Escluso il cane

Alcune persone meritano di morire più di altre. È questa, in sintesi, la concezione in voga nel mondo d'oggi.

Un divario ben delineato fra un "sono devastato: era il mio attore preferito" e un "ben gli sta così impara a starsene a casa sua". Un pensiero unanime, plasmato da informazioni frammentarie, distorte, ma che ci coalizza, ci dà una confortevole sensazione di appartenenza. C'è chi lo esprime pubblicamente, chi si astiene e tace, ma è ciò che pensiamo tutti, alla fine.

Piangiamo per un finale di un film, mix sapiente di musica in crescendo e montaggio di scene curate nell'inquadratura e nella fotografia, e rimaniamo indifferenti davanti a un telegiornale scandito da una voce atona che descrive la morte di persone vere, nello stesso preciso istante in cui stiamo vedendo le immagini.

Forse se i servizi dei TG fossero montati su una colonna sonora, ci struggeremmo anche per chi non ce l'ha fatta sul serio.

Oggi tutto è filtrato da uno schermo, le immagini si appiattiscono e non comprendiamo più cosa sia vero e cosa no, ci disperiamo per la fine di una serie televisiva e non per l'effettivo collasso dell'ecosistema.

E io sono ancora qui, che cammino fra persone paralizzate in un frammento di tempo, cercando di capire cosa devo fare per potermene finalmente andare.

Le guardo una a una mentre supero i loro corpi immobili; per la prima volta le osservo in volto, le scruto con attenzione, conscia che non possano guardarmi di rimando. Chissà se sono brave persone, se hanno fatto del male a qualcuno, se continuano a farlo consciamente; se sono egoisti e se meritano quel tanto o poco che hanno.

Ognuno di loro ha una storia diversa, ognuno reagisce agli schiaffi della vita in maniera differente. Ci sarà qualcuno che, come me, quando apre un rubinetto per una doccia calda, pensa a chi non ha l'acqua in casa? Qualcuno che si rammarica di quanto cibo viene buttato a fine serata dai ristoranti? Qualcuno che è cosciente della plastica che mangiamo, restituita dal mare in cui la buttiamo?

Siamo invischiati in un paradosso dove la gente scrive storie assurde di società sull'orlo del collasso, ma la verità è che il peggiore dei mondi distopici è questo in cui viviamo.

Piangermi addosso. È l'unica cosa in cui io abbia sempre primeggiato: accettare le ingiustizie, le prese in giro, gli insulti, le accuse. Ho sempre filtrato tutto e trovato un valido motivo per accettarlo, anche al costo di dare persino ragione ai miei carnefici. Mi merito tutto, in sostanza.

Nella vita bisognerebbe reagire, eppure io preferisco incassare e tacere, non c'è da meravigliarsi che io abbia smesso di avere aspettative; dal mondo esterno e da me stessa. Sono diventata la peggiore nemica di me stessa: tutto quello che gli altri mi hanno sempre vomitato addosso io l'ho metabolizzato, divenendo la prima a pensare quanto possa essere insignificante e indegna di stare al mondo per quanto io sia fuori dai canoni di bellezza odierna.

L'unico modo di non sentirmi lacerare il cuore ai loro insulti è stato diventare io stessa più maligna di essi nei miei confronti. E una persona che ragiona così, che motivo ha di continuare?

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