-capitolo 1
Rieccomi tra voi! Ed ecco un nuovo capitolo. E in alto una foto di Crystal, in realtà l'attrice Jessica Hambel. Voi che ne pensate? Ve la immaginavate così?
Pov. Crystal
Ormai stavamo viaggiando da ore e cominciavo ad intravedere, in lontananza, dei palazzi maestosi che si innalzavano fino al cielo limpido e senza nuvole.
A vederlo pareva estate, ma in realtà era già arrivato l'autunno, in fondo in California fa sempre più caldo del normale.
Abbassai i finestrini e respirai quell'aria che, inspiegabilmente, mi ricordava casa.
"Ci troveremo bene qui...
Almeno lo spero."
Meglio non aspettarsi grandi cose, per poi rimanerne delusi.
-Vero che, quest'anno, proverai ad interagire di più con gli altri?-
Mi domandò mia madre con tono alquanto preoccupato.
Non le risposi.
A causa del mio carattere schivo, tutti mantenevano le distanze da me e non è che mi dispiacesse più di tanto.
Almeno non mi sarei più dovuta preoccupare di affezionarmi a qualcuno. Eppure, ogni tanto, non mi sarebbe dispiaciuto apparire come le mie
coetanee: felici, spensierate e sempre pronte a sorridere alla vita.
"Nessuno riuscirà ad accettarmi per quel che sono."
Immersa nei miei pensieri, non mi accorsi che eravamo arrivati.
Mi affrettai a scendere e senza nessuno stupore, guardai la mia nuova casa dove avrei vissuto per molti anni.
Beh, chiamarla casa era un eufemismo, era una vera e propria villa.
La facciata era ricoperta da mattoni a vista e davanti c'era anche un giardino abbastanza grande da poterci costruire comodamente una piscina.
Sul retro intravidi un esteso campo di tulipani e, ignorando cosa stesse dicendo mia mamma, superai la recinzione e iniziai a correre.
Lontano da quella confusione, che era la mia vita.
Passai affianco alla casa, notando solo adesso, che una facciata di essa era completamente in vetro, ma non si riusciva a scorgere nulla all'interno per via di enormi tende magenta.
Quando arrivai ai piedi di un grande salice piangente, finalmente decisi di fermarmi.
Mi appoggiai sulla ruvida corteccia e alzai lo sguardo: i suoi lunghi rami mi stavano accarezzando il volto, come se condividessero il mio stesso dolore.
Stranamente ero felice di avere cambiato casa perché, ormai da tempo a Londra, erano racchiusi troppi ricordi dolorosi della mia infanzia. Da quando la vita mi aveva tolto crudelmente mio padre, la mia esistenza era stata segnata da continue tragedie: a scuola non potevo mettere più piede, che tutti mi sbattevano in faccia la realtà.
A casa tutti fingevano che fosse un giorno come l'altro, nonostante si respirasse un'aria tesa, perché tutti avvertivamo la mancanza di qualcosa, che era fondamentale per potere andare avanti.
Da allora il mondo perse tutti i colori ai miei occhi e non potevo fare a meno di incolpare chiunque mi girasse attorno, per avermi privato della mia unica felicità.
Un rumore alla mia destra mi fece scattare, mi volsi sobbalzando, ma appena vidi mio fratello mi tranquillizzai.
-Speravo di fare meno rumore. Non volevo spaventarti... Solo che.. sembravi così serena, che non volevo disturbarti.-
Gli concessi un sorriso sincero, perché era veramente buffo in quella situazione.
- Lo sai: te non mi disturbi mai.-
Gli risposi.
Mi squadrò per qualche secondo, come per accertarsi che stessi bene.
-Meglio se ritorniamo, siccome dobbiamo sistemare le nostre cose.- Mi disse poi.
Sbuffai, perché sapevo che era stata nostra madre a mandarlo.
Mi alzai e ce ne andammo con la consapevolezza che, se avessi sentito il bisogno di staccare con la realtà, quel salice sarebbe stato il luogo in cui sarei andata a rifugiarmi da tutto e da tutti.
Prima di andare a dormire nostra madre ci avvertì che il giorno seguente dovevamo recarci nella nuova scuola, la "High School Academy", per compilare i moduli d'iscrizione.
-Roba da pazzi! Nostra madre è sempre perfetta, al punto che non si dimentica mai nulla e ora si scorda di fare l' iscrizione per la nostra nuova scuola?-
Stava sbraitando Cameron.
Non so per quale motivo, ma avevo la netta sensazione che mamma lo avesse fatto per costringerci a farci dei nuovi amici.
Quella sera io e Cameron dormimmo insieme perché, almeno per il primo giorno, volevo presentarmi decentemente e non con due occhiaie che parlavano da sé.
Come al solito mio fratello mi svegliò buttandomi giù dal letto, ma questa volta non mi lasciò il tempo di urlargli contro.
-Sì lo so. In questo momento mi vorresti morto, ma dovrai rimandare l'ora della mia morte, perché dobbiamo andare.-
Mi girai e vidi che la sveglia segnava le 7.30.
Avrà battuto la testa, anche se quello era accaduto già da tempo, sin da quando gliela avevo fatto sbattere accidentalmente buttandolo giù dall'altalena da piccoli.
-Lo sai che ore sono?- Gli dissi con calma.
Cameron afferrò le lenzuola e mi lasciò a congelare nel freddo del mattino. In realtà, c'erano più di 25 gradi, ma era solo una scusa in più per poterlo prendere a pugni.
Feci per alzarmi, ma lui mi prese in braccio ed entrò in bagno.
Non vorrà mica...
Non feci in tempo a concludere il mio pensiero che, come sospettavo, aprì il rubinetto della vasca.
Muovendomi il più veloce possibile, mi arrampicai sulla sua schiena, tenendomi ben salda, cercando un modo per potere sfuggire da quel pazzoide di mio fratello.
Cam cercò di riprendermi, ma, prima che potessimo fare qualunque cosa, perse l'equilibrio e cademmo insieme nella vasca.
-È fredda!-
Urlammo insieme, eppure, invece di essere arrabbiata, risi di gusto.
-Ti sta bene, il tuo scherzo ti si è ritorto contro!- Lo schernii.
Lui prontamente ribattè.
-Colpa tua sorellina, pesi troppo.-
Il mio sorriso si tramutò subito in uno sguardo omicida.
Lui si affrettò ad uscire dalla vasca, sapendo che lo avrei picchiato volentieri.
Quando se ne andò, mi concessi un minuto per realizzare che oggi avrei compiuto il primo passo per ritornare a vivere.
-Ciao mamma! -
Urlammo quando fummo pronti per andare, ma, ovviamente, lei non aveva neanche il tempo per salutarci. Uscimmo di casa.
-Bene cara sorellina, a te l'onore.-
Sbuffai sonoramente alle parole di mio fratello.
Lo sapevo che sarebbe toccato a me.
Il pomeriggio prima, non è che lo stessimo spiando, ma avevamo visto il nostro vicino con una scritta sulla maglia: High School Academy.
Ovviamente ora toccava a me chiedergli delle indicazioni e, su richiesta di mia mamma, farmelo amico.
Quella donna è pazza, se crede che sia possibile una cosa del genere!
Lo vidi che stava per salire su una moto, molto probabilmente dirigendosi verso il mio stesso girone dell'inferno chiamato scuola, quindi mi avvicinai a lui.
-Ehi tu!-
Gli urlai, non sapendo il suo nome.
Lui si girò verso di me. Inizialmente sembrava diffidente, ma poi si ricompose, assumendo una posa arrogante.
-Ehi bellezza.
Scusami, ma non ho tempo.
Se vuoi, vieni stasera.-
Disse sfacciatamente.
Lo guardai basita.
Aveva detto davvero quelle parole? Questo non avrà vita lunga.
-Tanto per chairirci: primo, mi chiamo Crystal.
Crystal Blackwood.
Secondo, niente soprannomi e modi di fare da playboy, perché con me non attaccano.
Terzo ed ultima cosa, dimmi dove posso trovare quella scuola.-
E indicai la sua maglia.
-Così non dovrò più vederti.-
Bene, neanche il tempo di conoscerci, che già mi stava antipatico.
-Mi dispiace, ma frequentiamo la stessa scuola. Sarà impossibile non vederci e, inoltre, sono il tuo vicino di casa.-
Questo è senza speranza.
Prima o poi saprà con chi avrà a che fare.
-Bene, prima che mi rovini la giornata, me ne vado. Addio.-
Mi voltai per andarmene, non prima di riuscire a sentire una risata cristallina.
Rimasi per un secondo presa di sorpresa: un ragazzo normale mi avrebbe già risposto male e chissà, magari avrebbe preferito anche trasferirsi, invece lui no.
Lui aveva sorriso.
Mio fratello mi guardò scioccato, ma non sorpreso.
A quanto pare avevo dato il meglio di me.
Rientrai in casa e vidi mia mamma che, sicuramente, per tutto questo tempo aveva sbirciato dalla finestra.
-Sicuramente, sai com'è andata. Perciò, mi dispiace di avere rovinato i tuoi piani, ma dovrai portarci a scuola.-
E senza aspettare una risposta, uscii di casa per salire in macchina.
Prima che ci allontanassimo, vidi quel ragazzo fissarmi.
Aveva davvero dei bei occhi di un verde spento, con delle pagliuzze azzurre, e i capelli marroni erano schiariti, forse dal sole.
Il fisico pareva tonico, infatti dalla maglia attillata si poteva notare un corpo ben definito ma, per quanto fosse bello, non avrebbe mai potuto essere il mio tipo.
Appena notò che lo stavo fissando, mi mandò un bacio da lontano.
Appunto per questo non andremo mai d'accordo.
Feci la faccia più dolce che potessi e, come immaginavo dalla confusione del suo sguardo, rimase interdetto.
Subito proseguii con un gestaccio.
Lui si riprese e scoppiò a ridere, mantenendo quel maledetto sorriso.
Mi arresi e mi accasciai sul sedile.
Già lo odiavo.
Nonostante continuassi a ripetermelo, un sorriso si formò sulle mie labbra.
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