Capitolo 10: la Rinascita


" Dicono di me, che sono un serpente con ali da diavolo e un cuore da re
Ecco perché nessuno sa "
(Cesare Cremonini, Dicono di me)  

Victor smontò dal cavallo bianco con un gesto fluido, rizzando tra le mani la balestra umida di pioggia, quasi volesse saggiare il pericolo che stagnava nell'aria della radura boschiva. L'autunno mite e soleggiato aveva lasciato spazio ad un inverno freddo e spietato, denudando sotto la sua furia alberi e tranquillità. Il freddo s'insinuò tra il tessuto rigido del cappotto nero, conficcandosi tra brividi e imprecazioni mormorate a mezza bocca nelle ossa forzute dell'uomo. Victor passò stancamente una mano sul viso afflosciato d'angoscia; ignorò lo scalpitio di zoccoli in lontananza, ripensando alla dura giornata mai portata a termine: Calel era furibondo, tanto da inviare altri quattro Cacciatori nella ricerca dei due scomparsi dalla mattina precedente, fustigato dal rimorso di chi, in cuor suo, conservava la certezza che non sarebbero mai tornati dalle proprie mogli, dai propri figli, dal proprio generale.
La mano destra che impugnava saldamente la balestra rigida vibrò sotto il mugolare acuto di un cane posto al suo fianco, le orecchie drizzate e i canini sporgenti lasciavano trasparire tutto il suo malessere. La radura era morta, spoglia, la terra circostante imbrattata di foglie sudice e le cortecce graffiate dal canto della pioggia e del buio, risvegliarono in Victor un raro senso di terrore. Da otto anni affiancava le lotte della casata Wood contro le ingiustizie del Clan londinese, eppure mai gli capitò nell'esistenza terrena di bramare così tanto il ritorno a casa.
Altri quattro cavalli affiancarono il giovane Cacciatore, la ronda notturna portata avanti tra la cittadina di Haverhill e Wigan, svelò presto i dubbi che attanagliavano i cuori di tutti: due neo Cacciatori, avvertiti in tarda mattinata di una spettrale sparizione avvenuta tra le campagne dei villaggi, aveva smosso di non poco la quiete e l'animo egoista degli abitanti dei dintorni. I due salvatori si recarono sul luogo per indagare più affondo, cercando di tenere a bada le presunte dicerie su di un assassinio compiuto per mano di un vampiro, ma il mancato rapporto non suggellato nell'orario di rientro per il cambio di ronda, avvizzì l'indole di Calel. Dalla morte di una reggente importante della corte della regina Vittoria, qualcosa pareva cambiato. La nobildonna ostentava da sempre un silenzio ambiguo, lasciando il capo stipite dei Wood in balia dell'ascesa al potere degli Alti. Bene e male si mescolarono con forza, la tutela finanziaria e collaborativa della regina, col tempo, parve affievolirsi così come la sua indole dura e austera. Tutto ciò preoccupò di non poco i piccoli lignaggi di Cacciatori associati ai Wood, e col passare delle settimane, più di un valido componente della stirpe del bene accantonò balestra e grani di rosario, ritirandosi in una vita priva di faide sanguinolente, alla ricerca di serenità.
Come suo padre prima di lui, Victor scelse di non fuggire dai suoi doveri di collaboratore e emissario di Dio, giurando su sé stesso che non avrebbe mai abbandonato quella battaglia nemmeno in punto di morte. Ma i rammarichi gli avvolgevano le tempie e il petto non appena posato il capo sul cuscino, coccolando con lo sguardo il viso dormiente di sua moglie.
E se un giorno non fosse rincasato? Cosa avrebbe raccontato ai suoi pargoli, Marlene?
Cosa ne avrebbe fatto quella donna così innocente di onorificenze e lacrime sulla tomba del marito?
Victor scosse furiosamente il capo e gocce di poggia si sciolsero lungo le gote tese. Il segugio tastò la terra molle con naso e fiuto aguzzo, imprimendo zampate veloci tra i cumuli di fango, indicando al proprio padrone il punto incriminato. Heathcliff, il più anziano di ronda in quel momento, fu al fianco del proprio beniamino con un balzo, e la sua voce parve un sibilo di vento per quanto bassa.
«Alla tua destra. C'è un dardo scoccato tra la melma» gli suggerì con un cenno di mento. Victor lasciò affondare le dita nella pozza melmosa, investigando con occhiate fugaci i brandelli secchi e duri che imperlavano il fusto sottile e viscido del colpo. La lanterna gocciolante appesa sul fianco del cavallo risaltò le iniziali della casata dei Churchill, e un brivido infame gli imperlò le dita fredde.
«Casata di Henrys e Michael, giusto?» domandò in un sussurro, fissando Walter.
«Così sembra» sentenziò il compare, pulendo il dardo dalla zavorra. «"CBH". Churchill Benjamine Henrys».
I due rimanenti del gruppo notturno si avvicinarono svogliatamente, sbuffando non appena udito quel nome.
«Haverhill dista circa un miglio dalla radura, cosa ha spinto quel mentecatto di Henrys a giungere fin qui?» domandò furibondo Walter, sputando tra il fogliame marrone. Ernest scosse debolmente il capo di fronte quell'essere così burbero, carezzando con colpi veloci la bestia dirimpetto alla sua gamba.
«Qualcosa deve averlo spinto qui».
«L'omicidio è stato consumato ad Haverhill, e fin qui ci siamo» riprese Walter, lasciando che la balestra consacrata ciondolasse nel vuoto. «Non che mi dispiaccia la perdita di quel medico, il signor Arthur Phelman. A me interessa che Henrys e Michael tornino a casa».
Victor, nonostante Walter ostentasse da sempre un portamento arcigno, percepì mestamente il nervosismo che sprigionava il padre dei due Cacciatori scomparsi. Per un momento fissò le rughe marcate che gli contornavano occhi e fronte, la barba nivea e i capelli scomposti da una bava di vento; le labbra contratte all'ingiù gli istigarono preoccupazione.
«Calma, calma. Lasciamo che siano i cani a rivelarci di chi sia la pelle».
Heathcliff lasciò avvicinare a sé un paio di cani dal pelo corto e le fauci argentee, entrambi presero a fiutare gli stracci di pelle con maestria, assaporando la consistenza delle membra incastrate sulla punta ferrosa. Uno dei due scodinzolò soddisfatto, puntando il capo al cielo tra un abbaio e l'altro. Ernest sfilò dalla cintura un coltello a serramanico, la lama grigiastra sfavillò esposta alla debole fiamma della lanterna, rivelando ai presenti il misfatto: il Cacciatore inarcò la schiena in avanti come un fiore avvizzito, disturbato dalle braghe imbrattate di pioggia e fango, premendo con decisione il taglio sui brandelli duri come cuoio.
Del fumo corposo danzò nell'aria satura d'umidità, e le membra morte gracchiarono sotto la lama d'argento, rivelando la vera essenza di quelle pelli.
«Il cuspide è inclinato verso destra. Il colpo deve esser stato scoccato all'improvviso».
«Stai dicendo che i miei figli sono stati presi alla sprovvista?» la voce di Walter risuonò disprezzante udite quelle rivelazioni, e da gran signore sputò nuovamente bava e disprezzo. «Mai!»
«Walter, qualcosa deve essere andato storto» Victor biascicò quella verità in modo esaustivo, rotolando gli occhi.
Enrnest ripensò ai due fratelli maggiori, fedeli riproduzioni di Walter: violenti, bruschi e altezzosi. Orgoliosi del sangue che scorreva nelle loro vene, i Churchill non badavano a scaramanzie e né tanto meno alla parola di Dio, conservando solo interesse e medaglie di poco conto.
«Continuiamo a perlustrare. In tal caso torneremo domattina, Walter» decretò Heathcliff, riponendo tre le mani di Ernest dardo scheggiato e lama. Il padre dei due Cacciatori ebbe da ridire, ma il terzogenito lo zittì con un solo sguardo.
«Non dire che Henrys e Michael sono prudenti, perché menzogna più grande di questa non può esistere».
Walter trucidò il figlio con un'occhiata furibonda. «Hanno fegato da vendere, Ernest».
«Fatto sta che si son fatti abbindolare da dei vampiri, no?» proseguì velocemente il diciottenne, sostenendo quei toni carichi di ira. Walter fu tentato più volte e più di schiaffeggiarlo in pieno volto. «Entrambi erano a conoscenza dei dettagli forniti di Calel, la ronda qui nei boschi di Haverhill sarebbe solo servita ad informare tutti noi della scomparsa del medico, non di certo ad un inseguimento».
«Fatto sta...»
Heathcliff azzardò un cenno di stizza, calmando Walter. «Abbiamo tenuto sott'occhio Phelman per circa sei mesi, la sua collaborazione col Clan e il successivo allontanamento non è cosa da tutti i giorni».
«Pensi stesse solo facendo uno sporco gioco?» domandò Victor fissando il suo vecchio.
«Non né sono sicuro, ma se ci ha lasciato le penne vuol dire che il Clan continuava a tenerlo sott'occhio».
La pioggia intensificò il suo abbraccio sulla terra e i quattro caddero avvolti in un silenzio assiduo; tra l'orchestra d'acqua e odori che aleggiava nel bosco, le bestie parvero impazzire all'istante. Un lampo grigiastro avvelenò la notte con uno squarcio, i tre cani digrignarono all'unisono il muso con far rabbioso e l'acuto nitrire degli equini venne attutito dal rombo di un tuono. Ernest afferrò le briglie del suo cavallo, tenendo premurosamente le mani sudice di pioggia contro il capo deforme per rassicurarlo.
Victor si alzò lentamente, sostenuto da Heathcliff e l'abbaiare grinzoso dei cani aumentò a dismisura.
Il secondo fulmine si schiantò sul terreno molle, contornando una figura altezzosa dalle spalle larghe, distante dal gruppo una ventina di metri. Il capo coperto da un cilindro ampio e le spalle tamburellate dall'acqua furiosa, fecero contorcere le budella di Victor all'istante.
Le dita di Heathcliff sfiorarono impazienti il martinetto della balestra che stringeva tra le mani callose, parando un braccio di fronte la figura di Walter. L'uomo frenò il suo scatto, sostenuto dai ringhi smorzati delle bestie.
«Aspetta» gli mormorò Victor, boccheggiando come un pesce fuor d'acqua.
Il vampiro lasciò sfuggire un sorriso sbeffeggiante, togliendo e parando contro il petto l'alto copricapo. L'ennesimo colpo di luce risaltò il pelo fulgido di due lupi posti al suo fianco, dalle zanne esposte e gli occhi lambiti da fiamme di euforia. Marchen e Rosaline arrotarono le zanne simultaneamente, sostenendo la lenta danza di ringhi al contempo con le bestie protettrici dei Cacciatori.
L'impazienza lo mangiò vivo con un unico morso e Walter scansò prepotente il braccio di Heathcliff fisso sul petto. Ma il suo furioso avanzare venne arrestato da qualcosa di inaspettato: dai rami spogli degli alberi cadde a peso morto quel che a primo impatto parve un sacco. I cavalli nitrirono esausti, scalciando tra la terra e l'acqua, desiderosi di scappare via da cotanta brutalità.
Victor deglutì sonoramente nell'investigare la carcassa flessa tra le fogliame in lutto.
Il busto di Henrys privo di arti e sfregiato sul petto, venne accolto dallo sguardo incredulo di suo padre. La rabbia nel petto gli esplose in un unico e lancinante istante, nel notare le orbite vuote e la mandibola trinciata di netto, deturpando in modo irrimediabile l'aspetto umano del giovane Cacciatore.
Era morto.
Il Conte assorbì con un sorriso cupo la rabbia di Walter urlata nella sua direzione, chinando leggermente il capo in avanti. Marchen sciolse la pelle del muso in un ringhio soddisfatto, ricolmo di euforia e bramosia di sangue.
E tutto iniziò.
Anamarié piombò dall'alto sul corpo di uno dei tre animali, trinciando con un solo morso la pelle unta di pioggia e pelo ispido del collo. Mostrò ai Cacciatori le fauci insozzate di sangue ed eccitazione, venendo assalita dalle due bestie rimanenti. Nel caos venutosi a creare, Victor si allontanò prontamente, sciogliendo le dita tese attorno all'acciaio lucido della balestra, e i primi dardi sacri vennero scoccati sugli assalitori. Heathcliff si parò al suo fianco con far veloce, facendo pressione sul piolo nel tentativo di caricare un colpo impregnato dell'essenza di biancospino.
Walter, preso dalla rabbia e la disperazione, si accanì brutalmente contro Rosaline, ma la vampira non demorse; piantò agilmente gli artigli delle zampe posteriori contro la ruvida corteccia di un albero, balzando ringhiosa contro l'uomo. Il Cacciatore rotolò rovinosamente a terra, tenendo premute tra le dita callose le fauci argentee del lupo. Ernest corse in soccorso di suo padre, piantando malamente la lama sacra sulla coscia del Sicario, costringendo la vampira ad una ritirata improvvisa. Il flagello del bene doleva tra il pelo lucido della sottoposta del Conte, nebbia molle si riversava fuori dalla ferita aperta con lentezza e questo istigò ancor di più la sua furia.
Altri quattro lupi fecero la loro comparsa alle spalle del Conte, prendendo parte alla bolgia in atto. I dardi vennero scoccati, le lame furono sguainate, le urla di Walter furono soppresse dalle zanne di Rosaline e altri due compagni: Ernest venne spinto via dal suo stesso padre e impotente dovette assistere alla sua lenta morte per mano di quelle creature notturne. Marchen fu addosso al neo Cacciatore con un balzo, piantando gli artigli argentei contro le spalle tese. Il diciottenne e il Sicario si trinciarono a vicenda con sguardi grondanti di rabbia, alternando una danza fatta di morsi, artigli e pugni.
Frederick osservò quella lenta carneficina dall'alto della sua posizione. I suoi prediletti stavano dando mostra delle proprie doti sotto lo sguardo attento del mentore per eccellenza; come un padre che bada ai suoi pargoli, come un generale che incoraggia i propri soldati con occhiate ricolme di furore. Sotto il canto armonioso dell'acqua accompagnata dagli stridii dei lampi nel cielo scuro, Frederick rivide sé stesso. Rivide la determinazione che contraddistinse la sua anima da quella di Charles, rivide gli onori donati dal Consiglio che fieramente aveva reso il vampiro condottiero dei Sicari Notturni.
Frederick era morto dieci anni prima, per poi rinascere ancora tra le sue stesse ceneri labili.
Frederick bramava potere e sangue, soppresso fino al limite dalla mancanza del corpo di Donna.
Eppure mai ci fu serata nella sua esistenza che lo eccitò così tanto.
Un Sicario riprese le sue forme umanamente guardabili, avventandosi prontamente contro Heathcliff. Il vecchio scostò con una manata Victor e il ragazzo si corrucciò sul suolo sudicio, battendo il capo contro una pietra. Cercò con tutto sé stesso di rimanere lucido e vivo, nello sguardo annebbiato dal dolore e la disperazione prese forma la sagoma impotente di Heathcliff che con coraggio cercava di proteggere sé stesso e suo figlio. La mano di Victor volle scattare sul calcio della pistola racchiusa in una fondina al suo fianco; la testa doleva, un rivolo viscido e cremisi gli ingemmò la fronte bagnata. Volle reagire, salvare suo padre da quell'orribile dannazione, ma i vampiri si arrestarono all'improvviso.
Si riunirono tutti alle spalle del Conte, che con far docile, avanzava verso i tre rimanenti Cacciatori. La spalla di Heathcliff sanguinava copiosamente, Victor sostenne quel dolore rassicurandolo tra le braccia forti. A qualche passo da loro giaceva inerte la figura di Ernest, con gli occhi vitrei e le mani tremanti fisse sui corpi di padre e fratello.
Il Conte arrestò il suo avanzare, le iridi vermiglie sorrisero divertite.
«Arthur Phelman è morto».
La voce del condottiero fece gelare il sangue nelle vene di Victor all'istante. Il ragazzo premette d'istinto il palmo contro la pelle squarciata del suo vecchio, stringendolo ancor di più a sé nella vana speranza di fermare il flusso copioso della ferita. Era la prima volta che vedeva il Conte da vicino, e mai ci furono occhi così tetri nella sua vita da far morire lentamente tutto il suo coraggio.
Erano accerchiati.
E sarebbero morti.
«Il dottore aveva la lingua lunga... che amarezza. Non sono qui per far la guerra, amici miei. Vorrei solo mettervi in guardia. Per quanto Phelman fosse un uomo di fede legato al Clan, credo abbia parlato un po' troppo. Beh, punizione più che meritata».
Ernest tornò a fissare i corpi deformi riversi a terra, sopprimendo un conato di rabbia crescergli nel petto.
«Stasera sarò clemente, ve lo giuro. Tornate alle vostre case e fate tesoro della mia gentilezza. Ma se oserete ancora in futuro contrastare una punizione dettata dal Consiglio, mandando dei... cani» ringhiò tra i canini sporgenti, fissando il corpo mutilato di Henrys con disprezzo «l'ultima cosa che vedrete sarà il volto del diavolo. Credo di esser stato chiaro, no?»
Marchen soppresse il suo solito risolino, mentre gocce di pioggia s'infrangevano lungo il collo e le vesti.
«Vi auguro un buon rientro, miei cari. Riferite al vostro Calel testuali parole...»
Heathcliff tossì smorzatamente e Victor fissò con rancore il condottiero notturno dinnanzi al suo corpo.
«... il Conte Frederick Stewart è tornato».***I capelli del Sicario ciondolavano a ritmo della sua impazienza, così come le dita tamburellate sulla scrivania con far deciso. Candice sedeva annoiata su di una graziosa poltroncina elegantemente lavorata, disturbata dal monotono ticchettio di un antico orologio ornato da ampie ghirlande e fiori che vegliava nella piccola biblioteca. La serva dinnanzi al suo sguardo felino lasciava trasparire il suo stesso uggioso fastidio, interrotto a volte dal rombo dei tuoni che avvelenava la quiete notturna. Winkle premette la guancia sul dorso esiguo della mano, l'inchiostro impresso sulla dannazione formato cartaceo divenne ben presto oggetto di disprezzo. Era cresciuta, mutata come una serpe a primavera, sbocciando nel pieno della sua pubertà: i capelli le ricadevano fini e lisci oltre spalle, graziosamente intersecati in una treccia a spina di pesce; gli ultimi ciuffi tenuti stretti da un nastro semplice accarezzavano l'osso sacro, riflettendo qualsiasi bagliore. La corporatura minuta era da sempre avvolta da un completo leggero privo di crinolina, adatto al suo essere impetuoso e vivace; la pelle candida quanto un sudario nevoso e le iridi ingenue e profonde quanto un fondale marino erano incorniciate da una corolla di ciglia tanto bianche quanto pure, come margherite di prato. Candice osservò quelle guance paffute leggermente tinte di rosso, il leggero strabismo di venere e le labbra carnose a mo' di cuore, piegate in una smorfia di disappunto. Aveva visto la giovane sposa del Conte crescere, sbocciare, aveva seguito con dedizione le prime parole, gli studi stancanti, i suoi sonni fiabeschi. Da otto anni seguiva la piccola amante come fosse la sua ombra, accompagnandola fino al sorgere del sole per poi svanire tra la luce mattutina. Il Sicario interruppe il suo ciondolare, intraprendendo un lento gioco di sguardi con la serva.«Finito?» sentenziò Candice, e la ragazzina rispose con un sonoro sbuffo.«Beh, a quanto pare!»«Winkle...» la vampira sospirò esausta, massaggiando con le mani il viso afflosciato d'angoscia. «Il Conte sarà di ritorno tra poco, e di sicuro vorrà ascoltarti».Una morsa gelida accigliò il cuore della più piccola. Era ormai di consuetudine che ogni sacrosanto martedì Frederick ricavasse un po' di tempo da concedere al suo piccolo gioiello. Le insegnava le buone maniere con far severo, il bon ton e le ricche regole di una nobildonna d'altri tempi; le impartiva la musica come pane quotidiano, pretendendo da lei sempre il meglio, cibandola di note e lezioni alla quale la piccola si isolava fantasticando. Per una notte alla settimana, Winkle poteva godere della presenza suadente del Conte, osservando il suo essere impeccabile e tremendamente irresistibile. A tal pensiero le guance divamparono arse dall'imbarazzo, incassando il capo nelle spalle minute. La giovane amante viveva come serva tra le mura silenziose della residenza, affiancando Donna nella cura della magione, concedendosi solo un attimo di quiete tra le romanzate conservate nella biblioteca prima di andare a letto. Per tanto tempo non aveva fatto altro che domandarsi del perché di tutte quelle attenzioni bramose, paragonando quelle gestualità fredde alla routine sessuale che lo coinvolgeva tra Morgana e Lilith: Winkle, ogni qualvolta che Morgana lagnava del dolore impresso sulla carne, osservava con sguardo perso i fori violacei che ingemmavano la pelle di entrambe le ragazze, come un marchio indelebile inciso tra le lenzuola del vampiro. Eppure Frederick non aveva mai toccato con far malizioso le curve povere della piccola serva, rendendola sua prediletta tra libri e insegnamenti austeri. Il perché di quell'educazione non le fu mai chiaro, soprattutto non riuscì a risolvere il dilemma più intricato: sua serva, ma non di sangue.Sua favorita, ma per una notte o poco più.Sua pupilla, ma non tra la frescura delle lenzuola. A cosa era dovuta la sua permanenza alla residenza?Scoprì anni addietro la vera natura oscura del Conte, fantasticando sul suo animo chiuso e freddo. Aveva da sempre immaginato che il vampiro fosse in realtà un cavaliere, il più fidato dei fidati della regina Vittoria e che, un giorno non troppo distante, sarebbe potuto diventarlo anche lei. Per un momento la fantasia prese pieno possesso della sua mente; immaginò la sua figura ricoperta di onori e stemmi, davanti ad una regina che la premiava per il suo coraggio e per la sua audacia.Ma lo sguardo mesto di Candice la riportò alla realtà con un ringhio acuto.«Hai per caso qualche malanno, Candice?» commentò sarcasticamente la serva, assottigliando lo sguardo con far di sfida.«Sei una piaga, Winkle. Una dannazione...» soffiò disperata e con un balzo le fu davanti. «Godi così tanto nel vedere il Conte scoppiare di rabbia?»«L'educazione e il sapere sono affar mio» Winkle contrasse la mascella e chiuse le braccia attorno ai seni piccoli. «Ci pensa Donna!»«Se potesse sentirti...»Winkle scandì un risolino disonesto e la porta della biblioteca si aprì gracchiante. All'entrata apparve la figura ribelle di Morgana, che con un'occhiata invitò le due a seguirle. Sulla scalinata che dava sull'atrio principale, Winkle lo vide: sereno in volto, orbite cremisi, capelli unti d'acqua. Al suo fianco sostava pacata Rosaline, sudicia di pioggia da testa a piedi, e con uno sguardo ricolmo di tenerezza abbracciò Lilith. «Lilith, aiuta Rosaline con il bagno e accompagnala nella quarta stanza del primo piano non appena concluse le tue mansioni» mormorò apatico il vampiro e la giovane serva annuì mentre il cuore si riempiva d'amore e affetto.«Come desiderate, Conte» rispose a tono la giovane, concedendosi un sorriso radioso.Accanto alla bionda, Donna ostentava in silenzio sulla gentile richiesta offerta da Frederick. Dalla notte in cui il vampiro giurò che nulla al mondo l'avrebbe distolto dal proprio progetto, qualcosa si ruppe all'interno del costato della giovane. Che fosse il cuore, che fosse la fiducia o l'amore mai ammesso e spento nei confronti del Conte, Donna non accettò più alcun tipo di invito tra le braccia dell'essere. Per i primi tempi ci rimuginò su, ma bastava lo sguardo dolce di Winkle a farle cambiare idea in un batter d'occhio. Entrambi gli amanti vivevano sotto lo stesso tetto senza concedersi sguardi e parole, senza concedersi lussurie, come si permisero per decenni. Donna si avvicinò al vampiro, afferrando cappotto e cilindro. «Donna, prepara le mie vesti».La serva incrociò lo sguardo di Morgana che prontamente si avviò giù per la scalinata in marmo.«Morgana, puoi continuare con le tue mansioni per stasera» la voce flebile di Frederick bloccò ogni suo passo.«Come sarebbe a dire, Conte?»Frederick aggiustò con una scrollata di spalle la camicia zuppa, sopprimendo l'acuto fastidio che gli provocava.«Per stasera sarà Winkle a seguirmi».«Winkle?» Donna e Morgana ripeterono all'unisono. La piccola amante sentì il sangue frenare la danza calda all'interno delle vene non appena udite quella parole.«Sono troppo stanco per continuare con le lezioni di violino, per cui mi accompagnerà a letto».«Perdonatemi Conte...»«Hai udito ciò che ho detto, Morgana?» la riprese il vampiro, assumendo un tono severo.La serva di sangue ridusse gli occhi in fessure.«Come desiderate, Conte».Gli occhi di tutti si piantarono sulle azioni del Sicario che svogliatamente saliva la scalinata sorpassando la figura inerte di Morgana. Winkle e Donna si lanciarono due occhiate fugaci.«Winkle?»«Ah... s-sì!» balbettò malamente, apprestandosi a raggiungerlo.
Con le guance avvampate dalla vergogna e i battiti del cuore impazziti, Winkle aiutò il Conte nel denudarsi, togliendo con gesti goffi la camicia grondante d'acqua e i calzoni. Tenne per tutto il tempo lo sguardo fisso a terra, nonostante l'insaziabile voglia di scrutargli il petto e le cosce con una sola occhiata le premette nel petto. Ma l'animo pudico e infantile vinse su tutto, anche quando il Conte si lasciò sprofondare nel caldo abbraccio delle acque, affogando le sue nudità.«Togli le vesti, Winkle» la riprese qualche istante dopo, mentre la giovane passava una pezza sulla schiena del vampiro. «Oggi faremo qualcosa di diverso».La sposa annaspò a più non posso, bloccando ogni suo gesto. «Cosa intendete per "qualcosa di diverso"?» biascicò, attratta dalle iridi vermiglie puntate nelle sue. Frederick parve divertito da tutta quella innocenza. «Come ho già detto, oggi non ci sarà alcuna lezione di violino. Per tanto vorrei solo ascoltare il tuo resoconto sul libro che ti ho assegnato due settimane fa».«In una vasca da bagno, mio Conte?» domandò perplessa, scostandosi appena.Il vampiro sorrise beffardo. «Così pare».Winkle rimuginò ancora qualche istante sulla richiesta udita, lasciando le mani ammollo attorno al fianco del suo signore. Il motivo di quelle attenzioni non le fu chiaro, ma cercò di non badarci. Winkle era fornita di un animo spudorato, il suo poco tatto era percepibile e quasi fastidioso, coltivato sotto le ramanzine senza né capo e né coda di Donna. Eppure parve esitare, anche quando scioglieva le vesti attorno al corpo, lasciando che sgusciassero a terra senza fare rumore. Frederick l'osservò con viso premuto sul dorso della mano, investigando voracemente sulle forme appena accennate del corpo minuto dirimpetto al suo sguardo. Winkle si liberò anche della gonna, rimanendo con solo l'intimo a coprirle le curve appena accentuate. Le mani esitarono sul fiocco della camicia di raso che le copriva il seno appena abbozzato; sollevò lo sguardo al soffitto e prese una boccata d'aria degna di esser chiamata tale.S'infilò nella vasca con ancora camicia e mutandoni avvolti addosso, sotto lo sguardo divertito del Conte.«Fai il bagno in intimo, Winkle?» parlò lui, sfiorando col polpaccio teso un piede della giovane nel muoversi. Winkle strinse le braccia al petto, turbata da quella richiesta e contatto irreale.«Spesso, Conte. Mai provato?» ironizzò con le guance tinte di rosso.«Dovrei, ma lo trovo ingombrante ad una prima occhiata».«Posso assicurarvi che non è così».«Davvero?»Winkle ridusse gli occhi in fessure, ritirando le gambe al petto. «Davvero».«Se accadrà nuovamente, spero tu abbandoni gli indugi assieme alle vesti».Perché stava assumendo quel comportamento così inusuale? Ritrovarsi per la prima volta a così stretto contatto col Conte la fece rabbrividire. Non di paura, non di terrore: l'imbarazzo divenne l'ultima delle preoccupazioni di Winkle, troppo impegnata a sostenere quel lento gioco di battute e sguardi ricolmi di divertimento. Nonostante il calore sprigionato dall'acqua, la giovane sentì il freddo assiduo del corpo del Conte evocarle brividi di pelle d'oca, estraniata da quei comportamenti così maliziosi nei suoi confronti, avvenuti da un giorno all'altro.«Se posso permettermi, Conte... perché avete preferito venissi io e non Morgana?»«Non posso voler passare del tempo con te anche al di fuori delle lezioni, Winkle?» domandò a sua volta, mentre gocce d'acqua sgusciavano via dal viso marmoreo per ricalcare la forma marcata del petto. «Lo ritengo... inusuale, Conte» gracchiò Winkle, incassando il capo nelle spalle.«Sei o non sei una mia serva?»«E da quanto in qua le serve vengono istruite alla letteratura e alla musica?»Frederick scandì una risata gutturale, mostrando i canini candidi.«La tua educazione mi sta a cuore, Winkle».«Si parla di sapere, non di educazione, mio Conte».«E a tal proposito... vorresti ambire a qualcosa di più?»Winkle ostentò in silenzio su quella domanda. Il malessere scaturito da quel quesito s'infranse sulle gote della piccola come mille spilli infuocati, tanto che dovette abbandonare l'idea dell'insulsa routine che trovava pace solo di martedì notte. «Vorresti diventare una mia serva di... sangue?»Un capogiro sorprese Winkle, l'ansia che scorreva veloce nelle membra assieme all'adrenalina la stava lentamente uccidendo. Divenire una serva di sangue aveva molti vantaggi, come lo stretto contatto emotivo col Conte, l'offrire il proprio sangue e...«Mai accennato nulla di simile» soffiò Winkle, paonazza in volto.«Potrei... distruggerti. Massacrarti se io volessi, anche solo con un morso sulla coscia» le sibilò suadente, poggiando i palmi aperti sulla ghisa della vasca e allungando il viso fino a sfiorare il suo. «Potrei farti davvero male e tu non sai quanto bramo il tuo sangue. Dalla prima volta che ho avuto il piacere di sentirne l'odore».«Siete come un... padre per me, Conte» sospirò in un rantolo, rapita dalle fiamme che lambivano lo sguardo di Frederick. Mai prima d'ora aveva avuto l'onore di fissarlo da così vicino, di percepire il freddo delle sue membra sfiorarle i piedi scoperti, tanto che ne fu intimorita. Per anni aveva vissuto nell'ombra di Donna, sua madre adottiva e balia, indugiando sui sentimenti che le premevano nel costato come lame di lance infilzate con forza. Il Conte, per Winkle, era un mistero; un essere che non smetteva di cambiare maschera, indossando assiduamente ciò che non stonava di una virgola con i suoi improvvisi cambi d'umore. Eppure ora si ritrovava schiacciato contro le gambe il petto del suo salvatore, gli occhi legati ai suoi, le nudità di lui a premute contro le ginocchia. «E' per questo che ho cura di te».«Eppure mai mi avete spiegato il motivo della mia venuta qui alla residenza».«E' importante?»Winkle tremò. «Più di quanto voi possiate immaginare».«Vuoi ricordare?» le domandò, crucciando la fronte con far pensieroso.«Non posso non ammettere che ogni giorno della mia vita passato qui, rievochi solo malessere nel non sapere chi sia la mia vera famiglia».«Il passato rimane tale, non corrucciarti in dilemmi che sono fuori dalla tua portata. Ti basta sapere che, in quanto tuo signore e "padre", tu mi appartieni. Come in parte sono in mio possesso Morgana, Lilith e Donna».«Voi campate sull'amore di tre donne?»«Sono capriccioso Winkle, e vorrei tanto tu lo capissi» le rivelò con un sorriso sghembo, rilassando le spalle. «Non ne ho mai abbastanza».Botte piena e moglie ubriaca, pensò riluttante la più piccola, mentre Frederick tornava composto.«Dov'è il vostro albero ombroso, Conte?» mormorò sarcastica Winkle, tirando in ballo il racconto appena finito. Si scrutarono a vicenda con occhiate fameliche, e l'acqua si congelò all'istante attorno alle membra della ragazzina.Il vampiro trovò maledettamente divertente quella domanda, tanto che ebbe voglia di riderne a crepapelle. Winkle lo stimolava con la sua testardaggine e falso pudore, una piccola stampa in piena crescita di Donna. La sposa le ricordava lei in tutto e per tutto, nei gesti, nel corrucciare la fronte e rompere le labbra in una smorfia di disappunto.Così simili, eppure distanti.«Sto ancora aspettando di poter dormire a lungo senza essere svegliato, Winkle».«Lo desiderate?»«Quel che basta» mormorò il Conte, fissandola. «Credo tu possa andare, per ora».«Mi mandate via così?» la voce della serva tremò quasi fosse sul punto di spezzarsi in un grido. Il bagno, quel punzecchiarsi, quel suo essere distaccato ma afflitto dall'innocenza che emanava... cosa pensava il Conte di lei? Cosa aveva in serbo? E se avesse avuto un cuore vivo e forte, l'avrebbe accettata come... amante?«Questa chiacchierata mi ha dato modo di conoscerti, Winkle».«Volevate solo... conoscermi?»«Qualcosa ti turba a riguardo?»Winkle fece per controbattere alla sua solita maniera, ma trattenne il respiro e contò fino a dieci. Mentre le guance si coloravano per l'ennesima volta con sfumature vermiglie, il Conte sorrise di fronte tutta quella rabbia infantile.«Per nulla».«Chiama Morgana, allora. Credo sia tutto per stasera».Winkle si alzò titubante, lasciando le vesti unte d'acqua sgocciolassero a terra. Non ebbe il coraggio necessario a voltarsi per fissarlo un'ultima volta, cercando di scacciare dai meandri della sua testa il dispiacere di dover attendere l'ennesimo martedì per rivederlo. Quell'improvviso cambio di atteggiamenti le turbò l'anima, il cuore, le mozzò il respiro con un dolore lancinante ai polmoni. Voleva sapere il perché della sua appartenenza al Conte, del perché le concedesse solo un giorno alla settimana per stare con lui, insegnandole le buone maniere e nutrendola di musica. «Se io volessi andarmene... potrei?»Frederick osservò il tessuto scarno della camicia delineare la cicatrice al centro delle spalle minute. Un marchio, una dannazione.«Vorresti?»Winkle lasciò aleggiare quella domanda nell'aria, acciuffando tra le mani le vesti riverse a terra. Si dileguò senza nemmeno voltarsi e accennare un saluto, lasciando solo il Conte in balia delle acque e dei pensieri.

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