Capitolo 12: Il Diverso


" L'oscurità che lui ti offre nasconde solo amarezza, Cerca solo di indurti in tentazione "(Shiki op - BUCK-TICK, Kuchizuke)


Il sole abbracciava l'orizzonte con un'alba mozzafiato, coccolando tra le lingue di fuoco le terre fredde e desolate, vittime di un inverno spietato appena iniziato. Morgana alzò lo sguardo placidamente, scostando con due dita il tessuto spesso dei tendaggi, da sempre calati con prepotenza contro i vetri delle ampie finestre. Il sole non baciava mai i corridoi, il grande salone e le camere della magione, proprio a causa della natura del Conte. Quel capriccio risuonò infantile e volgare alle orecchie di Morgana, ma la natura di Frederick parlava chiaro... così come quella della mocciosa.
La ragazza sospirò sonoramente, lisciando con le mani il freddo velluto di una tenda. Fu raccolta in fin di vita dal Conte in un lurido vicolo di Londra, stanca e malaticcia, all'età di dodici anni, quattro dei quali passati a derubare qualche spicciolo alla nobiltà di passaggio, meschina e altezzosa, pur di permettersi una dormita con la pancia piena. Il vampiro l'allevò, la istruì del minimo indispensabile, tenendo a bada l'animo ribelle di cui Morgana era provvista a palate: non seppe mai il perché di tale caritatevole gesto, il perché avesse scelto proprio lei ma preferì non rimuginarci su. Viveva la sua vita tra quelle mura, giorno per giorno, tenendo la mente e le mani impegnate nelle faccende della magione e nella cura dei quattro equini che tanto amava, sostenuta da Lilith -una cavallerizza mancata-.
Ed ora, a ventisette anni suonati, sognava di evadere da quella prigione incantata una volta per tutte.
A tal pensiero raccolse svogliatamente i cesti riversi a terra, cominciando a camminare in solitudine, ma qualcosa di estremamente irritante per la sua indole fece capolino all'entrata dell'andito polveroso.
Winkle si avvicinò sbadigliando alla figura fiera di Morgana, stropicciando gli occhi e alitando fuori tutto il sonno mancato. Candice le era rimasta accanto fino al sorgere dell'alba, addormentandosi senza troppe pretese su di un piccolo divanetto dal tessuto opaco. Winkle aveva osservato per qualche istante le labbra sottili tese da una stanchezza sentita, gli occhi sbarrati e la schiena scomposta, sorridendo come un bambino.
Candice, il Sicario burbero e tagliente, quando sonnecchiava aveva tutt'altro da offrire.
L'essere docile ad esempio.
«Morgana,» la salutò la ragazzina, stirando i muscoli indolenziti. «Credo tu sia felice quanto me nel sapere che oggi è mercoledì, per cui verrò nella stalla con te».
La più anziana la trinciò con un'occhiata lugubre.
«Prima di raggiungermi fa il bucato e spolvera l'androne» le affidò i compiti con la mascella contratta e gli occhi ridotti in fessure. «Da una lavata alle scale, sono luride! E mi raccomando...»
Winkle la fissò a lungo, annuendo di tanto in tanto alle richieste obsolete del suo più grande incubo: la ragazzina non aveva mai nutrito molta simpatia nei confronti della serva di sangue, a causa dell'antipatia che Morgana serbava nel cuore. Agli occhi di Winkle parve solo un insulso capriccio, ingiustificato e infantile, dovuto probabilmente alle attenzioni che il Conte le rivolgeva ogni dannato martedì: la stanza riccamente arredata di mobilio antico e stantio, le vesti sgargianti, le lezioni di violino...
Winkle storse il muso, fissando scettica le labbra di Morgana muoversi a ritmo dell'indice, ma nessun'ordine giunse alle sue orecchie. Davvero Morgana... serbava tanto rancore nei suoi confronti per una convinzione puramente materialista?
Donna e Lilith vivevano splendidamente, seppur solamente avvolte dal minimo indispensabile e fornite di un acuto senso del dovere.
Ma... quale dovere?
«Tutto chiaro demonio?» sentenziò al fine la serva, incrociando burberamente le braccia sotto i seni pronunciati e richiamando l'indole di Winkle alla realtà.
«Ahm... certo» biascicò la più giovane, sfarfallando le ciglia lattee nell'avvertire l'imponente peso delle responsabilità formato cesto e pezza. «Per le dieci sarò da te».
«Dieci? Per le otto devi aver finito tutte le tue mansioni, sono stata chiara?»
Winkle volle ribattere alla sua maniera, ma morse così forte la lingua da placare tutta l'ira con un colpo di canini.
«Chiaro...» mormorò in un rantolo, ed entrambe si voltarono all'unisono per intraprendere una lunga e noiosa giornata. Morgana storse il muso nell'udire quelle false redenzioni, sbattendo alle sue spalle la porta gracchiante dell'angusta cucina.
«... strega» concluse Winkle in un ringhio e si avviò fiaccamente verso l'androne. Rimboccò le maniche larghe fin sopra i gomiti, pulendo e spolverando con dedizione: con un pizzico di fantasia lucidò pomelli dorati e ringhiere, scivolò di gradino in gradino canticchiando il suo motivetto preferito tra un colpo di straccio e l'altro, perdendo di tanto in tanto la cognizione del tempo. Curva come un fiore avvizzito sulle macchie lerce di fango, puntò lo sguardo sulla porta della camera dirimpetto al naso. Il Conte doveva essere a letto da un bel po' a giudicare dal silenzio che risuonava forte e snervante. L'incontro della sera precedente era ancora vivo nella memoria del fringuello, pulsava forte e spietato nei meandri del cuore, istigando inevitabilmente un moto di curiosità assai raro. Frederick le aveva concesso più del solito, aveva annientato le barriere formali e severe che dividevano i due da tempo immemore: Winkle sforzò tutta sé stessa nel ricordare se mai, dal suo arrivo alla residenza fino a due giorni prima, il Conte l'avesse mai sfiorata, guardata con far divertito, se l'avesse mai...
Accolta veramente.
"Potrei farti davvero male, e tu non sai quanto bramo il tuo sangue. Dalla prima volta che ho avuto il piacere di sentirne l'odore."
Un brivido infame le pugnalò la spina dorsale, interrompendo bruscamente ogni suo gesto al ricordo di quelle confidenze meschine.
Il diavolo peccatore che tenta un cherubino privo d'ali.
C'era davvero differenza? Erano tutti demoni nel profondo, soli e marci, creature dell'oscurità del tutto amalgamati con una Londra sede di leggende divenute pane quotidiano per chiunque. Winkle stessa poteva definirsi ciò a causa della malattia che la rendeva diversa perfino agli occhi di una creatura centenaria come Frederick: avevano molto in comune, ma poco da condividere; nel profondo avevano gli stessi dolori, ma nessun cliché per tirarli fuori. Entrambi volevano crescere col calore di un vero sole, entrambi ambivano ad un'esistenza meno vuota e scarna più di quanto non lo fosse già.
Il diavolo e l'acqua santa.
La serva sospirò sonoramente, agitando la spazzola ruvida contro l'obbrobrio che annientava la lucentezza del marmo. Riprese il canticchiare sommesso, lasciando che la treccia le ciondolasse sul petto ad ogni movimento.
«Morgana ti ha già dato del filo da torcere, neh?»
Winkle borbottò insulti a mezza bocca, istigando in Lilith un risolino disonesto.
«Demonio fa questo, demonio fa quello... sembra di stare alle sue di dipendenze, mica a quelle del Conte!»
«Farai il callo, prima o poi. Sapessi quante ne ha combinate a me!»
«Preferisco non saperlo...» mormorò fiaccamente, accanendosi sulla pulizia. «Rosaline è ancora qui?»
«Sì, sta dormendo» ridacchiò la bionda, infilando la treccia candida della più piccola nel laccio del grembiule unto d'acqua. «E' parecchio stanca...»
«Sapessi io!»
«Tu saresti in grado di oziare fino a morire, oh sì» Lilith le rivolse un buffetto affettuoso sul capo.
«Che vitaccia, oh Lily! Potrei benissimo fare la vita del Conte. Abbiamo tante cose in comune...»
Lilith la fissò in bilico tra le perplessità, stringendo gli occhi.
«Tante cose in comune?»
«Beh non possiamo stare al sole... e ad entrambi piace oziare!»
«Il Conte non passa la sua eternità a girare i pollici...»
Winkle scandì un risolino acuto.
«... Winkle!»
«D'accordo, d'accordo! Hai infinitamente ragione!» sghignazzò, asciugando con una pezza il marmo unto d'acqua. «E' che non so molto di lui».
Lilith ostentò in silenzio, lasciando che le perplessità della piccola amante incontrassero il vuoto e non una probabile confidenza. La quotidianità vissuta da Winkle apparteneva solo ad una millesima parte delle menzogne tessute con maestria tra le mura della magione, nessuno avrebbe mai dovuto aprir bocca a riguardo. Nessuno avrebbe mai potuto rivelare ad Annabel la sua vera identità, il suo lignaggio forte e deceduto, la prematura scomparsa di sua madre e la morte improvvisa di Amadeus Van Winkle. Ma nelle vene della serva scorreva veloce il sangue dei Cacciatori, la sua indole caparbia e forte ne fu la prova: Winkle possedeva un innato fiuto per i segreti, in quanto ancora bambina dentro l'essere infantile sbucava fuori tra domande vacue; il poco tatto e la rarità che malediva la pelle diafana resero il tutto più difficile del previsto.
Eppure tutti avrebbero comunque taciuto, fino al giorno dello sposalizio.
«Concludi le tue mansioni, sono di già le sette» la richiamò solidale Lilith «tra poco arriveranno le altre cameriere».
«E' nuvoloso?»
«C'è nebbia. L'importante è che tu sia coperta per bene».
Winkle sospirò, imbracciando secchio e cesto. Frederick giaceva inerte tra le lenzuola setose, sguardo puntato sui tendaggi fini del baldacchino e udito teso sulle parole delle due.
«Vorrei tanto poter stare al sole...» gracchiò impotente.
«Puoi, ma con le giuste precauzioni».
«Devo sembrare un fantoccio con guanti e velo anche in estate?» ironizzò Winkle, storcendo il muso in una lieve risata. «Nanà non me lo lascerebbe fare, credimi».
«Donna si preoccupa per la tua incolumità, Winkle».
La più giovane sospirò sonoramente, aggiustando con un colpo di reni la gonna floscia.
«Vorrei capisse che so badare a me stessa, solo questo».
Lilith chinò il capo e socchiuse gli occhi, e Winkle sparì dall'androne principale con passo svelto.
Frederick rimase immobile nel buio perenne che era la sua esistenza, assorbendo il ticchettio delle scarpe divenire silenzio. Poggiò una mano sugli occhi aperti, vermigli quanto fiumi di sangue, consapevole della sua vera dannazione al di fuori del vampirismo. I Wood preservavano, da sempre, un'amara dinastia, trucidata dalla stessa piaga che imperlava le membra della futura sposa
Albinismo oculare.
Il Conte si crogiolò nel suo rammarico, annientato dallo sguardo di Lady Stewart vegliante su ogni suo sonno.
Donna intersecò il foulard chiaro attorno al capo della prediletta, annodandolo sotto il mento con far veloce. Winkle scandì l'ennesimo sbuffo nell'avvertire cappello e guanti nasconderle la condizione fisica e bizzarra.
«Sempre nella?»
«Stalla».
«Non togliere mai...»
«Guanti, cappello, foulard e scarpe. Lo so, Nanà!»
Donna affoggò una risata dinnanzi quel volto imbronciato.
«E' andata bene la lezione di ieri sera?»
«Ah...» Winkle balbettò malamente, seguendo con lo sguardo le azioni di Donna. «Sì! Il Conte ha gradito la mia interpretazione di Rip Van Winkle. Difatti mi ha anche concesso di andare via prima!»
Donna non proferì parola per i primi istanti e riprese a piegare gli abiti puliti. Lanciò uno sguardo al cesto in vimini che giaceva a qualche metro da lei, mascherando la sua ira. Piccole rughe d'espressione le ingemmavano il viso all'altezza delle labbra e degli occhi profondi come oceani, rivelatori della sua età ormai avanzata: Donna aveva da poco toccato la soglia dei trentasei anni, e in termini umanamente accettabili, era sei anni più grande del suo padrone. Stava invecchiando pian piano, marcendo, e non per il passare del tempo.
Dieci anni prima, Donna era morta dentro.
Che fosse per tristezza... o per malattia.
«Bene così, puoi andare ora».
Colpevole di una bugia, Winkle incassò il capo nelle spalle uscendo velocemente dalla stanza, ignara della verità di cui Donna era a conoscenza: la mora accantonò il lavoro, raccattando tra le vesti sporche gli abiti indossati da Winkle il giorno precedente.
Camicia e mutandoni erano ancora umidi.



Nonostante il fastidio delle vesti eccessive, Winkle svolse i doveri affidati da Morgana con maestria, concedendosi un po' di pace tra i nitriti dei cavalli. Spazzolò il suo preferito rinominato Napoleone per il suo atteggiamento austero e battagliero, che trovava quiete tra le attenzioni della ragazzina. Appena Morgana fu impiegata altrove, Winkle si guardò attorno con circospezione, arrampicandosi sul soffitto basso della stalla con agiltà. Ficcò l'orlo delle vesti nel laccio del grembiule per evitare di incespicare nella gonna, e con un unico scatto si sollevò sul legno gracchiante.
In un piccolo cumulo di pagliericcio, un mugolio appena accennato le annegò il cuore con ondate di tenerezza. Winkle sorrise, scoprendo il calore di un piccolo essere coricato su un fianco: un pelo morbido e beige copriva le membra del nascituro, il muso schiacciato e gli occhi ancora sbarrati dal sonno, istigarono in Winkle una gioia incontrollabile.
«Neh, Zenzero... più tardi ti porterò del latte» gli mormorò solidale, posando le labbra su un orecchio floscio. Il cucciolo venne trovato da Rosaline e Lilith quattro giorni addietro durante una passeggiata notturna e, sotto le suppliche dell'amante, la vampira avevano girato gli occhi con far ribelle, risparmiando la vita al fagottino di pelo.
Due occhi scuri fecero capolino ad un lato del piccolo ripiano, strabuzzandosi increduli.
«Oh...»
Winkle si voltò di scatto e il viso avvampò d'imbarazzo all'istante. Coprì l'intimo scoperto con un gesto veloce, piantando sul viso del povero visitatore una tallonata degna di esser chiamata tale. Il ragazzo cadde su del pagliericcio con tanto di urletto smorzato e, Winkle, si affacciò coprendo il viso tra le mani.
«Vuoi fare più attenzione?!» replicò il giovane, massaggiando il bacino e naso. «Le signorine non vanno in giro così!»
«Nessuno ti ha detto di controllare, o sbaglio?» rispose stizzita la ragazzina, poggiando con far annoiato la guancia contro il dorso della mano.
«E' pericoloso lì sopra».
Winkle sbuffò, fissando il giovane rimettersi in piedi. A giudicare dal vestiario scialbo e le braghe larghe, doveva esser figlio di qualche contadino della zona. Era mingherlino seppur piuttosto alto; nonostante il freddo pungente di fine novembre indossava solo una vecchia camicia in lino grezzo, rattoppata sul fianco destro, e degli stivali mangiucchiati sul davanti.
Winkle lo fissò lamentarsi con curiosità. Non aveva mai visto un giovane della sua età, per di più uomo. L'unica compagnia maschile che poteva concedersi era quella del Conte e, le sporadiche visite di Marchen, a volte, si rivelano giocose e desiderate.
«Ti ho fatto male?» domandò, calando di più il velo grezzo sul viso.
«Una zampata degna di un puledro, credimi» ironizzò il ragazzo, premendo le mani sotto le narici. «Che ci fai lì sopra? Scendi, prima che il legno possa cedere. Joel dovrebbe dare una riparata a questa stalla...»
«Joel?»
«Mio fratello maggiore».
«E da quanto siete qui? Solitamente si occupa della stalla e del giardino il signor Thomson».
«Mio padre è malato, e da una settimana a questa parte ce ne occupiamo noi».
Winkle lasciò ciondolare le braccia dalla pedana stantia, inclinando il capo di lato. Fissò a lungo il viso coperto di pulviscolo del giovane, sorridendo appena. Aveva un non so che di... diverso.
Era umano, il suo cuore batteva.
«E il tuo nome qual è?»
«Jonas» gracchiò, spolverando il capo dal pagliericcio. «Il tuo?»
«Winkle. Non è il mio vero nome, me l'ha dato il Conte quando mi ha accolta».
Il sedicenne sollevò il capo, osservando per la prima volta il viso della ragazzina.
Il fiato gli si mozzò in gola.
«Sei... una serva del Conte?»
Winkle scrollò le spalle, premendo teneramente il cucciolo contro il petto. Con attenzione scese dalla pedana corrosa dal tempo, balzando su due piedi con un salto solo. La pelle e i capelli pallidi quanto la luna istigarono in Jonas un moto di domande assai raro. Volle replicare la condizione fisica della serva, ma preferì tenere la bocca chiusa, limitandosi ad osservare il leggero strabismo che lambiva le iridi ad ogni sguardo lanciato nella sua direzione. Era così... candida, pura e innocente quanto nevischio.
«Lui è Zenzero» sorrise nel dirlo, porgendo il cucciolo contro il volto corrucciato di Jonas. «Non posso lasciare che mi segua nella residenza, per cui lo tengo nascosto qui. E' al caldo, ha la compagnia di Napoleone. Ma purtroppo non posso uscire spesso per nutrirlo...»
Jonas raccolse il cane per la collottola, fissandolo.
«E perché mai?»
«Non posso e basta. Per cui...»
Jonas sospirò, intenerito dal mugolio strozzato dell'animale.
«Beh, quando non ci sarai baderò io a lui, sta tranquilla».
La voce profonda di Joel lo chiamò dall'esterno.
«Devo andare» sentenziò il giovane, riponendo tra le mani di Winkle il corpicino del nascituro. «Fa attenzione la prossima volta... chiederò a Joel di costruire una scala male che vada».
Jonas raccolse velocemente due secchi vuoti, sparendo definitivamente dalla stalla.
E Winkle, con cucciolo e incredulità stretti contro il petto, realizzò: nella sua semplicità, Jonas aveva fatto breccia nel suo cuore. 

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