Capitolo 2: Il pianto
" Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici"
-Khalil Gibran
Intersecò con forza il palmo della mano attorno al suo capo. Lasciò che le ciocche castane gli imperlassero le dita e strinse avidamente, costringendo Morgana ad emettere un gemito sforzato. Frederick scoprì i canini voraci, assaporando con gli occhi il pulsare della vena scoperta del collo, mentre la mano libera si librava sensuale e leggera tra l'intimità umida della ragazza. La serva emise un rantolo di piacere, nell'avvertire il petto freddo del Conte scontrarsi con la sua schiena, umettando le labbra secche dal piacere; strizzò gli occhi con violenza all'ennesimo affondo che compirono le dita massicce, curvando il basso ventre meccanicamente, mentre lui le tirava il collo all'indietro. Le lame affilate si piantarono con lentezza nella gola esigue della fanciulla, scavarono a fondo tra la pelle rabbrividita e l'urlo smorzato di Morgana ruppe il silenzio presente in stanza. Il Conte dissetò le sue voglie più nascoste, bevve a piccoli sorsi quel sangue così buono e ferroso, aumentando deciso l'andamento della mano incastrata tra le cosce di lei. In un attimo che parve eterno, la giovane cercò di sfuggire alla presa ferrea del vampiro, digrignando i denti giunta ormai al culmine.
Si concesse una lunga boccata d'aria, mentre scossoni di beatitudine le fecero tremare le gambe, quasi fossero sul punto di spezzarsi.
Frederick allentò la presa tenace, lasciando Morgana in balia delle lenzuola fresche, stanca e sudata, ma satura di appagamento personale.
Il Conte leccò via gli ultimi grumi di sangue incastrati tra i canini, alzandosi con noncuranza.
Morgana lo guardò di sbieco, stringendo i seni scoperti tra le braccia. «Avete già finito, Conte?»
Lui la fissò per qualche istante, senza scomporsi. «Sono stanco, Morgana» mormorò mestamente, coprendo il petto con una camicia dalle maniche larghe.
«Siete strano, oggi» continuò, facendo scivolare il corpo nudo sulle lenzuola di seta. «Qualcosa vi turba?»
«Ti ho detto che sono esausto».
«Riguarda per caso la bambina?» gli suggerì la giovane e, sbarrati gli occhi, accavallò le gambe magre, notando lo sguardo cremisino di lui scrutarle ogni centimetro del corpo spoglio. «Non ditemi che vi siete improvvisato balia».
«Ho dato ordini precisi su cosa fare alla mocciosa. Non istigarmi con le tue solite punzecchiate intollerabili. Oggi non credo di essere dell'umore adatto per aprire l'ennesima faida con te, Morgana» sibilò feroce, più di qualsiasi serpe sulla terra.
«E la chiamata del Clan giunta questa notte? C'entra qualcosa con l'arrivo di quell'agnello?»
«Ti lascio col beneficio del dubbio».
«Mi lusingate, Conte. E di benefici, da voi, ne ricevo anche troppi».
Gli occhi del vampiro si ridussero in fessure. «Noto una punta di gelosia in quel che dici» ammiccò, avanzando verso il letto a baldacchino. «Non sei soddisfatta di come ti tratto?»
Una risata amara varcò le labbra di Morgana, forte e velenosa. «Dovrei, in parte. Ma come voi trattate Donna a letto è qualcosa che mi da il voltastomaco».
«A tal proposito, ti suggerisco di calmare i bollenti spiriti, la tua rivalità con Donna non ha né capo e né coda».
Morgana piantò le ginocchia sul letto e, con lentezza, allargò le braccia, avvicinando pericolosamente il suo viso a quello del Conte, contratto e stretto in una morsa di disappunto. «Lo terrò a mente, Conte».
Scese velocemente, abbandonando la lussuria impressa in quel letto. Raccattò i suoi abiti e, prima di dileguarsi, si voltò dalla sua parte, parlando in un sibilo trafelato d'angustia.
«Ho notato il marchio impresso sulla schiena della bambina, cosa credete. Non so cosa vi sia saltato in mente, voi che fate la parte del buon samaritano non è cosa da prendere sotto gamba. Ma sappiate una cosa» disse, imprimendo il suo sguardo nelle iridi cariche di collera del Conte. «Se il Clan venisse a scoprire che voi, Sicario maledetto, avete disubbidito accogliendo in questa dimora una bimba Cacciatrice, non la passerete liscia».
Morgana aprì un'anta della porta, voltandosi un'ultima volta prima di sparire.
«Ci state condannando tutte».Il mattino arrivò, calando un sudario di nebbia tra le campagne desolate. Altre quattro cameriere si affrettarono a raggiungere la residenza del Conte, cominciando a svolgere i loro lavori nella grande magione, nel silenzio più assoluto. Il vampiro aveva da sempre vissuto solo in quella che fu la sua terza casa, adottato dopo il suo esser divenuto immortale dai coniugi Stewart: pezzi grossi e primi amministratori del Clan, ormai passati a seconda miglior vita, amici intimi della regina Vittoria, nonché suoi fedeli cani da caccia.
Londra non era più luogo di leggende e storie arcane, l'enorme piaga del vampirismo aveva finalmente lasciato i vecchi detti locali per divenire la realtà odierna, cruda e violenta. Ma questa scomoda verità era in possesso solo dei grandi della società e la regina Vittoria conservava con arguzia e discretezza ogni informazione malagevole: la nobiltà aveva mille facce, mille sfaccettature diverse e, più di una volta, ella fu costretta a placare l'avanzamento del potere che influiva il Clan londinese, uno dei più popolosi dell'intera Europa, suggellando lei stessa un patto di sangue. L'eterna combutta tra bene e male, Cacciatori ed Alti, proprio a questo proposito, sembrava destinata a non aver mai fine. Fatto sta che l'ennesimo giorno spalancò le porte ad un sole così spietato e caldo da calmare i bollenti spiriti almeno fino a tarda notte.
Donna era ancora in piedi quando il sole cominciò ad avanzare alto nel cielo. Gli occhi erano contornati di stanchezza e occhiaie violacee, reduci da una gravosa nottata passata a badare alla piccola peste: Winkle aveva ritrovato la sua spensieratezza di bambina, così dolce e vivace, tanto da tenere la povera Donna impegnata fino a mattino inoltrato. La serva le coprì le nudità con una vecchia camicia da notte, sgualcita e rigida, tagliando e stracciando il tessuto in eccesso. Non c'erano completi adatti alla sua misura nella residenza, per cui, Donna, si accontentò e Winkle non né parve per nulla turbata. Ora stava mangiando con gusto una pappa d'orzo e avena, chiacchierando di cose incomprensibili e pensieri infantili, tanto da far intenerire la sua nuova balia ad ogni nuovo chiacchiericcio insensato.
«E' davvero strana» ammonì la giovane Lilith, giocando col piedino nudo della bambina. «I suoi capelli sono così chiari... per non parlare delle iridi! Neh Donna, ma è malaticcia?»
Donna addolcì lo sguardo, intenerita dal poco sapere di Lilith. «No, Lily. Credo sia albina» mormorò, imboccando Winkle. Lei spalancò la bocca con fare infantile e gustò affamata il tepore della brodaglia dolciastra.
«Albina?» Lilith arricciò il naso, perplessa. «E cosa vuol dire?»
«Non lo so di preciso. Fatto sta che rende la sua pelle molto chiara, così come la peluria e i suoi capelli. Me lo raccontò una volta il Conte, tanti anni fa».
«E crescerà così?»
«Così come?»
«Come una bambola» ridacchiò la giovane, grattando la cuffia rigida che le nascondeva la folta chioma bionda. «Non credo di aver mai visto una bambina così».
«Nemmeno io» ammise Donna con un sorriso e Winkle parve sentirsi chiamata in causa, mugolando sonoramente per avere un altro boccone.
«Secondo te, perché il Conte l'ha presa?» domandò in un secondo momento Lilith. «Io, te e Morgana, insomma... eravamo già abbastanza grandicelle quando ci ha accolte qui dentro. Io sono sempre stata la più piccola tra noi tre. Dove l'ha trovata?»
Un brivido glaciale sconquassò le membra tese di Donna. Ricordò il simbolo maledetto che imperlava la schiena minuta della bambina, sopprimendo un conato di disperazione salirle su per la gola. Non ebbe ben chiaro il motivo di quella folle scelta che il Conte aveva appreso, né tanto meno il perché non l'avesse uccisa senza troppi rimpianti.
Ma Donna era spaventata. Spaventata come non lo era mai stata prima.
«Donna?» la voce sottile di Lilith la richiamò alla realtà.
«Non lo so Lily...» farfugliò, sbattendo violentemente le palpebre. «Ma ci affidiamo a lui proprio per questo, no? Non ha mai commesso errori in tutto ciò che fa. Sono sicura che abbia accolto la piccola Winkle con piacere».
«Beh, anche noi!» canzonò allegra Lilith, solleticando i piedi scoperti della bambina. La risata cristallina di quest'ultima risuonò forte e Morgana fece la sua comparsa nell'enorme salone. Curvò le labbra in un'espressione disgustata nell'avvertire quel suono così infantile, avvicinandosi con passi lenti a Donna.
Bastò uno sguardo ad avvelenare entrambe di vecchie faide e amari rancori.
«Lily, porta Winkle nella mia stanza» la voce di Donna tuonò fredda. «Non muoverti da lì fin quando non tornerò a prendervi».
Lilith si guardò attorno confusa, estranea alle occhiate vitree che si lanciavano le due donne dirimpetto a lei. Non fece ulteriori domande, dileguandosi con Winkle stretta tra le braccia, allegra e sazia.
Donna ripose il coccio sporco a un angolo del tavolo, pulendo le mani sottili sul grembiule da lavoro. «Qualcosa non va, Morgana?» domandò placida, aggiustando la cuffia rigida sui capelli raccolti in un fine chignon.
«Molte cose non vanno».
«Beh, illuminami allora sul motivo della tua rabbia» commentò Donna, osservando con scrupolosità i due fori che le marchiavano il collo. Sottoposta a quello sguardo così passivo e innocuo, Morgana tirò sù gli angoli della bocca e un sorriso le sbocciò a fior di labbra.
«Sai di cosa parlo, Donna».
Un fulmine di collera guizzò negli occhi della più anziana. «E' il marchio sulla schiena della bambina ad inacidirti?»
«E' figlia di cacciatori, della stirpe dei Van, perché il Conte ha osato un affronto simile!»
«Tu appartieni al Clan o a te stessa?»
«Io appartengo al Conte!» ringhiò rabbiosa, come un lupo dinnanzi alla sua preda tanto agognata. Se avesse avuto delle fauci argentee, le sarebbe di sicuro balzata addosso, sbranandola guidata soltanto dall'istinto più laido.
«Le tue moine non hanno né capo e né coda, Morgana» sentenziò freddamente Donna, avvicinandosi pericolosamente al suo viso. «Tu non appartieni a nessuno come me, come Lilith, come adesso la stessa Winkle. Tu sei qui per tua scelta, non per un capriccio di Frederick».
«Parli come se lo conoscessi da millenni...» rivelò disgustata, affrontando a testa alta quel lento giochi di sguardi e rancore.
«Smettila di crogiolarti in malesseri inutili, Morgana. Affidati e basta».
«Come posso affidarmi tra le braccia di un uomo che sta giocando con le nostre vite?»
«Puoi. Altrimenti se è questo ciò che pensi, se è questo ciò che ti preme nel cuore, vattene. Vattene e sparisci per sempre. Perché la bambina rimarrà qui fino a quando il Conte lo riterrà giusto».
«Strozzati con le tue buone novelle, Donna» mormorò acidamente Morgana, mentre spilli di ira e furore le punzecchiavano la pelle fredda delle guance, facendole accendere di un rosso tenue. «Decido io per me stessa. Ma non voglio che lui metta in gioco le nostre vite per un suo capriccio insensato».
«Le nostre vite o la tua?» domandò Donna ancora una volta, esausta da quell'estenuante litigio. La furia di Morgana si affievolì leggermente nell'udire quella rivelazione piuttosto scontata.
Colpita e affondata.
Indietreggiò con gli occhi sgranati di collera e, angustiata, si avviò verso l'uscita del salone, sparendo nel buio dell'androne principale. Donna rilassò le spalle, lasciando cadere le braccia ritte lungo i fianchi. Due teste tremanti comparvero ad un angolo della stanza, stupefatte e terrorizzate dalla violenta sfuriata che Morgana aveva urlato ai quattro venti.
Un sospiro varcò le labbra di Donna, esasperato e forte. Raccolse i cocci luridi, parlando di un'ottava più alta e richiamando a sé l'indole autoritaria.
«Che fate lì impalate, aiutatemi con i tendaggi!»***Il bambino correva furiosamente tra le campagne morte, scalzo e con i piedi sudici di tagli e sangue. Non seppe con certezza per quanto tempo corse, i polpacci gridavano dal dolore ad ogni nuovo scatto compiuto, i polmoni erano infuocati per il troppo annaspare. Era buio, un buio gelido e consolatore per un'anima vagabonda come la sua.
Scivolò a terra e la sua guancia incontrò il terriccio umido. Il pulviscolo si ficcò negli occhi, la terra macchiò le gote sporche di fuliggine e terrore, la sua corsa venne arrestata presto e tutto il dolore si riversò fuori dalle sue labbra in grida e lamenti, distrutto e perso.
Mugolò dolorante e lacrime ingiustificate gli accarezzarono il viso. Aveva perso tutto, aveva dimenticato qualsiasi cosa, era finita.
La sua residenza in fiamme, la sua vita in frantumi, i suoi genitori carbonizzati.
Non apparteneva più a nessuno se non a lui stesso.
Ma la morte ha innumerevoli facce e le sue dolci mani lo sollevarono dal terreno di peso.
L'innocente si lasciò trasportare via, stretto contro il petto freddo di una donna. Riuscì a capirlo dalla forma dei seni grandi stretti in un corpetto che sapeva di buono, ma nessun battito o respiro lo consolarono.
Chiuse gli occhi e la sua nuova vita iniziò.***Il Conte riaprì gli occhi, placido. Nel suo campo visivo prese forma il legno antiquato del letto rossastro, impreziosito dai tendaggi oro che sbuffavano sui lati della testiera. Il sole doveva aver abbandonato il cielo delle campagne londinesi da un po', a giudicare dall'aria satura di umidità e quiete che gli solleticò le narici dilatate. Si mise supino tra le lenzuola, tenendo lo sguardo fisso sul dipinto che vegliava su ogni suo sonno: incrociò lo sguardo austero dell'unica donna che mai amò e odiò così tanto nella sua seconda vita da volerne piangere, ma il suo animo immortale non glielo permetteva e mai glielo avrebbe permesso.
Lady Stewart fu una donna spietata, sadica, vittima dei vizi e pregiudizi umani, nonostante il suo animo conservatore appartenente agli Alti del Clan. Quelle due iridi oltremare, contornate di giallo e stracci violacei, rievocarono il suo mancato senso dell'autocontrollo. La donna impressa in quel dipinto e il Conte continuarono la loro lenta danza fatti di sguardi, fin quando il rumore gracchiante della porta lo costrinse ad abbandonare quella faida personale.
All'entrata si presentò Donna e con far silenzioso, entrò chiudendo la porta alle sue spalle col capo chino in avanti e cesto foderato stretto tra le mani esigue. Aveva indosso il suo solito abbigliamento piuttosto formale, composto da un bustier in velluto verde petrolio, chiuso sul davanti con gancetti e orlato di pizzetto scuro; la gonna a sbuffo le copriva le gambe esili come rami d'albero, sibilando contro le cosce ad ogni nuovo passo. Portava quelle semplici vesti con un'eleganza mai vista, tanto che la voglia di toglier la cuffia rigida che le avvolgeva i capelli fini e scuri premette nel cuore morto del Conte.
Si avvicinò quieta, parlando con un filo di voce, tirando le maniche della camicia larga dai polsi in su.
«Rosaline è qui, Frederick. Sta aspettando giù nel salone».
Il vampiro si lasciò scoprire, non sconvolto dai toni intimi che Donna gli rivolgeva chiamandolo per nome. La figura che sovrastava Donna era imponente e fiera, dalle spalle larghe e le braccia forti, fattori fisici che stonavano mortalmente con i tratti dolci e infantili della mascella e del naso stretto. Gli zigomi erano incorniciati da capelli fini e neri, scomposti e ribelli, gli coprivano le orecchie piccole e le sopracciglia folte. Donna si prese qualche momento e l'osservò. Sfilò via i bottoni semplici della camicia di lino, seguendo con lo sguardo le curve marcate del petto scoperto. Per dodici anni aveva visto il corpo del suo amante nudo, niente ormai le creava scompiglio nel cuore, se non la tremenda vicinanza di quest'ultimo al suo sguardo. Per dodici anni, ogni sera, aveva ripetuto e ripeteva quei gesti divenuti una sorta di celebrazione giornaliera.
«E il motivo della sua visita quale sarebbe?» domandò il Conte, fingendosi allo scuro di tutto. Donna dispiegò una camicia in seta, lasciando che scorresse attorno al corpo marmoreo del vampiro con delicatezza.
«Si tratta della bambina» rispose monocorde, aggiustando il colletto montante e spolverando le maniche scese sulle spalle. «Non credo ci sia da preoccuparsi, sembra piuttosto serena, Frederick».
«Non ne avevo dubbi».
«La bambina non aveva ancora vesti» continuò Donna, aiutandolo a montare i pantaloni di cotone scuro. «Rosaline ha dato mostra della sua gentilezza procurando a Winkle delle camice e tuniche. E' attiva, molto, corre di già e non si ferma nemmeno dopo esser caduta».
«Quando sarà abbastanza grande deve esser provvista di una disciplina ferrea. Questo è l'unico ordine di cui ti faccio carico, Donna».
«La sua vivacità ti turba?» domandò a tono la giovane, passando un piccolo ferro col manico in legno sulle pieghe della camicia e dei pantaloni. «In fondo è stata una tua scelta accoglierla qui dentro. Londra pullula di orfanotrofi, di piccoli spazzacamini e venditori di fiammiferi» concluse, con una leggera punta di ironia incastrata tra i denti.
«Non uscirà mai da questa residenza, almeno fin quando non sarò io a deciderlo» la voce del Conte risuonò fredda e autoritaria, ma Donna parve non darci peso. «Se gli Alti del Clan dovessero trovarla non la passerei liscia».
«Credi che non scopriranno mai questo torto?»
«Torto o meno, le moine di Lady Romin non mi toccano minimamente».
«Il marchio è vivo sulla pelle della piccola, è una dannazione per Winkle e per te, Frederick» ammonì Donna, fissandolo con intensità.
Frederick si perse nell'immensità di quegli occhi chiari quanto il mare, ma una tempesta ci aleggiava dentro con fare brutale. Sollevò la mascella nell'avvertire le mani di Donna attorno al colletto rialzato, intente nell'avvolgergli attorno un cravattino bordeaux.
«Questo ti spaventa come spaventa la stessa Morgana?»
«No... no, assolutamente. Lo dico per te, Frederick, per ciò che sei all'interno del Clan. Se hai portato qui Winkle solo per recare un torto a Gerard e al Consiglio... beh, non posso che esserne colpita».
«Non è questo, Donna» parlò forte Frederick, digrignando i denti; i canini bianchi brillarono angustiati. Si allontanò dalla figura impotente dell'amante, indossando frettolosamente gli stivali alti e il panciotto scuro, dandole le spalle.
«E allora cosa? Cos'è che ti preme nei confronti di quella creatura?» insistette la giovane, sfarfallando le ciglia lunghe e spesse, affranta. «Ne hai uccisi di neonati, dormienti nelle loro culle, casa c'è di diverso questa volta?»
«Non c'è niente di diverso».
Donna l'osservò raccogliere i capelli in un codino leggero, avvolgendo attorno alle ciocche nere un nastro vermiglio. Il Conte si voltò leggermente, fissandola con ardore.
«Lei non è diversa da ciò che sono io».
«La sua condizione è una malattia, non una dannazione» rispose lei prontamente.
Per qualche istante ci fu silenzio. Frederick giaceva meditabondo al centro della grande camera da letto, con lo sguardo fisso sulle pareti tappezzate di rosso e avorio. Le parole di Donna lo ferirono in parte, proprio perché vere e palpabili, più dello stesso dolore che covava da decenni nel petto morto.
Ma una luce gli brillò negli occhi, accecando le sue stesse convinzioni.
«Hai fiducia in me, Donna?»
«Dal primo giorno in cui mi hai accolta» mormorò, raccattando le vesti nel cesto foderato.
Frederick tacque e Donna gli si avvicinò, premurosa. Calò sulle sue spalle una marsina(1) blu, corta ed ingemmata sul davanti con una spilla a mo' di cammeo; all'interno del gioiello vi era impresso, tra l'avorio e il quarzo, un'aquila coronata di foglie d'alloro e rose bianche. Il rapace sostava pacato sulla forma squadrata di uno scudo, trafitto da lame lunghe e sottili. Quello era il suo simbolo d'appartenenza al Clan, alla classe dei Sicari, era la sua maledizione terrena più grande che lo tenne stretto alle origini della casata centenaria degli Stewart.
Donna osservò il Conte sparire dal suo campo visivo e sospirò affranta. Frederick percorse velocemente l'ampia scalinata in marmo che dava sull'atrio principale, raggiungendo il salone con passi veloci. Le porte in legno bianco erano spalancate e dalla sala provenivano risate cristalline, pure, chiacchiericci e borbottii. Si fermò sull'entrata e Lily, seduta a terra, si alzò velocemente chinando il capo in avanti. Sul divano di manifattura italiana, pregiato e foderato di velluto blu, sedeva Rosaline con in braccio la piccola Winkle. Il giovane Sicario teneva i capelli raccolti in un'acconciatura semplice; una lunga treccia dalle sfumature ramate s'intersecava attorno ai boccoli leggeri, sorreggendo quell'armonia di morbidezza e luce. Il corpo slanciato era avvolto da un vestito dal colletto alla coreana, rialzato e impreziosito da ricami bluastri; una gonna aderente e poco voluminosa si congiungeva a terra, comprendo i piedi piccoli della giovane vampira.
Winkle afferrò un merletto e lo portò davanti al viso, facendolo scorrere tra le piccole dita, incuriosita. Avvertita la presenza glaciale del Conte avvicinarsi, interruppe momentaneamente il suo gioco. Lily afferrò prontamente la bambina e Rosaline si sciolse in un inchino sentito. «Conte» salutò brevemente, tornando composta. Lui affrettò un gesto di stizza, nauseato da tutte quelle riverenze che gli concedeva ogni volta.
«Frederick,» disse il vampiro e prese posto di fronte a lei «Chiamatemi pure Frederick, Rosaline».Winkle mugolò, scalciando e rivoltando il capo all'indietro, costringendo l'imbarazzata Lilith a metterla a terra sul tappetto rigido. Con passi goffi e frettolosi, la bambina giunse di nuovo sulle gambe di Rosaline e la vampira non poté che sorriderne. Frederick osservò in silenzio tutta quella affezione, lasciando trasparire solo noia e stanchezza dalle iridi vermiglie.
«Ho delle notizie per voi, Frederick» sentenziò il giovane Sicario.
«Vi ascolto» commentò il Conte, premendo la guancia contro le nocchie bianche. Congedò Lilith con un lieve cenno di capo e lei si dileguò, chiudendo la porta alle sue spalle.
Il Conte e il Sicario si lanciarono occhiate fugaci.
«Ho fatto come mi avete chiesto. Tutti nel Consiglio sono più che convinti che la bambina sia morta. Devo dire che Gerard ha storto il muso per il vostro mancato rapporto agli Alti, ma la situazione pare stabile».
«E riguardo Lady Romin?» domandò Frederick, posando lo sguardo sulla pelle diafana della bambina. Winkle continuava imperterrita il suo gioco, prendendo e tirando debolmente i nastri che pendevano dalla gonna di Rosaline.
«Non ha aperto bocca. Charles era seduto al suo fianco e non ha sospettato nulla, almeno per il momento. La nostra grande fortuna è che la bambina è stata vista solo da noi e Marchen, lui l'ha scortata lì nella celletta. Nessuno, nel Clan, sa come sia il suo odore e credo sia un bene, Frederick».
Frederick tornò composto e i muscoli delle gambe s'irrigidirono. «Marchen sa di questa faccenda?»
Rosaline tirò un lungo sospiro, intersecando le dita sottili tra i boccoli della bimba. «Marchen non è una minaccia, il suo è un troppo bonaccione. L'ho avvertito io quella notte stessa e non pareva turbato dalla nostra, anzi, vostra scelta».
Frederick tenne un comportamento decoroso anche dopo aver udito quella rivelazione. Marchen era un vampiro testardo, dall'indole di fuoco e le iridi di ghiaccio; faticava a mantenere delle movenze sobrie e educate per un gentiluomo della sua età. Per circa trent'anni aveva vissuto sotto lo stesso tetto del Conte, molestando le belle donne con occhiatine maliziose e terrorizzando le cameriere della residenza con scherzi goffi e di pessimo gusto. Da circa dieci viveva solitario nella caotica Londra, facendo visita al Conte di tanto in tanto, importunandolo con risatine e battute di poco conto.
A tal pensiero, il Conte si concesse un lungo sospiro, grato del fatto che Marchen avesse lasciato sprofondare la sua dimora nella quiete che tanto amava, togliendosi dai piedi una volta per tutte.
La voce di Rosaline interruppe il filo dei suoi pensieri. «Presto farà visita qui alla residenza, Frederick. Vuole vedere ancora una volta la bambina».
Il vampiro roteò gli occhi, esasperato dalla futura bolgia che avrebbe creato Marchen tra quelle pareti. Un piccolo sorriso impreziosì le labbra di Rosaline, affrettandosi, però, a tornare seria. «Ma oltre a questo... c'è un'ultima cosa da portare a termine» mormorò e la sua voce parve un sibilo di vento. La vampira sollevò la tunica della bimba e gli occhi del Conte si piantarono sullo sfregio che deturpava la pelle vellutata di quest'ultima.
«Dovete cancellarlo. E' pur sempre una minaccia, se qualcuno lo scoprisse...»
Frederick ostentò di fronte le occhiate innocue che la bambina gli indirizzava. Si alzò supino e con un gesto fluido la raccolse tra le braccia grandi, fissando intensamente il marchio impresso al centro delle spalle minute. Winkle portò una mano paffuta alla bocca, mugolando appena, forse spaventata dal freddo scaturito delle mani grandi che la sorreggevano per la pancia.
«Farà male, ma va fatto...» sussurrò Rosaline e la sua voce parve tremare sulla fine.
Frederick tenne lo sguardo avvinghiato a quella schiena così piccola e candida, con due dita accarezzò il simbolo dei Van, perso in una sorta di contemplazione personale. Winkle prese a mugolare sempre più forte, stanca di esser tenuta a mo' di sacco, ma allietata da quel tocco così leggero sulla pelle.
Poi il dolore arrivò, caldo e pulsante. Un graffio. Netto, preciso e doloroso scavò affondo nella carne della bambina. L'urlo di terrore di Winkle risuonò forte e snervante, mentre Frederick tirava via la pelle alabastra col solo ausilio delle unghie ben curate. Altri sbraiti e pianti si ripercossero tra le pareti del corridoio principale e Donna impallidì improvvisamente. Una fitta di terrore le attanagliò il cuore; Lilith comparve immediatamente al suo fianco, terrorizzata.
«Winkle...» mormorò, lasciando cadere a terra gli abiti appena ripiegati «Winkle!» urlò avvizzita, correndo a perdifiato verso il salone da cui provenivano le lagne ricolme di dolore. Corse nonostante le vesti che le scivolarono più e più volte sotto i piedi, rischiando di farla cadere rovinosamente a terra.
«Donna!» strillò Lilith, ma la giovane non le diede ascolto, continuando la sua folle corsa. Non volle pensare che Rosaline avesse convinto il Conte ad ucciderla una volta per tutte, riparando al torto commesso nei confronti del Clan. Era troppo agitata, spaventata, il pianto rotto di quella creatura le feriva i timpani, le annebbiava lo sguardo di lacrime e ira.
Spalancò le due ante dell'enorme salone, rimanendo di sasso sull'entrata: Rosaline ora stringeva a sé la bambina, premendo sulla schiena il tessuto sgualcito della tunica che indossava; l'odore ferroso del sangue era forte, palpabile e percepibile anche per un umano.
Frederick tremò, così come Rosaline. I canini di entrambi scintillavano famelici.
«Portala via» ammonì il Conte rivolto a Donna.
Lei non mosse un muscolo.
«Portala via, Donna!» urlò, sovrastando il pianto incontrollato di Winkle.
Donna, ripretasi dallo shock iniziale, strappò dalle braccia di Rosaline il corpo tremante della bambina, indietreggiando inorridita. Il sangue caldo le impastò le dita, scivolava giù dalla schiena scossa da terribili tremolii, finendo sui piedi nudi. Il sigillo di appartenenza ai Van era sparito, la pelle era stata tirata via con forza. Ella non apparteneva più a quella stirpe di Cacciatori, ora era sotto il completo controllo del vampiro.
Donna si dileguò per il corridoio scuro, quasi correndo.
Frederick tastò i grumi cremisi che gli imbrattavano i polpastrelli, le unghie; gocce silenziose gli pendevano dal palmo della mano, macchiando inevitabilmente il polsino stretto della camicia di seta. Avrebbe tanto voluto assaporarne la consistenza e il sapore, ma, sorretto da una forza di volontà dempre più rara, si trattenne. Rosaline, al suo fianco, annaspava come un pesce fuor d'acqua, fissando con occhi sgranati i brandelli di pelle riversi sul tappetto spinoso.
Entrambi stettero in silenzio a lungo, contemplando il pianto incontrollato della bambina affievolirsi pian piano.Donna continuò il suo cullarla, fino al sorgere dello spietato sole mattutino. Winkle giaceva tra le sue braccia, inerte e esausta, il corpicino era ancora scosso da singhiozzi smorzati e dolore. La giovane la tenne stretta al petto con fare materno, mentre lacrime calde le solcavano le ciglia spesse per riversarsi sulle guance infiammate. La strinse forte come se fosse sangue del suo sangue, e l'animo desideroso di maternità riemerse. Le baciò la fronte così tante volte da aver perso il conto, ma continuò a farlo senza un motivo ben preciso.
Winkle non apparteneva più alla stirpe dei Van. Era solo un'anima priva di identità, niente più.
Donna si curvò in avanti, premendo la mano sulle bende laide di sangue che le coprivano la pelle deturpata.
La serva rimase ferma in quella posizione per minuti, ore, contemplando il folle gesto del Conte in silenzio.
Apparteneva a lui, ormai.
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