17. Vulnerabilità
Bridget
Sembra impossibile, ma sono ritornata alla consueta e monocorde routine quotidiana: lezioni di mattina, palestra o biblioteca di pomeriggio, allenamento di sera. Anche se ora è un po' diverso. Molto diverso.
Non avrei mai pensato di dirlo, ma mi manca andare a scuola. Mi manca la normalità.
Sono sempre stata una sfrenata sognatrice, con la testa perennemente tra le nuvole e le mie fantasie irrealizzabili. Se qualche settimana fa mi avessero detto che la mia vita sarebbe diventata un'avventura di sopravvivenza, come quelle che amavo leggere, avrei fatto i salti di gioia.
Ho sempre voluto stravolgere l'ordinarietà delle mie giornate e trasformarle in qualcosa di pericoloso e avvincente. Adesso, invece, non ne sono più così convinta.
Sono questi i pensieri che invadono la mia mente, mentre inchiodo con gli occhi il sacco da boxe che dondola dal soffitto. Mi sto esercitando nella seconda palestra dell'Accademia, dove sono presenti le attrezzature per l'addestramento del corpo, da tutto il pomeriggio. Ho piacevolmente scoperto che non è così male: è un modo per sfogare la rabbia e la frustrazione. E ne ho davvero bisogno, con tutto il caos che mi attanaglia.
Il professor Williams mi ha veramente stremata, durante tutta la settimana. Il combattimento a corpo libero e con le armi sono stati l'oggetto principale delle nostre lezioni. Sto facendo parecchia pratica e le mie prestazioni fisiche sono aumentate, così come la mia capacità di gestire i poteri magici.
Da un lato, sono contenta di allenarmi proprio la sera: certe volte andiamo avanti fino a notte fonda ed è una scusante per non dormire. Anche perché non ci riuscirei lo stesso.
Sono terrorizzata dagli incubi che mi stanno devastando. Preferisco di gran lunga restare sveglia fino al sorgere del sole, per evitare di vivere quei pochi minuti di angoscia e inquietudine.
Le conseguenze dell'ennesima notte che passo senza riposare mi stanno provando sia fisicamente che mentalmente. Sono di continuo stressata e nervosa e le mie forze stanno lentamente svanendo, lasciando posto alla fragilità e alla debolezza che ho cercato in ogni modo di reprimere.
Tra pochi giorni io e Mason siamo di Sentinella e, se continuo a negarmi di dormire, non ho idea di come mi sentirò allora.
Mi siedo, appoggiando la nuca contro la parete, e alzo lo sguardo sul soffitto. Non vedo il cielo da giorni, se non dalla mia finestra. Chiudo gli occhi e provo a esternare ogni pensiero, per rilassarmi, ma risulta praticamente impossibile.
Ogni volta che abbasso le palpebre mi sento soffocare dalla vulnerabilità: vedo i suoi occhi che divorano ogni mia certezza, che mi lasciano priva di tutto e che fanno leva sulle mie debolezze, per il solo piacere di annientarmi poco per volta.
Mi alzo di scatto in piedi. Sta diventando opprimente rimanere qui dentro, completamente sola. Non mi prendo la briga di rimettere a posto gli attrezzi che ho utilizzato; voglio solo uscire dalla palestra.
Imbocco il corridoio e cammino con andatura spedita. Il rumore dei miei passi frettolosi mi accompagna, rimbombando costantemente tra le pareti vestite di quadri.
Sono pronta a svoltare l'angolo, ma il corridoio si biforca. Aggrotto le sopracciglia in un cipiglio confuso
Non mi ricordavo questa suddivisione. Mi porto una mano sulla fronte, senza capire. Forse ho le allucinazioni.
Opto per proseguire sulla destra e aumento l'andatura. A questo punto, dovrei trovarmi davanti alla porta della mensa e successivamente a quella dell'ufficio di Smith, ma c'è solo un lunghissimo e interminabile corridoio.
Percorrendo anche quest'ultimo mi rendo conto che non ho strane visioni, ma che ho sbagliato strada. Eppure non ero a conoscenza di un'altra via. Basterebbe attraversare lo stesso percorso nella direzione inversa, ma oramai la curiosità ha preso il controllo delle mie azioni.
Continuo indisturbata e tento di scacciare i cattivi presentimenti che si insediano in me quando prendo un corridoio in modo puramente casuale.
Ennesima svolta, ennesimo bivio, ennesima strada.
Vado avanti così per un po', fino a quando il corridoio non si interrompe in un vicolo cieco. Tutta questa strada per arrivare a un muro?
Se fossi stata una persona comune in un luogo qualunque, avrei lasciato perdere. Ma questo luogo non è uno qualunque e io devo iniziare a pensare come loro: come una persona non comune.
Studio l'ambiente intorno a me: non c'è niente, a eccezione delle solite pareti blu e bianche. Non riesco a notare nulla di insolito. Accosto il mio viso alla parete che mi sta sbarrando la strada e lascio che il mio sguardo ne perquisisca ogni singolo centimetro.
C'è una sottile insenatura, che spicca sulla superficie lineare del muro. Mi fermo su essa e seguo i contorni, che formano un simbolo. Anzi, una lettera. Una "K", per la precisione.
Mi sforzo di ricordare un nome di mia conoscenza che inizi con quella lettera, e la risposta arriva automaticamente.
«Kelley» sussurro a me stessa.
Mi accorgo che la lettera non è stata incisa sull'intonaco, ma sulla superficie retrostante. Questo significa che dietro questo muro c'è un'altra parete. Una porta, forse.
Inizio a cercare una serratura, per confermare la mia ipotesi. Trovo dei segmenti a circondare la lettera, intrecci di linee che si uniscono in un fiocco di neve, il medesimo che pende dalla catenina di metallo della mia collana. Sono quasi certa che non sia una coincidenza. Qui non ne esistono.
Un'idea - per quanto assurda - mi balena in testa. Recupero il gioiello dalla tasca posteriore dei pantaloni della tuta e avvicino il ciondolo alle incisioni, adagiandolo sulla parete. Entrambi i perimetri coincidono alla perfezione.
All'inizio, non c'è alcuna reazione. O, almeno, non me ne accorgo subito.
Ma, dopo una manciata di secondi, proprio nel momento in cui valuto di tornare indietro, sento qualcosa scattare.
Una flebile luce argentata viene emessa dalla collana e il muro si divide in due metà che si allontanano lentamente, dando vita a un passaggio ora non più segreto ai miei occhi.
Ho ancora qualche ora prima che cominci l'allenamento, perciò decido di addentrarmi all'interno del cunicolo che si è appena formato. Prima, però, recupero la collana e lascio che la porta scorra fino a rinchiudersi. Ora, ci siamo solo io e il buio che mi avvolge nella sua coperta d'oscurità.
Divento titubante nel proseguire. I miei occhi non riescono ad abituarsi alla mancanza di luce e non ho la più pallida idea di dove mi condurrà questo passaggio. Ho dimenticato il cellulare in camera, perciò non posso usufruire della torcia.
Poi, è come se una lampadina mi si accendesse sulla testa.
Io posso creare la luce.
Rimprovero me stessa per non averci pensato immediatamente. Seguendo i procedimenti che ho perfezionato con Giselle durante la settimana, riesco a generare una piccola fiamma e a illuminare quel che basta per rendere visibile dove metto i piedi.
Di fronte a me si stagliano gradini di pietra grezza che scendono verso il basso, fino a buttarsi a capofitto tra le braccia delle tenebre. Scendo uno scalino alla volta, un piede dietro l'altro, gli occhi che scattano ad ogni singolo rumore e il costante bisogno di stare in allerta ad accompagnarmi.
È un sotterraneo interamente scavato nella pietra a ospitare la mia presenza, spero non indesiderata. Dalle informazioni ricavate da Mark, so che l'Accademia è una struttura molto antica. Per la precisione, risalente 1788. Questa galleria sembra esserla altrettanto.
Finita la scalinata, procedo in avanti. Cammino, la fiamma che trema nella mano, fendendo il buio spesso, e i muscoli rigidi di tensione.
Un rumore sommesso mi fa arrestare. Lo sento di nuovo: è una voce. Mi appiattisco contro parete e mi affaccio dietro l'angolo che stavo per raggiungere, prima di essere interrotta. Nel mio campo visivo si fa spazio una figura inginocchiata dinanzi a una porta, con la schiena coperta da una massa di capelli dorati e leggermente mossi. È tutto ciò che la fiamma mi permette di vedere dalla mia posizione attuale.
Durante la nostra ultima lezione, la professoressa Collins mi ha detto che la mia aura è così forte da poter essere percepita e metri e metri di distanza. E non aveva sbagliato, affatto.
Lo capisco nel momento in cui la ragazza si volta nella mia direzione, come se avesse captato la mia energia, e io sono obbligata a ritirarmi di nuovo dietro il muro, per non rischiare di essere vista. Smetto persino di respirare e stringo le palpebre fra loro, pronta al peggio.
I passi cauti della sconosciuta echeggiano verso di me. «C'è qualcuno?» chiede, timorosa.
Apro di nuovo le palpebre, nel preciso istante in cui lei svolta l'angolo, e i nostri sguardi si scontrano.
Mi trovo davanti a una Guerriera dagli enormi occhi verde smeraldo e dalla chioma di capelli biondi. Deve avere circa la mia età. La sua aura riporta sensazioni calorose, solari, brillanti. Sul suo palmo, infuoca una fiammella, usata come torcia.
Emette un sospiro di sollievo e la sua espressione allertata si scioglie. «Accidenti, e io che credevo fossi un'Ombra.»
Io, dal mio canto, la guardo con diffidenza. Lei appura che non sono in vena di fare nuove conoscenze e ripercorre i suoi passi, tornando alla porta.
Nessuna domanda. Mi ha completamente ignorata.
Decido di raggiungerla. La Guerriera piega le gambe per arrivare all'altezza della serratura e armeggia con una forcina per capelli. La osservo, contrariata, e lei si gira nuovamente, guardandomi dal basso.
«Non dovresti essere qui» risponde, mentre si rimette in piedi, scrollandosi la polvere dalla divisa.
«E tu non dovresti scassinare la serratura di quella porta» ribatto.
«Non voglio scassinare la serratura. Sto tentando di aprire la porta con eleganza» si difende, come se fosse una cosa ovvia.
All'improvviso sembra accorgersi davvero di chi sono. Mi studia da capo a piedi, con interesse. Distolgo lo sguardo. Non sopporto più di essere analizzata da chiunque mi veda. Mi guardano come se fossi una creatura rara, da esaminare, e questo mi infastidisce terribilmente. Sono come loro, in fin dei conti. Non ho niente di speciale.
Prevedo le prossime parole che lasceranno la sua bocca: "Tu sei Bridget Stewart, quella nuova". Invece, con mio grande stupore dice tutt'altro.
«Puoi aiutare una povera ragazza in difficoltà?» mi implora con un sorriso dolce, indicando il battente di pietra alle sue spalle.
Per la prima volta da quando ho messo piede in Accademia, non mi sento giudicata.
«È un no?» traduce il mio silenzio come una risposta negativa.
Scuoto la testa con vigore. «Sì, cioè no. Non sì non ti aiuto, ma no ti aiuto. Intendo sì, sì ti aiuto» farfuglio, in preda all'agitazione.
Il mio farneticare illogico ci fa scoppiare a ridere entrambe, sotto la luce vibrante delle fiammelle che abbiamo creato.
«Alexandra» si presenta la Guerriera. «Se vuoi, Alex.»
«Io sono Bridget, ma chiamami Bree. Se preferisci, ovviamente» mi presento a mia volta.
«D'accordo, Bree. Sei pronta a scoprire tutti i segreti che si celano dietro la famiglia Kelley?» fa, entusiasta.
«È questo che nasconde?» indico la porta.
Alexandra annuisce. «Lì dietro sono nascosti gli effetti personali di Selene Kelley.»
«Ci sto» accetto.
Voglio saperne di più di quella Regina che non ha potuto vivere appieno una vita felice, la cui famiglia è stata devastata da un tiranno assetato di vendetta. E voglio anche capire come mai l'ho vista a scuola, quel giorno, prima che la mia esistenza venisse ribaltata.
«È fantastico!» esulta, e i suoi occhi smeraldo si illuminano come due stelle. «Qualche idea per aprire la porta? È a prova di forcina e di magia.»
Rifletto su quale sia la mossa meno azzardata. Forse potrei usare la stessa chiave che ho utilizzato per scendere quaggiù. La mia collana.
«Credo che tu abbia chiesto alla persona giusta. Anzi, perfetta.»
Ho fatto centro: sopra la serratura è disegnato un fiocco di neve. Poggio il ciondolo sull'incisione e la serratura scatta, dopo aver emesso una debole luce azzurro-argento.
«Forte» commenta Alex.
Le sono grata per non aver accennato parola sul mio gioiello e anche per non avermi sottoposta a nessun interrogatorio di terzo grado.
Alex spinge la porta e, dopo una serie di cigolii di protesta da parte dei cardini, si apre. Entriamo nella stanza. Le nostre fiammelle illuminano l'ambiente. La polvere è padrona di ogni angolo; non c'è un oggetto che si salvi dal suo dominio.
«Cosa stai cercando, per la precisione?» domando ad Alexandra, lasciandomi sfuggire uno starnuto per i troppi granelli di sporco.
«Niente in particolare. Magari qualcosa che potrebbe tornarci utile.»
Si dirige al centro della camera, occupata da un vecchio tavolo di legno sbeccato, ricoperto di cianfrusaglie.
Annuisco silenziosamente ed esploro il perimetro rettangolare. In alcuni punti si ergono scaffali impolverati. In tutto sono tre. Mi avvicino al primo, un misto di volumi storici e armi appartenenti a un'altra era.
Una mi colpisce particolarmente: è un pugnale dalla lama ricurva e dal manico dorato e arrugginito, che ora ha perso il suo splendore. C'è una sigla incisa sull'elsa: "D.K."
«Guarda questa» mi richiama Alexandra.
Porto il mio sguardo sulla Guerriera, che tiene tra le mani uno scrigno. Mi avvicino e riesco a distinguere le decorazioni fatte a mano sulla parte superiore della scatola. Sollevo il coperchio e una musica classica si diffonde intorno a noi. Riconosco la quiete e dolce melodia de Il Lago dei Cigni.
Proviene da una statuetta di legno intagliato che raffigura una minuta ballerina. Indossa un tulle candido e porta delle minuscole scarpette da punta.
È un portagioie che funge anche da carillon. Braccialetti intrecciati tra loro, anelli, orecchini e ciondoli di ogni forma e colore sono disposti inaccuratamente nel contenitore. Non notiamo niente di interessante rimettiamo la scatola al suo posto.
«Dove siamo, esattamente?» chiedo ad Alex, mentre continuiamo a dare un'occhiata in giro.
«Ci troviamo nei sotterranei dell'Accademia. Veramente, nessun Guerriero è a conoscenza di questo posto. Lo sa solo il Consiglio e l'unico a potervi accedere è Mark. L'ho sentito parlare con una professoressa» spiega.
«Intendevi dire che hai origliato le conversazioni di Mark, vero?» la correggo, con un sorriso canzonatorio a incresparmi le labbra.
«Proprio così.»
Ridiamo entrambe alla sua confessione e, Dio, non mi sentivo così in pace con me stessa da giorni interi.
Vado verso il secondo scaffale, non prima di essermi fermata di fronte a uno specchio. È identico a quello affisso sulla parte del mio bagno, con l'unica differenza che questo ha una lunga crepa che lo divide quasi a metà, tagliando nettamente il mio riflesso in due parti.
Lo scaffale, invece, è uguale all'altro: stesse tipologie di oggetti e stessa polvere che non manca mai. Tranne che per un piccolo, insignificante particolare. C'è un libro, ma non uno qualsiasi.
C'è il libro.
Lo stesso che ho cercato senza sosta e che ora stringo tra le mie dita tremanti. Qualcuno l'ha portato qui, qualcuno l'ha nascosto. Qualcuno non vuole che scopra la verità.
Chi?
«Siamo le prime a scendere quaggiù?» domando, cercando di contenere la voce frastagliata dall'agitazione.
«Sì, escludendo Mark. Come mai questa domanda?»
Alexandra non mi guarda - per fortuna, altrimenti si accorgerebbe della mia espressione sconvolta - perché sta leggendo un insieme di fascicoli usurati dal tempo.
«Curiosità» rispondo, e lascio cadere l'argomento.
Annuncio ad Alexandra che per me si è fatto tardi. Lei mi dice che possiamo tornare indietro, dato che non ha trovato niente di essenzialmente importante.
Torniamo indietro, percorrendo le gallerie buie e umide, il libro stretto sottobraccio e la fiammella che danza sull'altra mano. Saliamo le scale di pietra e apro il passaggio con la mia collana. Quando riemergiamo dai sotterranei, infilo il ciondolo in tasca e ci incamminiamo per i corridoi dell'Accademia.
«Come hai fatto ad entrare, se la chiave ce l'ho io?» chiedo ad Alex.
La Guerriera estrae un pezzetto di cartone dalla tasca. È un ritaglio a forma di fiocco di neve, della stessa grandezza della serratura e del mio ciondolo.
«Ho i miei trucchi» sghignazza.
«Geniale» commento. «Peccato che tu non abbia trovato niente.»
«Almeno a te è servita, questa esplorazione» fa un cenno verso il volume che tengo in mano. «Cercheremo meglio la prossima volta, sempre se accetterai di seguire la tua nuova amica in un'altra avventura» propone, facendomi un occhiolino.
Le dico che non vedo l'ora. In fin dei conti, non è stata una perdita di tempo. Oltre al libro, ho trovato qualcuno che non mi osserva come se fossi un'estranea, come se fossi una minaccia pubblica, ma che mi ha semplicemente sorriso e ha ignorato la mia identità.
Ho trovato un'amica.
Spazio Autrice
Buon pomeriggio lettori❤❤
Eccovi il nuovo capitolo. Poveretta, la nostra Bree... cosa le sta succedendo? Secondo voi, in cosa consistono questi incubi? Vengono nominati spesso, dal primo capitolo. Tranquilli, le risposte arriveranno!
Nel frattempo, entra in scena Alexandra! Come vi sembra, per ora? Possiamo fidarci di lei?
Abbiamo anche ritrovato il misteroso libro scomparso che Bridget cercava un paio di capitoli fa. Chi l'avrà portato laggiù?
Vi aspetto nei commenti!
Xoxo📚
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