Capitolo 13: la Rabbia

" L'anima irosa è più vicina a Dio perché non accetta compromessi"

-Margherita Poreto


L'ennesimo grido smorzato si ripercosse tra le pareti dell'angusta cella; un tonfo susseguito da un borbottio roco non distolsero il Conte dal suo pensare: il brusio fastidioso di quei pensieri scontati premevano su i timpani del vampiro, invogliato dalla sevizia in corso alla sue spalle. Illuminato dalla fioca luce di un candelabro antico, il volto di Frederick non mostrò alcuna compassione per i due uomini in fin di vita, grondanti di sangue e lamenti. La piccola tortura notturna non stava portando i frutti sperati dal Sicario, tanto che una scintilla di impazienza brillò negli occhi cremisi; il Clan era allo scuro delle intenzioni del Conte, riguardanti l'unione della casata dei Wood alla sua stirpe, gli Stewart, tanto che una nota di scetticismo risuonò tra gli ordini di Lady Romin. Era una donna scaltra, furibonda nei momenti meno opportuni e dalla lingua tagliente. Non avrebbe esitato nell'ordinare lo smembramento del corpo di suo fratello, se ciò avesse, in qualche modo intralciato, la condotta e il regime altolocato di cui vantava da cinque decenni e, Frederick, lo seppe dal primo momento in cui quella vipera fece il suo ingresso tra gli Alti.
Spazientito da quelle constatazioni, il vampiro si voltò con lentezza, riducendo gli occhi in fessure. Il terzogenito della famiglia Churchill teneva il capo flesso ad un lato, ciondolante e unto di sangue rappreso, così scuro da rendere irriconoscibile il naturale colore di capelli. Il volto tumefatto e l'occhio pesto lasciavano trasparire tutto il dolore covato in quella settimana fatta solo di supplizi e torture. Al suo fianco, Arthur Phelman tremava: i pantaloni lerci di urina istigarono nel Conte un moto di divertimento assai raro.
«Ve lo chiederò ancora una volta, mi aspetto una risposta a riguardo: dove si trova Anastazia Wood?» sibilò tra i canini, chinando di poco la schiena in avanti. Michael annaspò tra i grumi di sangue formatosi in gola, sputando nella speranza di alleviare il dolore. La saliva si riversò sulla camicia laida di polverio e, Marchen, non poté che sorridere maliziosamente. Seppur non dimostrasse alcun tipo di emozione, gli zigomi del Conte si tesero in un sorriso sincero e diabolico, tanto da mozzare il respiro nella gola di Phelman. L'uomo mugolò varie volte, volgendo di tanto in tanto occhiate ricolme di terrore al Cacciatore, alla ricerca di comprensione.
Con un semplice cenno di capo del suo creatore, Marchen piantò le nocche insozzate sul volto di Michael, così forte da avvertire il setto nasale gracchiare ed aprirsi in due. Altri fiotti scarlatti scivolarono giù dal viso afflosciato dal dolore, e il ragazzo si lasciò cadere su di un fianco. Candice, avvolta da fili di tenebra, osservava il tutto senza battere ciglio.
«Proprio non vogliamo parlare, eh?» il Conte prese a passeggiare tra il pagliericcio madido, mani fisse dietro il bacino e sguardo austero puntato sui due. «Cerco solo un qualche tipo di collaborazione da parte vostra, non credo di star chiedendo l'impossibile. Voi mi dite dove si trova quella donna e io vi lascio andare entrambi, senza rammarichi, senza cercarvi».
La proposta aleggiò nel vuoto. Negli occhi di Marchen vibrò un lampo ricolmo di frenesia, ma, il Sicario, lo placcò con un'occhiata amara.
Il vampiro piegò le gambe, poggiando le braccia sulle ginocchia.
Michael, immerso nella sua sofferenza, lo incenerì con un'occhiata, sputando ancora.
«Ho avuto l'onore di conoscere tuo padre, Michael. Davvero un uomo... fuori dal comune. Forte, caparbio, quanto te e il giovane Henrys. Buffo, no? Buon sangue non mente. E che dire di tuo fratello Ernest...» Frederick finse rammarico, volgendo gli occhi al soffitto «... davvero abile con le lame, come con la lingua. Piuttosto lunga, oserei dire».
«Dove sono?» la voce del Cacciatore si ridusse in un rantolo carico d'ira. La preoccupazione che martellava nel petto divenne l'ultima delle sue pene terrene.
«Bastardo, rispondi alla mia domanda» il Conte sorrise benevolo. «Ti lascerò tornare dalla tua famiglia non appena avrai saziato la mia curiosità».
Michael non demorse. Il respiro ansante sfiorò il viso del Sicario, ma nessuna rivelazione giunse alle sue orecchie. Il Cacciatore fu consapevole che, se non avesse parlato, il verdetto emanato sarebbe stato truce e non voluto, per cui, desistette senza perdere il contatto visivo col demone dirimpetto al corpo. Le corde attorno ai polsi erano, ormai, divenute parte della sua carne; brandelli di pelle e sangue rappreso ciondolavano sorrette dai fili spessi di juta. In cuor suo, qualcosa gli suggerì che lo stesso Ernest e suo padre Walter avessero sfidato l'impensabile: che fossero morti anche loro o meno, non ebbe più importanza. Il ricordo della sevizia imposta ad Henrys doleva ancora nella mente ormai malata; il viso storpio di suo fratello fu la sua unica consolazione in una settimana che parve non finire mai. Michael attendeva il bussare sommesso della morte contro la sua porta. Seppur titubante, avrebbe aperto, osservando l'uscio con occhiate labili.
E proprio lì, avrebbe incontrato lo sguardo infernale dello stesso Conte.
Fece leva sui polsi doloranti, appiattendo la schiena contro le pareti scavate nella roccia per rimettersi supino.
«Carità?» Michael umettò le labbra rotte, soffiando via il sangue d'intralcio al respiro. «Voi giurate della carità? Manderete via me e lo stesso Phelman? Se quest'idiota al mio fianco avesse davvero le mie pari opportunità, beh, preferisco morire qui dentro» biascicò con lentezza, la lingua impasta dal gusto ferroso tremò nello scandire quelle parole. «Siete un miserabile, Conte. Un dannato miserabile. E non lo dico per...»
Michael fu zittito all'istante da un sonoro pugno, dritto sulla cassa toracica. L'uomo emise un lamento smorzato nell'avvertire le prime due costole piegarsi su loro stesse, come fuscelli al vento. Un conato di vomito lo sorprese, premendo nella gola riarsa e, ormai giunto al limite della sopportazione, si gettò in avanti incontrando col capo la spalla del Conte. Phelman, a tal gesto, si scansò prontamente, annaspando come un pesce fuor d'acqua a tale visione. Esposto alle occhiate divertite che Marchen gli indirizzava, Frederick non mosse un muscolo. Con ancora le nocche piantate sul petto del malcapitato, sollevò gli occhi e un sorriso inaffidabile si schiuse sulle labbra sottili. L'avvertire il soffiare trafelato dell'uomo contro il collo, lo divertì più di quanto potesse immaginare. Avrebbe voluto dispiegare le dita e scavare affondo tra le membra tremanti del Cacciatore, farsi strada col solo sussidio delle unghie curate, fino ad incrociare, avvolto dalla carne, il cuore pulsante di quest'ultimo. Strapparlo via con un sol gesto e sollevarlo, proprio come gli insegnamenti impartiti da Lady Stewart: la meschina celebrazione della vittoria, rubando ed innalzando quel che ad un uomo era più caro, stuzzicò l'animo truce del Conte.
Michael non si scostò.
«Michael Jan Churchill... mi ferisci. Chiamare me miserabile» mormorò, tenendo di poco i polpastrelli. «Eppure hai trovato conforto sulla mia spalla. Esilarante, non credi, bastardo? Hai tenuto duro per una settimana, sette giorni in cui la tentazione di vuotare il sacco non ti ha minimamente toccato. Ed è qui che, a malincuore, debbo farti i miei più sentiti complimenti: è raro, al giorno d'oggi, incontrare qualcuno col tuo temperamento. Walter dev'esser stato per te e il defunto Henrys, una grande guida. Ma lascia che ti dica una cosa: io mantengo sempre le promesse date. Tu parli e sei libero di andare. Un degno compromesso, no?»
Il Cacciatore assottigliò gli occhi, trovando la forza necessaria per scostare il viso dalla spalla di quell'essere. Tra un lamento e l'altro, incrociò lo sguardo cremisi del Sicario, fingendo un sorriso divertito. I loro nasi quasi si sfioravano, entrambi consapevoli della svolta che tutta quella faccenda avrebbe intrapreso.
Michael aguzzò le iridi scure, rilassando la fronte.
«No. Preferisco marcire all'Inferno, Conte» sibilò tra i denti lerci di sangue. «Marcire con mio fratello».
Il Conte non perse il sorriso. Ritirò lentamente il pugno premuto con il petto del Cacciatore, scrollando via con due dita i grumi vermigli che macchiavano la camicia setosa. Tastò l'essenza di Michael coi polpastrelli, indirizzandogli l'ultima, fugace e diabolica occhiata.
«Vorrà dire che oggi sarà il tuo giorno fortunato, bastardo. Aprirò le porte degli inferi solo per te».
Michael sigillò gli occhi.
Henrys...
«Ci rivedremo, Michael Churchill».
Candice sigillò lo sguardo e lo scrocchio strozzato precedette la fine di un'esistenza. Phelman si lasciò cadere su di un fianco, sgranando gli occhi alla vista del corpo di Michael accasciarsi in avanti, ormai privo di vita. Il collo mollo e gli occhi socchiusi presero a fissarlo languidamente, come se volessero incolparlo di una morte ingiusta. Eppure il Conte, dall'alto della sua posizione, ammirò la tenacia del Cacciatore, preservata fino all'ultimo: passò una mano sul volto del degno rivale, le dita segregarono le palpebre pesanti e, con un gesto fluido, raccolse le lame dell'uomo, tornando supino. Marchen, ora, teneva le braccia fisse sul petto, col solito sorriso sghembo a curvargli le labbra. Arthur cercò disperatamente parole da tirar fuori, vagando con occhiate ricolme di panico sui visi immortali dei tre presenti nella celletta.
«Questo era classificabile come uomo, Phelman. Un vero uomo affronta la morte col sorriso a curvargli le labbra, ricordatelo sempre» disse il vampiro, volgendo l'attenzione sulle macchie scure che gli imperlavano il vestiario. «Voi, a tal proposito, siete feccia. Pregate mai?»
Il medico tremò e una goccia di sudore gli varcò lo zigomo destro. Balbettò qualcosa di incomprensibile e Marchen, rinchiuso nel sua solita ironia scontata, soppresse un risolino sul nascere.
Il Conte avanzò di qualche passo. Phelman, messo con le spalle al muro, lasciò che tutta la sua disperazione uscisse allo scoperto.
«E' morta!» stizzì con un gridolino, sigillando gli occhi e raggomitolandosi con far patetico. «Anastazia è morta sette anni fa!»
Il volto di Marchen s'incupì. Frederick, d'altrocanto, non lasciò trasparire il suo stupore.
«E' morta suicida, Conte» gracchiò l'uomo, indietreggiando ancora piantando a terra i talloni. «La perdita di Amadeus l'ha distrutta nel profondo, così come la mancanza di Annabel. Anastazia decise di farla finita, lasciando l'unico tesoro a lei rimasto in quegli anni di sofferenza...»
«Unico tesoro?» Marchen parlò di un'ottava più alta, aggrottando le sopracciglia con far pensieroso.
«J-Josef, il suo nome è Josef» decretò il medico, ormai sull'orlo di una crisi isterica. «Fratello gemello della piccola Annabel... Anastazia lasciò in custodia il pargolo ad Harriet, sua sorella. E'... è ancora lì, nella residenza dei Wood...»
I polsi di Frederick tremarono, furibondi. Trinciò con lo sguardo l'esecutore alle sue spalle, ormai vittima di una collera inaspettata. Quella rivelazione lo imbestialì a tal punto che, la calma preservata in tutti quegli anni, scivolò via come acqua su vetro. La scoperta di un gemello appartenente a Winkle, mandò in fumo tutte le sue credenze, costruite su di un piano statico e forte.
E il Sicario, ora, stringeva minacciosamente il volto del codardo tra le mani grandi.
«Pregate Dio, Phelman. Poiché sarà l'ultima volta in cui potrete rivolgervi a lui come un vecchio amico... vivo




                                                                                            FINE                                                                                               -PRIMO LIBRO-

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