13. Anima Sgretolata
Bridget
«Pronta?» mi domanda Mason.
«Pronta» mormoro in tono fiacco, premendo la fronte contro il finestrino della macchina. Un brivido mi risale lungo la schiena.
New York scorre sotto i miei occhi stanchi. I passanti e i grattacieli costeggiano le fiancate della vettura, immagini sfocate dalla velocità, che mi impedisce di distinguere i dettagli della metropoli.
È quasi mezzogiorno e il sole splende alto. Mason svolta in una stradina secondaria, immettendosi in un quartiere residenziale della chiassosa Manhattan. Mi si stringono il cuore e lo stomaco, al pensiero di ciò che sto per fare.
Siamo diretti a casa mia. Abbiamo preso una delle macchine messe a disposizione dall'Accademia, e siamo quasi arrivati.
Mi sento sul punto di crollare: non sono minimamente pronta a dire addio alla mia famiglia e, come se non bastasse, stanotte non ho chiuso occhio. Incubi feroci mi hanno sconquassato la mente, risvegliandomi in lacrime nel cuore della notte.
Sospiro, piano, abbassando le palpebre e concentrandomi sul frastuono del traffico. I rumori della città sono familiari e mi sfiorano dolcemente le orecchie.
Percepisco lo sguardo nero di Mason che mi tira occhiate, ogni tanto, per poi tornare a concentrarsi sulla strada. Non ci faccio caso. Non sono in vena di chiacchiere, specialmente con lui.
Poco fa mi ha riferito che d'ora in poi trascorreremo quasi tutte le giornate insieme. Dovrà addestrarmi e, a detta sua, proteggermi. È un'idea di Mark. Una pessima idea di Mark.
«So benissimo difendermi da sola» ho replicato.
«Nel nostro mondo non sopravvivresti usando un paio di battutine e il tuo caratterino. Moriresti subito» mi ha risposto Mason, ingranando la marcia.
La discussione è terminata lì, perché sappiamo entrambi che ha maledettamente ragione. Se la notte scorsa non fosse intervenuta Emily, quell'Ombra mi avrebbe uccisa.
Ma, in ogni caso, non mi alletta il fatto di stare costantemente sotto la sua sorveglianza. Non riesco a decodificare neanche una sfumatura del carattere altalenante di Mason, e detesto ciò. Mark non poteva assegnarmi un'altra guardia del corpo?
«Gira a sinistra» spezzo il silenzio con le indicazioni stradali.
«È qui casa tua?» mi chiede, mentre passiamo davanti a una schiera di piccole ville.
Annuisco, senza proferire parola, e aspetto che parcheggi. Afferro la maniglia della portiera, la spalanco e la richiudo con un tonfo, inspirando a pieni polmoni l'aria rassicurante della via in cui ho sempre vissuto.
Prima che Mason possa uscire, mi piazzo di fronte al suo finestrino, chinandomi per guardarlo. Abbassa la lastra che ci separa e scorgo la sua espressione indispettita.
«Non chiudere più la portiera in quel modo. Avresti potuto rovinare questo gioiellino» mi rimprovera.
Roteo gli occhi. «Chiedo scusa. Comunque, non c'è bisogno che tu venga con me.»
Le sopracciglia di Mason scattano verso l'alto. «Cosa non hai capito di "sarò la tua guardia"?»
«Ci metterò poco» gli assicuro, come se non stessi per chiudere il capitolo più importante della mia vita. «Puoi aspettarmi qui.»
«Scordatelo, ragazzina. Adesso, togliti.»
Gli lancio uno sguardo assassino e mi sposto, per dargli lo spazio sufficiente a uscire dal veicolo. Incrocio le braccia al petto e inchiodo i piedi sulla strada, in forma di protesta.
«Ascolta: la mia presenza è fondamentale» mi spiega, tentando di dissuadermi. «Per quanto mi riguarda, potresti dire cose che non avresti dovuto dire, o scappare dalla finestra.»
«E tu devi assicurarti che io non faccia niente di tutto ciò?» concludo, in tono scettico.
«Esatto.»
Non continuo la discussione. Gli do le spalle e mi incammino verso la mia abitazione, in fondo alla via, superando le altre case del vicinato. Ho deciso di indossare la divisa accademica, per rendere più credibile il discorso che farò ai miei genitori.
Giungiamo di fronte al portone della casa, dopo aver attraversato il vialetto ciottolato che taglia il giardino. Sollevo la mano e avvicino l'indice al citofono, però non riesco a premere il pulsante. Mi mordicchio la labbra, l'agitazione che mi corrode, e prendo un respiro profondo. Poi, suono.
Attendo qualche secondo, finché non si apre uno spiraglio della porta. Dalla fessura che si è schiusa, fa capolino una donna con due grandi iridi azzurre e i capelli rossi e lisci, più scuri dei miei. Mamma.
Sembra così sconvolta che ci mette un po' a capire chi si trova davanti a lei. Si copre la bocca con la mano e gli occhi si fanno lucidi. Non ho il tempo di salutarla, perché mi getta le braccia al collo e mi stringe a sé.
La mamma nasconde il viso tra i miei capelli e le lacrime iniziano a scenderle copiosamente sulle guance. Ricambio la stretta e mi rilasso tra le sue braccia, provando il desiderio di non volermene mai più separare, come mi succedeva da bambina. Le lacrime mi pizzicano gli occhi e sento una morsa al petto.
Come le dico che non potrà mai più abbracciarmi?
«Dove eri finita? Non immagini quanto mi hai fatta preoccupare! Non sei rimasta a dormire da Carly. Perché hai mentito a tuo fratello? Dove sei stata per due giorni?» mi sputa contro una valanga di domande, la voce ancora spezzata ma esigente di risposte.
Mi sottraggo dalla stretta e la guardo negli occhi chiari e lucidi, che nessuno dei miei fratelli ha ereditato. «Mamma, sto bene, davvero. Facci entrare, così ti spieghiamo tutto.»
Mia madre si gira verso Mason, accorgendosi della sua presenza. Lo scruta attentamente, per poi riportare gli occhi su di me.
Guarda Mason. Guarda me.
Ripete lo stesso procedimento almeno tre volte, finché non sembra comprendere qualcosa. A scoppio ritardato mi rendo conto di cosa sta pensando: sono sparita durante una festa, sono stava via per un giorno e mezzo, poi mi sono presentata a casa in compagnia di un ragazzo.
«No! Non è come pensi!» mi metto immediatamente sulla difensiva.
Inarca un sopracciglio e ci squadra dalla testa ai piedi, lo sguardo azzurro che si fa severo. «Sarà meglio.»
Entra in casa e ci fa segno di accomodarci. Con le guance in fiamme, la seguo, tirando un'occhiataccia a Mason, che ridacchia dietro di me. Superiamo l'atrio e il corridoio, per poi arrivare nel grande salotto arredato in stile moderno.
«Che sciocca. Non mi sono nemmeno presentata» esclama la mamma. «Io sono Amber.»
«Mason» risponde il ragazzo.
Stringe la mano che mia madre gli tende con fare amichevole e prova a sorriderle, ma ne esce solo una smorfia. Non dev'essere abituato a conoscere nuove persone.
Mi siedo sul divano color crema, accanto alla mamma, mentre Mason su una delle due poltrone ai lati del tavolino di vetro opaco.
«Dove sono tutti?» chiedo a mia madre, notando che la sala e la cucina sono deserte. È domenica, quindi Matt ed Elena non sono a scuola e papà non è a lavoro.
La donna si porta nervosamente una ciocca rossa dietro l'orecchio e si morde il labbro, un atteggiamento che ho decisamente preso da lei.
«Matt è da Lucy ed Elena è al piano di sopra. Papà... beh, lui...» lascia la frase in sospeso, un'espressione affranta che galleggia sul suo viso.
Non ho bisogno che finisca. Glielo leggo negli occhi, addolorati e pentiti. La verità mi folgora come una saetta incandescente.
«È per questo che litigate sempre?» La mia voce si incrina, ma provo a stabilizzarmi.
«Mi dispiace, tesoro. Avrei voluto dirtelo prima» si giustifica. «Credo che divorziare sia la cosa migliore.»
Incastro le dita tra i capelli e chino la testa, trattenendo a stento le lacrime. I miei genitori si stanno lasciando e io sto per uscire dalle loro esistenze. Sento il primo pezzo della mia anima che si sgretola.
«Mi dispiace» si scusa mia madre, sfiorandomi la schiena.
Alzo di botto il capo, allontanandomi dai suoi polpastrelli che mi accarezzano. «Ti dispiace?» ripeto, furiosa. «Dovevi dircelo! A me, a Matt, a Lenny. Ci hai mentito.»
«Non sei tu quella che ha il diritto di essere arrabbiata! Sei sparita nel nulla e poi ti sei presentata qui come se niente fosse. Potevi avere la decenza di mandarmi un messaggio e dirmi: "Scusa, mamma, ma mi è venuta la strabiliante idea di mettere in atto una fuga amorosa con un ragazzo che ho appena conosciuto"!»
«Non sono scappata per nessuna fuga amorosa, mamma!» sbraito, indignata.
«E, allora, chi è questo?» chiede, indicando malamente Mason. Il Guerriero sembra a disagio. Se non fosse per il suo incarico di protettore, sarebbe scappato, sicuramente.
«Mi ha solo accompagnata. Lui non c'entra niente, credimi» chiarifico. «Sono venuta per chiederti una cosa.»
«Dimmi» mi esorta.
Mi infondo coraggio. Devo saperlo. «In questi due giorni ho incontrato delle... persone. Ti sembrerà assurdo, mamma, ma sono legata a loro. Mi hanno detto che...» Un groppo mi serra la gola. Deglutisco e riprendo. «Mi hanno detto che sono stata adottata.»
Mia madre sgrana le palpebre e si pietrifica. La sua reazione e il suo silenzio mi sono sufficienti.
«Oh, Dio» gracchio, un altro frammento di anima che si infrange. «È vero?»
«Bridget» pronuncia il mio nome, tremando. «Io... noi... non siamo i tuoi veri genitori. Ti abbiamo trovata sul portico. Eri da sola e ti abbiamo preso con noi.»
«E i miei genitori, quelli veri?»
«Non lo sappiamo, tesoro. Non si sono mai fatti vivi» mi dice, guardandomi tristemente.
Un altro pezzo di me si sbriciola, facendo spazio a una voragine che mi risucchia dall'interno.
«Mi hanno abbandonata» osservo, con un sorriso amaro che argina il fiume di lacrime.
«Noi ti abbiamo amata come se fossi nostra.» La mamma stringe le mie mani tra le sue. «Sei nostra figlia» bisbiglia, piano e in modo rotto, agganciandosi nei miei occhi.
«Però non è vero» mormoro, il tono gelido, esausto. Voglio andarmene.
Ho sempre sospettato di essere diversa. I miei genitori, Matt ed Elena hanno tutti almeno un tratto distinto che ricorda l'altro. Mentre io no. Non ho mai avuto gli occhi limpidi di mia madre o il sorriso dolce di mio padre, al contrario dei miei fratelli. Eppure, mi sono sempre sentita parte integrante di questa famiglia.
L'ennesima bugia su cui si basa la mia vita.
«Devo lasciare la scuola» le annuncio. «Queste persone mi aiuteranno. Vivrò con loro. È il mio posto» ammetto a fatica. So che Mason mi sta osservando, ma non riuscirei a ricambiare il suo sguardo senza scoppiare in lacrime.
«Stai scherzando, spero.» L'espressione dipinta sul volto della donna esprime completo frastornamento.
«No» rispondo seccamente. «Non posso dirti altro, ma ho bisogno che ti fidi di me.»
«Come puoi chiedermi una cosa del genere?»
Mi avvicino a mia madre - o, meglio, a colei che ritenevo tale - fino a esserle a un palmo dal naso.
«Devo andarmene, mamma, e non mi fermerai, d'accordo? Mi lascerai andare, non mi seguirai e non chiamerai la polizia. Promettimelo.»
Quelle parole volano dalle mie labbra in sussurri flebili e ammalianti. Si è creata un'atmosfera cupa, incantata, come lo è mia madre. È completamente assorta dal mio timbro persuasivo e annuisce meccanicamente.
«Va bene, tesoro» dice, l'aria assente e la voce priva di emozione. «Non chiamerò la polizia. Mi fido di te.»
Capto un bruciore agli occhi, un ardore interno, come se una parte di me stesse andando a fuoco e un'altra stesse invadendo tutto.
«Vado a prendere le mie cose in camera, e poi me ne andrò. Per sempre. Tu non cercarmi, da nessuna parte. Io starò bene» la rassicuro, sibilando piano.
La mamma acconsente e si alza, dirigendosi con tranquillità in cucina. Il fuoco dentro di me si attenua, ma sento comunque le iridi che pizzicano, e non per il pianto.
All'improvviso, vengo strattonata per un braccio. Mason mi volta bruscamente verso di sé, il suo viso a un millimetro dal mio e i suoi occhi di carbone che mi scandagliano in modo allarmato.
«Cazzo, Bridget, che cosa hai fatto?» prorompe.
Gli poggio i palmi sul petto e lo allontano, infastidita. «Io? Niente» mento, con un sorrisetto falsamente innocente.
Mi alzo dal divano e mi dirigo verso la scalinata, ma le dita di Mason si chiudono intorno al mio polso, bloccandomi. Mi posa una mano dietro la nuca e mi costringe a guardare la parete alla mia destra, dove è affisso uno specchio rettangolare.
Quello che vedo nel riflesso mi fa trasalire. Sono io, con le solite occhiaie e i capelli rossi spettinati, però i miei occhi non sono miei. Le iridi, castane con macchie dorate, sono diventate due abissi scuri, due vortici neri. Intorno alla pupilla, splende una corona blu cobalto, che dona una tetra vivacità al mio sguardo spietato.
Spalanco le palpebre e trasalisco, andando a sbattere di schiena contro Mason. Tramite il vetro dello specchio, assisto al cambiamento delle iridi: ritornano del loro colore normale e la fiamma nera che divampava in me si spegne.
La mano calda di Mason è ancora adagiata sulla mia nuca. Ho il volto pallido. Annaspo, terrorizzata da ciò che la lastra riflettente mi ha mostrato. Sguscio fuori dalla presa di Mason e mi precipito alla scalinata, iniziando a salire rapidamente i gradini.
«Hai usato l'ipnosi.»
Le parole di Mason mi arrestano. Mi giro a guardarlo, ancora spaventata e confusa. «Cosa avrei usato, scusa?»
Le dita del Guerriero mi toccano la spalla. Mi ritraggo.
«Non toccarmi» gli intimo, i nervi a fior di pelle.
Non mi sento più padrona del mio corpo e della mia mente. Continuo a salire, ignorando la voce di Mason.
«Bridget» mi richiama, spazientito.
«Che vuoi, Evans?» rispondo bruscamente, dandogli sempre le spalle.
Arriviamo davanti alla porta della mia camera e mi decido a guardarlo in faccia.
«Non puoi conoscere l'incantesimo di ipnosi» mi spiega, calmando il tono. «Nessun Arcandido può.»
La frustrazione si impossessa di me. Mi appoggio di schiena alla parete, avendo l'impressione di cedere. «Non ho idea di quello che ho fatto. Mi è venuto naturale. Non ero in me!»
«D'accordo» sospira Mason, prendendo in mano la situazione, «adesso raccogli le tue cose e ce ne andiamo. Quanto torneremo in Accademia, cercheremo di trovare una risposta a questa faccenda. Tu, però, non farlo più. Okay?»
«Okay» accetto a bassa voce.
Impugno la maniglia della mia camera e sto per abbassarla, ma la mia attenzione viene attirata da qualcuno. Alla mia sinistra, in fondo al corridoio, un paio d'occhioni di smeraldo mi fissano. Appartengono a Elena, con i lunghi capelli rosso scuro che la coprono le spalle come una mantella.
Un sorriso spontaneo affiora sulle mie labbra. «Vieni qui, Lenny» la chiamo.
Fletto le ginocchia, accovacciandomi, e la aspetto. Con una piccola rincorsa, Elena si catapulta tra le mie braccia. La sollevo e la tengo in braccio. Il suo nasino cosparso di lentiggini sfiora il mio, in un gesto amorevole.
«Sei tornata!» esclama, le iridi che brillano di felicità.
«Sì» sussurro, sorridendole, anche se dentro mi sento sbriciolata. «Vai da mamma, adesso.»
La rimetto con i piedi per terra e lei mi rivolge uno sguardo implorante. «Ma dopo giochiamo insieme, vero?»
«Certo, Lenny» le prometto, mentendo, perché dire una bugia è più semplice che spiegare la verità. Dove trovo la forza di farle capire che non potrò più giocare con lei, perché sto per lasciarla definitivamente?
Elena emette un'esclamazione gioia. Dedica a me e a Mason un'ultima occhiata, poi scende al piano di sotto.
«Lei è mia sorella» specifico a Mason, con il dolore che mi attanaglia un attimo dopo. Non lo è.
A quanto pare, lui deve aver colto la tristezza sul mio volto, perché mi rivolge un sorriso dolce, il primo che gli vedo fare.
«Lo è, Bridget» mi bisbiglia delicatamente, incastonando i suoi occhi, gemme nere e brillanti, nei miei.
Lo ringrazio con un muto e debole sorriso ed entriamo nella mia stanza. Il mio rifugio. Il profumo di casa mi invade le narici, ma mi sforzo di scacciarlo. Devo restare concentrata.
«Puoi prendermi la valigia sopra l'armadio?» chiedo a Mason.
Fa come gli dico e prende il bagaglio a mano, appoggiandolo sul letto. Intanto inizio ad accaparrare la biancheria dalla cassettiera e dall'armadio. Riempio la valigia con il minimo indispensabile: pochi vestiti - tanto, indosserò la divisa -, un paio di scarpe, qualche prodotto per l'igiene e alcuni effetti personali. Mentre sto per tirare la cerniera, mi ricordo improvvisamente di una cosa che ho dimenticato di prendere.
A passi frettolosi mi dirigo verso il bagno. Sul ripiano di marmo, splende la spazzola d'argento, esattamente dove l'ho lasciata la scorsa sera. Esco con l'oggetto stretto in mano e lo ripongo con cura all'interno del bagaglio.
Noto che la borsa e la giacca che avevo scordato alla festa sono adagiate sul materasso. Afferro la tracolla e trovo al suo interno il cellullare, straripante di messaggi e telefonate.
«Non portarlo con te. È meglio se tagli i ponti con ogni contatto» mi suggerisce Mason. «Mark te ne darà uno nuovo, in Accademia.»
Poso l'apparecchio nella borsa, sapendo di dover mettere un punto a ogni relazione. Fuori dalla mia vita.
«Possiamo andare» dico a Mason, dopo aver chiuso la valigia.
Dal piano inferiore, giunge il rumore del portone d'ingresso che sbatte. Poi, una voce concitata e dei piedi che calpestano le scale, attraversando velocemente il corridoio. Dalla porta, spalancata, sbuca la figura di mio fratello.
Impallidisco. Speravo di non incontrarlo. Non riuscirò mai a convincerlo, tantomeno a dirgli addio. La sola idea di separarmi da lui mi provoca una fitta al petto.
«Bridget?» esclama, spalancando gli occhi. «Cosa... dove...»
Guardo Mason, pregandolo silenziosamente di lasciarmi da sola con Matt. Lui annuisce. Mentre esce, mio fratello lo segue con lo sguardo, studiandolo in modo sorpreso e critico.
Matt, in due falcate, mi raggiunge. Incrocia le braccia possenti, volgendomi i suoi occhi verdi e irati. «Adesso mi spieghi ogni singola cosa, a partire dal perché mi hai mentito e da chi è quel ragazzo.»
«Non volevo mentirti, ma non potevo dirti dove stavo andando» mi difendo. «Ascolta, Matt: è complicato. Non posso raccontarti altro. Me ne sto andando e non so quando tornerò. La mamma è d'accordo, mi...»
«La mamma è d'accordo?!» sbotta, interrompendomi. Nota la valigia fatta sul letto. «Dio, Bree, che sta succedendo? Cosa significa che te ne vai?»
«Non posso spiegartelo.» Distolgo lo sguardo dal suo.
«Beh, trova il modo di darmi uno straccio di risposta, perché dovrai passare sul mio cadavere, se vuoi davvero lasciare questa casa.»
Non ho altre alternative. Anche se ho promesso a Mason di non ricompiere l'incantesimo, non ho scelta. Con il corpo appesantito dall'angoscia, mi accosto a Matt e gli poso le mani sulle spalle, intrecciando i nostri occhi.
«Matt» sussurro. Sento le mie iridi bruciare e trasformarsi, mentre quel fuoco malsano mi scalda di nuovo. «Mi lascerai andare, senza cercarmi» gli ordino, delicata e persuasiva.
La volontà di mio fratello viene calpestata dall'ipnosi. Muove il capo in cenno d'assenso. «Va bene, sorellina.»
Una violenta morsa di tristezza mi stritola, togliendomi il fiato. L'incantesimo si spegne e resto senza più aria, tremante e sul ciglio delle lacrime. Matt mi scocca un bacio sulla fronte, infliggendomi il colpo di grazia, ed esce dalla camera.
L'ho perso per sempre. Ho costretto anche lui a dimenticarmi.
«L'hai convinto?» mi domanda una voce. Non mi ero accorta che Mason fosse rientrato. Mi scruta, preoccupato. «Stai bene?»
Sopprimo le lacrime. Niente emozioni. Via il dolore. Devo resistere.
«Sì» dico piano. «Torniamo in Accademia, ora.»
Mason solleva la valigia dal letto e la porta in corridoio. Non mi guardo indietro, uscendo dalla mia camera. Non ce la faccio.
Scendiamo al piano inferiore. In salotto, scorgo mia madre che si è accomodata sulla poltrona. Sulle sue gambe è seduta Elena e tiene un libro tra le mani. "La Sirenetta". Le sta raccontando una favola. Matt, dal divano, le osserva e ridacchia, un suono dolce che mi spezza.
Non immaginavo che l'incantesimo di ipnosi avesse questo potere. È come se noi non fossimo mai stati qui. È come se non stessi abbandonando la mia famiglia.
I miei occhi scrutano attentamente la scena, consapevoli che il mio destino è stato già segnato.
Un ultimo sguardo che sancisce un ultimo addio.
Un addio non detto.
Un addio silenzioso.
E usciamo.
Attraversiamo il vialetto, i sassolini che scricchiolano sotto le suole delle scarpe. Il venticello autunnale mi scombina i capelli.
«Aspettami qui. Vado a prendere la macchina» ordina Mason.
Mi fermo sul marciapiede, guardando il Guerriero che si avvia con la mia valigia. Mentre la sua figura si rimpicciolisce a causa della distanza, una voce mi coglie di sorpresa.
«Bridget?»
Proviene da dietro. Resto impalata, completamente incapace di reagire. Non anche lui. Prego di sbagliarmi; tuttavia, quando mi giro, mi imbatto in un paio d'iridi azzurro limpido.
«Sei tornata. Ti abbiamo cercata ovunque» esala il ragazzo, avvicinandosi prudentemente.
Compio automaticamente un passo indietro, e lui sembra ferito dal movimento. Si passa una mano tra i capelli corti e castani, osservandomi con quei due pozzi d'acqua. Il suo sguardo esprime desolazione.
«Ah, sì, Henry?» faccio, fredda. Tutta la rabbia accumulata sta per esplodere in una pioggia di scintille e offese.
«Io e Kath eravamo preo...»
«Preoccupati?» termino al suo posto, ringhiando. «Strano. Non ve la stavate spassando?»
La mia insinuazione lo colpisce. «Bree, per favore, fammi spiegare» mi implora.
«No, Henry!» quasi strillo. «Non ti ascolto. Non ti ascolterò mai. Voglio solo che tu sparisca, all'istante.»
Il mio ex-ragazzo mi afferra per le braccia e mi tira a sé, facendomi finire a pochi centimetri dal suo viso. «Ti scongiuro. Non è andata come pensi.»
È difficile non perdersi tra le sfumature chiare e celestiali dei suoi occhi, di cui ero - e sono tuttora - innamorata. Ma, se prima mi suscitavano un miscuglio di sensazioni paradisiache, adesso desidero allontanarmi da quello sguardo traditore.
«E com'è andata? Io so quello che ho visto, e mi è bastato.»
«Non lo sai, invece. Credimi. Ho raggiunto Kath in camera per chiudere la nostra storia. Tenevo troppo a te, per continuare a mentirti così. Volevo dire a Katherine di darci un taglio, ma ho ottenuto il risultato opposto.»
«Ti sembra una scusa valida?» sibilo, divincolandomi dalla sua presa. Stare tra le sue braccia non mi è mai sembrato così errato.
«No, ma dovevi saperlo. Io ti ho amata davvero, e sei stata la persona più importante della mia vita.»
«Stai parlando al passato» gli faccio notare, con il timbro che si crepa. «Tu ami Katherine. Mi hai solo presa in giro.»
Abbassa la testa, non sapendo cosa ribattere. «Mi dispiace» si scusa con un filo di voce.
Agisco d'istinto. Senza rendermene conto, il mio palmo si scontra violentemente con la sua guancia. Henry sgrana gli occhi, portandosi le dita sul viso arrossato, dove l'ho colpito.
«Ti dispiace, Henry?» digrigno, inviperita, la mano ancora sospesa in aria e gli occhi umidi di furia. «Tu mi hai rovinato la vita! Per colpa tua e di Katherine sono scappata da quella maledetta festa.»
«Me lo merito» riconosce, guardandomi mortificato. «Spero che ti abbia fatta sentire un po' meglio.»
Scuoto la testa, la vista appannata dalle lacrime. «Non c'è niente che possa farmi stare meglio. Ti amavo, Henry, con tutta me stessa, e mi hai distrutta.»
«Non mi sono mai sentito così in colpa, Bree. Se potessi tornare indietro di tre mesi, cambierei tutto.»
«Non è vero, e sai perché? Perché ami Katherine. E forse è giusto che tu stia con lei. Ma non vi perdonerò mai per esservi presi gioco di me.»
Il rombo di un motore ci affianca. Una macchina accosta e ne scende Mason.
«Cosa succede?» domanda, accorgendosi di Henry e del mio sguardo intriso d'acqua.
«Niente» mormoro duramente. «Andiamo via.»
Henry mi agguanta un polso. «Non puoi andartene.»
Strattono la presa, fulminandolo con un'occhiataccia. «Non toccarmi. Hai perso il diritto di farlo.»
«Bree...» insiste, ma la voce gelida e inflessibile di Mason lo ferma.
«Senti, è meglio se vai» gli intima, avvicinandosi pericolosamente.
«Non ti intromettere, Evans» ribatto, guardandolo male. Poi, il mio sguardo lucido e furente tocca Henry. «E tu dimenticati della mia esistenza. Vale anche per Katherine.»
Senza dargli l'occasione di rispondere, aggiro l'automobile e mi siedo al posto del passeggero. Devo cominciare una nuova vita, ed Henry non ne farà parte.
Mason sale in macchina e preme sull'acceleratore. Le ruote corrono sull'asfalto e ci lasciamo dietro il quartiere residenziale. Mi allontano definitivamente dalla mia famiglia, da Henry, da casa. Dal passato.
Appoggio la testa al finestrino, sentendo l'ultimo pezzo integro del mio cuore che si incenerisce.
«Chi era?» indaga Mason.
«Nessuno» sussurro a denti stretti, gli occhi pieni di lacrime e l'anima a brandelli. «Non è più nessuno.»
Spazio Autrice
Buongiorno lettori❤
Come vi avevo anticipato nello scorso capitolo, Mason ha accompagnato Bree a casa sua. Sua madre le ha spiegato che è stata davvero adottata, ma questo lo sapevamo già. Inoltre, i suoi genitori stanno per divorziare, ecco perché discutevano continuamente, nei primi capitoli. Come se non bastasse, ha ritrovato anche Henry, ma non ha intenzione di perdonarlo.
Il capitolo è più lungo del solito, ma spero che vi sia piaciuto comunque. Aspetto i vostri commenti!
Xoxo👨👩👧👦
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