il braccio, mi indirizza un vortice di magia nera, che mi scaraventa ai piedi dell'ascensore.
La mia nuca batte sul pavimento e la vista si oscura. Un ronzio mi ottura le orecchie e i sensi si spengono lentamente.
Poi intravedo Mason, a un passo dal precipizio, sul ciglio della morte, e decido che non posso lasciare che venga ammazzato. Devo aiutarlo.
Premo le ginocchia sul pavimento, sollevando il busto. La testa pesa e lacrime di dolore mi invadono gli occhi. Le mando via, cercando il pugnale.
Dannazione, l'ho perso.
Vado in panico. Mason mi guarda, implorandomi di fare qualcosa, mentre l'Ombra minaccia di distruggere il vetro e di abbandonarlo nel vuoto insieme ai frammenti della lastra.
Mi resta un'unica arma.
Così, reprimendo il dolore acuto, le fitte e le lacrime, raduno l'ultimo briciolo di energia che mi è rimasta e creo una sfera di elettricità bianca, un circolo puro di saette, che lancio in direzione dell'Ombra.
L'essere viene incenerito. Mason si muove con estrema leggerezza, staccandosi dal vetro, proprio quando la parete trasparente crolla e si distrugge in una pioggia di aghi fragili e sottili.
Adesso, New York si estende davanti a noi, senza più alcuna barriera a separarci dalla bellezza letale della città.
Sfrutto i miei poteri e richiamo a me l'elemento dell'aria. Con una folata di vento che smuove l'osservatorio, scaravento le ultime Ombre rimaste oltre il bordo della vetrata frantumata.
«Andiamo via, prima che ne arrivino altre» mi dice Mason, aiutandomi a mettermi in piedi.
Entriamo nell'ascensore e, arrivati al piano terra, corriamo fuori dal grattacielo. All'esterno, i cittadini passeggiano con tranquillità.
Le gambe mi cedono. Scivolo contro un muretto vicino, finendo seduta sul cemento. La testa rischia di esplodermi e il mio corpo ha perso sensibilità.
«Bree» mi chiama Mason, inginocchiandosi al mio fianco. La sua voce è un eco lontano. «Mi senti?»
Mi sforzo di annuire. Mason si siede al mio fianco e mi appoggia una mano dietro la nuca, portandomi la testa nell'incavo della sua spalla. Con la fronte premuta contro il suo collo, riesco finalmente a respirare.
«Mi hai salvato la vita» esala.
«Prego» mormoro a occhi chiusi, la guancia schiacciata sulla sua spalla.
«Ne riparliamo in Accademia. Ce la fai a camminare?»
«Sì» faccio, anche se mi sento a pezzi e pervasa da un'ondata di debolezza e nausea.
«Potrei ricambiare il favore, che ne dici?»
Sospiro, alzando la testa. Mi osserva speranzoso. Noto che ha due graffi simmetrici sugli avambracci, i capelli incollati alla fronte sudata e la camicia stropicciata e sporca di sangue e polvere. Se possibile, è ancora più bello.
«Non ho bisogno dei tuoi favori, Evans.»
Non mi ascolta. Posa una mano dietro la mia schiena e l'altra sotto le ginocchia e mi solleva, alzandosi in piedi e prendendomi in braccio. «Non me ne importa.»
«Mettimi giù» protesto.
«Dio, Bridget, taci e fatti aiutare. Non devi fare l'eroina» copia le parole che gli ho rivolto in precedenza.
«Se provi di nuovo a farti uccidere, ti ammazzo io» lo minaccio con voce debole, facendo scivolare la testa sul suo petto.
«Allora un po' ci tieni.»
Sì che ci tengo, idiota, mi ritrovo a pensare.
«Torniamo in Accademia» dico, però. «Sono esausta.»
Mason si incammina, aumentando la presa sul mio corpo. Le luci della città sono l'ultima cosa che intravedo, il suo respiro l'ultima che sento, prima che il dolore e la stanchezza mi trascinino tra le loro grinfie.
Chiudo gli occhi, abbandonandomi tra le braccia del Guerriero e tra quelle delle tenebre.
Spazio Autrice
Mason e Bree sono finalmente andati in Sentinella! Mi piace un sacco a scrivere di loro due insieme, sono una squadra fantastica, quando uniscono le forze. Hanno affrontato una battaglia difficile, ma ne sono usciti vivi, anche se non proprio indenni.
Vi è piaciuto il piccolo momento di intimità che hanno avuto sull'Empire, prima dell'arrivo delle Ombre?
Lasciatemi le vostre opinioni in un commento o con una stellina, se volete.
Xoxo🌃
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