10. Nuovi Incontri
Bridget
Seguo con lo sguardo Mason, che si allontana. La sua figura alta sparisce dietro l'angolo del corridoio, lasciandomi sola in quest'edificio enorme e sconosciuto.
Sospiro e impugno la maniglia di acciaio lucido della porta. Entro in camera, pensando a quanto sia strano quel ragazzo. Sembra non tollerare la mia presenza.
Varco l'uscio e richiudo la porta. Una volta dentro, analizzo con scetticismo la mia nuova abitazione.
Le pareti sono spoglie e la stanza è piccola e anonima. L'arredamento è essenziale e in legno chiaro: un armadio a doppia anta, un letto singolo, un comodino accanto e una scrivania contro la parete, con una sedia. Di lato, una grande finestra, coperta da due drappi di cotone blu, dai quali penetrano i raggi solari. Accanto alla porta, una madia dalla superficie spaziosa.
L'ambiente è freddo e austero. C'è troppo bianco, qui, penso, guardando i muri e le mattonelle di ceramica lattea. Le quattro pareti della mia vera camera sono dipinte vivacemente; nella stanza che occupo a Manhattan si respira calore e familiarità.
Sul comodino basso, alla sinistra del letto, noto una chiave, incastrata in un anello di ferro. Probabilmente è la chiave della camera.
Mi avvicino all'armadio, spalancandone le ante. L'interno è vuoto, fatta eccezione per una divisa che pende da una gruccia. La prendo. È l'uniforme dei Guerrieri, quella che ho visto anche su Emily e Mason.
Con gli abiti stretti sottobraccio, mi dirigo verso una porta secondaria, che dovrebbe condurre al bagno adiacente. Quando la apro, trovo esattamente ciò che mi aspettavo.
Sfilo i vestiti che indosso da ieri sera e indosso la divisa. È composta da una camicia bianca, un paio di pantaloni blu e un gilet dello stesso colore, su cui è cucito quello che credo sia lo stemma di Arcandida o dell'Accademia. È un fiocco di neve bianco, intrecciato in grovigli di fili sottili. Il ciondolo della mia collana, che oscilla sullo sterno, sembra la rappresentazione tridimensionale dello stemma, con le sue linee di argento delicato.
Ignoro l'insolita somiglianza e punto gli occhi sullo specchio, posto sopra il lavabo. Mi sciacquo il viso, rimuovendo i residui di trucco, e pettino i capelli con le dita, cercando di rendermi un minimo più presentabile.
Serro tra le dita il bordo gelido del lavandino, osservandomi attraverso la lastra ovale. Lo specchio ottocentesco è ornato da un'elaborata cornice dorata, punteggiata di granelli di polvere.
Per la prima volta da quando ho messo piede in Accademia, mi fermo a riflettere. Incontro i miei occhi, attraverso il vetro, e risultano così sbiaditi, così stanchi. Sono finita in una situazione surreale. In meno di ventiquattro ore, la mia vita è stata completamente stravolta, così tanto che ancora stento a crederci. Ero fermamente convinta che la magia esistesse soltanto tra le pagine dei libri e nelle scene dei film, ma a quanto pare mi sbagliavo.
Non può essere vero, continuo a ripetermi dal momento in cui Mark ha iniziato a raccontare la storia del suo popolo.
Invece, è tutto vero, continua a ricordarmi la mia coscienza. Perché, dentro di me, sento che ogni cosa è reale, che sono qui per uno scopo ben preciso. Ma come posso accettarlo? Come posso rinunciare alla mia vita, per immergermi in un'avventura dove rischio di perderla?
«Basta» sibilo alla me del riflesso, «basta pensare.»
Mi stacco dal lavello e lascio il bagno. Decisa a non restare chiusa in stanza per l'intero pomeriggio, recupero la chiave dal comodino, esco in corridoio e blocco la serratura della porta.
Metto la chiave nella tasca posteriore dei pantaloni e scruto i dintorni. Tanto vale fare un giro, ormai. Il corridoio si divide in due vie. Cerco di rammentare il percorso fatto con Mason e imbocco la strada a destra, facendo il tragitto a ritroso.
Da una parte mi costeggia una fila di porte sigillate, mentre, dall'altra, lampade a olio macchiate di ruggine e dalla luce dorata e debole. Cammino, fino a trovarmi davanti ai battenti metallici dell'ascensore.
Non so in quali pericoli potrei imbattermi, visitando luoghi a me ignoti, perciò opto per tornare al piano terra, l'unico che ho visto di persona. Quando entro nella cabina noto, dai pulsanti, che la scuola è frazionata in quattordici livelli. Schiaccio il tasto in fondo alla colonna di numeri e, dopo uno sferragliare, l'ascensore comincia la discesa.
Giungo a destinazione e sguscio fuori dalle porte di acciaio lucido. Riconosco il corridoio attraversato al fianco di Mason; lo percorro rapidamente. Sfocia nell'atrio, una distesa di luce naturale storpiata dalle vetrate colorate della porta. Oltrepasso l'ingresso e proseguo dinanzi a me.
Le pareti rattoppate di dipinti tornano ad accostarmi. Faccio vagare lo sguardo lungo le varie tele, ma mi fermo a scrutare solo l'unica che mi attira davvero. Mi avvicino nuovamente al quadro della famiglia Kelley.
La Regina dalla chioma riccia e rossa e l'espressione coraggiosa mi osserva. Selene Kelley. L'uomo che la affianca deve essere Den, il Comandante.
Studio le due figure, in particolare quella della donna. Perché si è mostrata a me, a scuola? "Raggiungili", mi aveva detto. Capisco soltanto ora che si trattava dei Guerrieri. Dovevo raggiungere loro, la mia specie.
Ho quasi l'impressione di riflettermi nelle iridi castane e spruzzate d'oro di Selene. Mi somiglia così tanto. Un'affinità così marcata ed evidente che mi mette a disagio.
Distolgo l'attenzione dal dipinto. È solo un disegno e lei è morta, mi ricordo. Non so perché ma questa considerazione mi stringe maggiormente lo stomaco, invece di risollevarmi.
Espiro frustratamene, ormai vicina a una crisi nervosa, e proseguo per il corridoio, lasciandomi il viale dei quadri alle spalle. Svolto a destra e intravedo una doppia porta di legno bruno, imponente e dall'aria antica.
Schiudo leggermente i battenti e mi sporgo dalla fessura creata. Una biblioteca. Sembra l'ambiente più rassicurante della scuola e potrei approfittarne per fare alcune ricerche. È perfetto.
Entro nella sala. È enorme, vecchia e maestosa. Dal centro del soffitto pende un lampadario, formato da filamenti di cristalli luccicanti. Il parquet rovinato scricchiola ad ogni passo; le assi di legno logore danno alla stanza un'aria criptica e misteriosa. Inspiro il forte odore di carta storica. Gli scaffali ricolmi di libri di qualsiasi genere creano cunicoli e stradine, profumanti di racconti passati, in cui è impossibile non perdersi.
La biblioteca è sempre stata il mio luogo preferito, con il suo piacevole silenzio e i migliaia di volumi dalle copertine colorate. Amo la lettura e la tranquillità.
Esploro le sezioni in cui si dividono i libri. Mi fermo nella categoria "storia", adatta per dare risposte alle mie innumerevoli domande. Le coste rifinite d'oro e d'argento dei tomi riportano titoli dalla lingua incomprensibile. Ce n'è uno in particolare, uno dei pochi che riesco a decifrare: Il Sacro Sigillo di Arcandida.
Afferro il volume dallo scaffale di legno e raggiungo una fila di tavolini. Ne occupo uno, sedendomi su una poltrona di pelle marrone, e appoggio il libro sulla superficie rotonda. Soffio via lo strato di polvere dalla copertina.
Il libro è rilegato in pelle colorata di blu, decorata da ghirigori argentati e incisioni preziose. Al centro, un'immagine che mi fa sgranare gli occhi.
«Non può essere» mormoro tra me.
Con una mano tocco il gioiello che porto al collo, lo stesso disegnato sulla copertina rigida. Un fiocco di neve agganciato a una catenella sottile. Il ciondolo rappresenta anche lo stemma di Arcandida, ricordo, guardando la cucitura sul gilet della divisa. Che le due cose siano collegate?
Inizio a sfogliare le pagine leggere e ingiallite, alla ricerca di soluzioni, ma vengo interrotta da qualcuno che si schiarisce la voce, per attirare la mia attenzione.
Alzo lo sguardo dal libro e mi accorgo di una ragazza davanti a me, dal lato opposto del tavolo. La sua figura è slanciata e formosa, con un fisico da super modella. I capelli biondissimi sono raccolti in una coda alta e sotto le ciglia, rese più lunghe dal mascara abbondante, spiccano due iridi castane, venate di verde.
Soltanto poco dopo noto che la sua divisa è diversa da quella che ho visto sui Guerrieri che ho incontrato finora. Porta una minigonna blu, che copre il minimo indispensabile; i primi tre bottoni della camicetta bianca sono slacciati e aperti in una scollatura ampia, che non lascia spazio all'immaginazione. Non indossa il gilet, ma un paio di scarpe dal tacco alto.
«Smettila di fissarmi o mi consumerai» esordisce con un ghigno.
Accigliata, guardo in ogni direzione, come per assicurarmi che si stia davvero rivolgendo a me.
«Dico a te!» esclama, sbuffando irritata. «Volevo farti una domanda, in realtà.»
Sollevo un sopracciglio, intimandole con lo sguardo di parlare. Non mi piace il tono di voce che utilizza, tantomeno il modo in cui i suoi occhi mi squadrano. Come se fossi inferiore.
«Sei tu la famosa ragazza che Emily ha portato qui, stanotte?»
«Sì, sono io» rispondo, cominciando a innervosirmi. «Perché?»
«Oh, niente di che. È solo che non capisco perché Emily abbia fatto entrare nella nostra scuola una come te.»
«"Una come me"?» ripeto, senza capire cosa intenda.
«Sì. Un'inutile umana.»
Un fastidio crescente mi monta dentro, macchiandomi di rosso le guance. «Se sono entrata significa che tanto umana non sono, no?» ribatto, inviperita. È la prima volta che ammetto ad alta voce di essere diversa da ciò che credevo, e quelle parole hanno un sapore spiacevole, sbagliato, ma pur sempre vero.
La ragazza sembra non apprezzare la mia considerazione. «Mi rifiuto di pensare che una qualsiasi, pescata da una squallida strada di New York, abbia in sé del sangue arcandido.»
Ormai al limite, mi alzo dalla poltrona e la raggiungo. La fronteggio, nonostante mi superi di una decina di centimetri.
«Beh, credici. Ma non vi insegnano la gentilezza, in Accademia?»
«I Guerrieri non sono gentili» afferma, tirandomi un'occhiata torva. «Sono spietati.»
«Quanto la fai lunga, Tiffany» interviene una seconda voce, proviene da dietro.
Sento una mano posarsi sulla mia spalla e, voltandomi, incontro gli occhi blu elettrico di Emily, che mi affianca.
«Ti stavo cercando. Voglio presentarti una persona» mi riferisce la Guerriera. Sposta l'attenzione sulla bionda. «Tiffany, perché non torni in classe e la lasci stare?»
La diretta interessata muove un paio di passi felpati ed eleganti, degni di una vera combattente silente, in direzione di Emily. Sono alte ugualmente, perciò le loro iridi si scontrano e si fulminano.
«Non prendo ordini da chi si diverte a spezzare i cuori altrui» sibila Tiffany, sorridendo in modo cattivo. Un sussurro debole, ma che sembra aver colpito Emily nel profondo, a giudicare da come si rabbuia l'oceano scuro dei suoi occhi.
«Bridget, andiamocene» mi incita, senza rispondere l'allusione della ragazza. «Stiamo solo perdendo tempo, qui.»
Si incammina verso l'uscita, dopo aver buttato un altro sguardo velenoso a Tiffany, che viene ricambiato da quest'ultima. Seguo Emily fuori dalla biblioteca.
«Chi era, quella?» le domando, una volta in corridoio.
«Tiffany Campbell, diciassette anni, ragazza più insopportabile dell'Accademia. Ti consiglio di starle lontana. Crede di essere superiore a tutti e non fa altro che prendersela con le prime persone che le capitano a tiro. Cerca di ignorarla» mi consiglia.
«Chi vuoi farmi conoscere?»
«Un amico» dice semplicemente, scrollando le spalle.
«Ho l'impressione che mi detestino tutti» confesso. Ogni Guerriero che ho conosciuto sembrava in procinto di pugnalarmi, compresa Emily.
«Io non ti odio, è solo che mi diverti. Non succede spesso di avere nuove arrivate completamente inesperte. Anzi, non succede mai. Tiffany, invece, è una stronza e basta. Probabilmente ha paura che le rubi la scena. È abituata a essere la reginetta della scuola, sai.»
«E Mason?» investigo, un po' esitante.
«Mason è soltanto... incomprensibile. Tu cerca di non stargli addosso, okay? Non è così antipatico come sembra, ma è un lupo solitario. Capisci?»
«Veramente no» mormoro. Non riesco a comprendere niente, di quel ragazzo.
«Nemmeno io, tranquilla. Ti abituerai presto al nostro caratterino. Comunque, non preoccuparti, perché sto per presentarti il Guerriero più simpatico dell'intera Accademia. Lo adorerai» comunica, con un certo entusiasmo e una stramba luce nello sguardo blu.
Proseguiamo per il corridoio, svoltando un paio di angoli e attraversando l'atrio immerso nei raggi solari. I quadri e i bagliori delle lampade ci accompagnano.
Emily mi guida fino a una porta doppia. Ne spinge i battenti e veniamo travolte da calore e fracasso di voci. Capisco subito dove ci troviamo.
Questa ha tutta l'aria di essere una mensa scolastica.
Spazio Autrice
Prima impressione su Tiffany? Immagino che non vi stia molto simpatica, giusto? Vedremo se si presenterà in modo più positivo, nei prossimi capitoli. Ricordate che l'apparenza inganna sempre. In ogni caso, chi sarà il Guerriero che Emily vuole presentare a Bree?
Piccola domanda: cosa ne pensate della storia, finora? Spero davvero che vi stia appassionando, anche se siamo solo al decimo capitolo. E non temete, perché presto entreremo completamente nel mondo dei Guerrieri.
Vi saluto e ci troviamo nel prossimo capitolo!
Xoxo💄
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