Capitolo 9: Ginocchio




Si allontana sorridendomi, mentre la mia gola rimane serrata e i polmoni faticano a prendere l'aria. Il ginocchio sotto il tavolo, ormai libero, pulsa per il dolore e sono certa che se gli dessi un'occhiata scoprirei che non ha più il colore roseo della mia carnagione, ma piuttosto un viola in stile Tinky Winky dei Teletubbies.

All'improvviso si alza e butta sul tavolo un tovagliolo bianco.

«Mi sono stancato. Daniel ti riporterà a casa!» esclama per poi andarsene.

Non appena Lestat Defendi scompare dalla mia visuale, i miei polmoni riprendono a funzionare. Indietreggio leggermente con la sedia e tolgo la stoffa che copre il ginocchio per vedere in che condizione è, visto che il dolore è sempre più forte.

«Cazzo!» esclamo a bassa voce, vedendo il gonfiore e l'ematoma viola.

«Andiamo?» chiede qualcuno. Alzo la testa di scatto e al mio fianco vedo Daniel in piedi.

«Daniel» mormoro imbarazzata.

Lui adora Lestat... Come glielo dico?

«Non posso camminare. Puoi portarmi in braccio?» domando a voce bassa.

Lui mi guarda confuso e senza fare domande mi prende sotto le gambe come se fossi un foglio di carta.

«Grazie» mormoro.

Arrivati alla macchina, apre la portiera del passeggero e mi fa accomodare cautamente. La chiude e partiamo dopo meno di un minuto.

«Come te lo sei fatta?» chiede Daniel all'improvviso.

«Che cosa?» chiedo rimanendo sul vago.

«Quella botta al ginocchio» indica con un cenno del capo, senza distogliere gli occhi dalla strada.

«Non è niente» dico cercando di nascondere l'ematoma con il vestito. Daniel ringhia e mi fa sussultare.

«Come te lo sei fatta?» ripete il mio compagno di classe vampiro.

«È stato Lestat» dichiaro.

Silenzio. Non risponde. Le sue dita stringono forte il volante e i suoi occhi diventano piccoli, quasi come delle fessure.

«Dobbiamo medicarla» sospira dopo qualche minuto.

Guardo di sfuggita l'orario sul cruscotto e trattengo il respiro. «Non portarmi a casa, ti prego» lo supplico.

Mia madre da il peggio di sé a quest'ora della notte e stasera non penso di poter sopportare un altro dei suoi teatrini.

«Portami ovunque, ma non a casa mia» dichiaro.

Dopo circa quindici minuti, Daniel parcheggia davanti al Cimitero Monumentale.

«Avevo detto ovunque, ma questo non rientra...» mormoro spaventata.

Se dovessimo incontrare Lestat?

Daniel scende dall'auto e, sempre con una velocità pazzesca, mi prende in braccio.

«Non preoccuparti. Lestat è andato a prendere i rifornimenti alla banca del sangue» mi informa il mio compagno di classe vampiro.

Faccio un sospiro di sollievo, mentre Daniel continua a camminare. Con un balzo superiamo il cancello e a velocità impressionante raggiungiamo una panchina, sulla quale il mio compagno di classe mi appoggia con delicatezza.

«Scusa, non ci avevo pensato» mormora.

«A cosa?»

«La velocità dei vampiri può creare delle bolle d'aria nei polmoni degli umani. Ti senti bene?» chiede Daniel posandomi una mano sulla spalla.

«Sì, sto bene» rispondo.

Lui mi guarda accigliato e scuote la testa. «Vado a prendere un kit di primo soccorso. Rimani qui.»

«Se anche volessi andarmene, non ci riuscirei» ridacchio.

Daniel scompare nel buio del cimitero, lasciandomi sola tra diverse tombe e sotto a due lampioni che donano al luogo un'aria inquietante.

«Com'è andato l'appuntamento?» chiede una vocina sottile.

Sobbalzo e mi volto verso il punto da cui ho sentito provenire la voce.

Francesco è in piedi a pochi metri da me e gioca con i sassolini senza spostarli.

«Dove sei stato?» bisbiglio preoccupata.

«Dovevo capire...»

«Che cosa?» domando.

«Quando eravamo nell'auto e hai detto quel nome... Daniel Micio... Mi ha lasciato una strana sensazione nel petto, ma non ho ancora capito da dove provenga... Potresti provare a pronunciare il mio nome e vedere come reagisce...»

«Con chi stai parlando?» Daniel riappare dal buio e mi spaventa.

«Mi hai spaventata a morte» dichiaro mettendomi una mano sul cuore.

«Con chi stai parlando?» ripete il mio compagno di classe.

«Con nessuno» affermo. Sposto lo sguardo sul bambino fantasma, che si trova dietro a Daniel, e aggiungo, guardandolo negli occhi: «Va bene, lo farò.»

«Che cosa farai?» chiede il mio compagno di classe, sedendosi vicino a me.

«Stavo parlando tra me e me» sostengo.

«Va bene» mormora Daniel.

Mi prende delicatamente il ginocchio e lo fascia con attenzione. Sospira e, terminata la medicazione, dice: «Penso che delle scuse siano d'obbligo. Lestat non avrebbe dovuto farlo.»

«Perché fai il gentile, adesso?» ribatto.

«Chiedigli di me» afferma il bambino fantasma.

«Perché Lestat non avrebbe dovuto farlo» ripete Daniel.

«Ma l'ha fatto!» esclamo con tono serio.

«Chiedigli di me» insiste Francesco.

«Non avrebbe dovuto» ringhia il mio compagno di banco. «Si sta comportando diversamente da quando ti ha vista...»

«Quindi è per questo che tu e Adriel insistete con la nostra unione?» chiedo.

«Sì. Siamo preoccupati...»

«Ci tenete molto a lui...» constato.

«Sì, Lestat è come un padre per noi» afferma.

«Sei stato trasformato anche tu da lui?»

Annuisce.

«Ti va di raccontarmelo?»

«Perché dovrei? Non siamo amici» borbotta Daniel.

«Come no?» chiedo fingendomi sbalordita. Lui ride.

«Sono nato nel 1925 a Milano. Ero il terzo figlio di una famiglia benestante e ce la passavamo bene, ma nel 1944 l'Italia stava perdendo la guerra, così chiamarono alle armi altri giovani e se ti rifiutavi venivi fucilato» spiega.

«Sei dovuto entrare nell'esercito? Ma quanti anni avevi?»

«Ne avevo diciannove» risponde.

«Ma la leva non iniziava al compimento del ventesimo anno?»

«In passato le cose andavano in modo diverso... Anche se l'età prestabilita era vent'anni, la necessità superava la legge...»

«Ma non era giusto!» esclamo.

«Che cosa è giusto nella vita?» ribatte.

«Non lo so, ma c'è una soluzione a tutto» affermo decisa.

«Posso andare avanti?» sogghigna.

Annuisco.

«Arrivato al fronte, alla linea gotica, durai poco più di due giorni. Le formazioni che Mussolini aveva instaurato nel paese erano inutili in guerra... Fui colpito alla spalla da un soldato americano e portato in infermeria. Lì incontrai Lestat: trasformava solo coloro che riteneva degni

«In che senso degni

«C'era una certa mentalità contorta e fascista all'epoca» constata. «Così Lestat valutava se fosse il caso di trasformare i feriti.»

«E lasciava morire gli altri?» domando accigliata.

«No. Non si è mai considerato un dio. Li curava come se fosse stato un medico umano e chi era forte sopravviveva» risponde.

«Non si era mai considerato un dio» ribadisco e Daniel sospira.

«È cambiato. Non so perché... So che ha provato l'amore e poi... puff! Si era rifugiato in una villa nei dintorni di Milano... Anche suo fratello ha provato a farlo ragionare, e quando è tornato a Milano non era più la stessa persona...» spiega.

«Aspetta! Hai detto fratello?» lo interrompo. «Intendi un vero fratello?»

«Lestat è l'unico originale ad avere un fratello. Sono gemelli eterozigoti.»

Lestat mi ha detto il contrario... Mi ha mentito...

«So che non devo interrompere, ma provi a chiedere di me?» domanda Francesco.

«E il gemello di Lestat ha qualche potere?» chiedo.

«Nessuno. Per questo non vanno d'accordo: Tancredi è geloso» afferma Daniel.

«Si chiama Tancredi?» esorto.

Il mio compagno di classe annuisce, mentre Francesco fa un colpo di tosse per richiamare la mia attenzione.

«Quindi anche in questo caso Lestat si è dimostrato una brava persona...» mormoro tra me e me. «Daniel, tu ricordi qualcosa della tua vita prima che diventassi un vampiro?»

«Relativamente poco» ammette scuotendo il capo.

«Avevi degli amici? Andavi d'accordo con la tua famiglia?»

«Non avevo amici» afferma severamente. A questa frase il bambino fantasma si avvicina al mio compagno di classe e lo fissa senza dire una parola.

«Perché?» chiedo.

«Non sono affari tuoi» ribatte Daniel.

«Siamo amici, puoi dirmi tutto» insisto.

Lui guarda il vuoto nero della notte e sospira. «Quando avevo undici anni... un mio amico è morto...» dice a fatica.

Scuote la testa frustrato, si alza e cammina avanti e indietro per qualche secondo. Improvvisamente si volta verso di me e con velocità da vampiro mi prende in braccio e inizia a correre.

«Dove mi stai portando?» chiedo, ma ci fermiamo subito. Mi fa scendere, facendomi da stampella, e accende la torcia del suo cellulare puntandola verso una tomba grigia con una statua della Madonna sporca di muschio, una scritta che non riesco a comprendere e un'immagine in bianco e nero al centro.

«Si chiamava Francesco Schillaci ed era mio amico» sussurra.

«Avevi detto di non avere amici» constato a bassa voce.

«Lui è stato l'unico. L'eccezione alla regola.»

«Che cosa gli è capitato?» domando. Subito dopo vedo apparire sulla tomba Francesco, il bambino fantasma che vedo solo io.

«Stavamo giocando al parco. L'avevo perso di vista, quando sentii un grido. Era una signora a urlare: aveva visto Francesco morto a terra, dopodiché si era alzato ed era andato via. Ho aiutato la famiglia a cercarlo e alla fine il corpo fu rinvenuto nella fontana del Castello Sforzesco. Da quel giorno non ho più voluto avere amici... Adriel è stata la prima dopo tanto tempo...»

«Deve essere stata dura per te...»

«Lo è stato per tutti» afferma.

«Si è mai capito come è morto il bambino?» domando.

«È stato un Akira... Gli ha rubato l'anima» risponde.

«È per questo che sei voluto entrare nella squadra Scutom?» chiedo.

«In parte...» sussurra.

«Come ha reagito la famiglia del bambino?»

«Come credi abbia reagito? Ha fatto il funerale ed è dovuta andare avanti...» mormora Daniel. «Adesso è meglio che ti riaccompagni a casa!»

Mi prende di nuovo in braccio e si incammina verso l'uscita, che vede solo lui, mentre Francesco rimane seduto sulla sua tomba. Lo guardo, ma lui non ricambia. Non si muove e quando Daniel sta per svoltare l'angolo, Francesco alza la testa e sorride. «Grazie per avermi aiutato» dice il bambino fantasma.

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