Capitolo 4: Il Ricordo

" Quando non si riesce a dimenticare, si prova a perdonare"

-Primo Levi


La governante di casa O'Grey intersecava la spazzola, laminata d'argento, tra i boccoli voluminosi della ragazzina, lisciandoli e tirandoli con dolcezza ad ogni colpo di brusca. Nonostante i suoi cinquant'anni, trenta dei quali passati al servizio della dignitosa famiglia imprenditoriale e lo sguardo austero incorniciato da rughe spesse, Josephine era una donna amabile e fiera del piccolo gioiello che impreziosiva la famiglia O'Grey.
Mandando affondo l'ennesima spazzolata, ricordò come quattordici anni addietro fu una delle prime ad accogliere, al mondo, la piccola Donna: ricordò le moine e le urla di Lady Costantine, stanca e seviziata dal parto che si rivelò un vero martirio. Ricordò il pianto flebile della bambina, i suoi urletti che riscaldarono l'animo di sua madre; la gioia, seppur assopita, di suo padre Bryan, nel sapere che l'erede della famiglia O'Grey non era altro che una femminuccia. Entrambi i coniugi ebbero difficoltà nel mettere al mondo una creatura, il tutto derivato da una mancanza che sconvolse Costantine: se fosse per un malocchio o una maledizione, la donna faticò per anni a rimanere incinta del suo primo bambino e, prima di tutto ciò, il fallimento la distrusse emotivamente; i precedenti due aborti spontanei avevano spento la sua ardente voglia di vivere, ma l'indole forte di Donna la fece ricredere all'istante. Era una ragazzina fuori dal comune, talentuosa, virtuosa nelle arti e nella letteratura, con un'unica insana passione sempre in testa: la musica. Donna se ne cibava a non finire, gli spartiti erano la sua casa e le note il suo dolce preferito. Ma la salute cagionevole e il corpo malaticcio non furono cose da sottovalutare, anzi, il medico di famiglia era sempre sull'attenti, tanto che i genitori della bimba ospitarono il dottor Paul per circa sei anni nella residenza.
Josephine arricciò un boccolo scomposto tra pollice e indice, riprendendosi da quella miriade di pensieri futili.
«Josephine,» la richiamò alla realtà Donna con un filo di voce «sono andati tutti via?»
«Credo di sì, Donna. La vostra esibizione deve averli lasciati a bocca aperta» ridacchiò la vecchia governante, e un sorriso sincero le scoprì la dentatura ormai consumata. «Siete un vero portento, mia signora. Una forza della natura».
«Lo credi davvero?»
«Certo, perché dovrei mentirvi?»
Donna sospirò, rilassando le spalle tese. «Sei sempre così cordiale con me, Josephine. Io non sono perfetta come pensi e mi descrivi tu».
«Avete un gran cuore, mia signora. Un grande spirito ma sopratutto un grande talento» le rivelò l'anziana, tirando per bene i lacci della camicia di seta bianca. «Troverete marito in men che non si dica, un bel giovanotto che saprà come accontentarvi e rendervi felice».
Maledizione, pensò Donna, roteando gli occhi con far ribelle. Le prime proposte di fidanzamento erano giunte in casa da qualche settimana, l'eccitazione di sua madre era palpabile e forte, nella sua testa avevano di già preso forma ogni minimo dettaglio della festa d'annunciazione prematrimoniale e la lunga lista d'invitati da rispettare. Seppur Constantine fosse una donna benevola, acculturata e amante delle romanzate e delle rappresentazioni liriche, rimaneva pur sempre fedele alla tradizione.
"Un giorno appassirai, Donna. Prendi la prima occasione e rendici fieri di te!"
Un conato di ribrezzo le solleticò la gola. «E se non lo trovassi?»
«Questo dipende solo da voi, Donna. Che sia per un capriccio o meno, non credo che vostro padre ve la faccia passare liscia senza sbraitare ai quattro venti».
«Penso di star bene anche da sola».
«E se non fosse così?»
«Certo che lo è, Josephine!» ammise amareggiata la più piccola, chinando il capo sul freddo marmo della toeletta. «Voglio essere come mio nonno, il violinista più amato della Gran Bretagna. Voglio suonare e vivere per la musica, solo questo».
«La casata degli O'Grey si aspetta un comportamento decoroso da parte vostra. Potrete sempre trasmettere questa passione alla vostra futura prole, non guasta mai, credetemi» sentenziò Josephine, imprimendo lo sguardo nel riflesso della toeletta. «Onore, rispetto e tradizione. Questo viene prima di ogni altra cosa, mia signora».
Onore, rispetto e tradizione. Mai odiò così tanto in vita sua significato e tonalità racchiuse in quelle tre maldicenti parole. Fondamenta che, in fin dei conti, il suo insegnante di galateo e la sua maestra di danza e valzer , le ripetevano con disciplina ogni giorno, ad ogni nuova lezione, sbaglio o svogliatezza che lasciava trasparire. Donna era più che consapevole che niente sarebbe cambiato nella sua vita, niente avrebbe potuto prendere una direzione diversa; si era rassegnata al fatto che il Fato fosse solo un grande buffone dalle vie contorte e beffarde, troppo facili per l'importanza materiale che ricopriva lei sulla terra. L'unico modo per evadere dalla sua gabbia d'oro apparentemente perfetta, era proprio la musica: non appena assorbite le tonalità calde del legno dello strumento contro il mento, Donna mutava come un serpente a primavera. Sbocciava tra una nota e l'altra, immaginando e fantasticando platee su platee intente a richiamarla a loro con applausi ricolmi di appagamento.
Ma l'immaginazione forbita e l'angusto contesto famigliare annientavano il tutto. E mai ci fu cosa che la rendeva più triste e sola, malata e futura sposa di qualche magnate europeo.
«Voglio solo poter vivere come... più mi piace... non ho mica detto di voler indossare i calzoni o sposare un pescivendolo, Josephine!»
La governante soppresse un risolino e, riacquistata la dolcezza necessaria, le sollevò il capo con due dita, costringendola ad osservare il proprio riflesso. «Guardatevi, mia signora. Siete un gioiello. E come tale dovete esser lucidato in maniera impeccabile, lustrato e scolpito al meglio».
Donna si osservò, fingendo vanità nei suoi confronti. «Sono solo uno dei tanti ad ingemmare una corona, quanto posso valere?»
«Troppo se si parla di una gemma più unica che rara» le sussurrò, sfregando le mani callose sulle spalle esili. Si allontanò dalla figura esitante di Donna, tirando via le lenzuola fresche e buttando a terra le miriadi di cuscini dai ricami avorio.
Donna si alzò fiaccamente, stendendo il corpo sul letto morbido. Josephine le rimboccò le coperte con fare materno, abbassandosi alla sua altezza.
«Credetemi, mia signora, credete a tutto ciò che vi dico. Non oserei mentirvi nemmeno sotto tortura».
Donna sorrise. «Hai un cuore grande, Josephine».
L'anziana le sorrise di rimando e si alzò supina. Fece per andarsene per concedere a Donna un lungo sonno ristoratore, quando quest'ultima la richiamò flebilmente.
«Aspetta, Josephine...»
«Qualcosa vi turba, mia signora?»
Donna riempì i polmoni d'aria con un sonoro sospiro, ripensando all'esibizione di quella stessa sera. Sentì gli occhi del Conte ancora fissi su di lei, divertiti e ricolmi di appagamento personale, istigatori e istiganti. Donna rabbrividì, al solo ricordo dei complimenti che le aveva rivolto ammiccando tra un sorriso e l'altro. Ricordò la lucentezza dei canini anormali, lunghi e affilati come lame di pugnali; i rubini al posto delle iridi che brillavano pretenziosi, inusuali e innaturali nella loro colorazione.
Perché due occhi rosso sangue, in vita sua, li aveva solo immaginati nei suoi incubi più oscuri.
«Il Conte... perché tutti lo temono?»
La governante rabbrividì visibilmente, istigata dalla pelle d'oca in arrivo.
«Perché desiderate saperlo, mia signora?» domandò Josephine, voltandosi appena.
Donna non riuscì a risponderle. Di dicerie sul Conte Stewart ne aveva sentite a bizzeffe per anni: tutti l'avevano sempre dipinto come un "diavolo di uomo", "servo del maligno", "figlio bastardo di Lucifero". Ma i bollenti spiriti tacevano all'improvviso col suo passare e i visi dapprima carichi di dissenso e disgusto si spegnevano seduta stante, lasciando spazio alla paura irrazionale e al timore. Eppure la sua collaborazione con Bryan O'Grey era qualcosa di nuovo e inaspettato; suo padre era molto selettivo nello scegliere i propri soci imprenditoriali, ma questa volta le parve tutto diverso. Tra le cameriere indignate si era scatenato un putiferio degno di esser chiamato tale, nel momento in cui seppero dell'alleanza economica che avrebbe legato la casata centenaria degli Stewart alla nobile discendenza dai tratti celtici degli O'Grey. E proprio a causa di ciò, suo padre parve agitato. Bryan era impaurito, così come sua madre, l'aveva intuito nel momento in cui Frederick le aveva proposto di duettare assieme.
Cosa nascondeva il Conte Frederick Stewart?
Cosa le stavano occultando i suoi stessi genitori?
«Donna?» la richiamò Josephine con fare preoccupato.
«Ero solo... curiosa a riguardo. Sembra un brav'uomo, per dirla tutta».
«Il maligno ha mille facce, mia signora» la rimproverò la governante, avvolgendo le dita ossute sulla maniglia della porta. «Non fidatevi, piccola Donna. E' meglio così».
«Perché? Perché non devo?» la voce di Donna risuonò di un'ottava più alta nello scandire quella perplessità. «E' un assassino? Un folle? Un mago? Un eretico o... un vile che complotta contro i gioielli della corona della regina?» continuò imperterrita, alzandosi supina sul materasso molle. «O semplicemente... solo?»
«Dormite, mia signora, dormite!» la voce di Josephine tuonò tra le mura candide della camera da letto. Il comportamento duro e rigoroso della governante balzò fuori in un batter d'occhio. «Tenete la vostra curiosità fuori dagli affari di vostro padre. Non credo ci sia altro da dire a riguardo!» concluse e nelle iridi scure guizzò un baleno carico di collera.
Donna non fece in tempo a dissentire che la porta si chiuse con un tonfo sordo. Rimase in piedi tra le lenzuola sfatte, pensierosa. Si lasciò cadere tra i cuscini morbidi e freschi, fissando il soffitto elegantemente impreziosito da un lampadario ingemmato, posto lì solo come ornamento e nulla più.
"Fate della vostra musica un'arma contro la mia dannazione eterna. Fatemi santo subito, Donna. Non desidero altro."
Quelle parole. Quelle dannate parole le istigavano dolore più di mille spilli ficcati nei polpacci con forza. Cercò di rievocare il sonno perduto, ma l'insistente timbro di voce dell'essere si ripercuoteva nei meandri della sua testa, come un eco urlato tra le valli innevate. In cuor suo, Donna, ammise di non aver mai provato un malessere così forte in vita sua. Sapeva di non aver alcuna voce in capitolo sugli affari privatisti di suo padre, ma qualcuno le suggerì il contrario. E quel "qualcuno", non era altro che l'uomo adorante della sua musica.
Girò e rigirò il proprio corpo tra le lenzuola che, tutto d'un tratto, le parvero ispide e troppo calde, decidendo in un secondo momento di concedersi una passeggiata tra i corridoi dormienti della sua casa. Donna fece attenzione a non fare troppo rumore e si maledisse non appena varcata la soglia del suo esilio: lo stridio del legno riecheggiò nel vuoto notturno della residenza e, per qualche istante, stette completamente immobile, coi muscoli tremanti e l'adrenalina dentro di essi. Setacciò con lo sguardo gli angoli in penombra del grande andito principale, tutti parevano dormire di già e di Josephine non vi era nessuna traccia.
Percorse in punta di piedi il primo piano, camminando sul tappeto in velluto rosso per non emettere alcun rumore sospetto.
Sgattaiolò con passi felpati al piano terra, imprimendo i piedi scalzi sul pavimento piastrellato dell'androne. Tese l'orecchio in ascolto e, con attenzione, percepì un vociare appena accennato provenire dal fondo del corridoio alla sua destra. Il cuore le smise di battere per qualche istante man mano che i chiacchiericci divenivano più intensi e concepibili. Con uno scatto impacciato, si ficcò dietro un'imponente statua in marmo fissa accanto alla lunga scalinata.
Coperta dai prosperosi fianchi di una Venere idilliaca, sporse leggermente il capo in avanti, intersecando le dita sul tessuto statico della composizione per darsi equilibrio. Nel campo visivo della giovane presero forma la sagoma solenne di suo padre e... le grandi spalle e il petto gonfio di noia del Conte.
E' ancora qui?, pensò ritirandosi appena, quasi avesse paura di esser scoperta. Non di certo da suo padre, almeno.
«Potete soggiornare qui quanto volete, Conte. Questa casa ha aperto le sue porte a voi, non siate timidi, è il minimo che io possa fare per dimostrarvi la mia immensa gratitudine».
«Onorato di ciò, O'Grey. La vostra ospitalità mi allieta non sapete quanto» rivelò Frederick e un ghigno malizioso gli curvò le labbra.
Il signor Bryan abbassò il capo per qualche istante, annegando il malessere che gli procurava quel riso maligno ogni volta che lo fissava. «Avete preferenze, Conte?»
Il vampiro prese a picchiettare due dita sul mento con far pensieroso, imprimendo lo sguardo sull'alto soffitto sopra la sua testa.
«Mi piace oziare fino a tarda mattinata. Non fraintendetemi, sono un uomo di valore e costante nei suoi affari, ma... preferisco svolgere il tutto con il calare del sole» ammise sarcasticamente il dannato, consapevole del fatto che, lo stesso Bryan, fosse a conoscenza delle sue radici diaboliche e immortali. «Non lo credete anche voi, O'Grey?»
«Senza alcun dubbio, Conte...»
Donna sistemò la veste da notte che le incespicava i piedi, notando a malincuore il sottile sudario di sudore che imperlava il capo spennato del padre, vittima ormai degli anni che scorrevano veloci sulla sua pelle, più lesti dello scorrere imperterrito dei secondi racchiusi in un orologio a pendolo.
Il Conte osservò le forme generose della statua nascondiglio di fortuna di Donna, ammonendo l'ennesimo sorriso. «Ci rivedremo domani sera per la firma dei patti conclusi oggi. Dopodiché vi lascerò alla vostra vita, O'Grey, dormite sereni».
«D'accordo, Conte. Vi auguro una buona nottata...» sentenziò con un filo di voce.
I due s'incamminarono lungo la scalinata, e i passi si affievolirono pian piano lasciando spazio ad una quiete notturna provvisoria.
Donna raddrizzò la schiena dolorante, uscendo allo scoperto. Origliare è da vili, ma lei non poté farne a meno. Le cose si stavano complicando, suo padre lo dava troppo a vedere, non sforzandosi nemmeno di poco a nascondere il suo disagio interiore con una maschera calata sul viso ricca di falso buon senso e menzogne.
Lasciò scorrere le dita lungo il drappo niveo della statua e un sospiro le varcò le labbra contratte. A malincuore, ci avrebbe dormito su, grata del fatto che, in fin dei conti, il sonno era tornato a turbarle le rivelazioni.
«Stavate per caso ascoltando, Milady?»
Un brivido glaciale sconquassò la spina dorsale di Donna. Si voltò lentamente, incredula, trovandosi a qualche centimetro dal corpo la sagoma maestosa del Conte. Avrebbe voluto urlare dallo spavento, gridare a più non posso e correre via, il più lontano possibile da lui.
Ma non lo fece. La paura aveva di già tramortito i suoi muscoli con un colpo netto.
Come faceva ad essere... lì?
«Spregiudicata come cosa da parte vostra, Donna» ammiccò, scoprendo la dentatura bianca e perfetta.
Donna boccheggiò come un pesce fuor d'acqua alla vista di quei canini.
«Vogliate scusarmi, Conte. Non riuscivo a dormire, non era mia intenzione...»
«Animo, animo Milady! Non avete di certo ucciso qualcuno, o sbaglio?» domandò con una punta di sarcasmo incastrata tra i denti.
«Non intendevo questo...»
«Eravate così impazienti di poter duettare con me?» le rivelò, abbassandosi alla sua altezza. «Mi aggrada anche solo pensarlo. Ma sappiate una cosa, Donna O'Grey: in un giorno non troppo distante, potremo concederci questo lusso ogni volta che vorremo. Il vostro violino col mio violoncello... quale soave accoppiata!» esclamò a denti stretti il Conte, e nelle iridi cremisi balenò un fulmine ricolmo di eccitazione. Da quella distanza percepiva il lento fluire del sangue nel corpo di Donna, così puro e innocente, tanto che fu tentato di assoggettare la sua mente e bere la sua essenza fino all'ultima goccia. Ma gli occhi sbarrati della piccola erede e i pugni chiusi contro le cosce coperte, lo divertirono quel tanto da lasciar scorrere via la sua frenesia come acqua su vetro.
«Sarebbe un grande onore... per me» biascicò Donna con voce rauca, irritata.
Frederick sorrise benevolo. «Ai dannati come me può solo far del bene, credetemi».
«E in base a cosa giudicate la vostra indole dannata?» domandò la ragazzina, tirando fuori tutto il coraggio di cui era provvista in quel momento.
«E in base a cosa, piccola Donna, giudicate la vostra musica un talento prodigioso?»
«Il giudizio del mio insegnante».
«Campate soltanto sulle lodi di un umano che di musica, forse, ne capisce quanto un giunco di rispetto?»
Donna digrignò i denti. «C'entra anche l'esperienza!»
«Esperienza...» ridacchiò il vampiro, parando una mano davanti alle labbra con fare elegante. «Se la mettete su questo punto... ne avete di strada da fare, mia signora!»
«E allora a cosa sono dovuti tutti quei complimenti a me rivolti questa sera?»
«Beh, erano più che voluti... non volevo di certo esser sgarbato».
Con mani premute sui fianchi e gli occhi sbarrati, un guizzo di collera brillò nelle iridi oltremare di Donna. La mandava in bestia anche il solo pensare che, quell'uomo, le avesse dimostrato il suo godimento solo per concederle un briciolo di pietà.
Come accidenti si permetteva?
«Allora farò in modo che la mia musica vi renda più tormentato di quanto voi non lo siate già!» ringhiò a denti stretti mentre il Conte tornava composto. Il vampiro, dopo attimi di esitazione, si concesse un'amara risata, lunga e sonora.
Donna rilassò i palmi attorno al bacino, insicura e disorientata dalla risata rivelatosi poi un sogghigno.
«Andate a dormire, piccola Paganini. Domani sarà un gran giorno per voi... e per me».



Donna non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte, i contorni violacei attorno le palpebre gonfie ne furono la prova. Si alzò come di routine alle sette spaccate, concedendosi un bagno consolatore: cercò di annegare la rabbia scaturita dalla sfrontatezza del Conte nei suoi confronti, lasciandosi massaggiare la nuca da Josephine. Si preparò di tutto punto indossando un abito in velluto azzurro cielo, dal corpetto rigido e impreziosito sul davanti da pajette modellate a mo' di fiori, con maniche a sbuffo e la vita stretta. Bofonchiò sottovoce mentre Josephine l'aiutava con l'indossare la crinolina ampia, maledicendo la sua femminilità.
Raggiunse i coniugi O'Grey sul terrazzo che dava sull'ampio giardino, offrendo una colazione accompagnata da un paesaggio mozzafiato. Nonostante le temperature rigide e le piogge dei giorni addietro, una lingua di sole colorava il cielo mattutino, rendendo il tutto più appetibile.
Donna prese posto accanto al tavolino in ferro battuto, dopo aver salutato cordialmente sua madre e suo padre. Una cameriera le sfilò la mantellina di lana, servendo in silenzio pane italiano, croissant e thè aromatizzato al limone e ginger, il suo preferito.
«Ancora insonnia, tesoro?» parlò preoccupata Costantine, osservando i lividi paonazzi che ingemmavano le palpebre della figlia.
Donna fece spallucce. «Ieri sera devo aver esagerato un po', madre».
Ancora silenzio. La più giovane si lasciò coccolare dal caldo tepore emanato dal tè, inspirando affondo la dolcezza che le inebriava le narici. Bryan, di tanto in tanto, lanciava occhiate fugaci nella direzione della consorte, invitandola a parlare.
Costantine poggiò lentamente la tazzina sul piattino in ceramica, drizzando le spalle minute.
«Donna».
«Sì?»
«A breve sposerai il Conte Frederick Stewart».
La tazzina si schiantò sul vetro del tavolino e il thé le macchiò le vesti. Con gli occhi sgranati e la paura ad un soffio dal volto, Donna realizzò. Una cameriera si apprestò a pulirle la gonna, ma lei non mosse un muscolo. Era troppo sconvolta, vittima di quelle rivelazioni immani, vittima della tradizione della famiglia, dell'onore e dell'educazione che le avevano impartito fin dalla tenera età. Il Conte poteva avere una ventina di anni più di lei, freddo e spietato; celava in quei sorrisi sghembi una verità che odiò ma amò fin dal primo momento in cui le rivolse parola.
Tutti i suoi sogni si annientarono in un unico boato, lasciandola senza fiato e parole.
Si alzò senza nemmeno degnare di uno sguardo i coniugi O'Grey, incamminandosi verso la sua stanza. Sfilò dallo custodia in pelle l'oggetto più amato in quegli anni, osservandolo col fiato corto. Avrebbe voluto suonare, sfogarsi tra un colpo di archetto e l'altro invece di urlare, dimenarsi e piangere senza alcun ritegno. Ma non lo fece.
Donna afferrò il manico tra le dita esigue.
Un urlo smorzato si ripercosse tra le mura della sua stanza, il violino aleggiò furiosamente nell'aria, scontrandosi con forza contro la parete di fronte. La cassa scoppiò, le corde si raggrinzirono su loro stesse, l'urto fece tremare uno specchio infisso sul muro che inevitabilmente cadde a terra.
Le sue gambe tremarono come rami al vento e le ginocchia cedettero esauste.
Lacrime calde le solcarono il viso, ma nessun lamento le varcò le labbra.
Era finita.
La dannazione avrebbe toccato anche lei.

***La pioggia cessò di annacquare la terra, le nuvole cariche di furia si addensarono presto all'orizzonte e lingue di fuoco tinsero il cielo mattutino di rosa.
Donna si concedette un lungo sospiro prima di riaprire gli occhi. Cercò di scacciare dai suoi sogni quelle memorie passate, sudice e malate, realizzando in un secondo momento di essere a pancia all'aria, ancora nuda. Dapprima tastò i seni e i fianchi scoperti, sopprimendo una smorfia di piacere nel contare quanti morsi avesse addosso, voltandosi alla sua destra: le sue dita sfiorarono la schiena nuda del Conte, girato dal lato opposto.
Nessun respiro, nessun battito, nessun calore.
Prima di alzarsi e sparire, baciò a lungo le spalle forti, intersecando le mani sul suo petto liscio. Lui non mosse un muscolo, nemmeno nell'avvertire il corpo caldo di Donna istigargli l'eccitazione; era ancora sveglio, ma preferì fingere di dormire. Donna avrebbe avuto una giornata estenuante, correndo dietro una peste e svolgendo le sue solite mansioni domestiche, ma Frederick era sereno.
Quasi felice.
Donna si dileguò in un secondo momento, lasciandolo solo in balia di un futuro sonno consolatore.
Donna smosse Lily per le spalle col chiaro intento di svegliarla, sbuffando sonoramente al mugolio sofferto della giovane, ancora del tutto persa nel mondo dei sogni. Lilith incassò il capo tra i tepore delle coperte spesse, stringendo al petto una Winkle assonnata.
«Lily?» la chiamò debolmente Donna, sfiorandole il capo. «Avanti svegliati, dobbiamo andare giù in città!»
«Sì... insomma, giù in città... » sbadigliò sonoramente tra una parola e l'altra. «Ci andremo più tardi, perché no...»
«Avanti, in piedi signorinella!» sbottò Donna tirando via le coperte lanose, con mani ai fianchi e tono autorevole incastrato tra i denti. Winkle si concesse una sonora stiracchiata, tirando su il capo e stropicciando gli occhi piccoli dalla stanchezza.
«Oh Donna, accidenti!» sbraitò Lilith e con un balzo fu in piedi, stretta nella camicia di flanella leggera, poco adatta alle temperature di inizio febbraio. «Non puoi sempre averla vinta tu!»
«Ho già preparato il bagno, quindi fila dentro e niente storie!»
«Antipatica...» sogghignò sottovoce la più giovane delle due, sfilando il camice da notte con un unico gesto. Brividi di freddo le percorsero la pelle nuda e senza pensarci due volte, corse nella stanza accanto.
«Ah! Donna, ma è congelata!» urlò Lilith, tenendosi in bilico sul pelo dell'acqua con le mani fisse sul bordo in ceramica, con gambe e bacino di già immersi. Donna entrò nella piccola stanza e la rimproverò con lo sguardo, tenendo tra le braccia una Winkle ancora sbadigliante.
«Perché dobbiamo scendere giù in città?» domandò Lily e, riluttante, si immerse del tutto nell'acqua ormai fredda, sfregando e grattando la pelle chiara con i palmi delle mani.
«Dobbiamo far visita al dottor Paul e controllare...» Donna tirò via la tunica di Winkle, ispezionando appena lo sfregio tra le spalle minute «... se le pomate e gli impacchi stanno agendo a dovere. Almeno l'infezione sembra passata» concluse pensierosa la più anziana e, Winkle, rise di gusto istigata dalle boccacce che Lilith le rivolgeva con far giocoso.
«Faremo anche un giro per le vie dei negozi? Voglio prendere un nuovo fermaglio per Winkle!»
«Una cosa per volta piccola peste, se avremo tempo perché no».
Lilith asciugò il corpo snello velocemente, avvolgendo le nudità in una coperta per combattere il freddo. Le iridi verdi brillarono divertite e, con passo lento e furtivo, giunse dietro la povera Donna, pizzicandole i fianchi.
«E questo segno qui?» ammiccò, lisciando con due dita il morso ancora visibile. «Notte di fuoco?»
«Lilith!»
«Che c'è? Potresti anche coprirlo con un foulard, tu che dici!»
Donna roteò gli occhi esasperata, sbuffando sonoramente. «Vestiti, prima che ti prenda un malanno!»
«Vizia te e Morgana, ma ancora non riesco a capire perché non lo faccia con me!»
«Davvero lo vorresti?»
«Beh... se non trovo marito, tanto vale diventare una sua amante!»
Donna sospirò mestamente, pulendo con un panno umido la pelle diafana di Winkle. Lilith era ancora giovane, in forze e con una speranza in più per evadere e andare via da quella gabbia d'oro. Donna non voleva pensare che un giorno non troppo distante, Lilith sarebbe stata accolta tra le lenzuola del Conte, ma non per egoismo o capriccio personale, ma per tutt'altro: Lilith viveva con la testa tra le nuvole, sognando e fantasticando su di un probabile gentiluomo che l'avrebbe resa sua sposa, moglie e madre dei propri figli.
Ma la verità era un'altra e Donna lo sapeva fin troppo bene.
Quando ebbero finito di prepararsi, si recarono nella stalla posta dietro la residenza. Al suo interno lavorava di già il signor Thomson, un vecchio contadino con la passione sfrenata per gli equini. Ogni giorno si recava alle stalle del Conte per prendersi cura di quelle creature così affascinanti, chiedendo solo qualche soldo in più per portare avanti una famiglia troppo numerosa. Frederick l'aveva in parte istruito, facendolo divenire un cocchiere e un uomo di cui aveva fiducia cieca, lasciandogli in cura le sue bestie.
Lilith salutò il signor Thomson vivacemente, strappando dalle braccia di Donna la bambina. Entrambe si diressero all'interno della stalla, Lilith si fermò dinnanzi uno stallone di molto più alto di lei. Il cavallo nitrì sonoramente e Winkle rimase a bocca aperta.
«Neh, non è stupendo, Winkle?» le mormorò sorridente, accarezzando con la mano libera il muso dell'equino.
Lo stallone nero sbuffò l'ennesimo nitrito, accompagnato da un urlo gioioso scaturito dalla bambina, infagottata come una bambola da testa a piedi. Le manine paffute incontrarono il naso umido della creatura, tastando e ispezionando con far infantile quell'essere a lei sconosciuto. Lilith rise di gusto, baciandole la guancia scoperta.
«E' figlia di...?»
Donna soppresse un risolino, fissando il contadino. «No... no. E' stato il Conte a trovarla, vecchio».
«Quale carità... una bambina così bella mai l'avevo vista in vita mia!» rispose l'uomo allegramente, calando sulle spalle una giacca nera dai fronzoli bordeaux.
Donna prese ad accarezzare il proprio ventre con lentezza, persa. Quanto avrebbe voluto un pargolo tutto per lei...
Fissò Winkle a lungo, socchiudendo appena gli occhi.
E mentre il sole si levava alto, Donna non poté far a meno di sorridere.

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