Capitolo 8: Forse non hai capito bene

Non me l'aveva nemmeno chiesto, l'aveva soltanto preteso. Come può Lestat Defendi appropriarsi della mia vita in questo modo? Perché glielo lascio fare?

Ho fatto entrare Adriel alle cinque in punto, come aveva detto il capo del Clan d'Europa, e adesso sono le 19:30. Manca mezz'ora all'appuntamento e la mia amica vampiro non mi ha ancora detto che vestito devo indossare e dove mi porterà. Siamo rimaste in silenzio per tutto il tempo e ci siamo salutate a malapena: il suo volto era impassibile, il mio imbarazzato.

All'improvviso la porta della camera di mia madre si spalanca e compare lei sulla soglia, con una crosta di bava sulla guancia sinistra e i capelli in disordine.

«Demetraaaaa!» urla mia madre, reggendosi a malapena in piedi. Cerca di aprire gli occhi e mi sorride. «Perché ti stai facendo così bella? O meglio, per chi?» biascica.

«Mamma, torna a letto» dico con tono autoritario.

Mia madre, Martina De Rosa, barcolla in avanti e va a sbattere contro il dorso del divano.

«Mamma» la ammonisco. «Scusami, Adriel. Devo rimetterla a letto.»

Mi alzo dalla sedia e vado verso mia madre, ma lei si volta con uno scatto fulmineo e mi tira uno schiaffo, facendo risuonare lo schiocco per tutta la casa. Mi guarda in faccia con occhi furenti, aggiungendo: «Mi fai schifo!». Inizia a sputarmi in faccia e a tirarmi calci che schivo a fatica. Nel frattempo tento di afferrarla per le spalle e portarla nella sua camera da letto.

Improvvisamente mia madre mi butta a terra, facendomi sbattere la testa contro il tavolino dell'ingresso, e borbotta parole a caso. Adriel va al suo fianco e la prende con leggerezza, sistemandola nella sua stanza e chiudendo la porta. La mia amica vampiro si avvicina a me, ancora a terra, e mi tende una mano cercando di nascondere un timido sorriso. La afferro e torniamo dove eravamo rimaste: al trucco.

Adriel mi gira intorno, cambiando pennelli e cosmetici, e poi passa ai capelli.

«Fa sempre così?» chiede all'improvviso la mia amica.

«Quando è in astinenza...» confesso. «Prima ho visto prima che ha finito di nuovo tutte le birre. Erano sparse sul pavimento...»

«Ho visto.»

Silenzio. Di nuovo silenzio.

«Grazie per averla messa a letto» sussurro, ma Adriel non risponde. Percepisco, però, un sorriso.

«Sta sorridendo» dice una vocina ormai a me cara. Lo cerco con lo sguardo e vedo il piccolo Francesco giocare sul mio divano.

«Quanto siete orgogliosi voi giovani?» borbotta Francesco incrociando le braccia al petto.

Aspetta... Lui non sa che lei è un vampiro? Guardo confusa il bambino fantasma, finché non spalanca la bocca e fissa Adriel.

«Che cosa c'è?» domando involontariamente.

«Cosa?» ribatte la mia amica alle mie spalle.

«Niente» rispondo.

«Lei è un vampiro!» esclama il bambino. «Finalmente ne incontro uno. Ne ho sentito parlare così tanto che credevo fossero leggende metropolitane, ma adesso è qui!»

«Ho finito» afferma Adriel.

«Grazie» dico senza guardarmi allo specchio.

La mia amica prende la sua borsa, raccogliendo tutti gli oggetti che ha lasciato in giro, e mi saluta. «Ci vediamo a scuola».

«Ci vediamo a scuola» ripeto triste chiudendo la porta. «Aspetta un secondo...» mormoro tra me e me. «Il vestito...» Vado in ansia.

«Te l'ha lasciato sul divano» mi informa Francesco.

«Grazie mille» sussurro. Mi siedo sulle ginocchia, prendo la scatola bianca e la apro. Tolgo le veline di carta e rimango senza fiato: è un magnifico vestito corto blu di Louis Vuitton.

Un pesante scatto mi fa sussultare. Alzo lo sguardo e vedo di nuovo mia madre sulla soglia: «Con chi vai a letto? Io non ti ho dato di certo i soldi per comprarti un vestito di quella marca».

«Non vado a letto con nessuno. Adesso torna a letto» ribatto.

Lei mi guarda con disprezzo e torna nella sua stanza, ma prima di chiudere la porta dice: «Di' al tuo amico di comprarmi delle birre. Le ho finite e non ho voglia di uscire. Per stasera penso di ordinare un Glovo, ma domani mattina ne voglio altre.»

Mia madre chiude la porta, lasciando l'atmosfera carica di odio e disprezzo.

Demi, è solo ubriaca. Fa' un respiro profondo e passaci sopra.

«Dovresti metterti il vestito. È quasi giunta l'ora,» dichiara Francesco a voce bassa.

«Hai ragione» concordo annuendo. Prendo il vestito, vado in bagno e me lo metto. Alzo gli occhi e mi guardo allo specchio: Adriel si è mantenuta neutrale sia nei capelli, con un'acconciatura basica, sia con i cosmetici, usando tonalità di marrone che si adeguano alla mia carnagione.

«Sei bellissima.»

Alle mie spalle compare Francesco, che si siede sul gabinetto e mi guarda.

«Va bene che sei un fantasma, ma anche io ho la mia privacy» rispondo fingendomi seccata.

«Scusa» sussurra il bambino facendo finta di coprirsi gli occhi.

«Sono pronta, comunque.»

«Si vede» dichiara Francesco guardandomi dall'alto al basso.

«Sei un bambino» ripeto per non farmi venire in mente pensieri disgustosi.

«Posso farti una domanda?»

«Anche due» ridacchio.

«Hai detto di volermi aiutare, ma anche tu hai dei problemi...»

«Sono dei problemi solo se tu li vedi tali» dichiaro.

«La tua mamma... beve un po' troppo... Da quanto lo fa?»

«Da quando mio padre l'ha tradita e ci ha abbandonate.»

«Quanto tempo fa è successo?» chiede Francesco.

«Nel 2013.»

«È passato molto tempo... Tua madre è una persona violenta?»

«Solo quando è in astinenza» spiego.

«Ti ha mai fatto del male?» esorta il bambino.

«Mai niente di serio» ammetto nello stesso istante in cui si sente il campanello dell'appartamento.

«È arrivato!» esclamo emettendo un grosso respiro per farmi coraggio.

«Sembra un bel ragazzo...» mormora Francesco dopo essere scomparso e riapparso in pochi secondi. «È lui l'uomo del biglietto? È lui Lestat Defendi? È anche lui un vampiro?» continua esaltato.

«Ora non possiamo più parlare, Francesco» sussurro.

«Io sarò la tua ombra» afferma come un soldatino.

Ridacchio ed esco dal bagno.

Rivolgo uno sguardo furtivo alla porta chiusa della stanza di mia madre e, dopo essermi preparata psicologicamente e aver preso il cellulare, apro quella d'ingresso. Con uno sguardo freddo, Daniel mi aspetta in giacca e cravatta.

«Ciao» mormoro.

Non risponde.

«Quanto è burbero questo Lestat!» esclama a gran voce Francesco alle mie spalle.

Mi volto verso di lui e lo ammonisco con lo sguardo, cercando di non ridere.

Vedremo cosa dirai, Francesco, dopo aver visto il vero Lestat...

Prendiamo l'ascensore e usciamo dal palazzo: una macchina nera, molto probabilmente la stessa dell'altra volta, ci sta aspettando.

Daniel, rigido, mi apre la portiera. Entro in macchina facendo attenzione al vestito e attendo di sapere il luogo dell'incontro con il vero Lestat.

La macchina parte e Francesco, seduto al mio fianco, borbotta: «È proprio taciturno.»

Trattengo una risata e su Whatsapp digito: «Lui non è Lestat. È solo un suo... servitore (?).»

«Quindi non è lui?» domanda il bambino fantasma.

«Esatto» scrivo sul cellulare.

«Ha un volto familiare... Come si chiama?» chiede Francesco.

«Daniel Micio che fa da autista, non me lo sarei mai aspettato» dico a voce alta, rispondendo al mio amico invisibile.

«Si chiama Daniel?» esorta.

Annuisco debolmente.

«Non ci credo...» mormora agitato.

Digito: «Che cosa?»

«Daniel... È proprio lui...» sussurra Francesco.

«Siamo arrivati» dichiara Daniel tirando il freno a mano.

Guardo fuori dal finestrino e vedo la galleria Vittorio Emanuele a pochi passi dalla macchina.

«Cosa ci facciamo qui? Oddio, siamo in Duomo in macchina!» squittisco sorpresa.

Daniel mi apre la portiera ed esco guardandomi in giro: le persone mi fissano perché sono appena uscita con un vestito di lusso da una macchina ancor più costosa, che mi ha lasciato direttamente all'entrata della galleria.

«Seguimi!» esclama educatamente Daniel, voltandosi e facendomi strada.

«Dove stiamo andando?» domando.

I colori arancioni dei fari che illuminano la galleria conferiscono un'atmosfera romantica alla città...

Saliamo le scale e arriviamo davanti a una porta in vetro. Dall'altro lato, un cameriere la apre e ci dà il benvenuto. Il mio compagno di classe si avvicina a lui e gli sussurra qualcosa che non capisco. Con lo sguardo cerco Francesco, che sembra essere scomparso.

«Signorina, mi segua, per favore» mormora il cameriere senza guardarmi negli occhi.

Faccio un passo in avanti e noto che Daniel è immobile. Non viene?Scuoto la testa e proseguo: raggiungiamo una terrazza. Nell'esatto momento in cui metto piede all'esterno, gli occhi di Lestat si posano su di me, mentre i miei sono impegnati a osservare il contrasto tra il bianco della cattedrale e il nero della notte.

Mi avvicino al tavolo e sorrido timidamente. Lestat indossa un completo rosso senza cravatta e una camicia. Il suo viso pare sereno.

«Ciao» mi saluta alzandosi.

«Ciao» mormoro guardandolo negli occhi.

Ecco. Di nuovo. Quella sensazione. Un brivido mi attraversa la schiena e mi fa tremare, mentre lo stomaco inizia a rivoltarsi.

Accavallo le gambe e distolgo lo sguardo.

«Ci sei mai stata in terrazza?» chiede con un sospiro felice.

«No» ammetto. «Ma ho sempre desiderato farlo.»

«Sono felice di aver soddisfatto una tua fantasia» dice con un soffio.

Sorrido.

«Come stai?» domanda Lestat sedendosi al mio fianco.

«Non c'è male» rispondo.

«Anche io sto bene. Grazie per avermelo chiesto... Vogliamo ordinare?» propone.

Annuisco e alla velocità della luce compaiono sul nostro tavolo due bicchieri di spritz, due fette di arancia e due cannucce nere.

«Io non bevo» dichiaro acidamente.

Lestat mi guarda e storce il naso. «Una Coca Cola con ghiaccio?»

«Va bene» ribatto e la mia ordinazione appare sul tavolo. «Questa terrazza è piena di vampiri?»

«No» ridacchia il capo del Clan d'Europa. «È di proprietà dei vampiri, ma ci sono esseri umani comuni.»

«Ma possiamo parlare?» mugugno.

«Hai altre domande?» rimanda Lestat.

«Ne ho tante» dichiaro.

«Avanti, sono qui apposta» afferma allargando le braccia.

«Hai detto di essere il capo del Clan d'Europa. Ci sono altri capi per gli altri continenti?»

«Sì, uno per ciascun continente. In teoria...» spiega.

«In che senso in teoria?» chiedo.

«Sarebbe lungo da raccontare...»

«Sono qui apposta» ripeto sogghignando.

«Va bene...» sospira. «Io sono il Capo del Clan d'Europa. In Africa c'è Zaire, in Asia Alexander, in Oceania c'era Mirea e in America Viktor.»

«Perché per l'Oceania e per l'America hai usato il passato?» esorto confusa.

«Perché sono morti» risponde.

«Come?»

Lestat alza debolmente l'angolo destro della bocca formando quasi un sorriso, come se godesse per la loro morte, e continua: «Sono stati attaccati da alcuni Akira.»

«Stavano insieme?»

«Sì» ammette seccato.

«Quindi gli Akira possono uccidere i vampiri?» domando.

«Tutti possono ucciderci. Basta semplicemente spingere un paletto di legno ben affilato sul nostro petto e, come per magia, ci secchiamo per poi diventare polvere al vento.»

«Potete morire solo con i paletti di legno?» insisto.

«È il metodo più efficace» dichiara facendo spallucce.

«Ritornando ai capi...» mormoro, «Mirea e Viktor sono morti... Chi tiene sotto controllo i loro continenti?»

La sua faccia diventa cupa. «Alexander» ringhia.

«Solo lui? Perché?» esorto.

«Perché è il più... è il più forte» sussurra a denti stretti.

Lo sta dicendo come se fosse geloso di lui... Non voglio entrare nell'argomento avidità, però...

«Perché sarebbe il più forte?»

«Perché controlla i quattro elementi naturali: fuoco, terra, acqua e aria» sbuffa Lestat.

«È l'unico ad avere un potere?» chiedo.

«No, ma il suo è più forte degli altri da un certo punto di vista...»

«Chi altro possiede un potere?»

«Solo le famiglie originali...»

«Che sono i Capi dei continenti, giusto?» lo interrompo. Lestat annuisce seccato.

«Spiegami queste cose da originali...»

Lui alza gli occhi al cielo e apre la bocca come se dovesse rimproverarmi per qualcosa, ma rimane in silenzio per qualche secondo. «Quando l'uomo fu creato, anche gli animali e le creature sovrannaturali come noi vennero plasmate e inserite nel mondo. Per i vampiri vennero modellati cinque individui, ciascuno per ogni continente e tutti con dei poteri particolari, i quali a loro volta provarono l'amore verso alcuni umani, e si riprodussero così facendo. Finché non si arrivò a come siamo oggi. Ciascuna coppia era in grado di partorire al massimo un figlio a generazione, il quale subentra negli affari ai cinquecento anni di regno del padre o della madre, data dalla quale quest'ultimo o ultima è entrata a sua volta...» spiega.

«C'è stata qualche eccezione?»

«In merito a cosa?» domanda.

«A tutto. Non so... Ai figli... C'è stata qualche coppia che ha avuto dei gemelli? I poteri si tramandano? E poi si riesce a controllare un intero continente poi? I vampiri vi accettano come capi senza discutere? Qualcuno è nato senza poteri? Che cosa significa provare l'amore? Continuate a ripeterlo...» balbetto gesticolando.

«Prima di tutto, respira» afferma con tono pacato. Mette una mano sulla mia e continua: «Una domanda alla volta, dolcezza

Rabbrividisco.

Perché provo così tanto schifo?

D'istinto tolgo la mano da sotto la sua e Lestat si acciglia. «Hai freddo?» Senza ottenere risposta, si alza e mi mette la sua giacca rosso fuoco sulle spalle.

«Grazie» mormoro.

Ho dimenticato il cappotto a casa. Ero così concentrata su l'appuntamento, su Adriel, su mia madre e su Francesco che mi sono scordata delle temperature che ci sono a Milano a novembre.

A proposito... Dove sarà andato Francesco?

«Non c'è stata nessuna eccezione e i figli delle famiglie ereditano o il potere della madre o quello del padre. I vampiri dei continenti ci accettano, sì, perché sanno di non essere adeguati al ruolo» spiega Lestat.

«Non essere adeguati al ruolo?» domando confusa e indignata.

«Cosa credi? Che nella storia non ci siano stati quei pochi vampiri presuntuosi che volevano il potere?» ride. «Senza far nulla, gliel'abbiamo concesso... Il record migliore è stato di cinque giorni, mentre il peggiore... di due ore... Ma ovviamente abbiamo sistemato tutto noi.»

«Che cosa rende il ruolo così difficile?» chiedo.

«Gli Akira, i Novellini, il mantenimento dell'ordine e il controllo dei cacciatori del Vaticano...» spiega Lestat. «Suppongo che tu sappia dei cacciatori del Vaticano e di come ci nutriamo.»

«E io suppongo che Adriel ti abbia detto tutto quello che ci siamo dette» ribatto.

«Non aveva scelta» sospira beatamente, appoggiandosi allo schienale della sedia.

«Così come non ce l'ho io» borbotto alzando gli occhi al cielo.

All'improvviso Lestat si irrigidisce. Guarda fisso davanti a sé. Nei suoi occhi leggo un'intenzione forte e quasi maligna, che mi spaventa. Serro le gambe sotto il tavolo e deglutisco a fatica.

Si alza un vento leggero ma freddo che mi accarezza il viso e intorno a noi il brusio delle voci diventa sempre più forte. È come se... fossi in una di quelle serie tv in cui la protagonista vive tutto a rallentatore e all'improvviso accade qualcosa di brutto.

Con uno scatto fulmineo, Lestat mi afferra con forza il ginocchio sotto il tavolo, stringendo sempre di più, e si avvicina lentamente al mio viso con un'espressione indescrivibile.

«Forse non hai capito bene...» dice a denti stretti. «Noi due siamo destinati a stare insieme e, di conseguenza, sei mia. Mia» ride. «Farai ciò che ti dico io, come te lo dico io e quando te lo dico io. Obbedirai a me e a me soltanto.»

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