-Capitolo 23
Mi trovavo ormai da ore lì sul letto, nello stesso punto, a domandarmi se era giusto leggere quel diario.
Ero veramente pronta a conoscere la verità?
Stanca di ripetermi continuamente questa domanda, mi distesi sul letto, emettendo un sonoro sospiro.
Forse conveniva farmi aiutare?
Mai nella vita.
Ero sempre stata la ragazzina in grado di cavarsela da sola e di certo questa volta non sarebbe stato diverso.
Pensavo di essere cambiata finalmente, ma forse era soltanto una mia convinzione errata.
Stufa di tormentarmi con tutte quelle domande senza risposta e non arrivando a concludere nulla, mi alzai e andai alla finestra.
Mi ci appoggiai contro, cominciando ad avvertire il freddo piacevole del vetro, concedendomi il tempo di non pensare a nulla.
Mi sporsi oltre la finestra e cominciai a guardare il quartiere lì intorno.
Spesso mi soffermavo a guardare gli altri e domandarmi com'era la loro vita.
Chissà chi li stava aspettando a casa, chissà se anche loro non facevano altro che porsi mille domande diverse per il semplice gusto di tenere impegnata la propria mente.
"Presumo proprio di no, non tutti piace tormentarsi inutilmente la vita".
Stavo per chiudere la finestra, fino a quando non scorsi una macchina appostata sotto casa mia. Era un audi bianca, mai vista da queste parti.
Provai a scorgere chi ci fosse all'interno della macchina ma, proprio in quel momento, sentii una mano afferarmi la spalla da dietro, da farmi distrarre completamente dal mio intento iniziale.
Mi voltai lentamente, aspettandomi fosse Cam o mia madre, invece, scoprii che non si trattava nessuno di loro due:era un uomo dai tratti duri e con delle vesti nere.
Provai ad urlare, cercando di attirare l'attenzione di mio fratello, ma l'uomo fu più veloce di me a mettermi sul naso un fazzoletto. Diventava sempre più difficile respirare, ma non potevo permettermi di svenire.
Come aveva fatto ad entrare?
Cominciai a pensare in preda al panico ma, in quel momento, quello doveva essere l'ultimo mio problema.
Dovevo stare assolutamente calma o non sarei giunta a nulla.
Comincia a prendere il controllo della situazione e cercai di rievocare ricordi di quando per un anno avevo frequentato alcune lezioni di arti marziali.
La mia mente ideò una strategia e cominciai a valutare velocemente il mio avversario.
Era sicuramente un principiante in quel campo, in quanto mi aveva lasciato le braccia libere e non si era minimamente preoccupato, che avrei potuto cercare di liberarmi.
C'erano grandi possibilità di riuscirci, allora mi sbrigai ad agire. Tirai una gomitata all'altezza del suo stomaco e, come speravo, indiettreggiò, in modo tale che la sua presa divenne meno forte.
Gli presi un braccio, cercando di non sbilanciarmi troppo, gli tirai un calcio basso, facendolo così cadere e permettendomi di bloccarlo a terra con le mie gambe.
Adesso o mai più.
Cercai di usare un tono duro, per apparire più forte di quello che non ero realmente.
- Chi sei, cosa ci fai qui? Sei lo stesso ragazzo, che mi seguiva quel giorno al negozio?-.
Non avrei mai potuto dimenticare quella sensazione orribile di essere seguita, anche se non ero realmente certa che fosse così.
Però l'uomo sorrise, mostrandomi dei denti giallognoli forse per via del fumo a giudicare dal suo alito fetente, quasi ad affermare la mia assurda teoria.
Allora non ero pazza, era tutto vero.
Senza volerlo, presa dalla rabbia, avevo schiacciato più forte del dovuto il ginocchio sul suo sterno, sentendo il suo trattenuto gemito di dolore.
Allentai la pressione.
Cominciai a prenderlo dalla maglia, ormai persa la pazienza, e gli ripetei per un'ultima volta la stessa frase, marcando di più il suono di ogni parola.
L'uomo però non smetteva di sorridere, fissandomi continuamente gli occhi senza mai spostare lo sguardo.
Finalmente, quando ormai non ci speravo più, rispose, lasciandomi totalmente sconvolta.
-Chiedi al tuo amichetto Axel, forse saprà dirti di più-.
Detto ciò, non gli ci volle molto per liberarsi dalla mia presa e fuggire dalla porta, probabilmente per scappare da dov'era arrivato.
Non avevo le forze di seguirlo, perché tutto mi sembrava completamente surreale. Quella non era la mia vita.
Prima la morte di mio padre, poi scoprire che Sky era mia sorella e adesso anche questo...no, non potevo sopportarlo.
Dovevo assolutamente parlare con Axel.
Cominciai ad uscire di casa in tutta fretta, a correre per le vie della città, per ricordarmi solo un istante dopo che non sapevo minimamente di dove abitasse.
Avrei dovuto aspettare l'arrivo del giorno dopo e chiarire tutta questa assurda situazione
"Axel...spero che avrai una buona spiegazione per tutto questo".
Come tutte le mattine Cam venne a svegliarmi ma, a differenza del solito, mi alzai subito dal letto e ne rimase veramente stupito.
"Ti stupiresti nello sapere, che ho trascorso tutta la notte sveglia".
Pensai, perché questo non glielo avrei mai detto.
Anzi nulla di quello che era accaduto la notte precedente.
Non ero neanche sicura, che fosse veramente accaduto.
Mi lavai, feci colazione, uscii di casa e andai a scuola. Tutte cose monotone, che facevo ogni singolo giorno.
Ecco, perché mi veniva da dubitare che fosse successo realmente.
Però appena incontrai Axel, non esitai. Gli andai incontro e lo presi per la manica, trascinandolo lontano da tutti, anche se questo attirò l'attenzione di varie persone.
"La gente non riesce a non intromettersi nella vita altrui?".
Pensai, diventando ancora più infastidita di quello che ero già.
Axel non sembrò sorpreso, che lo avessi trascinato via a forza così all'improvviso, perciò mi venne da dubitare. Lui sapeva qualcosa.
Superato il cancello della scuola, non mi lasciò neanche il tempo di parlare, che si mise a parlare ininterrottamente.
-Se mi hai portato qui, perché hai scoperto che sono stato io a mangiare il tuo pranzo, fermati. Mi dispiace, infatti, ti ho portato...-.
Stava per cercare qualcosa nel suo zaino, ma lo fermai e, anche se non era il momento più adatto, mi venne da ridere.
Era da tanto, che non mi concedevo un sorriso.
Quel ragazzo non si smentiva mai, pur di fare sempre il ridicolo.
Axel mi guardò, non capendo quella mia reazione improvvisa e, molto probabilmente dal suo punto di vista, strana.
-Non sono qui per quello-.
Il sorriso sparì dal mio volto, facendogli capire, che dovevo parlargli di una cosa più importante e seria.
La prima campanella suonò, nel cortile non rimase più nessuno tranne noi e il rumore dei tuoni in lontananza, che preannunciavano l'arrivo del maltempo.
Prima di parlare, alzai il viso al cielo, notando delle nuvole grigie, che sembravano minacciarmi con la solo loro presenza.
-Ieri sera, è accaduta una cosa...bizzarra. Un tipo è entrato in casa mia...-
Axel impallidì, non mi lasciò neanche il tempo di finire di parlare, che mi mise una mano sulla bocca per bloccare il flusso delle mie parole.
- Non qui. Vieni.-
-Allora è tutto vero, quello che sta accadendo?-
Domandai e, forse notando il mio volto triste e amareggiato, rispose di sì, non riuscendo a guardarmi dritto negli occhi.
Un sospiro di stanchezza mi uscì involontariamente dalle labbra. Infondo lo sapevo, ma questo voleva dire l'arrivo di nuovi guai e la pioggia si abbattè su di noi, quasi a confermare la mia teoria.
Salimmo sulla moto e c'è ne andammo lontano in un posto sicuro.
Era notte, appena arrivammo alla nostra meta.
Avevamo superato due città per arrivare fin qui, ma non sapevo con certezza dove ci trovassimo.
Era uno di quei quartieri infami, dove la gente finiva spesso dopo essersi presi una sbronza, dove avveniva una rissa, dove in quei vicoli era raccolta la cattiveria del mondo.
Ci eravamo fermati davanti ad un palazzo in rovina con le pareti che si sgretolavano e con le finestre rotte.
Salimmo un paio di scale cigolanti con il costante terrore, che si potessero rompere da un momento all'altro e arrivati ad un pianerottolo, la situazione non fu di certo migliore.
Vidi coperte su coperte.
Andando avanti, scorsi dei bambini abbracciati fra loro, quasi sicuramente, per proteggersi dal freddo della sera. -Non avevi mai visto la vera crudeltà del mondo a giudicare dal tuo sguardo, non è vero?-
Aveva ragione.
Io mi lamentavo di quello che il destino mi aveva riservato ma, venendo qui, dovevo ricredermi.
Ero stata anche fin troppo fortunata. Non avevamo mai avuto problemi grazie alle nostre condizioni economiche, che ci permettevano di vivere decentemente.
-Mi hai portato qui, per farmi sentire uno schifo con me stessa? -
Lui mi guardò, probabilmente stava cercando di capire quanto poco mi ci volesse, prima di crollare.
-Non c'è bisogno che mi guardi così, c'è la faccio.-
Axel aspettò ancora, prima di aprire una porta e mostrarmi una persona, che desideravo da tempo di vederla e ormai mi ero arresa.
Era sdraiato su un divano con la pelle lacera e macchiato dal tempo e poi c'era lui, che stonava con il resto della stanza.
Era rimasto uguale, come l'ultima volta che l'avevo visto.
Quando mi notò, i suoi occhi rimasero fissi nei miei ancora increduli.
Axel mi arrivò da dietro, sussurandomi.
-Scusa, abbiamo dovuto. Adesso però ci serve anche il suo aiuto, se sta accadendo quel che penso che sia.-
Non elaborai veramente quello che stava dicendo.
In quel momento mi importava solo di lui.
Gli andai incontro, il passo mi sembrava incerto, come se fossi sul punto di cadere.
Lui si alzò, ma rimase immobile dov'era, aspettando una mia reazione.
Quando mi trovai vicina a lui, la mia mano reagì istantaneamente:uno schiaffo in pieno viso.
-Tu lo sapevi, lo sai quanto abbia sofferto per mio padre. Anche se non te ne ho mai veramente parlato, le voci giravano nei corridoi della scuola. Mi hai sostenuta quella notte, in cui avevo uno dei miei incubi. Stavi diventando il mio pilastro, l'unica cosa che mi sosteneva in piedi in questo mondo. E tu ti permetti di andartene? Non devi prendere sul serio, tutto quello che dico.-
I nostri corpi pian piano si avvicinavano e quando fu abbastanza vicino, gli misi le braccia intorno al collo e gli rubai un bacio.
Come la prima volta, la luna illuminava la stanza e, nonostante ci trovavamo in un posto che non aveva niente di magico, per me divenne il luogo più bello in cui ero mai stata, perché al mio fianco avevo lui.
-Non andartene più, Damian-.
Il mio corpo venne circondato in poco tempo dalle sue braccia e, dopo tanto, riuscii finalmente a rilassarmi.
Il sonno, che avevo perso in tutti quei giorni, cominciai a sentirlo tutto in quel momento ma, prima che crollassi fra le braccia di Morfeo, avvertii delle parole che mai più avrei dimenticato.
-È una promessa, Crystal.
Non ti farò più soffrire.-
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