🎬🗣️ Trainspotting e riflessione sulle dipendenze

9 maggio 2020

Esattamente due mesi fa mi sono trovata a guardare Trainspotting, film cult degli anni '90, ispirato dall'omonimo romanzo di Irvine Welsh, che racconta il percorso di disintossicazione di un eroinomane in una degradata Scozia. Ora, non starò a raccontarvi i dettagli della trama, nella speranza che decidiate di guardarlo se non l'avete ancora fatto; perché merita davvero, dalla recitazione, ai dialoghi, alla scelta delle inquadrature, per non menzionare gli splendidi accompagnamenti musicali...e, ovviamente, la vicenda che racconta. Ecco, piuttosto mi soffermerò sulle considerazioni che mi ha suscitato, da persona che non ha mai avuto simili esperienze, ma che l'ha trovato davvero informativo, quasi rivelatorio.
Inizialmente l'ho guardato con un certo distacco, anche se, col passare del tempo, mi sono resa conto di quanto la storia sia rilevante anche rispetto alle piccole dipendenze con cui mi trovo, anzi, ci troviamo a fare i conti nella mia, nella nostra vita quotidiana. E' solo che, come sottolinea il protagonista stesso, Mark Renton, ci sono dipendenze considerate più socialmente accettabili; intanto chi cade nei giri più pericolosi finisce per essere emarginato, il che non fa che peggiorare le condizioni dei tossico-dipendenti.
Non mi è sembrato affatto che il film romanticizzasse l'uso della droga, anzi: l'esperienza di Renton è stata narrata con un sorprendente realismo, ed è proprio da questo realismo che possiamo trarre le conclusioni adeguate. Cavoli, è stato pure mostrato l'effetto devastante dell'eroina con una scena che evito di rivelare (chi l'ha guardato saprà a cosa mi riferisco). E ci si rende conto della fragilità di queste persone, che arrivano a compiere terribili ingiustizie nei confronti del loro prossimo perché non sanno nemmeno prendersi cura di se stessi, schiavi di sostanze che sono, ormai, parte integrante del loro corpo, e che necessitano di assumere come fossero zuccheri essenziali. Ma può essere chiunque, perfino le persone più tenaci ed estranee a questo tipo di ambiente possono finirne succubi: basta un tentativo e quell'effimera sensazione di estasi che ne consegue...e sei benvenuto all'inferno, anzi, purgatorio, perché questa cosa dovrà finire, nel bene o nel male.
E qui mi sento di dover esporre una mia intuizione, che mi è sorta già da tempo ma della quale ho potuto trovare conferma anche con la visione del film. Immagino che siate rimasti sconcertati dall'immagine che ho messo a inizio capitolo (è "Hunger" di Pawel Kuczynski, tra l'altro)...perché a me ha fatto una certa impressione. Talmente che l'avevo messa in uno stato Whatsapp, convinta che avrebbe potuto scuotere la coscienza di qualcuno, esprimere meglio quella mia preoccupazione, apparentemente infondata, che le persone si ostinano a ignorare proprio perché radicata nelle vite di tutti: ovvero che siamo perennemente soggiogati dalle dipendenze. E temo che, attualmente, ciò sia ancora più vero, giacché siamo costretti a rimanere in casa con chissà quanti schermi puntati addosso. Pensateci. Il piacere di trovare una notifica, il protrarsi di quella sensazione reso possibile dal rilascio di neurotrasmettitori adibiti alla comunicazione del messaggio: "ancora, ancora"; sentirsi vuoti e smarriti quando la fonte del nostro piacere viene a mancare, cercarla ostinatamente, controllando il telefono dopo pochi secondi, aprendo l'applicazione stessa pur sapendo che non è arrivato niente; far scorrere le immagini, aprire un video, e poi un altro, e un altro ancora, sentire l'esigenza di leggere i commenti o di commentare a propria volta, controllare se qualcun altro risponde o lascia un segno di apprezzamento; andare avanti così per qualche altra ora, accorgendosi di aver sciupato il tempo e con esso le nostre energie, fisiche e morali; dirsi, promettersi: "domani sarà diverso", pur consapevoli che tutto questo andrà a ripetersi, inevitabilmente, un'altra volta ancora.
Ah, non usate i social, non con questa insistenza almeno? Ho comunque brutte notizie per voi: non è l'unica cosa a creare dipendenza, tolte le droghe "classiche". Perché i semi insidiosi della gratificazione istantanea si trovano ovunque: nel cibo che consumiamo, nella musica che ascoltiamo, nelle persone e nei ricordi a cui ci aggrappiamo, nei corpi e negli sguardi che osserviamo con una certa brama, nelle ideologie che ci costruiamo, anzi: sono già costruite, noi le assimiliamo soltanto, volenti o nolenti...e lasciamo inconsapevolmente che queste dettino il nostro modo di vivere e sentire.
Sono devastanti al pari dell'eroina, o dell'alcol? No, non fino a questo punto, nei casi più comuni almeno...ma ciò non vuol dire che non abbiano una loro, subdola direi, influenza, e che questa possa essere passivamente accettata, perché socialmente tollerata. Il primo passo è dunque prendere consapevolezza della nostra precarietà e dei nostri vizi; poi, andare a ritroso, cercando di rinvenire come tutto sia partito: è la prima volta che ci troviamo così attaccati a qualcosa? O questa è solo una delle tante ossessioni che abbiamo nutrito nel corso degli anni? Tutti questi attaccamenti, tutte queste ricerche di piacere, di gratificazione...sono un modo per noi di evadere da una realtà che non ci stimola, che non ci soddisfa, o da un fantasma del passato che non ci consente di vivere serenamente? Cosa ci spinge a sprofondare in questi vizi? Cosa vogliamo veramente? Esiste un'alternativa migliore, che ci renda più produttivi? Oppure si tratta semplicemente di sradicare un problema più ancestrale, che a lungo abbiamo cercato di evitare? Qualunque sia il nostro vissuto, dobbiamo sempre tener presente che questo non è il problema di un singolo, un caso raro e isolato; bensì, è la condizione che permea l'intera umanità, questa costante ricerca di qualcosa che ci renda più felici, o semplicemente, più...

"Brothers and sisters
Rebuild your life
We're all drug takers"

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