1. Lo Specchio di un Incubo
Bridget
Onde di terrore si infrangono sugli scogli dorati delle mie iridi. Un mare di stanchezza e frustrazione che si increspa in rigide venature esauste, riflesse nello specchio ovale.
La ragazza che occupa la superficie di vetro sembra stremata. Nei suoi occhioni bicolore galleggiano emozioni spaventate e confuse. I suoi capelli sono più disordinati del solito.
Quella ragazza è Bridget Stewart, reduce di un altro incubo.
Quella ragazza sono io.
Appoggiando i palmi sul gelido bordo del lavandino, accosto il volto allo specchio, quasi fino a sfiorare la lastra con la punta del naso.
Mi osservo. Mi osservo senza capire. Senza trovare una spiegazione, un motivo logico.
Sono così vicina alla superficie riflettente che potrebbe inglobarmi, catturarmi e imprigionarmi dietro sbarre di vetro, al fianco del mio riflesso.
Sbuffo, allontanandomi dallo specchio. Distolgo lo sguardo da me stessa, arrabbiata e stordita. Non riesco a darmi una risposta, uno straccio di spiegazione. Un senso.
Abbasso gli occhi sul ripiano di marmo del lavello, dove è posata la mia spazzola. La afferro e cerco di ordinare le ciocche arruffate della mia lunga e mossa chioma. Pettino i capelli, di un brillante color rame, sciogliendone i nodi.
Un improvviso trillo, proveniente dalla camera da letto, blocca i miei movimenti. Ripongo la spazzola sul ripiano ed esco dal piccolo bagno piastrellato.
Sul comodino, il mio cellulare squilla, indicando l'arrivo di una chiamata. Il display recita il nome di Katherine. Mi siedo sul letto e accetto la telefonata.
Vengo immediatamente travolta dal timbro acuto della mia migliore amica. «Sei ancora in vita, tesoro? Ti stiamo aspettando da più di mezzora. Dove accidenti ti sei cacciata?»
«Non c'è bisogno di strillare, Kath» la rimprovero, abbassando di qualche tacca il volume del telefono. «Vuoi farmi diventare sorda?»
«Sei in ritardo» dichiara in tono grave. «Di nuovo.»
«Tra dieci minuti sono da voi, okay?»
«Va bene, ma sbrigati. Dobbiamo parlare. Ti voglio qui al più presto.»
Trattengo un risolino davanti al suo atteggiamento perentorio. «D'accordo, capo.»
Katherine chiude la chiamata. Magari, un giorno, la sua vena da dittatrice si sgonfierà. Un giorno lontano, sicuramente.
Controllo l'orario e appuro che la mia migliore amica aveva ragione: tra quindici minuti comincerà la prima lezione della giornata. Balzo giù dal letto, già vestita, e carico lo zaino in spalla.
Mi precipito fuori dalla mia stanza e scendo rapidamente la scalinata che conduce al piano inferiore. Poso il piede sull'ultimo gradino e rischio di inciampare sui lacci delle scarpe, che ho scioccamente dimenticato di legare. Stringo una mano intorno alla ringhiera, alla quale mi tengo, evitando una rovinosa caduta, e mi maledico mentalmente per essere così sbadata.
Una risata mi giunge alle orecchie. «Hai ritrovato l'equilibrio, sorellina?»
Alzo lo sguardo su Matthew, che sosta alla fine della rampa. Non si sforza neanche di soffocare il ridacchiare derisorio.
«Non ridere, idiota.» Lo fulmino con un'occhiata stizzita. «Avrei potuto rompermi un piede.»
Mio fratello rotea gli occhi, borbottando un "esagerata". Scendo da quel dannato scalino e lo sorpasso.
Le sue dita mi artigliano il braccio e mi immobilizzano. Mi costringe a guardarlo in faccia, e i suoi occhi verdi si incastrano nei miei, scrutandomi con preoccupazione. Studia il mio viso pallido, provato dalle nottate trascorse in bianco.
«Incubo?» mi chiede in un mormorio apprensivo, comprendendo al volo la causa della mia visibile stanchezza.
Mi limito ad annuire, svincolandomi dalle sue iridi di smeraldo. Non me ne accorgo nemmeno, ma nel giro di un secondo sono intrappolata tra le braccia possenti di mio fratello, che mi stringe forte a sé.
«Se hai bisogno di aiuto, ci sono» mi sussurra dolcemente all'orecchio.
«Grazie» bisbiglio di rimando, espirando tutto lo sconforto che mi attanaglia.
Matthew è l'unico a cui ho parlato delle visioni oscure che disturbano il mio sonno. Mi sono sfogata solo con lui: mio fratello è la mia ancora di salvezza. Senza il suo sostegno, sarei affondata nel buio in cui barcollo da settimane.
È da un mese che lo stesso, terribile sogno mi tormenta. Non riesco a liberarmene. Ogni notte mi sveglio di soprassalto con il respiro strozzato, il corpo sudato e tremante, i capelli appiccicati alla fronte e una sensazione di gelo opprimente, che mi schiaccia il petto come un macigno.
La mattina seguente, poi, trascorro una quantità spropositata di tempo dinanzi allo specchio del bagno. E non per coprire le occhiaie, spesse e nere, o per darmi una sistemata. Semplicemente, osservo il mio riflesso.
Non so perché lo faccio: ormai, è un rituale. È come se sperassi di ricevere una risposta dal vetro. Come se, guardandomi, riuscissi finalmente a capire chi sono loro. Chi sono io.
Ma non funziona. A parte rimandare la mia immagine, il mio personale specchio-spiega-incubi non sa fare altro. È un'inutile, monotona lastra riflettente.
Mi districo dall'abbraccio e sorrido con riconoscenza a Matthew. Lui ricambia, incurvano amorevolmente le labbra e scoccandomi un bacio sulla fronte.
Sentiamo dei passetti correre nella nostra direzione. Dalla porta scorrevole del salotto, sbuca Elena, in tutta la sua bellezza e innocenza da bambina di cinque anni. I suoi enormi occhi verdi ci fissano, risaltando sul viso macchiato di lentiggini, spruzzate sul nasino e sulle guance.
«Mamma ha detto che dovete muovervi o farete tardi a scuola» ci riferisce, tentando di risultare seria e responsabile, nonostante la vocina squillante.
«Arriviamo, Lenny» dice Matt, scombinandole affettuosamente i capelli rosso fuoco.
Elena storce il naso ed emette un urletto. Temendo che Matthew possa ancora importunarla, scappa in cucina. La sua chioma color cremisi oscilla, fluttuandole dietro la nuca mentre corre, e la rende simile a un fuocherello mosso dal vento, una fiamma che danza e si espande.
In casa Stewart siamo tre fratelli. Elena è la più piccola; Matthew, con i suoi diciotto anni, è il maggiore.
Raggiungiamo la cucina. Scorgo nostra madre appoggiata con la schiena al bancone, il telefono schiacciato contro l'orecchio destro e un'espressione desolata stampata sul viso. Non presto attenzione alle frasi che pronuncia, ma solo al suo tono triste.
«Sta parlando ancora con papà» mi informa mio fratello.
«Litigando, vorrai dire» lo correggo.
Ignoro la discussione telefonica dei miei genitori e raggiungo il portone d'ingresso, senza salutare la mamma. Matthew mi segue. Usciamo di casa e sbatto con troppa enfasi la porta, quasi a voler scaricare tutto il nervosismo che ho in corpo.
«Ti accompagno io?» mi domanda Matt, montando in sella alla sua motocicletta nera
«No, vado a piedi. Kath e Henry mi stanno aspettando.»
Gli volto le spalle e mi incammino, salutandolo distrattamente. L'aria fresca di metà settembre si mangia le proteste di mio fratello, a cui non faccio caso. Ho bisogno di una camminata. Da sola, con l'esclusiva compagnia del frastuono newyorkese.
Ecco, la giornata che mi ha cambiato la vita è iniziata così. Con la telefonata della mia migliore amica, un mucchio di dilemmi a cui non sapevo dare risposta e una passeggiata verso scuola.
Solo molte ore dopo avrei scoperto che, ad attendermi, ci sarebbe stato un vero e proprio inferno.
Spazio Autrice
Eccovi il primissimo capitolo della mia primissima storia! È da un po' che cercavo il momento giusto per pubblicarlo, e sono felice di esserci finalmente riuscita. Voglio ringraziare tutte le persone che si sono fermate a leggere questo piccolo inizio, e ancor di più chi vorrà seguirmi in questa avventura.
In questo capitolo conosciamo la protagonista indiscussa de Il Segreto della Dinastia: Bridget Stewart. Vi farà compagnia per molto tempo, quindi spero che vi possiate affezionare a lei.
Prima opinione sul prologo e sul capitolo uno? Se vi fa piacere, lasciatemi un commento con i vostri pareri e una stellina.
Xoxo🥀
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