Capitolo 7: Pamięć

" Chi vive il lutto, sperimenta diversamente il mondo "

                                                                                                              -Verena Kast


In quella calda giornata di inizio giugno, Anastazia decise di rintanarsi nella serra di famiglia, dove al suo interno venivano coltivati in gran numero fiori di biancospino, gigli e rose bianche, quest'ultime volute da sua madre. Dalla passione della donna nacque una vera ossessione per Anastazia che, approfittando dei momenti di quiete, si lasciava coccolare dal profumo dei fiori, studiando e documentandosi sulle specie contenute nel piccolo giardino.
Accarezzò con due dita un giglio nascosto, piccolo ed innocuo, delineando coi polpastrelli la forma sporgente di un petalo perlaceo. Le sue sorelle punzecchiavano la sua pazienza dicendo che fosse troppo romantica, vittima delle storie fiabesche che amava raccontarle la sua vecchia balia; troppo libera seppur fedele alle rigide regole della casata dei Wood. Ma Anastazia amava il profumo che le imperlava ogni ciocca di capelli, abito e sorriso, intrufolandosi con passi felpati tra il verde e il bianco del suo nascondiglio preferito.
Un sospiro appena accennato venne cacciato dalle labbra, e Anastazia si lasciò coccolare dalla miriade di pensieri.
Da lì a poco avrebbe compiuto quindici anni, terzultima figlia di sette sorelle, quattro delle quali già accasate e sposate. Un brivido glaciale le sconquassò le membra, giurando a sé stessa che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di ritardare il suo "accasarsi". Molti simpatizzanti della casata dei Wood le avevano di già piantato gli occhi addosso, ma pregò in cuor suo di non essere ancora scelta per un probabile matrimonio combinato. Era di tradizione sposare chiunque appartenesse ad una casata di Cacciatori, e concesso alle donne di famiglia di scegliere solo tra i pretendenti di esse. Per circa sei generazioni, dalla nascita dei Wood e la sua lunga stirpe di valorosi, tutti avevano sempre rispettato quella piccola regola che, secondo le loro credenze, avrebbe portato ad una lunga e continua rinascita di Cacciatori. Anastazia, a tal pensiero, ricordò la prima volte che venne corteggiata durante una festa indetta da sua madre prima di morire: un baldo giovane appartenente alla discendenza dei Ward mostrò tutto il suo interesse nei confronti di un'Anastazia appena dodicenne, nonostante i suoi diciannove anni appena affermati.
La giovane rise al solo ricordo di quel che accadde. Soddisfatta del misfatto, finse un grande odio per sua sorella Clodette, incolpandola di averle "accidentalmente" rubato il futuro consorte, facendola sprofondare di vergogna. Eppure dentro il suo cuore cantò vittoria, e i corteggiamenti finirono per qualche tempo.
Fino a quel momento almeno.
Solo una richiesta giunta da lontano la incuriosì. Una notte di qualche settimana prima, insonne e malaticcia, Anastazia aveva disperatamente cercato conforto nella biblioteca della grande residenza, sgusciando nei corridoi bui come un felino immerso nella sua caccia preferita. Le chiacchiere e gli starnazzi provenienti dall'ufficio di suo padre la istigarono, interrompendo la sua piccola fuga notturna per ascoltare con attenzione quelli che poi si rivelarono più di semplici dibattiti. Suo zio Calel, sangue del sangue di Nicholas, il Cacciatore tra i più valorosi della casata nonché padre delle sette fanciulle, era immerso in un'animata discussione tenuta col fratello: una proposta di matrimonio era giunta da molto lontano, oltre gli oceani inglesi e all'interno del continente europeo, tra i freddi inverni di una Polonia intrappolata tra le fauci di una Russia intraprendente. La nobile casata dei Van Winkle, con alle spalle circa tre generazioni di Cacciatori valenti aveva stuzzicato l'interesse di Nicholas, allietato e confortato da quella richiesta improvvisa. Anastazia si sarebbe rivelata la più adatta ad una permissione simile, e l'uomo pensò di già ad una futura celebrazione di fidanzamento che avrebbe coinvolto altre piccole casate nobiliari di Cacciatori sparse per tutta la Gran Bretagna.
Da quel giorno, Anastazia non fece altro che pensarci su. Lasciò scorrere le dita sul gambo fino del piccolo giglio, tranciandolo di netto con una piccola pressione. Lo portò alle narici inspirando allietata, cercando di immaginare che aspetto avesse il suo futuro sposo. Prese il tutto con leggerezza, seppur rabbiosa nei confronti di suo padre, e la ragazzina non poté far a meno che storcere il naso e zittire gli animi irrequieti. Ginette, secondogenita della casata, viveva lontana da Londra da circa dodici anni. Viveva spensierata tra le mura di casa, accompagnata da un marito forse un po' troppo geloso, ma madre soddisfatta di tre pargoli.
Anastazia pensava spesso a lei, alle sue responsabilità di famiglia nonostante fosse solo una donna, addestrata fin dalla tenera età agli esorcismi e alla caccia di vampiri.
Anastazia imparò in fretta, lasciandosi alle spalle le romanzate che era solita leggere prima di andare a dormire, per affrontare qualcosa di più maturo. Non era mai scesa in prima linea, almeno non ancora, vista la sua tenera età e il suo essere ancora sola.
Ma le cacce a Londra c'erano ogni notte, ed ogni notte qualcuno non rincasava.
La ragazza si alzò in silenzio, fissando gli ultimi sprazzi di sole sparire dietro gli alberi alti. Sospirò affranta, la sua tristezza venne coperta dallo scalpitare di zoccoli di circa sei cavalli.
Si avviò verso la residenza, mentre suo zio Calel e una piccola truppa di Cacciatori raggiungeva la città, prossima ad una bolgia fatta di inseguimenti e sangue.
«Mi spieghi perché ti ostini a farti bella?» commentò Harriet, ciondolando il capo da un lato all'altro. «Strega ci rimani lo stesso!»Anastazia si morse così forte la lingua pur di non saltarle addosso. La cameriera la girò indelicata, intersecando la crinolina sui fianchi avvolti dalla biancheria. «Mi chiedo, non hai da prepararti piccola dannata?» mormorò rauca la giovane, e Harriet rise di gusto.«Ma io sono già pronta da un bel pezzo, strega!»«Lascia che io ti prenda...!» urlò furiosa, avanzando a passi veloci verso la bambina, ma la cameriera la riprese con forza per le spalle, costringendo Anastazia ad arrestare la sua ira. La rigirò contro lo specchio senza fiatare, stufa di tutte quelle moine che si rivolgevano senza fermarsi le ultime tre fanciulle rimaste alla residenza. Harriet era la penultima arrivata, dieci anni compiuti a febbraio e sempre l'insulto pronto pur di scaldare l'animo della sorella. Era beffarda, con un'innato senso dell'umorismo, ma la malformazione che le deturpava il corpo dal bacino in giù, la costrinse fin dalla tenera età a vivere da reclusa nella camera da letto, togliendo le celebrazioni importanti. Harriet passava così le sue giornate, affidandosi da un medico all'altro, fragile di salute e con un raro difetto congenito che agli occhi della servitù parve solo una maledizione: suo padre Nicholas, difatti, per una grave caduta a cavallo accaduta durante un inseguimento, lo congedò per sempre dal suo essere comandante di prima linea dei Wood. Da due anni a quella parte l'uomo non abbandonava più il suo bastone da passeggio, ma col peggiorare della sua sofferenza, dovette cedere all'idea di dover usare una sedia a rotelle per non affaticarsi troppo. In gioventù soffrì svariate volte la stanchezza e varie cadute nel baratro della depressione a causa di una deformazione che gli castigava la gamba destra, più corta della sinistra di circa quattro centimetri. Ma questa anomalia non bastò a tenere a bada il suo animo caparbio, facendosi valere tra i Cacciatori e sposando una donna alla sua altezza. Tale padre, tale figlio, pensò Anastazia, mentre la cameriera le legava i capelli a mo' di coda. «Un uccellino mi ha detto che stasera saranno presenti anche i Van Winkle» la voce maliziosa di Harriet tornò a turbarle la calma, ma la più grande non si scompose. «E se il giovincello dovesse corteggiarti tu cosa farai? Clodette è già sposata, non puoi di certo dare la colpa a lei anche stavolta!»
«Non farò un bel niente e tu impara a tenere quella bocca chiusa!»
Harriet scandì un risolino disonesto. «Come diceva sempre nostra madre, il buon Dio mi ha tolto le gambe ma non la lingua lunga!»
«Avrei nettamente preferito la seconda, credimi» sbuffò Anastazia, alzandosi dalla toeletta e specchiandosi. «Puoi andare Isabella. E porta con te anche il diavolo» sibilò, fissando Harriet di sbieco. La bambina cacciò fuori la lingua con far giocoso, prima di essere piazzata su di una sedia a rotelle e sparire.
Anastazia sospirò in solitudine, attendendo l'arrivo di Taylor nella sua camera.
Quella sera sarebbero stati premiati alcuni Cacciatori di piccole dinastie di Londra e dintorni, e finalmente attuato il gemellaggio della famiglia Wood con la discendenza polacca dei Van Winkle. Un tuono di pensieri si ripercosse tra le pareti della mente di Anastazia, ricordando a sé stessa che quella sera avrebbe conosciuto il suo probabile consorte. Per la prima volta nella storia della sua famiglia, Anastazia avrebbe attuato un legame duraturo con una casata distante da Londra mare e terra.
Il verdetto di suo padre era arrivato nonostante tutto, chiaro e conciso, ma ella non parve turbata dalle scelte di Nicholas. Prima o dopo, non avrebbe fatto alcuna differenza.
Il bussare lieve contro la porta la ricondusse alla realtà e con far veloce sistemò l'abito con una scrollata di mani. All'entrata si presentò un Taylor appena ventiduenne, solare e allegro, rivolgendo alla cugina un sorriso splendente.
«Anastazia!» esclamò, stringendo tra le mani le spalle della giovane. «Siete incantevole, lasciatevelo dire!»
«E voi come al solito troppo buono» ammise con una risata sottile. «Sono arrivati di già?»
«Quasi. Ma sarà meglio affrettarci, vostro padre ha di già storto un pochino il muso per il mio ritardo» disse imbarazzato, tirando il colletto stretto della camicia.
Anastazia rise ancora, ed entrambi si diressero verso l'ampio salone. La servitù di casa Wood era di già disposta nella sala, dall'interno provenivano risa smorzate e chiacchiericci intensi. Anastazia si lasciò guidare da Taylor, e appena varcata la soglia il grande stemma della nobile casata diede ai due l'ufficiale benvenuto.
Anastazia non perse tempo e salutò felice le altre quattro sorelle finalmente riunite. Erano rare le occasioni in cui potevano ritrovarsi tutte e sette sotto lo stesso tetto, e ogni volta che accadeva, Anastazia ne gioiva come una bambina. Da sempre erano legate, affettuose e docili le une con le altre, nonostante alcune ripicche e i capricci che tutte serbavano.
Ma la magia dell'unione durò poco, poiché Anastazia venne richiamata da Isabella. La cameriera la condusse in un angolo più appartato, lasciandola accanto a suo padre. Nicholas sedeva su di una sedia a rotelle dallo schienale foderato in velluto rosso e i manici placcati in argento; dimostrava agli ospiti il suo solito portamento austero da perfetto capo stipite. Dirimpetto all'ex Cacciatore, sostavano pacati due uomini alti, forse troppo, che all'avvicinarsi della giovane chinarono il capo in segno di commiato.
Anastazia trattenne il respiro nell'incrociare lo sguardo del più giovane dei due.
«Sono lieto di presentarvi mia figlia Anastazia, Boleslaw e Amadeus Van Winkle».
Boleslaw chinò nuovamente il capo, lasciando l'onore ad Amadeus, suo secondogenito, di un baciamano.
«E' un piacere fare la vostra conoscenza, mòj(1) signora» disse sfoggiando un mezzo sorriso il polacco, mozzando ancor di più il fiato alla futura consorte. «Il mio nome è Amadeus Van Winkle, onorato di conoscervi».
Il suo inglese era duro, troppo netto e sforzato, tanto da rivelare le sue origini lontane. Sull'occhio destro portava con eleganza una benda in lino nera, il che incuriosì ancor di più Anastazia. Ma non fu l'unico particolare a tenerla sulle spine: una larga chiazza nettamente più pallida del suo normale colorito gli imperlava metà viso a sinistra, coprendo lo zigomo, la guancia e una buona fetta di naso e labbra. Altre piccole macchie gli correvano giù per il collo e sull'occhio coperto dal tessuto, decolorando solo in parte le sopracciglia nere e le ciglia folte. I capelli scuri come fili di notte gli ricadevano morbidamente ai lati del volto, striati anch'essi da ciocche perlacee. L'occhio scoperto rivelava un'iride azzurrina, quasi fosse di cristallo, screziata di sfumature tendenti al vermiglio.
«Anastazia Costance Wood, il piacere è tutto mio» rivelò con un sussurro la giovane, ritirando lentamente la mano. Amadeus parve divertito dall'espressione stupita dipinta sul volto della futura Cacciatrice, allargando ancor di più il suo sorriso.
Boleslaw scambiò velocemente due parole in polacco col figlio, rivolgendosi poi al capo stipite dei Wood.
«Mio padre chiede una consulenza con voi nel privato, władca(2)» tradusse Amadeus, lasciando che l'ennesima cameriera si parasse alle spalle di Nicholas. L'accompagnatore dei due invitati, un uomo sulla trentina, si avvicinò con passo lento al capostipite dei Van Winkle, annuendo alla richiesta appena udita. Prima di lasciare il salone, Boleslaw lanciò un'occhiata fugace al figlio, sparendo definitivamente dalla bolgia presente nell'aria, in compagnia di Nicholas, l'inserviente e l'interprete.
Anastazia prese a torturarsi le mani velate dai guanti, deglutendo. Non le era mai successo di provare così tanto disagio in compagnia di un uomo, eppure Amadeus le trasmise quel malessere con un solo sorriso. L'idea di mostrarsi annoiata e fredda non le sfiorò la mente nemmeno per un istante, poiché rapita dalla rarità che si trovava davanti. In un primo istante crebbe fermamente che l'aspetto del secondogenito di Boleslaw fosse stato vittima di una disgrazia: un'incendio. Solo così poteva giustificare quelle cicatrici bianche che gli imperlavano il volto e l'occhio coperto. Ma le domande di Anastazia vennero saziate dalla voce suadente dell'uomo.
«Mi trovate strano, Anastazia?»
La ragazza sgranò gli occhi, scuotendo il capo velocemente. «Assolutamente no! Non era mia intenzione mettervi a disagio, Amadeus... non intendevo certo insinuare qualcosa di simile...»
«Non è raro che la mia condizione fisica incuriosisca qualcuno, ho fatto il callo» le spiegò sorridendo, placando l'imbarazzo palpabile della ragazza. «Sono albino mia signora, parzialmente albino dalla nascita».
Albino?, si domandò Anastazia, schiarendo di poco la voce per non destare sospetti sulla sua ignoranza a riguardo.
«E' una condizione piuttosto rara, rara e diabolica, almeno così mi è stata descritta dal mio medico curante».
«Perdonate la mia curiosità, Amadeus... e portate la benda per?»
«Ho perso la vista del mio occhio destro circa sette anni fa, per disgrazia pervenuta a causa di questo difetto» le spiegò ancora il ragazzo, alzando di poco il tessuto che gli copriva l'orbita oculare. Una sottile patina più chiara del colorito dell'iride sana si confondeva col bianco della pupilla, lasciando trasparire la cecità totale che gli avvolgeva la vista.
A tale visione, le guance della più giovane avvamparono ancor di più.
«Mi scuso ancora per aver domandato, sono stata fin troppo curiosa...»
«Certe cose vanno sapute al momento, non vi pare Anastazia?»
«Beh, senza ombra di dubbio...» la voce le morì in gola nell'udire una sonora risata da parte di Amadeus.
«Non siate timida Anastazia, anche il solo pensare che finalmente ho avuto l'onore di conoscervi mi rende szczęśliwy... szczęśliwy... felice, felice! Perdonatemi Anastazia, il mio inglese è piuttosto scarno!»
Anastazia trovò buffo quel suo esprimersi tra una corrucciata di fronte e l'altra, gesticolando più del previsto pur di farsi comprendere al meglio. Sciolse la tensione che le avvolgeva il cuore con un sorriso sincero, sopprimendo un risolino sul nascere.
«Vi aiuterò io con la comprensione, se me lo permettete» disse in un secondo momento Anastazia. «Starete qui a Londra a lungo?»
«Sono giunto qui in Gran Bretagna per rimanere, mia signora. Per voi».
Nell'udire quelle parole, Anastazia ricordò a sé stessa l'imminente patto che avrebbe legato le due casate in modo indelebile, suggellato dal loro matrimonio.
«Vorrà dire che imparerete al meglio, a quanto pare».
«Onorato di ciò, Anastazia» le rispose a tono il giovane, sciogliendo le labbra nell'ennesimo sorriso.
Il caos attorno ad entrambi si annientò con un'occhiata complice e Anastazia non poté che gioirne... ***


Il salone era vuoto, nudo e spoglio di vita, ma quelle memorie parevano ancora imperlare le mura fredde. Anastazia piantò lo sguardo sullo stemma dei Wood, percorrendo con un'occhiata il tessuto sgualcito e impolverato. Nicholas era morto da quattro anni ormai, lasciando il tutto nelle mani di suo fratello Calel.
Si voltò verso un angolo in penombra del salone, scrutando con occhi infelici l'esatto punto in cui avvenne il primo incontro con Amadeus. Un incontro che le cambiò radicalmente la vita, che le insegnò ad amare, a soffrire e sperare per la persona amata. Ma di Amadeus poteva solo conservare l'amaro ricordo di sei anni passati in pace con lui.
Un cigolio sottile disturbò quella quiete, costringendo Anastazia a voltarsi. Harriet arrestò l'avanzare della sedia a rotelle, premendo le mani contro il grembo. Le due sorelle si fissarono a lungo senza fiatare, ma lo sguardo di entrambe rivelava parole mai dette e dolore.
Harriet era ormai un'adolescente, aveva del tutto perso la sua indole beffarda e scherzosa di un tempo, annegando in una lunga depressione che la tormentava dalla scomparsa di Nicholas. Era sola, malata e rinchiusa in quelle quattro mura che le rievocavano solo ricordi piacevoli, quella della sua infanzia passata con Anastazia. Aveva invidiato così tante volte la sorella maggiore per il matrimonio ben voluto, per gli sguardi dolci che le lanciava Amadeus ogni volta che s'incontravano; ma l'invidia mista a gelosia divenne presto odio, perché Harriet non sarebbe mai stata sposa e madre.
«Andrai via?»
«Niente mi tiene più legata a questo posto».
«E quale sarà la tua meta?»
Anastazia riempì il petto d'aria, socchiudendo le palpebre.
«L'importante è che sia il più lontano possibile da qui».
«Ti invidio anche in questo, Anastazia».
Per alcuni secondi ci fu silenzio. Le due sorelle continuarono il loro lento gioco di sguardi, ed Harriet rilassò le spalle. Con una scrollata tirò via un ciuffo castano dal viso e le iridi scure scrutarono il corpo di Anastazia.
«Vorresti andartene?»
«Dovrei poter camminare per farlo» mormorò flebilmente, avvicinandosi ancora di poco. «Solo ora penso a ciò che mi dicevi tempo fa. Avrei preferito il non avere la lingua piuttosto che marcire qui dentro senza poter usare le mie gambe».
«Harriet...»
«Che utilità potrebbe mai avere una come me in una stirpe di Cacciatori? Sapresti dirmelo?» la interruppe alzando di un tono la voce tremante. «Ti illumino io: nessuna Anastazia, nessuna. E mai avrò qualche chance a riguardo».
«Tutto questo per?»
Anastazia la fissò.
«Non mi rimane più niente Harriet, se non Josef. La nostra famiglia è una maledizione, e tu lo sai piuttosto bene. Ho perso le uniche due cose che mi svegliavano al mattino e mi lasciavano dormire quieta alla sera. Siamo messe male entrambe, a quanto pare».
«Già» ammise Harriet, tornando quieta. Era l'unica parola che riuscì a spiccicare.
Seppur meschina come cosa, la più piccola delle due aveva più e più volte provato a paragonare il suo dolore a quello di Anastazia. Non seppe il perché di quel gesto, ma fatto sta che ci provò non appena giunta la notizia alla residenza. Che fosse un semplice confrontarsi o una faida personale, Harriet concepì l'idea di non voler più pensarci.
Il suo affronto l'aveva avuto, aveva perso e in quanto sconfitta, ammise a sé stessa di non voler più invidiare sua sorella.
«Stringi al petto quel che ti rimane e vivi».
Anastazia si avvicinò a lei udite quelle parole, fissandola con gli stessi occhi scuri.
«Stringi al petto quel che ti rimane e vivi, Harriet» ripeté in un sussurro Anastazia, poggiandole una mano sulla spalla. «L'hai sempre fatto».
Gli occhi di Harriet si tersero di lacrime amare, pensando a ciò che sua sorella le aveva appena ripetuto. Le sue stesse, identiche parole trasudanti di coraggio che aveva rivolto ad Anastazia, ora le dolevano nel petto come mille coltellate al costato; sentimenti contrastanti scaturiti da quella conversazione le istigarono un pianto muto.
Anastazia lasciò scorrere le dita lungo la spalla della sorella, inspirando affondo.
Sparì dal salone con passo lento e Harriet capì che né il suo dolore e né quello del suo stesso sangue avevano qualcosa in comune da dividere. Fatto sta che ci pianse su, in silenzio, fissando lo stemma lercio della casata dei Wood. Non voleva che Anastazia la lasciasse sola ancora una volta, per vivere serena e quieta, questa era la verità. Questa volta era diverso, il suo esilio sarebbe stato più che volontario e non suggellato da un matrimonio.
Ma da due morti.
Si maledisse cento volte, incapace di lasciare andare la sorella che più aveva amato tra le sei.
«Anche tu» sussurrò Harriet in un rantolo, consapevole di non esser stata udita.

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