Capitolo 2: La tomba di Manzoni
Sono le cinque del pomeriggio.
Il sole sta tramontando lentamente, lasciando spazio all'oscurità, ma non mi importa. Oggi è l'unico giorno in cui posso permettermi di cercare Chiara: mia madre sta facendo una seduta con la psicologa per entrare negli alcolisti anonimi – finalmente! – e sono sola.
Varco i cancelli con la piantina del cimitero che avevo stampato e una guardia mi avvisa che chiuderanno tra un'ora. Ripercorro tutti i sentieri che avevamo fatto con la guida dai vestiti cupi, Chandra Sauro: riconosco alcune statue di angeli e alcuni nomi incisi sulle lapidi mi sembrano familiari, ma niente mi riconduce alla scomparsa di Chiara Sole. Non trovo nulla.
Perché mi sono messa in testa di venire qui? Magari è veramente a casa con la mononucleosi...
Probabilmente dovrei andare a casa sua... Sarebbe stato più giusto andare prima là...
Il cimitero è ormai coperto, non c'è più nessun raggio di sole a trafiggerlo e le mie gambe sono a pezzi. Vedo una panchina di pietra sotto un albero e mi ci siedo sospirando, mentre i sentieri sono illuminati dalle poche lanterne presenti.
Sblocco lo schermo del mio cellulare e apro la rubrica, cercando il numero di Chiara. La mia unica speranza è sentire squillare il suo telefono, anche perché sono le sei meno dieci e non ho più molto tempo.
Quanto ci metterò a trovare l'uscita? mi chiedo tra me e me.
«Romano!» esclama qualcuno. «Cervellona!»
Alzo la testa di scatto e vedo davanti a me Daniel Micio, lo sbruffone della classe. Indossa un cappotto nero, dei jeans e un maglione girocollo bianco e spira i suoi strani venti di stupidità e superficialità.
«Daniel! Cosa stai facendo qui?» domando su due piedi.
Lui mi prende per il polso, costringendomi ad alzarmi, e mi trascina dietro a un albero, tappandomi la bocca. Mi dimeno inutilmente: lui è troppo forte.
«Che cosa...?» cerco di dire.
Vedo passare davanti a noi la stessa guardia con cui avevo parlato prima e mi arrendo a Daniel. Non oppongo più resistenza, visto che non riesco a liberarmi.
Dopo qualche secondo mi libera e mi sorride.
«Cosa ti è saltato in mente?» sbotto, cercando di trattenermi dal dargli uno schiaffo.
«Era divertente» risponde alzando le spalle.
«Divertente?» ribatto contrariata e lui annuisce. «Era una guardia. Ora ci chiuderanno dentro. Il cimitero chiude alle sei.»
«E allora? Tanto domani è sabato» chiede Daniel.
«E allora? Io non rimango di notte in un cimitero, tanto meno se ci sei tu a farmi compagnia» dico incrociando le braccia al petto.
«Sarà divertente» dichiara con tono presuntuoso. «A proposito, perché sei qui?»
«Non sono affari tuoi» rispondo. «E tu?»
«Ero venuto a trovare mia madre» ammette abbassando gli occhi.
Ah.
«Tua madre è seppellita qui?» domando.
«Sì.»
«Non lo sapevo» sussurro imbarazzata.
«Non ci conosciamo e, anche se siamo nella stessa classe, non sai nemmeno chi sono» mormora Daniel guardando il cielo, diventato ormai nero.
Ma che ore sono?
«Non che ti sia mai interessato conoscermi» ribatto.
Lui mi guarda per qualche secondo e poi si siede sulla panchina.«Questa frase... La dicono tutti quelli che non mi conoscono veramente» dice.
«Non che tu mi abbia mai dato l'occasione di farlo» ribadisco con tono seccato sedendomi accanto a lui.
«Ricordo ancora il primo giorno della terza superiore. Hai rovesciato una Coca Cola sulla mia maglietta di Harry Potter, che era la mia preferita. Poi, i comportamenti successivi non è che siano stati migliori... Quindi perché avrei dovuto cercare un altro approccio con te? Non fai altro che il giullare della classe da due anni...»
«Ho capito» mi interrompe. «Sei riuscita a togliere la macchia dalla maglietta?» borbotta.
«La uso come pigiama» spiego.
Si alza, mette una mano nella tasca posteriore dei jeans e tira fuori il portafoglio. «Quanto è costata?» chiede.
«Non voglio i tuoi soldi» rispondo.
«Quanto è costata?» ripete tirando fuori due banconote da venti euro. «Più di quaranta?» domanda alzando un sopracciglio.
«Smettila. Non te l'ho raccontato per avere i tuoi soldi» ribatto.
«E che cosa vuoi?» sospira.
«Delle scuse, magari?» mi lamento esasperata, dato che il suo cervello non ci arriva da solo.
«Scusa» mormora chiudendo il portafoglio e sedendosi di nuovo vicino a me.
Una folata di vento freddo mi fa rabbrividire.
«Tieni!» esclama.
Alzo lo sguardo e in un battito di ciglia vedo il suo cappotto nero sulle mie spalle. «Infilatelo» mi suggerisce. Lo faccio e divento peggio dell'omino della pubblicità degli pneumatici Michelin.
«Ma tu non hai freddo?» domando corrucciando la fronte.
«Sono a posto così» risponde.
«Chi sei? Cosa ne hai fatto dello sbruffone Micio?» chiedo ridendo.
«Mi chiami così?» sogghigna Daniel.
Faccio spallucce. «Grazie, comunque.»
«Non dovresti chiamare tua madre e avvisarla che non torni questa sera?» domanda.
Accendo lo schermo del mio telefono e vedo l'ora: sono le sette. Sarà già a casa, attaccata al collo di una bottiglia di birra.
«Non si accorgerà nemmeno della mia assenza» rispondo rassegnata.
«Perché?»
«Perché ti interessa?» ribatto. «Non dovresti chiamare tuo padre?»
«Lui non deve preoccuparsi dei miei spostamenti» risponde in modo arrogante.
«Chiamo la polizia, così usciamo da qui» dico digitando il 112.
«Io non lo farei» mi interrompe mentre parte la chiamata.
«Perché non dovrei? Dico che mi hai rapita, che alla fine è quello che hai fatto» dichiaro.
Lui viene verso di me, mi prende il telefono e chiude la chiamata.
«Cosa stai facendo?» urlo.
«Ti impedisco di fare un errore» ribadisce. «Pensa a cosa farebbero se ci beccassero qua: multa ed espulsione da scuola. Saresti segnata a vita perché siamo chiusi all'interno di un bene pubblico e poi? La tua fantastica media? Che fine farebbe?» dice con tono minaccioso.
Faccio una smorfia. Ha ragione.
«Allora, che cosa proponi di fare?» chiedo. «Che cosa vorresti fare?»
Ti prego, non dire ucciderti.
«Aspettare l'apertura» dichiara.
Mi sa che ho visto troppi film gialli. Devo darmi una calmata: ho il cuore che batte all'impazzata tra l'adrenalina di essere chiusa in un cimitero, come l'eroina di un qualsiasi film giallo, e la paura di essere uccisa da qualcuno nella notte.
«Non se ne parla» sbuffo.
«Avanti, sono così male?» ridacchia.
Sono così arrabbiata che...
Mi tolgo con rabbia il suo cappotto e glielo getto addosso, mentre lui inizia a ridere di gusto.
«Non fa ridere» borbotto.
«Hai ragione, fa morire dal ridere» risponde Daniel.
«E se iniziasse a piovere?» suppongo.
«Andiamo al Famedio» propone e accetto.
Pur con una certa riluttanza, mi attacco al braccio di Daniel e ci dirigiamo al Famedio.
«Non dovrebbero esserci le guardie notturne?» domando con il fiatone non appena arriviamo.
«No» risponde.
«E le videocamere?»
«No» ribadisce.
«E come controllano questo posto?» chiedo.
«C'è un sistema d'allarme al cancello.»
«Come sai tutte queste cose?» domando sospettosa.
«Basta leggere i cartelli fuori dal cancello» risponde.
«Non ti facevo un osservatore» ammetto.
«Come ho già detto, non mi conosci. A dire il vero, tu non conosci proprio nulla, cervellona!» esclama ridendo.
Osservo la tomba di Manzoni al centro della stanza circolare e deglutisco.
«Hai paura?» ridacchia Daniel.
«No» balbetto.
«Non ci credo. Cervellona ha paura delle tombe» ride.
«Non ho paura delle tombe, ma di quello che c'è dentro» confesso.
«Cervellona che crede agli zombie?» sogghigna.
«Non solo agli zombie, ma a tutte le creature sovrannaturali» ammetto imbarazzata.
«Quindi Demetra Romano crede al sovrannaturale? Non pensavo»continua ridendo.
Sbuffo e gli volto le spalle.
«Fa freddo, copriti» dice lanciandomi in testa il suo cappotto.
«Ho il mio, grazie» ribatto.
«Quanto sei cocciuta» borbotta Daniel alzando gli occhi al cielo.
Mi siedo sul pavimento freddo di marmo coprendomi con il cappotto nero del mio compagno di classe. Mentre lui cammina, osservo lo skyline di Milano. È magico e quasi pacifico. Potrei addormentarmi, ma non posso. Non devo.
«Perché ci hai fatto chiudere dentro?» domando.
«Come ho già detto, pensavo fosse divertente. Non hai mai provato il brivido dell'avventura, Cervellona?»
«Come è morta tua madre?» chiedo all'improvviso, cambiando argomento.
Mi volto verso di lui e vedo il suo viso spiazzato.
«Malattia infettiva» risponde dopo qualche secondo, tagliando corto.
«Mi dispiace» sussurro. «Io ero qui, perché... volevo vedere se Chiara era qui...» mormoro.
«Chiara Sole?» domanda sorpreso.
«Perché?» ribatto confusa.
«Così, curiosità.» La sua bocca si incurva in uno strano ghigno.
Prendo il telefono e gioco un po' con diverse applicazioni, nonostante abbia solo il ventidue percento di batteria. Apro la rubrica e cerco il numero di Chiara. Avvio la chiamata e attendo.
«Cosa fai?» bisbiglia Daniel avvicinandosi. «Chiami Chiara?» Annuisco.
Uno squillo mi fa capire che la chiamata è stata avviata e improvvisamente sento la canzone Twist and Shout dei Beatles rimbombare debolmente per tutta la sala. Scatto in piedi e guardo Daniel, confusa.
«È il telefono di Chiara, o sbaglio?» domando perplessa.
Lui alza le spalle e viene dietro di me, con espressione impassibile.
Seguo la canzone fino alla tomba centrale dello scrittore dei Promessi Sposi e mi si gela il sangue nelle vene. Sembra venire dall'incisione in pietra: dal cerchio della testa di Manzoni, precisamente.
«Daniel?» balbetto.
Lui viene davanti a me, supera i cordoni rossi che circondano la tomba e poggia l'orecchio sul rettangolo nero da cui proviene la suoneria.
«Che cosa facciamo?» farfuglio.
Daniel poggia una mano sul cerchio e fa pressione. All'improvviso si sente un clic, come se qualche ingranaggio si fosse attivato. Daniel fa un balzo indietro e i miei polmoni fanno fatica a prendere aria.
«Cosa sta succedendo?» chiedo incespicando.
L'intera tomba si sposta, come se fosse leggera come una scatola di cartone, e rivela delle scale sotterranee. Io e il mio compagno di classe ci scambiano una serie di sguardi e decidiamo di scendere in silenzio.
Il telefono di Chiara continua a suonare.
Daniel scende per primo e illumina il percorso con la torcia del suo cellulare, mentre io mi aggrappo al suo braccio.
Conto dieci scalini prima di raggiungere una superficie piana.
«Dove siamo?» bisbiglio. «Sono delle catacombe segrete? O è quella privata di Manzoni? È conosciuta? O la stiamo scoprendo?»
«Sta' zitta» mi interrompe a denti stretti Daniel.
Stiamo camminando nel buio. Poggio la mano libera intorno a me e capisco di essere in un corridoio di pietra. O almeno suppongo.
Facciamo un altro passo e sentiamo il rumore di un oggetto che si rompe. Abbassiamo entrambi la testa e vediamo un cellulare rotto a terra, seguito dalla voce della segreteria che proviene dal mio. Abbiamo appena calpestato il telefono di Chiara.
L'aria è sempre più rarefatta. Faccio fatica a respirare.
«Non dovremmo tornare indietro?» mormoro con fatica.
Ma Daniel non risponde. Lo scuoto e inaspettatamente si blocca sul posto, facendomi sbattere contro la sua schiena rigida.
«Cosa?» borbotto turbata.
Mi alzo sulle punte e cerco di vedere il punto che Daniel sta illuminando con la torcia del telefono: sembra arrivare qualcosa dal fondo del tunnel.
Serro gli occhi e cerco di aguzzare la vista, quando la vedo: Chiara Sole. Ha le mani sporche di sangue e i vestiti sono tutti stracciati. Corre verso di noi a velocità incredibile. Si accorge della nostra presenza, spalancando gli occhi sorpresa, e nel tentativo di fermarsi va a sbattere contro il petto di Daniel.
«Tu... Tu... sei uno di loro... Come ho fatto a non capirlo prima?»balbetta guardando Daniel dritto negli occhi.
Che cosa significa? Uno di loro?
Chiara sposta gli occhi azzurri verso di me e con uno scatto felino afferra Daniel per il collo e lo lancia in fondo al corridoio, dove il mio occhio non riesce ad arrivare. Chiara mi prende una mano. «Vieni con me. Sei in tempo. Scappa con me» mi supplica avvicinandosi.
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