Capitolo 5: la Vendetta


"A rigor di termini, non esiste affatto qualcosa come la ritorsione o la vendetta. La vendetta è un'azione che si vorrebbe compiere quando e proprio perché si è impotenti: non appena questo sentimento di impotenza scompare, svanisce anche il desiderio di vendicarsi "

-George Orwell

Lo scapiltare degli zoccoli sul sentiero sterrato era l'unica cosa udibile. Infastidita dal continuo traballare della cabina, Donna cercò di distrarre la mente guardando fuori dai vetri chiari: la bocca dello stomaco le doleva da morire, istigando conati di nausea e ribrezzo al solo ricordo della gioventù spezzata proprio a causa di un lutto che le cambiò radicalmente l'esistenza. Un lutto feroce, nero più della morte stessa, che coinvolse la sua anima e quella delle persone che amava di più al mondo. Il cielo plumbeo fu la sua unica consolazione, e il viaggio verso la caotica Londra procedette tra i chiacchiericci di Lilith e il lamentarsi di Winkle, nervosa e piagnucolante.
Come biasimarla..., pensò Donna col cuore a mille, mentre Lily cercava di tenere a bada quelle moine infantili. Winkle tirava il capo all'indietro e scalciava come un puledro, stanca e disturbata da quel viaggio all'apparenza lungo. Da circa una settimana la bambina era divenuta parte integrante della vita di tutti, dello sfrontato Marchen e della dolce Rosaline in primis. Quest'ultima pareva svanita nel nulla, non si era più recata alla residenza dopo lo spiacevole episodio che fece ricredere Donna. Rosaline era un vampiro da poco più di trent'anni, giovane e dall'animo all'apparenza umano, di poche parole e di una timidezza unica. Donna si interrogò più e più volte sulla scelta di Rosaline di appartenere alla classe dei Sicari Notturni, i suoi pensieri non riuscivano minimamente ad immaginare quel cherubino dalle ali torchiate e le movenze docili, come un efferato assassino bramoso di sangue e gloria.
A tal pensiero, sperò che Frederick tornasse al Clan quella sera stessa per non destare sospetti da parte degli Alti, in quanto i suoi mancati rapporti e i recenti rifiuti dei lavori commissionati avevano smosso, di non poco, gli animi freddi dei superiori. Il Clan londinese vantava la classe dei Sicari Notturni da un secolo ormai; dodici vampiri tra i più scaltri e sadici ubbidivano alle severe imposizioni degli Alti dignitari, svolgendo lavori sporchi e omicidi. Che fossero ripicche personali o meno, anche gli umani si rivolgevano a quelle creature per saziare la loro sete e ascesa al potere: molti grandi dell'industria e appartenenti alla corte della regina Vittoria, si rivolgevano a quegli esseri per eliminare chi, nella loro esistenza, era solo scomodo e un futile zavorra.
Mostri che, in fin dei conti, preferivano non sporcare le mani e la propria anima del sangue altrui.
Donna rabbrividì visibilmente, socchiudendo gli occhi. Winkle strillò con tutta l'aria che aveva nei polmoni e Lilith, la supplicò con un solo sguardo. Donna si sciolse dai suoi pensieri e strinse al petto quella peste cullandola docilmente, lasciando che la bambina portasse il suo indice alle labbra per succhiarlo con angustia, e il pianto si placò per alcuni istanti. Nonostante dimostrasse tre anni, corresse e sbraitasse di gioia, Winkle non né voleva sapere di parlare. Faceva intendere i suoi bisogni con sguardi imploranti, sfarfallando le lunghe ciglia bianche, piangendo e dimenandosi come un neonato.
Sarà dura, pensò Donna, sfiorando col polpastrello i piccoli denti che foravano le gengive doloranti della più piccola.
Giunsero a Londra in meno di venti minuti e Donna sospirò allietata.
Sulla sua pelle era ancora vivo il tocco del Conte, quasi avesse marchiato a fuoco le sue dita e i morsi sui seni, i fianchi larghi e l'incavo del collo. Cercò di scacciare la sensazione del corpo nudo di Frederick contro il suo, stretti e passionali contro un mondo che non aveva né capo e né coda, scendendo dalla carrozza nero pece. Lilith si parò subito al suo fianco, aprendo un ombrellino dalle vivaci tonalità arancio, in tono col vestito corposo che indossava.
Una bava di vento si incastrò tra i capelli di entrambe e Donna non poté che sentirsi a casa.
Londra pullulava di vita già dalle prime ore del mattino; un garzone accanto ad un muretto diroccato fissava i volti austeri della nobiltà londinese sfrecciargli davanti, chiedendo qualche moneta o poco più; un bambino con un largo cilindro e i calzoni troppo grandi per la sua forma minuta sbraitava scuotendo in alto le ultime stampe di giornale, coppie di consorti passeggiavano ai lati delle strade, ridacchiando e mormorando malamente. Nella sua zavorra di vita e difformità, Londra aveva un che di affascinante di giorno. La rapiva ogni volta, la catturava tra chiacchiericci e risa, volti, gonne troppo ampie, odore stagnante di dolci e verdura; era così dannatamente bella seppur nella sua miseria ostile. Gli edifici antichi dai tratti gotici e malandati vegliavano sul loro cammino, in lontananza la maestosa figura di un Big Ben innalzato solamente due decenni addietro o poco più, bucava i cieli spogli di una città intenta a fluire via come le acque di un fiume.
Donna lasciò che Winkle camminasse al suo fianco, con fare tenero le stringeva la mano paffuta, osservando il suo modo goffo di camminare. Chiunque passasse al suo fianco, lanciava un'occhiata fugace sull'inusuale colorito di pelle e capelli della bambina, bisbigliando e sorridendo forzatamente, forse intimoriti dalla sua diversità.
«Neh, Donna» parlò Lily, girando tra le dita il manico chiaro dell'ombrellino «la tua vecchia casa è da queste parti?»
Una crepa abissale ridusse il cuore di Donna in brandelli. «No, Lily... non è qui».
«La mia casa, invece, si trova dopo il viale degli amanti, appena entrati a Whitechapel».
«Ti manca la tua casa?»
«Se si può definire "casa"... beh, non direi!» fece Lilith senza perdere il sorriso e, con una scrollata di spalle, riprese. «Devo al Conte così tante cose, Donna. Gli devo la mia vita, la mia educazione e il mio sapere. Come devo a te un mucchio di altre cose».
«Beh, quando imparerai ad indossare in maniera appetibile il sellino, potrò essere davvero soddisfatta» ironizzò Donna, e con un mal rovescio glielo sistemò. Entrambe si concessero una risata fatta di gusto, continuando a passeggiare.
«Quando troverò marito... sarò perfetta in tutto e per tutto, oh sì!»
«Se troverai marito, mia cara... una donna con i calzoni che cavalca uno stallone, in vita mia, mai l'ho vista!»
«Si chiama passione, Donna» ridacchiò Lilith e con un balzo le fu davanti. «Come quella che nutri per la tua musica!»
«E' sparita da tempo, ormai...»
«... ma amavo così tanto quando brandivi quel violino quasi come se fosse una spada! E l'archetto poi! Ricordo che eri velocissima, davvero, mi lasciavi senza fiato!»
«Mai toccherò più uno strumento in vita mia, fine della storia».
«Qualcosa ti turba... a riguardo?»
Donna si concesse qualche istante per rispondere, fermandosi. Winkle ciondolò sui piedi instabili, tirando per invogliarla a camminare ancora verso una pozzanghera melmosa.
«Non è importante Lily, davvero...» sospirò al fine, aggiustando un ciuffo ribelle all'interno del copricapo velato che portava. Lily non disse più nulla a riguardo, estranea ai sentimenti contrastanti che tormentavano la più anziana. Di Donna sapeva poco e niente, solo della sua appartenenza ad una casata nobile dai tratti nordici, gli O'Grey.
Il motivo di tutta quella tristezza non le fu mai chiaro, ma, in cuor suo, fu felice di avere quel segreto con Donna.
S'incamminarono di nuovo, sparendo tra i fiotti di visi e persone che affollavano le strade.Col calare della notte raggiunsero l'abitazione di Marchen in carrozza. Il dottor Paul le avrebbe attese lì, in quanto vecchio conoscente di Donna e amico del vampiro.
«Signore!» aveva canzonato Marchen sull'entrata, lasciando trasparire tutta la sua gioia nel vederle. «Entrate, entrate!»
«Signorine, Marchen...» lo corresse Lilith, abbozzando un timido sorriso.
Marchen era un vampiro vivace, non mostrava più di venticinque anni. Sempre vestito di tutto punto e i capelli tanto biondi da sembrare lingue di sole perennemente tirati all'indietro, possedeva due iridi scure e profonde come pozzi a far da contrasto a tutto. Uno sfregio visibile gli deturpava l'armonia delle labbra carnose, lasciando intendere il viso sfigurato da un labbro leporino ormai corretto da anni, che lo seguitò per tutta l'infanzia e l'adolescenza.
Le condusse nel piccolo salotto, sbracandosi su di una poltrona in velluto nero. Sul divano posto all'entrata della stanza sostava pacato il dottor Paul che, nel vedere una Donna ormai cresciuta e matura, non riuscì a sopprimere la gioia che gli curvò le labbra.
«Donna O'Grey...» la salutò l'uomo, piegando la schiena in avanti in un inchino sentito e pretenzioso. «Siete un fiore, mia signora, lasciatevelo dire» concluse, scadendo in un baciamano piuttosto insolito.
«Paul» Donna inclinò leggermente il capo, e un sorriso sincero le imperlò le labbra.
«Vogliate seguirmi» la invitò con un cenno di capo nell'altra stanza, puntando gli occhi sulla bambina dormiente sul seno di Lilith.
«Verrò io, la bambina farà un sacco di capricci» commentò la più giovane, ridendo appena. Il dottor Paul afferrò la borsa in pelle, sparendo nella stanza accanto con Lilith.
«Peccato che dorma la creatura, avrebbe sicuramente gioito nel vedermi» commentò Marchen in un risolino, avvicinando un vassoio ricolmo di leccornie e un bollitore di ceramica chiaro.
Alzato il coperchio di quest'ultimo, Donna assaporò il tepore dolciastro del thè al suo interno: ginger e limone, il suo preferito.
«Servitevi pure, amica mia» Marchen le ammiccò un occhiolino, felice di conoscere almeno un vizio della giovane.
«Mi viziate, Marchen!»
«Mai quanto vi vizia quello scapestrato del mio Conte!»
Donna rise di gusto, sfilando il copricapo velato. Tornò seria in un batter d'occhio e i suoi pensieri volarono a Frederick, troppo distante da lei e instabile.
«Per quanto riguarda il Clan, Marchen...»
«So cosa vogliate dirmi ed è un no. Nessuno ha la puzza sotto il naso per il comportamento insolito del Conte, l'hanno tutti preso per un capriccio e un esilio personale».
Donna riempì una tazzina dal manico tondo con la sua bevanda più gradita, ostentando per qualche istante.
«Lo chiederò a voi, allora».
«Cosa?»
«Perché portare una bambina Cacciatrice sotto la sua ala protettiva?»
Marchen soppresse un risolino, tornando composto. «Che sia per ripicca o... per semplice pietà, non posso dirvi altro. Non sono nella mente del Conte, ma entrambi noi sappiamo il violento passato di Frederick».
«E voi avete disubbidito così alle scelte del Clan? Senza nemmeno imporvi?»
«Sono fedele come un cane da guardia alle scelte del mio creatore, Donna» commentò all'istante Marchen, sfiorando con un dito la cicatrice perlacea che gli imbrattava le labbra. «Fedele, ma non santo».
«Qui si parla d'altro Marchen, e voi lo sapete bene...»
«Oh, senza ombra di dubbio, Donna» il vampiro sorrise, fissandola. «Sappiamo dell'appartenenza del Conte alla stirpe di Cacciatori dei Wood, prima di divenire un Sicario e colonna portante della famiglia Stewart. Tra gli enfants terrible si dimostrò quello più capace, fuori dal comune e con un raro senso di appartenenza ai suoi doveri».
Donna fissò il vapore del thé sbiadire e volteggiare dinanzi il naso, perplessa.
In un batter d'occhio realizzò.
«Non starete mica insinuando che...»
«Supposizioni mia cara, solo supposizioni» commentò Marchen, poggiando le braccia sulle ginocchia. «Ci sono interessi fondati, in tutto questo, me ne ha parlato la scorsa notte mentre scortavo il dottor Paul nella sua residenza. Una lenta scalata al potere, è solo questo. Non che il Conte lo dia a vedere, ma sono sicuro che c'è. Entrare a far parte degli Alti, contrastando Lady Romin credo sia la sua unica ossessione».
«E in tutto questo, che valore può avere la bambina?»
«Sono più che sicuro che voglia renderla sua sposa».
Il cuore di Donna si fermò.
«E' una Cacciatrice...»
«E lui un discendente della stirpe di Cacciatori, i Wood».
«E' un controsenso... una follia, Marchen!»
«Ma immaginate soltanto per un istante tutto questo: con l'entrata di Frederick nel Clan, da anni gli Alti esponenti sono divenuti a conoscenza delle mosse e delle capacità di ogni singolo Cacciatore. Certo, sarebbe una follia sposare una Cacciatrice, questo procurerebbe solo scandalo e rabbia da parte degli Alti... ma pensateci bene. Ci sarà sicuramente l'inizio di una guerra, ma porterà presto i suoi frutti. Sposare l'ultima discendente della stirpe dei Van Winkle, potrebbe rivelarsi utile, almeno per la nostra parte».
Donna si alzò di scatto, urtando il tavolino accanto alle sue gambe.
«Utilità? Utilità in cosa, Marchen?»
«Si potrebbe suggellare... un patto».
«Non fatemi credere che, tutto di un tratto, voi e le vipere chiuse in quel covo sperate in una pace provvisoria» sibilò Donna, con gli occhi pieni di veleno e rancore.
«Ci siete dentro anche voi, Donna, cercate di mettervi nei miei panni e in quelli dei miei compagni anche solo per un momento».
Marchen si alzò supino, prendendo a passeggiare per la stanza con le mani premute dietro il bacino. «La regina Vittoria e la sua corte agiscono per puri interessi. Se noi avanziamo anche solo di un passo, la nobildonna non fa altro che sguinzagliare i suoi Cacciatori più fidati. Se i Cacciatori osano affrontare uno sfregio alla sua autorità, entriamo in gioco noi. E' solo un sadico gioco di potere che va avanti dall'inizio della sua ascesa al trono, Donna. E noi, in quanto superiori, cerchiamo solo di avere un ruolo importante in tutto questo».
«State puntando in alto Marchen, più del previsto. Non potete neanche minimamente sfiorare l'idea di poter prendere il sopravvento da un momento all'altro. E in quanto agli Alti, sono convinti che la bambina sia morta».
«Oh, loro ne sono più che convinti, ma i fedeli al Conte sanno la verità celata in tutto» commentò Marchen, puntando lo sguardo contro i vetri annebbiati della finestra. «Se il Conte sposerà la bambina, ci sarà un patto di sangue e porteremo al termine la nostra lenta ascesa verso la nobiltà londinese. Immaginate una parte dei giudizi della regina tenuti tra le mani del Clan, tutto sarebbe più agevolato e non saremo più costretti a vivere nell'ombra. Non è detto che la stirpe dei Cacciatori di Londra accetterà di buon cuore, ma si può tentare. E quando arriverà il momento giusto... colpiremo anche loro».
Donna annegava tra la nausea e il ribrezzo. Tutto ciò era folle, una follia che non stava né in cielo e né in terra. Non poteva credere che il Conte avesse definitivamente venduto la sua anima per un progetto così grande, fuori dalla sua portata e dai suoi piani.
«Dimenticate una cosa, Marchen» lo corresse Donna, in un rantolo amaro. «Winkle fa parte solo della stirpe dei Van, polacchi d'origine. Cosa può spingere i Cacciatori dei Wood ad accettare un compromesso simile?»
«La madre della bambina, mi pare ovvio».
«Sua madre?»
«Amadeus era parte della stirpe dei Van, ma lei no. Matrimonio combinato, semplice. Anastazia Costance Wood è una delle sette figlie dell'ultimo capostirpe».
Donna si lasciò cadere tra i cuscini del piccolo divano, tenendo lo sguardo fisso sulle pareti impreziosite di quadri e ghirigori.
«Non sforzatevi di comprendere, Donna» la richiamò con toni freddi Marchen «non pensatelo neanche minimamente. Qui c'è tutt'altro in gioco, non è semplice nobiltà d'animo. Voi avete scelto di seguire di vostra spontanea volontà il Conte, no? Servitelo ed onoratelo come tale, anche nelle sue scelte. Avrete un giusto compenso anche voi».
«Quindi era tutto progettato...»
«Mi sembra più che ovvio, Donna».
«E... dov'è ora la madre della bambina?»
Marchen sorrise cupamente.
«Anamarié la sta cercando».*** Uno spicchio di luna si rifletteva sulle acque basse e scure del Tamigi, illuminando di luce spettrale il pelo dell'acqua. La donna correva col viso coperto da un mantello lungo e scuro, annaspando a più non posso; le gambe le dolevano da morire, ad ogni scatto compiuto il respiro si smorzava tra diaframma e gola, ma una volta fermata non avrebbe più avuto chance di sopravvivere. Avvertiva i ringhi voraci sfiorarle la schiena, quelle occhiate gelide e affamate di sangue avvicinarsi sempre di più al suo corpo. La gonna stracciata e le scarpe troppe strette interruppero la sua corsa più di una volta, ma il desiderio di vendetta era acceso in lei come carboni ardenti, istigando nuovamente l'adrenalina ficcata nei muscoli.
Anastazia arrestò per qualche istante la sua corsa, voltandosi prontamente con la vecchia revolver consacrata tra le mani tremanti, e un colpo scalfì la quiete londinese. Uno dei due inseguitori balzò agilmente contro le mura sudice di un vecchio casale, scoprendo la dentatura affilata come lame di pugnali, e le zampe robuste si piantarono a terra con uno scatto.
La Cacciatrice riprese la sua corsa, lasciando che il mantello volasse via dalle sue spalle. Anamarié si precipitò accanto al compare, osservando la figura della donna sparire tra casse e buio.
«Ti ha ferito?»
Le ossa di Byron gracchiarono in un unico istante e le sembianze bestiali lasciarono spazio ad un aspetto più umano e guardabile. Il muso tornò schiacciato e la mascella si ricompose, il pelo scuro divenne pelle coperta da calzoni e una camicia larga.
«Stupida puttana...» gracchiò in un ringhio, lo squarcio sul braccio fumava ancora e brandelli di pelle penzolavano dal tessuto di lino grezzo.
Anamarié tese il viso in avanti sbarrando gli occhi, tastando l'aria col fiuto fine alla ricerca della Cacciatrice. Le iridi castane brillarono eccitate, e con due dita sfiorò il foro in cui il proiettile d'argento giaceva conficcato nel muro.
«L'odore della donna pare svanito, eppure dovrebbe essere ancora qui».
«Svanito?» domandò Byron, eseguendo la stessa azione del Sicario al suo fianco. L'odore dolciastro delle acque scure e le esalazioni fetenti degli scarichi furono le uniche cose percepibili.
«Abile, davvero» ammiccò Anamarié, sgranchendo le spalle indolenzite. «Dev'essere ancora qui».
Byron si avvicinò svogliatamente al mantello riverso sui san pietrini, investigando sull'odore acre impresso nel tessuto pesante.
«Muoviamoci. Non dovrebbe essere lontana, almeno non per il momento».
Entrambi continuarono la loro spietata ricerca, setacciando da cima affondo almeno quattro chilometri di sponde del fiume.
Anastazia bagnò nuovamente il viso stremato e i polsi con acqua distillata, boccheggiando come un pesce fuor d'acqua. Erano vicini, troppo vicini, dal suo nascondiglio di fortuna riusciva a percepire l'eccitazione dei vampiri immersi nella loro caccia notturna.
Fissò per qualche istante lo spicchio di luna fisso in cielo per darsi forza. La vendetta ribolliva nelle sue vene come lava fusa, la sua umanità aveva lasciato spazio solo al dolore della perdita del suo consorte... e della sua bambina.
Annaspò inghiottendo aria avidamente; stracciò con un coltello a serramanico la gonna leggera e tolse le scarpe strette per facilitare l'ennesima corsa in arrivo. Di sua volontà scattò allo scoperto, imprecando sottovoce qualche divinità di protezione, sperando con tutta sé stessa di portare al termine il piano progettato nei minimi dettagli.
«Anamarié, eccola!»
La voce di Byron tuonò furiosa e in un batter d'occhio mutò il suo corpo in bestia, inseguendola dall'altra sponda. Le zampe strusciavano sui san pietrini consumati dalle intemperie, i suoi ringhi gutturali ferirono l'indole caparbia della Cacciatrice che, in un unico momento, si gettò a terra con un balzo. Byron aveva percorso la distanza delle due sponde con un solo salto, atterrando composto. Anamarié arrestò la sua corsa e uno sfavillante sorriso le curvò le labbra sottili.
Lasciala a me Anamarié, aveva detto il Sicario prima di lanciarsi nell'inseguimento, e lei non poté far a meno di accettare a malincuore. Byron era un vampiro di poche pretese, ma esperto e sanguinario più di lei sotto certi aspetti.
Osservò da lontano la figura di Byron avvicinarsi con passi felpati all'ignara vittima, divertito e scosso da tremolii di appagamento personale. Un solo morso sarebbe bastato a rompere le ossa flebili del collo; il Sicario avrebbe goduto nello stracciare pelle e muscoli, scavando affondo nella budella con gli artigli argentei delle zampe, riducendo la Cacciatrice in un mucchio di rantoli e carne.
Per i primi secondi ci furono solo occhiate di veleno tra i due.
Anastazia indietreggiava puntando i gomiti a terra e strisciando con le gambe per darsi forza. Brividi di freddo le percossero la spina dorsale nel vedere Byron avvicinarsi alla sua figura indifesa sempre di più. A tal pensiero, la mano destra volle scattare sul calcio della revolver fissa in una fondina al suo fianco, ma non doveva ucciderlo. Non doveva ammazzare il Sicario, doveva resistere il più possibile.
Ma le speranze diminuirono in un unico istante, quando la bestia piantò gli artigli tra le pietre sconnesse e una lingua chiara gli carezzò il sogghigno maligno impresso sul muso.
Un unico balzo.
Il cuore di Anastazia si fermò per qualche istante, e con di già la mano stretta contro l'arma, era pronta a fare fuoco contro il petto della creatura.
Il fischio impercettibile di un dardo azzannò l'aria notturna, colpendo la zampa tesa del lupo.
Il corpo di Byron rotolò rovinosamente a terra e un mugolio strozzato gli varcò le zanne.
Biancospino!
«Anastazia!»
La voce di Taylor, suo cugino carnale, la calmò per qualche istante.
Erano giunti in suo soccorso, finalmente.
Altri due uomini compagni di Taylor imbracciavano saldamente una balestra, e si avvicinarono con cautela alla figura tremante d'agonia del vampiro. Uno dei due Cacciatori scoccò il secondo colpo contro l'arto destro del mostro e Byron riprese le sue sembianze umanamente guardabili tra urla e di dolore e disprezzo.
Cercò con lo sguardo la sagoma di Anamarié speranzoso di esser portato in salvo.
Ma di lei non c'era nessuna traccia.
«Anastazia!» la richiamò ancora l'uomo, correndo al suo fianco. «State bene?»
La donna annuì fiaccamente, afferrando il braccio proteso verso di lei.
«Credevo non arrivaste più...» sussurrò con voce flebile, osservando gli altri due Cacciatori tenere a bada un Byron agonizzante di rabbia e sofferenza.
«Siete ferita?»
«Solo stanca, Taylor...»
«E' tutto finito... e siete stata più brava del previsto» le mormorò solidale, concedendole un mezzo sorriso.
Ananstazia distolse lo sguardo, massaggiandosi il viso stanco con i palmi aperti.
«Dov'è Josef?»
«Nella chiesetta di sant'Eugenio, è con padre Agostino. E' al sicuro lì, state tranquilla».
«Almeno lui...»
Taylor percepì il dolore ancora aperto nel cuore e nella mente della Cacciatrice. Le posò una mano sulla spalla, rassicurandola con uno sguardo.
«Presto sapremo cos'è accaduto, Anastazia. Avrete quel che vi meritate».
Ananstazia lo fissò, sopprimendo la voglia di piangere e urlare tutta la sua sofferenza. Aveva perso tutto, ogni cosa carnale e affetto terreno, proprio a causa della combutta tra bene e male in atto da secoli, ormai. Non riusciva a capacitarsi della morte prematura di suo marito Amadeus, e la scomparsa di sua figlia vittima innocente delle sevizie del Clan londinese.
Il volto di Annabel sfrecciò tra le sue memorie, perlaceo e solare, stretto contro il suo seno. Taylor strinse ancor di più la presa attorno alla spalla della donna, incitandola a lottare con una sola occhiata.
Byron venne caricato su di carro, legato e tenuto a bada da rami di biancospino e acqua distillata. Per tutto il tempo non fece altro che mugolare, urlare insulti e scalciare, mettendo a dura prova l'indole ferrea dei quattro Cacciatori. Il carro sfrecciò fuori dalla città velocemente, e in poco tempo raggiunsero una chiesetta diroccata posta accanto al cimitero locale.
Byron venne trascinato al suo interno e le ante del grande portone si chiusero attutendo i continui sbraiti. Sull'uscio del luogo sacro giaceva inerte la figura di padre Agostino, intento a stringere tra le braccia un pargolo avvolto in una coperta ispida e consumata dal tempo. Al passare del vampiro mormorò parole cariche di santità, allontanandosi di qualche passo dalla figura furiosa del mostro.
Anastazia balzò giù dal carro correndo a perdifiato verso i due.
«Vi ringrazio, padre...» mormorò con occhi lucidi la Cacciatrice, prendendo e stringendo al petto il piccolo Josef. Il bambino teneva le manine premute contro il viso e gli occhi sbarrati, cullato da un sonno beato.
«Il pargolo è sazio, lasciatelo riposare» le mormorò dolcemente, chinando leggermente il capo in segno di saluto. Padre Agostino era una figura di fede e di spicco tra la comunità dei bassi fondi e i poveri abitanti delle campagne, acclamato proprio per la sua umiltà d'animo e senso di dovere verso il prossimo. Si prendeva cura della chiesa ormai in rovina da anni, affiancando di nascosto le missioni della casata di Cacciatori londinesi di cui Taylor faceva parte dalla nascita, i Wood.
Anastazia guardò Josef dormire tra le sue braccia pacatamente, e una lacrima le solcò le ciglia spesse. Taylor fu subito al suo fianco e con un filo di voce parlò:
«Andiamo in sacrestia, staremo più caldi».
Anastazia si limitò ad annuire, entrando. Crepe e sfregi rovinavano l'armonia della cupola, un vecchio altare di legno e pietra giaceva in penombra sotto una volta a botte, le panche erano sudice di polvere e gracchianti. Nell'avvertire le occhiate cariche di collera di Byron su di lei e il bambino, Anastazia si affrettò ad entrare nella sacrestia. Si lasciò cadere su di una sedia priva di schienale, sporca e traballante, sospirando appena.
Taylor si affrettò a raggiungere i due compagni immersi nell'interrogatorio, lasciando soli la donna e il parroco. Padre Agostino prese la lampada ad olio da terra, poggiandola sul sudicio tavolo in legno accanto ai due, fissando il viso distorto in una smorfia di dolore di Anastazia.
«La vendetta vi sta consumando, Anastazia...»
«Non sono qui per una confessione, padre. Faccio solo quel che ritengo giusto».
«La rabbia vi sta accecando amica mia, non lasciate che esseri diabolici come loro vi corrompano col dolore di una perdita» le rispose a tono l'uomo, sedendosi di fronte alla Cacciatrice.
Josef sbadigliò sonoramente, premendo il viso contro il petto della madre.
«Io non cerco vendetta. Voglio solo che paghino per i torti che mi hanno fatto... voglio che paghino per come ha sofferto Amadeus. Voglio che paghino per il rapimento della mia bambina...»
«Voi portate avanti questa crociata per puro gusto personale?»
«E' una faida che infierisce da secoli ormai!» ringhiò a denti stretti Anastazia, scavalcando le urla di Byron che si ripercuotevano tra le mura gelide della chiesa. «Ho scelto di sposare un uomo come Amadeus, di affiancarlo in tutto questo...»
«Eravate a conoscenza dei rischi, dei pericoli amica mia. L'avete sempre saputo, ma questo non vi ha mai fermata. Siete una donna d'onore, forte e devota a Dio, non dimenticatelo mai».
«Dov'era Dio quando Amadeus veniva fatto a pezzi? Dov'era Dio quando la mia bambina è stata portata via!» urlò smorzatamente, chinandosi in avanti come un fiore avvizzito. Strinse tra le braccia il bambino ormai sveglio, e lacrime calde caddero sulla pelle diafana di quest'ultimo.
Agostino si concesse qualche istante per rispondere. Lasciò che quello sfogo di madre e moglie continuasse imperterrito tra lacrime e lamenti tagliati dal dolore.
«Superate tutto questo, Anastazia, superatelo. Mettete da parte l'astio, il rancore e la rabbia... fatelo per il bambino che ora stringete contro il grembo, fatelo per lui».
La Cacciatrice alzò il volto rigato di lacrime e l'ennesimo urlo di Byron tuonò nella quiete notturna.
«Fatelo per il piccolo Josef, amica mia. Lasciate Londra e cominciate di nuovo a vivere. Con o senza Dio... questo dipenderà solo da voi».
Le iridi chiare di Josef fissarono il volto di Anastazia. Allungò una manina verso il viso della madre, mugolando, quasi avesse concepito la situazione in cui si trovavano. Tastò le guance infuocate della Cacciatrice con tocchi goffi e veloci, riuscendo a strapparle un sorriso sghembo.
«Devo... abbandonare Londra?»
Il parroco annuì solidale, fissandola. «Abbandonate Londra, fuggite da questo covo diabolico. Scappate via e lasciatevi tutto alle spalle».
«E se Annabel fosse ancora viva? Io non posso...»
«Le vostre speranze sono mandate avanti dal dolore, Anastazia».
Anche il solo pensare che la bambina fosse morta da una settimana ormai, istigò ancor di più il pianto.
«Non sono così forte da pensare che sia morta, non voglio pensarlo Padre!»
«Bel?»
La voce squillante di Josef la calmò momentaneamente, e il bambino si liberò dal caldo della coperta, mettendosi seduto.
«Dov'è Bel?» domandò innocentemente, fissando sua madre.
Anastazia non rispose. Si limitò a stringerlo contro il seno, accarezzando i boccoli bianchi striati d'argento, realizzando.
Non c'era più alcun barlume di speranza che la spronasse ad andare affondo in quella faccenda. L'unico tesoro che gli era rimasto era Josef, fratello gemello della piccola Annabel, due gocce d'acqua inseparabili dal primo momento in cui misero piede al mondo.
Il parroco fissò il bambino confuso, parlando piano.
«Dimenticherà» biascicò l'uomo stringendo le mani al petto. «Dimenticherà solo se sarete voi a farlo, Anastazia».
La Cacciatrice chiuse gli occhi, coccolando Josef con carezze e baci sul capo.
Scacciò dalla testa l'orribile visione del corpo martoriato di Amadeus, privo di braccia e gambe, seviziato e umiliato dalle stesse creature che combattevano da anni, fianco a fianco. Ricordò la culla bianca di Annabel rovesciata a terra, rivoli di sangue rappreso macchiavano il corredo delle lenzuola.
«Il dolore fortifica l'anima. Ce la farete».
La porta della sacrestia si aprì velocemente e sull'uscio apparve Taylor, intento a brandire un'ascia.
«Anastazia...»
Per qualche istante ci fu silenzio. Padre Agostino prese a fissarla con intensità, cercando disperatamente di togliere dalla sua mente il desiderio di vendetta che covava con rancore. Ma la donna si era già alzata affidando nelle mani dell'uomo il piccolo Josef.
Brandì l'ascia con entrambe le mani, assaporando la consistenza del legno con i polpastrelli tesi. Un bagliore argenteo trapassò la lama lucida, distorcendo il suo viso riflesso su di esso.
Seguì Taylor fuori dalla chiesa con decisione e apatia, e il parroco scosse la testa affranto.
Un colpo.
"Due bambini, due sani pargoli, Anastazia! Il cielo vi da in dono questi piccoli angeli!"
Due colpi.
"Non aspettatemi alzata, Anastazia. Riposate pure, tornerò a prendervi con Josef prima di domattina."
Tre colpi.
"Vi porgo le mie condoglianze, Anastazia, per una perdita così grande... Amadeus era un uomo di valore, rispettoso e doveroso verso la famiglia, Dio e i suoi pargoli. Che possa riposare in pace."
Anastazia tranciò di netto con colpi furiosi gambe, braccia e testa della creatura, accanendosi poi contro il bacino inerme e smembrato del vampiro ormai irriconoscibile.
Lasciò che tutta l'ira la consumasse viva, affievolisse tutti i suoi malesseri, anche sotto le occhiate stupite di Taylor.
Il fumo di un falò si levò presto alto e in silenzio gli altri due Cacciatori si rintanarono nella chiesetta, stanchi e affamati.
Anastazia fissò le lingue di fuoco fendere l'aria accanto a Taylor.
«Cos'ha detto?» mormorò con voce flebile la Cacciatrice.
«Annabel... è stata portata nelle sedi del Clan, non ci ha rivelato di preciso quale».
Silenzio. Altre lacrime cominciarono a riversarsi sul viso freddo della donna.
«Il nome del Sicario?»
Taylor esitò.
«Il Conte Frederick Stewart».
Un nome. Uno solo era bastato per riaccendere la collera che serbava nel cuore e nella mente. Sarebbe scappata, fuggita, ma i suoi pensieri sarebbero sempre tornati indietro a quella notte, la notte in cui scoprì il nome dell'assassino di sua figlia.
Sollecitata dal tepore del fuoco e l'odore di morte nelle narici, giurò a sé stessa che sarebbe tornata.
Sarebbe tornata in Inghilterra per uccidere il Conte.
E mentre il giorno cominciò la sua lenta ascesa nel cielo, Anastazia giurò sul corpo del marito e sul ricordo di Annabel che niente l'avrebbe più fermata.
Nemmeno il rimorso, né le preghiere e né il pentimento verso Dio.
C'era solo vendetta, ormai.

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